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Autore: haroldstouch    09/06/2013    13 recensioni
Z: Mi ero accorto delle attenzioni ossessive che a quanto pare la maggior parte delle ragazze mi riservavano; si inventavano le scuse più ridicole per venirmi a parlare e mi ronzavano intorno senza un attimo di tregua, confabulando tra loro ogni volta che passavo; stupide oche giulive. Invece lei, con la sua timidezza, le sue guance che si coloravano di rosa ad ogni mio sguardo… 
 
 
H: "Timida, innocente, riservata. Decisamente non era il mio tipo; ma c’era qualcosa in lei che mi attirava. Sorrisi, pensando all’effetto che provocavo su di lei. Probabilmente anche io le piacevo, ma a giudicare dal suo carattere era ancora spaventata dalla mia sfacciataggine. La cosa non mi scoraggiò: io ottengo sempre quello che voglio. E lei sarebbe presto stata mia."
TRAILER
http://www.youtube.com/watch?v=uG-F2Yfkr-U
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo cinque: "Dubbi e rivelazioni"


Zayn's POV

Il viaggio sull’autobus fu piuttosto tranquillo: Kim aveva incontrato una sua conoscente e avevano iniziato una lunga discussione a proposito di una festa che doveva essersi tenuta il giorno prima. Ringraziai mentalmente la mia sconosciuta salvatrice,
mi aveva inconsapevolmente sottratto a una situazione
 estremamente spiacevole, risparmiandomi le nuove ed estenuanti
domande che ero convinto che Kim mi avrebbe rivolto. Non avevo assolutamente voglia di
 parlare, l’unica cosa che desideravo
era solo qualche minuto di silenzio. Così presi posto su un sedile singolo del bus, appoggiando la testa al finestrino e

guardando annoiato il panorama che mi scorreva sotto gli occhi. I cespugli curati delle case lungo la strada si riducevano a masse indistinte di verde, i colori delle auto che ci sorpassavano sembravano confondersi tra loro, mentre la vista mi si annebbiava
sempre di più.
Fu solo quando lo strombazzare del clacson
 segnalò l’arrivo alla fermata che mi accorsi di essermi addormentato come un idiota,
con la faccia premuta contro il vetro. Speravo che nessuno avesse notato
 la smorfia da ebete che sicuramente avevo assunto
durante il sonno. Mi stropicciai gli occhi, ancora un po’ confuso. Fortunatamente sono sempre stato dotato
 di un buon senso dell’orientamento; quindi, nonostante fosse solo la prima volta che compivo il percorso di ritorno da scuola a casa, mi resi subito
conto che
 quello era il punto in cui sarei dovuto scendere. Raccolsi frettolosamente lo zaino, mi alzai dal sedile, feci un rapido
cenno di saluto a Kim e mi precipitai fuori
 dal veicolo, proprio qualche secondo prima che le porte automatiche si richiudessero.
Avrei dovuto percorrere un breve tratto a piedi, ma la cosa mi fece
 piacere. Era una bella giornata, il sole tiepido splendeva nel
cielo e con i suoi raggi mi accarezzava piacevolmente la pelle, filtrando attraverso la stoffa sottile
 della camicia. In pochi minuti
giunsi a casa; frugai nelle tasche alla ricerca delle chiavi e finalmente spalancai la porta d’ingresso. Strofinai i piedi sullo zerbino
 
con cura quasi maniacale, per rimuovere ogni residuo di sporcizia. Mia madre aveva una vera e propria ossessione per la pulizia:
fosse stato per lei avremmo
 vissuto in una campana di vetro totalmente asettica e sterilizzata, del tutto priva di acari e batteri.
“Ciao mamma!” urlai; nessuna risposta, probabilmente aveva
 fatto tardi al lavoro. Mi precipitai subito su per le scale e raggiunsi
la mia camera, in fondo al corridoio. Lasciai cadere pesantemente lo zaino a terra e mi gettai
 sul letto, affondando il viso nel cuscino
e scalciando via le scarpe. Non c’era niente di meglio che un po’ di riposo dopo una giornata del genere. Chiusi gli

occhi, cercando di non pensare a niente. Ero distrutto, il breve sonnellino che mi ero concesso sull’autobus ne era la conferma. L’atmosfera però mi sembrava fin troppo spenta, avrei finito per addormentarmi di nuovo: un po’ di musica avrebbe potuto
solo farmi bene. Mi sollevai di scatto, estrassi l’iPod dalla tasca
 esterna dello zaino e lo collegai alle casse sulla scrivania.
Partì subito la riproduzione casuale.


