Alla fine sono cascata anche io in questa cosa del Natale.
Di conseguenza, prendete questa shot per quel che è: una storiella
natalizia senza pretese, un regalino sparuto, pubblicata proprio solo
perché a natale siamo tutti più buoni. Dicono.
Una precisazione: io ho sempre immaginato che lo
scherzo a Severus sia stato
al sesto anno. Voci –affidabili- mi dicono che JK l’abbia collocato
al quinto. Pazienza. Per me resta al sesto, almeno in questo caso.
E buon Natale a tutti.
suni
Di vischio, litigi e colazioni natalizie
“Se
vedo altro stramaledetto vischio ucciderò qualcuno!”
Remus Lupin si ritrae leggermente, quasi temesse di essere lui quel qualcuno che rischia la morte per mano del giovane erede della
più illustre famiglia magica inglese. Lo osserva di sottecchi, fa
scivolare gli occhi sulle mani guantate che
spezzettano rabbiosamente il rametto verde appena strappato dal soffitto, le
braccia lunghe, il collo bianco, le labbra stirate e gli occhi foschi.
“Ma
se dici sempre che il bello del Natale è che tutte le tue fans ne approfittano per baciarti,”
osserva con leggera ironia, rinserrando da qualche parte in fondo ai polmoni il
fastidio innato che il pensiero gli genera e sorridendo condiscendente.
Sirius arriccia il naso, continuando a camminare e strattonando la
sciarpa per cercare di sfilarsela. Fuori ha smesso di nevicare, la temperatura
è scesa molto sotto lo zero. Il naso di Sirius
è di un bel rosso acceso, come ogni volta che prende tanto freddo. Remus trova straordinario il modo in cui spicca sul viso
latteo dell’amico, come se qualcuno gliel’avesse colorato con la
magia.
“Io
dico sempre che è l’unica cosa non troppo
negativa di tutta questa manfrina del Natale, che come sai…”
ribatte piccato, sollevando il mento con alterigia.
Remus gli trotterella accanto svoltando verso la torre e sbuffa,
interrompendolo.
“…consideri
una delle peggiori seccature dell’anno e ti sembra un’ipocrita
perdita di tempo ed energie. Lo sappiamo tutti, Sirius.
Credo lo sappia tutta la scuola,” puntualizza
stringendosi nelle spalle con sufficienza.
“Esattamente,” replica Sirius secco.
“Quel Potter è un idiota. Non sopporto
il modo in cui inizia a fibrillare come un asmatico in crisi di nervi a partire
dal primo del mese. Ogni anno è la stessa fottuta
storia. Odio James a dicembre. Lo odio, è
più forte di me,” conclude con aria
depressa e impotente. Ha uno sguardo astioso e freddo che Remus
gli vede raramente e sembra davvero affranto di non poter controllare il
fastidio nei confronti dell’amico.
E’
vero che sotto le feste James e Sirius
si allontanano un pochino, per quanto possano allontanarsi loro due, vale a
dire mai comunque per più di tre ore al giorno.
Cento e ottanta minuti di distacco, è l’autonomia massima
raggiungibile dai due Marauders senza stare insieme.
Dopo cominciano a dare segni di patimento.
James trilla e cinguetta auguri tutto il
giorno, sfoderando un’euforia sempre crescente che culmina il mattino del
venticinque con l’apertura dei regali, e a partire dal diciotto dicembre
sfiora picchi di frenesia difficili da riscontrare anche nelle ragazze a San
Valentino. Sirius invece si fa più tetro man
mano che il mese avanza, s’incupisce, perde la
leggendaria e inarrestabile favella diventando taciturno e stizzoso. A vederli
insieme durante la settimana di Natale riesce difficile immaginare che siano
così amici.
“Non
passare sotto il vischio, allora, Sirius,” suggerisce Remus bonario,
saltellando su per le scale. Le dita dei suoi piedi sembrano dieci cubetti di
ghiaccio, ma iniziano già a pizzicare per il riscaldamento. Sono dovuti
uscire per andare alla capanna di Hagrid e tornare
verso il dormitorio, al caldo, è un sollievo impagabile.
“Come
se fosse facile, ce n’è dappertutto. Silente si è
completamente rincoglionito, e sì che già l’anno scorso
iniziava a dare segni di cedimento. E’ troppo vecchio, non sa più
cosa fa,” ribatte l’altro storcendo il
naso con una smorfia irritata.