I'm gonna pick up the pieces 
and build a lego house
when things go wrong we can knock it down



Ricaddi nuovamente sul letto, socchiudendo le palpebre. Era stata una giornata faticosa, sì, ma nel complesso non così
terribile come avevo previsto. Entrare in 
una nuova scuola, per di più nel bel mezzo dell’ultimo trimestre, non è mai facile.
Mi sarei aspettato un clima di ostilità e diffidenza nei miei confronti; invece  in
 Amy e le sue amiche avevo trovato tutto il contrario.
Beh, magari l’unica nota stonata era quell’idiota di Styles, ma ero sicuro che avrei potuto sopportarlo senza

particolari problemi. Di certo non era il peggio che avrebbe potuto capitarmi... pensavo


Amy's POV

Continuai a fissarlo senza aprire bocca, frastornata.
“Ehi, ti sto solo offrendo un passaggio. Non ti sto invitando a passare la notte con me o che so io… anche
 se ammetto
che non mi dispiacerebbe” insistette, con un sorrisetto divertito.
Mi riscossi dal mio stato di trance, indietreggiando leggermente sul marciapiede.

“Mmh, credo… credo che non sarebbe una buona idea…” risposi, un po’ esitante.
“Perché no? Hai paura? Ti prometto che andrò piano” cercò di convincermi.
Ma
 la sua espressione furba era tutt’altro che rassicurante. Sì, aveva ragione, nonostante avessi visto ben poco dei suoi
metodi di guida ero terrorizzata al pensiero
 di sfrecciare in sella a quel marchingegno infernale per le strade trafficate della città. Particolare non trascurabile, probabilmente in un modo o nell’altro Kim avrebbe finito per sapere tutto e non ero psicologicamente
pronta per la sua reazione (piuttosto prevedibile, in effetti: prima avrebbe dato di matto e poi
 avrebbe iniziato ad assillarmi con le sue
solite domande). Terzo: se per mia sfortuna mi avesse vista qualche conoscente dei miei genitori o peggio loro stessi sono sicura
che mi avrebbero uccisa. Anzi, quella era una prospettiva decisamente troppo rosea: sarei finita sicuramente in punizione,
confinata in casa senza
 cellulare e computer per minimo due settimane.
Ero perfettamente consapevole dell’avversione che entrambi nutrivano per i veicoli a due ruote; specialmente
 se guidati da
spericolati ragazzi con ricci fluenti, occhiali da sole e sorriso ammiccante. Ultimo particolare, ma non meno importante: ero
tutt’altro che esperta
 con i motorini e indubbiamente avrei fatto la figura della stupida. Tra l’altro non ero nemmeno sicura di volere
che Harry venisse a sapere dove abitavo; non mi
 sembrava assolutamente una buona idea.
Tutti questi ragionamenti si susseguirono nella mia mente in un paio di secondi: il mio cervello lavora in modo
 sorprendentemente
rapido quando mi trovo in situazioni di panico. Alla fine presi l’unica decisione che mi sembrava sensata, quella dettata
dalla razionalità.

“No, grazie. Harry, sei davvero molto gentile, ma sono praticamente arrivata. Non ce n’è bisogno” rifiutai nuovamente,
con un’espressione tutt’altro che
 convincente.
“Sei sicura? Non è un peso per me”.
“Sì, grazie comunque. Adesso vai, non voglio trattenerti inutilmente. Ci vediamo a scuola” ribadii.
Speravo
 davvero che si rassegnasse, non ero sicura di potergli tenere testa ancora per molto. E sì, avevo la sensazione che Harry potesse essere estremamente persuasivo. Erano forse i suoi occhi verdi come la giada? Il suo sorriso disarmante? I ricci ribelli che gli incorniciavano il viso perfetto? C’era un’aura quasi magnetica intorno a lui, era impossibile negarlo; ed io ci ero ormai caduta dentro.
“Oh, ok. Sarà per un’altra volta” cedette, rabbuiandosi.
Si allontanò
 sgommando, senza nemmeno salutare. Quell’ultimo ammonimento suonò quasi come una minaccia alle mie orecchie;
o forse mi stavo facendo troppe
 paranoie. Mi ci volle qualche secondo per elaborare ciò che era appena successo; poi mi passai una mano tra i capelli, quasi a scacciare i pensieri che mi turbinavano in testa, e mi rimisi in cammino verso casa. Pochi minuti dopo mi trovai davanti alla porta d’ingresso. Suonai, sicura che i miei genitori o almeno mio fratello fossero dentro. Qualche secondo dopo
mia madre fece capolino sulla soglia.
“Amy! Com’è andata oggi a scuola? Ti vedo un po’ stanca. Ti avevo
 detto che sarebbe stato meglio non andare alla festa ieri sera, guarda che occhiaie! Entra, dai. Dovresti anche-”.
“Ciao anche a te,
mamma” la interruppi, irritata.
Quella donna aveva la pessima abitudine di bersagliarmi di domande; sembrava una copia adulta di Kim , in versione materna.
Non c’era una volta che non mi 
chiamasse al cellulare durante le mie uscite con le amiche, che tra l’altro non erano nemmeno tanto frequenti da giustificare il suo atteggiamento. Dove sei? Con chi sei? Quando torni? Che state facendo? Leggermente apprensiva, già. Ma ero certa che il suo comportamento fosse nient’altro che la testimonianza di quanto tenesse a me. Poteva essere davvero
soffocante a volte, ma dopotutto apprezzavo tutte le attenzioni che mi riservava. Mi faceva sentire amata, mi faceva sentire

davvero importante per qualcuno. Ma non credo che l’avrei mai ammesso apertamente davanti a lei.
Mi diressi velocemente verso la mia stanza, dove
 abbandonai il pesante zaino sul pavimento, felice di essermene finalmente liberata.
Ero decisamente accaldata, minuscole goccioline di sudore mi imperlavano
 la fronte. Ecco il lato negativo delle giornate afose come quella: basta fare anche un breve percorso a piedi per ridursi come se si avesse appena finito di correre una maratona.
Entrai in bagno, per darmi una rinfrescata. L’acqua fredda sul viso fu un vero sollievo; pettinai poi i capelli, li tirai indietro con
una fascia e li
 raccolsi in una coda. Dal mio riflesso sullo specchio mi resi conto che mia madre dopotutto aveva ragione: i cerchi
scuri che avevo intorno agli occhi erano
 anche peggiorati rispetto al mattino, quando ero uscita di casa. Anche il mio colorito non era
per niente sano: ho sempre avuto una carnagione piuttosto
 chiara, quasi perlacea, ma in quel momento ero davvero pallidissima;
avevo decisamente una pessima cera. Sbuffai, infastidita. Mi riproposi di andare a dormire
 presto quella sera, non avevo intenzione
di passare anche la giornata successiva in quello stato.
Tornai nella mia camera e iniziai a frugare nell’armadio alla
 ricerca di qualcosa di più comodo da indossare; alla fine optai per dei pantaloni della tuta grigi e una canottiera bianca con il simbolo dei Rolling Stones.
Nonostante fosse decisamente logora e scolorita, non l’avrei buttata per niente al mondo. Aveva un valore inestimabile dal punto di vista affettivo: me l’aveva regalata Niall, il mio migliore amico, circa due anni prima. La consideravo quasi il simbolo della nostra amicizia,
e in più mi aiutava a reprimere la bruciante
 nostalgia che spesso mi attanagliava lo stomaco: Niall infatti a stato costretto a
lasciare Londra poco prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Suo padre è un
 importante uomo d’affari, sottoposto a continui trasferimenti, e avrebbe dovuto passare un lungo periodo a Parigi per occuparsi del lancio di alcune nuove filiali della sua azienda;
Niall e la sua famiglia l’avevano seguito. Londra stessa non era la sua città d’origine: era nato a Mullingar, un piccolo paesino