“Sono
d’accordo, Silente è stato veramente stronzo
a non espellerti l’anno scorso. Ci sono rimasto malissimo,” replica Remus in tutta
tranquillità. La frase gli è scivolata fuori
dalle labbra con impertinenza, e anche con una certa esasperazione.
“Non
cominciare con quella storia, Moony,”
intima Sirius abbassando lo sguardo, oltraggiato.
“Cerchiamo almeno di non pensare a Snivellus,
è già abbastanza deprimente il Natale,”
conclude fermo.
Remus serra le labbra ma non risponde.
Mantiene lo sguardo fisso davanti a sé, vuoto e senza espressione. Sirius fa sempre così; lo fa perché si
vergogna, anche se non lo ammette; è troppo orgoglioso per farlo, ma i
suoi occhi sono sempre sfuggenti e quasi timorosi quando l’argomento viene sfiorato.
“Merlino!”
sbotta nel silenzio che Remus ha lasciato cadere
preso da quelle considerazioni, e fraintendendolo. Si ferma in mezzo al
corridoio, le mani strette a pugno e le labbra arricciate. “Non la
smetterai mai, vero? Dovrai continuare a rinfacciarmelo per i prossimi
vent’anni o più. Quante volte mi devo scusare?” continua aggressivo.
“Non
è affatto vero!” replica Remus
scandalizzato, parlando più in fretta di quanto vorrebbe. “Sei tu
che hai parlato di Silente e dell’anno scorso,”
osserva, fermo a sua volta un paio di metri più avanti. Getta
un’occhiata al ritratto della Signora Grassa, in fondo al corridoio.
“E
allora?” replica Sirius sarcastico, con asprezza.
“L’unica cosa che ha fatto Silente l’anno scorso è
stata non espellermi?” sorride risentito.
“No,” risponde Remus secco, e
parla con crescente ostilità. “E’ solo la prima cosa che mi
è venuta in mente quando hai parlato
di…”
“Silente.
E dell’anno scorso. E della Stamberga, e della licantropia, e di Snape, e dei Serpeverde,
dell’animagia, di scherzi, del Platano e di qualunque argomento esistente al mondo.
E’ la prima cosa che ti viene in mente al
mattino quando mi vedi alzarmi dal letto.”
La
voce di Sirius è definitiva, sicura. Sta
esponendo una sua constatazione, un dato di fatto oggettivo almeno secondo lui.
Remus apre la bocca per rispondere negativamente, ma
guardandolo negli occhi non ci riesce.
Gli
è difficile mentire davanti agli occhi argentati di Sirius.
Per la verità quegli occhi gli rendono difficile fare molte cose, a seconda della situazione: certe volte anche respirare
diventa un affare complicato quando Sirius gli punta
in faccia quei due laghi di metallo liquido.
Remus china lo sguardo.
“Non
è vero,” risponde piano. “Ma
è una cosa che è successa, come tante altre. Perché dovrei
rimuoverla dalla memoria?” ribatte stringendosi le mani tra loro, con
innegabile impaccio.
“Sai
una cosa, Remus? Quando dici a una persona che la perdoni dovresti farlo davvero. Se continui a rinfacciare
le cose è perché non l’hai fatto e allora evita di dirlo. Ok?” sibila Sirius
incollerito, prima di riprendere a camminare.
Remus sussulta, punto sul vivo, e aggrotta la fronte. Sarà
coda di paglia, ma quelle parole lo offendono. Come se
fosse semplice, buttare giù quello che gli ha fatto l’amico
mesi fa.
“Ma
cosa pretendi, che ti ringrazi?” esclama aspro, incrociando le braccia
ingarbugliate nel mantello pesante. Sirius si volta
indietro con una smorfia amara.
“No,
solo che la pianti di ripetermi eternamente che sono stato uno stronzo. Se ci vuoi passare sopra fallo, se non ci vuoi
passare sopra smetti semplicemente di parlarmi e fa’ finta di non
conoscermi. Fatti insegnare da Regulus o un altro di
quelli,” ribatte piatto, fissandolo con una
sfumatura di rancore. Remus ridacchia allibito.
“Ti
è indifferente?” chiede, assottigliando gli occhi con leggera ira.
“Che io ti parli o meno, intendo, è lo
stesso?” precisa freddo.
Sirius sbuffa sprezzante.
“Questa
è una cazzata, e lo sai. Ti ho chiesto scusa
un milione di volte, e sono stufo di farlo, tutto qui,”
conclude lapidario arrivando ad un passo dal ritratto.