dell’Irlanda, che mi aveva descritto nei minimi particolari. Era arrivato nella mia scuola circa tre anni prima: eravamo entrati in
sintonia fin da subito, e in breve
 era nata una simpatia reciproca. Lui era sempre la prima persona a cui mi rivolgevo per
ricevere consigli: pur essendo un ragazzo, paradossalmente mi capiva
 ancora meglio di Kim. Semplicemente aveva un carattere
più affine al mio, più tranquillo e riservato. Ricordavo sempre con una stretta al cuore i suoi magnifici
 occhi color dell’oceano,
che ad ogni sguardo mi comunicavano gioia sincera, amicizia incondizionata. Ricordavo le nostre serate insieme. Ricordavo la

sensazione di euforia che mi invadeva anche solo vedendo il suo nome sul display del cellulare. Ricordavo quando mi consolava…


Ero sdraiata sul divano a guardare la TV, sola; i miei genitori erano a una cena con dei colleghi di mia madre, mio fratello a casa
di un amico . Un pacco di fazzoletti ormai vuoto stava abbandonato sul tavolino di fronte a me; righe nere di mascara mi colavano
lungo le guance. Improvvisamente il cellulare che tenevo stretto in mano prese a vibrare. Niall. Risposi subito, cercando di
dissimulare la mia voce provata dal pianto.
“Pronto?”.
“Ehi, Amy. Che fai? Tutto a posto? Che programmi hai per stasera? Io probabilmente andrò a casa di James, quel tipo che frequenta il corso di inglese insieme a me” mi informò, allegro.
“Spero che non ci sia troppa gente, sai che odio i posti affollati. Ti inviterei a venire con me, ma siamo solo ragazzi” concluse,
facendo trasparire il suo dispiacere.
“Ciao Niall… No, non ho proprio voglia di uscire stasera. Kim e le ragazze vanno al cinema con quei tizi della squadra di calcio,
avresti dovuto sentire quant’erano esaltate al pensiero. Ma a me sembrano solo dei grandissimi coglioni. Ma non preoccuparti,
va tutto bene. Divertiti con i tuoi amici” risposi, sperando di non metterlo in allarme.
“No che non va bene, sai che capisco subito quando c’è qualcosa che ti tormenta. Ho ragione?” mi chiese, preoccupato.
La sua angoscia mi spinse a cedere.
"Beh, in effetti sì. Ho litigato con Luke. Ieri sera alla festa di Jane ha cercato di baciarmi, ma io l’ho rifiutato. Lui insisteva,
mi metteva le mani addosso, avevo paura. Allora gli ho mollato un ceffone fortissimo e sono scappata fuori. Tu non c’eri…
so che non sarebbe andata così altrimenti, non avrebbe osato. Oggi non ci siamo rivolti la parola, ma ho paura che possa succedere
di nuovo” scoppiai, senza riuscire a trattenere i singhiozzi.
“Quel bastardo… Non c’è problema, vengo subito a casa tua e porto un film” disse d’un fiato.
“Almeno tu però procurati qualcosa da mangiare, non posso fare tutto io. A tra poco” aggiunse in tono scherzoso,
riattaccando prima che avessi il tempo di ribattere.
Arrivò carico di tavolette di cioccolato, biscotti e barattoli di gelato.
“Beh, conoscendoti avevo paura che saremmo rimasti a stomaco vuoto” spiegò, rivolgendomi un sorriso abbagliante e passandosi
una mano tra i capelli biondi di cui andava tanto fiero. Poi entrò in salone, sparse sul tappeto un’ampia scelta di DVD che aveva noleggiato nel negozio vicino e mi invitò a scegliere.
Passammo tutta la serata a ridere e scherzare, quasi senza prestare attenzione al film. Poi mi addormentai sulla sua spalla;
ricordo solo che a un certo punto mi svegliò gentilmente, dicendo che gli sarebbe piaciuto restare con me a guardarmi dormire,
ma che sua madre si sarebbe preoccupata per l’ora tarda e che doveva proprio andare.
Fu la cosa più dolce che qualcuno avesse mai fatto per me.



A quel ricordo le mie labbra si curvarono in un sorriso, ma allo stesso tempo il mio cuore fu invaso dalla malinconia.
Sì, mi mancava, e anche tanto.
 Nonostante ci sentissimo molto spesso su Skype o Facebook non sarebbe mai stata la stessa cosa di averlo lì con me, poterlo abbracciare, poter cercare conforto nel suo sguardo limpido. Scossi la testa, con un sospiro; infine mi
riscossi dai miei pensieri, infilai le ciabatte e tornai in salone, dove mia madre era
 comodamente seduta sul divano a leggere il giornale. “Dov’è Lucas?” chiesi, sorpresa che mio fratello non si fosse ancora fatto vedere.
“È uscito con papà, credo
 che dovesse andare a comprare un gioco della Playstation” ripose lei distrattamente.
Bene, pensai, avrei avuto qualche minuto di pace in più. Mio fratello, più
 piccolo di me di cinque anni, fisicamente somigliava molto
a mia madre: capelli biondi, più chiari dei miei, occhi grandi e dalle ciglia lunghissime, di un
 marrone caldo, qualche lentiggine sul viso
e un sorriso angelico. Caratterialmente invece era il mio esatto opposto: non riusciva a stare fermo per più di
 qualche secondo,
attribuiva a me la colpa di qualsiasi suo comportamento sbagliato, era convinto che il dominio incontrastato della TV gli spettasse
di diritto e
 quando non aveva nulla di meglio da fare veniva nella mia stanza a cercare di coinvolgermi nei suoi stupidi videogiochi
o ad assillarmi con domande insensate,
 pretendendo una risposta ovviamente altrettanto insensata. Ma, chissà per quale motivo,
non riuscivo mai a rimanere per molto tempo arrabbiata con lui.
 Qualsiasi questione si risolveva al massimo il giorno seguente:
tutto tornava subito alla normalità, come se non fosse successo nulla. Ah, la forza dei legami
 familiari!
Mi feci strada dunque verso la cucina; avevo un disperato bisogno di qualcosa da mettere sotto i denti. Spalancai il frigo, in cerca di qualcosa che stuzzicasse il mio appetito: verdure, succo di frutta biologico, yogurt senza grassi, latte scremato, petto di pollo, ananas
e kiwi fu tutto quello che riuscii a trovare. Arricciai il
 naso: kiwi, solo l’odore mi faceva venire la nausea. Niente dolci, niente creme,
niente cioccolato.
 Aprii quindi la dispensa e rimasi ancora più sconcertata: i miei amati biscotti erano stati sostituiti da cracker integrali, gallette di riso e barrette dietetiche. Mio Dio. 
“Mamma, perché non c’è niente da mangiare?” urlai,
 sperando che mi sentisse.
“Amy, non dire idiozie. Sono stata a fare la spesa proprio un’ora fa, hai l’imbarazzo della scelta”.
“Ma non c’è niente per fare
 merenda!” sbottai.
“Preparati una spremuta d’arancia”.
“Forse non mi sono spiegata: non c’è niente di commestibile 
per fare merenda. Non voglio una diavolo di spremuta” insistetti, accigliata. “Prendi uno yogurt, allora” replicò lei, serena.
“Le parole cioccolato, panna o gelato
 ti fanno venire in mente qualcosa?”.
“Siamo a
 marzo, Amy. Devo iniziare la dieta per l’estate”.
Al diavolo lei e la prova costume.
“Ok, ho capito. Lascia perdere”.
Stupide diete. Aveva per caso deciso di
 coinvolgere anche tutto il resto della famiglia nei suoi regimi alimentari folli? Sarei stata costretta
a mangiare passato di verdure e cereali integrali per i due
 mesi successivi? Non volevo neanche pensarci. Ad ogni modo, alla fine
scelsi uno yogurt alla fragola, che sembrava l’unica cosa vagamente commestibile in
 mezzo a quel caos. Mi sedetti al tavolo, sconsolata, tolsi la pellicola d’alluminio che sigillava il vasetto e immersi il cucchiaio nel composto cremoso. Dovetti ammettere che alla fine non
era poi così male, a parte un lieve retrogusto di plastica. Beh, ci avrei fatto l’abitudine; nel peggiore dei casi avrei chiesto ospitalità a