“E
allora non farlo più. Tanto mi ci pulisco il culo
con le tue scuse,” risponde Remus
sempre più innervosito. Di sentirsi rivolgere delle accuse a proposito
di quella faccenda che lo ha visto come vittima gli sembra fuori
da ogni logica e gli fa salire la collera lungo tutte le terminazioni
nervose. “Potevo ucciderlo, a cosa mi sarebbero servite
le tue scuse da ipocrita? Merlino, sei veramente un cretino,”
sbotta con cattiveria.
Sirius serra le labbra, lo guarda in silenzio per qualche secondo.
La
Signora Grassa sta seguendo lo scambio di battute tra i due ragazzi con
crescente interesse. Sposta lo sguardo dall’uno all’altro con
aspettativa, immobile nella cornice. Ma qualcuno sta uscendo dalla Sala Comune
e la porta si spalanca, facendola scivolare di lato. Sirius
fa un cenno del capo al ragazzino che lo saluta con ammirazione, lui, il lato
più tenebroso del favoloso duo di leadership della Casa. Senza spostare
uno sguardo risentito da Remus, oltrepassa il
ritratto e marcia all’interno. Il licantropo lo segue con passo spedito,
lo sorpassa su per le scale ed entra per primo in Dormitorio.
“Allora
eviterò di parlarti,” sibila spiccio,
scaraventando il mantello sul letto e sfilandosi i guanti con violenza.
“Benissimo,” è la piatta risposta di Sirius.
Chissà
come ci sono arrivati, in quel freddo giorno dicembrino qualunque, al ritorno
da un passeggiata fuori dal Castello, a litigare per
quella storia vecchia mesi. Si siedono ciascuno sul proprio materasso, Remus afferra un libro di scuola per iniziare a ripassare, Sirius estrae da sotto il letto la cioccolata e appella un
fumetto dal baule aperto di James, con un gesto brusco
della mano che impugna la bacchetta. Rimangono in silenzio tutti e due, cupi e
impettiti.
E’
così che li trovano James e Peter, venti minuti dopo. Sul momento non ci fanno molto
caso, anche perché sotto Natale Sirius
trascura un po’ James in favore di Remus, che è molto più pacato e meno
entusiasta, e il giovane Caposcuola lo sa benissimo; Remus
è uno con cui ogni tanto bisogna saper stare in silenzio, per questo non
fanno caso alla loro freddezza, scambiandola per semplice calma.
“Che
dice Rubeus?” chiede Peter
con un sorriso, saltando sul letto del giovane Potter.
“Che
domani ci aspetta per merenda come concordato. Ha detto di avere dei regali per
noi,” risponde Remus,
alzando finalmente lo sguardo dal libro.
“Oh,
ma allora sarai furioso, signor odio-il-Natale-e-tutti-quegli-stupidi-pacchetti-colorati,” scherza James, sogghignando
all’indirizzo di Sirius e accasciandosi accanto
a Peter con un sospiro rilassato.
“Sì,” è la ringhiante, monosillabica risposta
proveniente dal baldacchino dell’altro.
James solleva le sopracciglia con stupore, perplesso. Tanto cattivo
umore è persino eccessivo.
“Tutto
a posto, Pad?” domanda prudentemente, con un
sorriso di puro affetto, splendente e accorato come sono solo i suoi sorrisi
per Sirius.
“Chiedilo
a Moony,” ribatte lui infuriato. “Ha la luna storta,” puntualizza maligno.
“Impiccati,” sbotta l’interpellato con stizza,
lanciandogli un’occhiata omicida.
James pare sempre più confuso e li osserva a turno,
interdetto. Peter sembra inquieto, lo guarda come in
cerca di rassicurazione.
“Ragazzi,
a Natale tutti sono più buoni, non si può litigare,” osserva James
accomodante, sorridendo di nuovo per sdrammatizzare.
“Ma
vaffanculo,” stride Sirius
tra i denti, alzandosi bruscamente. Sbatte il fumetto sul cuscino, intasca la
cioccolata e si catapulta fuori dalla stanza col passo
pesante dei suoi momenti di rabbia.
Lo
sentono scendere le scale, prima che il suono dei suoi passi svanisca lontano.
“Ma
quindi è per questo che hanno litigato? Di nuovo?”
La
voce acuta di Peter esprime sorpresa
e sincero dispiacere. Gli occhietti acquosi sono ancora fissi su James come se da lui potesse venire la soluzione ad ogni
problema.
“Così
dice Remus,” conferma James, il mento appoggiato nel cuscino. Ha un’aria
stranamente depressa per questo periodo dell’anno, lui che di solito in
questa occasione sprizza allegria, risate e continue canzoni a tema.