Kim tutti i pomeriggi. A proposito di Kim, mi ricordai che avrei dovuto chiamarla. Terminato lo yogurt, gettai il vasetto vuoto nel cestino dei rifiuti e tornai nella mia stanza. Recuperai il cellulare dallo zaino e composi il numero, che sapevo ormai a memoria. Dopo qualche
squillo, la voce vivace della mia amica mi fece
 sobbalzare.
“Amy! Pensavo che ti fossi scordata di chiamarmi, stavo per offendermi” mi rimproverò scherzosamente.
“Non me ne dimenticherei mai, credimi. La
 minaccia incombente della tua ira è troppo terrificante per essere ignorata” la presi in giro. “Smetti di parlare come un ambasciatore delle Nazioni Unite, mi metti a disagio” sghignazzò lei.
“Allora… direi che stamattina è stata davvero densa di eventi” disse in tono allusivo.
Sapevo perfettamente dove voleva andare a
 parare; decisi di fingere di non capire.
“Già, la mia A in inglese è stata del tutto inaspettata. E anche il fatto che Lexi abbia deciso di seguire realmente la
 lezione di scienze stamattina mi ha decisamente sorpresa, quella ragazza non-”.
“Amy, non fare la finta tonta. Sai perfettamente cosa intendo” insistette lei.
Non
 mi restava che arrendermi.
“Se vuoi parlare di Zayn e di quell’altro ragazzo evita di girarci intorno e dillo apertamente, Kim” replicai, infastidita.
“Come vuoi:
 voglio parlare di Zayn e di Harry, alias quell'altro ragazzo, come lo chiami tu. Tanto so che non ti sei affatto dimenticata
il suo nome, vuoi solo farmi credere che
 neanche lui ti interessi”.
A volte odiavo come riuscisse sempre a leggere tra le righe quando parlava con me. Mi conosceva fin troppo bene: ogni mio espediente

o diversivo diventava inutile con lei.
“Va bene, Zayn e Harry
 se proprio ci tieni. E, per la cronaca, non mi interessano nessuno dei due in quel senso: Zayn è solo
un amico e Harry è inquietante” risposi, poco convinta.
Beh, direi che su quel punto avevo in parte mentito. In effetti Zayn era solo un amico, ma c’era già
 qualcosa di speciale a legarci, indefinibile ma perfettamente percepibile. Ed Harry era inquietante, sì, ma attraente allo stesso tempo.
“Sappiamo entrambe che ti
 stai rifiutando di ammettere la verità perfino a te stessa” replicò lei con una nota di scetticismo,
“e, mi dispiace strapparti al tuo mondo fatato, ma se non l’avessi
 notato entrambi sembrano già molto presi da te. Fossi in te non mi lascerei scappare quest’occasione”.
“Io non credo. Ci conosciamo solo da un giorno, cavolo!
 Smettila di accelerare sempre tutto. Vedremo come si evolverà la situazione,
solo il tempo può dirlo”.
“Va bene, ma promettimi una cosa: cerca di non rovinare 
tutto come al solito. So che sei timida, che non ti senti a tuo agio con i ragazzi, che non hai mai avuto esperienze particolari in questo campo. Ma, per favore, se dovesse succedere qualcosa promettimi almeno
che non manderai subito tutto all’aria anche questa volta e che almeno valuterai le possibilità. Lo dico per il tuo
 bene! Ok?”.
Ero sicura che lo dicesse per il mio bene, ma non mi andava del tutto giù il fatto che volesse sempre intromettersi nelle mie questioni private. Ma
 dopotutto era la mia migliore amica, ed era naturale che nutrisse simili preoccupazioni per me. In realtà non aveva tutti i torti: quelle poche volte che qualche ragazzo aveva manifestato interesse nei miei confronti l’avevo sempre allontanato in qualche modo,
con i miei modi freddi e distaccati. La mia non
 era cattiveria o superbia: semplicemente non ero abbastanza sicura di me stessa, non mi sentivo all’altezza. Dentro di me ero convinta che tutto ciò fosse dovuto al fatto che non avevo ancora incontrato il ragazzo giusto:
quello che mi avrebbe rubato il cuore, quello che mi avrebbe fatta sentire sua, quello che mi
 avrebbe fatta innamorare.
“Va bene, come vuoi. Ma a condizione che anche tu faccia una promessa: prometti di non assillarmi e di lasciarmi un po’ di privacy,

ok? Mi metti ansia” risposi.
“D'accordo. Ma ricorda, come ho detto prima lo faccio solo per il tuo bene, Amy”.
“Lo so, e questo mi rende davvero felice. Grazie,
 Kim. Ma ho bisogno anche dei miei spazi a volte”.
Vi fu una lunga pausa; fui io a rompere il silenzio.
“Beh, direi che sia ora di cambiare argomento. Come sono
 andate le altre lezioni?”.
“Mmh, direi bene. Forse chimica no, ora che ci penso. Stavo per perdere una mano. Ma non è colpa mia, quelle provette sono tutte

uguali! E quei cristalli bianchi, cloruro di borio o qualcosa del genere, avevano un colore così bello… Erano troppo belli per essere pericolosi” si lamentò lei, con voce da bambina capricciosa.
“Cloruro di bario,
 Kim. È estremamente corrosivo! Almeno avevi i guanti? Vorrei proprio capire perché ti sei iscritta al corso di
chimica se sei così impedita” sbottai.
“Mi serve per i crediti per l’università. E sì, avevo i guanti. In effetti è tutto merito loro se ho ancora tutte le dita” rise.
“Non
 c’è niente da ridere, così mi preoccupi. E poi non essere infantile, se una cosa è bella non significa per forza che non ti possa fare del male. A volte le cose più belle sono anche le più pericolose: pensa alle bacche velenose, ai fiori di Belladonna, a…” mi bloccai di colpo, sbigottita.
“A? Ah, per tua informazione non ho
 idea di cosa sia la Belladonna”.
“È una pianta, dovresti saperlo, l’abbiamo studiata l’anno scorso in botanica. E… niente, lascia perdere…” dissi d’un fiato.
“Oh,
 ok. Adesso devo proprio andare a studiare, ho un carico di compiti che neanche immagini e quell’idiota della Mills sicuramente mi interrogherà in geografia. Ricordati che domani sera siamo a casa mia insieme alle ragazze. E soprattutto rifletti su quello che ti ho detto!  Ci vediamo domani, Amy” si congedò.
“O-ok. A
 domani” salutai di rimando, ancora un po’ scossa.
Premetti più volte il tasto “fine” sul cellulare, in preda al nervosismo. Abbandonai il telefono sulla scrivania e
 mi gettai fiaccamente sul letto, coprendomi il capo con il cuscino.
"A volte le cose più belle sono anche le più pericolose: pensa alle bacche velenose, ai fiori di Belladonna, a...".
 
Ecco a cosa era stato dovuto il mio turbamento improvviso: stavo per completare la frase con "a Harry".



Harry's POV

Mi aveva rifiutato. Ero sicuro che più della metà delle ragazze della scuola avrebbero fatto carte false per un passaggio in motorino
da parte mia, con tutta probabilità anche qualcuno dei ragazzi, pensai, con una nota di malizia. Ma lei 
no, lei aveva preferito andarsene.
Continuai a tormentarmi con quel pensiero fino al mio arrivo a destinazione. Posteggiai il motorino nel vialetto di fronte all’edificio;
 
ancora non riuscivo a chiamarlo casa, ero arrivato solo da qualche giorno.
Per fortuna avevo trovato qualcuno disponibile ad ospitarmi, altrimenti sarei stato
 costretto a trovare posto in un albergo da quattro soldi
o a prendere in affitto una stanza da qualche vecchia rimbambita. Spensi il motore, issai il veicolo sul
 cavalletto e recuperai lo zaino
dal bauletto. Mi liberai dalla sensazione opprimente del casco; ne avrei fatto volentieri a meno, ma da quanto mi era stato riferito

i controlli a Londra erano molto più severi rispetto a Holmes Chapel e c’erano poliziotti ovunque. Non avevo per niente voglia di ricevere una multa, avrei preferito impiegare i miei soldi in qualcosa di più produttivo invece di appesantire le tasche di irritanti tizi in uniforme. Scossi energicamente la testa da un lato all’altro passandomi contemporaneamente una mano tra i capelli, che erano rimasti schiacciati dal casco. Poi attraversai la strada, fino ad arrivare al piccolo giardino che circondava la villetta dai muri bianco sporco.
Era un po’ incolto, con le erbacce che crescevano indisturbate ai lati delle aiuole; ma c’era qualcosa di
 indefinibile che gli conferiva un’armonia di fondo. Le siepi erano di forma irregolare, ma non ci feci caso. La mia attenzione fu attratta dai rigogliosi cespugli di
rose selvatiche che stavano sul retro del giardino, a contornare un dondolo dalla tappezzeria lisa, a righe gialle e azzurre. Erano rosse come il sangue, dai petali grandi e spessi. Necessitavano sicuramente di una cura attenta e minuziosa: selvagge, piene di spine,
ma allo stesso tempo fragili e delicate…

Smisi di perdermi
 in pensieri inutili e suonai al campanello. Attesi qualche secondo, nessuna risposta. Suonai nuovamente, con maggiore insistenza, ma sembrava non esserci nessuno. Sfogai la mia irritazione crescente tempestando la porta di pugni; non poteva essersene andato, mi aveva detto che sarebbe rimasto a casa per tutto il pomeriggio. E infatti poco tempo dopo sentii una voce soffocata che si avvicinava progressivamente a me.
“Harry, che cazzo! Hai per caso intenzione di buttare
 giù la porta? Ero sotto la doccia, avresti anche potuto chiamare al cellulare!
Aspetta un momento”.
Sentii qualche rumore confuso, poi dei passi sul pavimento di
 legno; infine la porta si aprì.
“Ciao, Harry” mi salutò il ragazzo sulla soglia con un sorrisetto innocente.
“Ciao, Louis”.



 


NOTE
ciao a tutti :) so che è passato un secolo da quando ho aggiornato l'ultima volta,
ma la scuola mi ha davvero uccisa e non ho avuto tempo di scrivere :(
ma ora che è finita finalmente avrò la possibilità di scrivere più spesso!
allora, come vedete è evidente che Amy è interessata anche a Harry ;) e d'altra parte lui
è sconvolto dal suo rifiuto, è sempre stato abituato ad avere vita facile con le ragazze ahahah :)
sono stati introdotti anche due nuovi personaggi, Louis e Niall; in particolare adoro il flashback, è stato dolcissimo!
so che magari è ancora un po' presto da chiedere, ma siete Hamy o Zamy?
non mi veniva nessun nome migliore per le coppie lol se ne avete di migliori consigliatemi voi :D
alla prossima!

   
 
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