“Ma
è acqua passata,” protesta Peter contrito. “Non possono litigare! E’
l’ultimo anno e
la prima volta che passiamo le vacanze di Natale tutti e quattro
insieme, non possiamo rovinare questo momento! E poi oggi è la vigilia,” squittisce addolorato, dando voce al malessere di
entrambi.
James infatti si limita a stringersi nelle spalle con espressione sconsolata,
sprofondando ancor più nel cuscino.
“Forse
non è così passata come credevamo,”
mormora saggiamente.
Rimangono
in silenzio, assorti dal dispiacere condiviso. Peter ha smesso di guardare James,
osserva il pavimento mordicchiandosi le labbra.
“E
la nottata alla Stamberga? Come facciamo adesso? E’ già tutto
pronto, e poi non voglio che sia rovinata. Prongs,
non possiamo fare qualcosa?” pigola con tristezza.
L’altro
sospira, rotolandosi sul letto fino a rimanere a pancia in su.
Fissa il soffitto con impotenza.
“Non
credo dipenda da noi, Pet,”
replica con passività. “Questa cosa va risolta una volta per
tutte. Forse non sarebbe questo il momento migliore, ma ormai la frittata
è fatta. Magari è meglio così, almeno si chiariranno
definitivamente,” osserva funereo.
“Ci
metteranno un mese,” commenta Peter risentito.
James annuisce piano, sbuffando.
La
porta si apre sulla figura longilinea di Sirius,
accompagnato da immancabili dolciumi al cacao. Li scruta indeciso prima di
avanzare, e lo fa con noncuranza, come se niente fosse. Si accoccola sul letto
e riprende a mangiare, compito.
L’esitazione
di James dura un battito di ciglia. Con uno scatto,
si solleva appoggiandosi sui gomiti e lo guarda serio.
“Pad, non voglio essere invadente, ma quale sarebbe la tua
prossima mossa? Tanto per sapere cosa aspettarmi per Natale, eh,” domanda nervosamente.
Sirius solleva lo sguardo su di lui, distaccato.
“Riguardo
a cosa?” chiede freddamente.
L’altro
sospira, precipitando di nuovo sul cuscino.
“Remus,” brontola paziente.
“Non
so proprio di quale mossa tu stia parlando. Per me
può anche far finta che io non esista per il resto dell’anno,” esclama Sirius
freddamente, con sguardo cupo e ostinato. Promette male e James
lo sa, traspare dai suoi occhi rassegnati fissi sopra la sua testa.
“Ma
Pad!” squittisce Peter
timidamente. “Sono sicuro che è un malinteso. Tu e Remus…” inizia ottimista.
“Quando
vorrò consigli da te, te li chiederò, Wormtail,” lo zittisce bruscamente l’amico.
Le
parole muoiono in gola a Peter all’istante,
raggelate dalla decisione minacciosa di cui è carica la voce di Sirius. Il biondo deglutisce a fatica, chinando la testa.
“Cercavo
di rendermi utile…” osserva in un mormorio quasi spaventato.
“Grazie,
ma non occorre,” ribatte Sirius
rigido.
“Scusa,
sai, ma secondo me ti sbagli,” interviene James, a cui il malumore dell’amico non fa la minima
impressione. “In fondo è vero che sei tu quello che si è
comportato da stronzo,”
commenta con voce prudente.
“Gli
ho detto centinaia di volte che mi dispiace,”
replica Sirius scrutandolo malevolo, sulla difensiva.
“E
come lo hai dimostrato?” insiste James con
candida impertinenza.
Sirius lo guarda stranito, ma non risponde. Non saprebbe cosa dire.
Rimangono
in silenzio tutti e tre.
Fuori
nevica di nuovo.
La
cena è stata deprimente, nell’angolo dei Grifondoro del settimo anno rimasti al castello,
cioè loro quattro. Persino Silente sembra aver fiutato la tensione
innaturale dell’altrimenti chiassoso e affiatatissimo
quartetto. Hanno parlato poco, svogliatamente, mangiando molto per compensare il
silenzio. Poi Sirius è sparito di corsa, come
se avesse una squadra di Mollicci alle calcagna, e Peter
è stato coinvolto in una partita a scacchi magici con un Corvonero del sesto anno.
“Remus, puoi chiarire una mia perplessità teorica
fondamentale?” domanda James serio, mentre
marciano verso la loro Sala Comune.
L’altro
lo guarda con attenzione, annuendo appena.
“Che
cosa? Trasfigurazioni?” domanda disponibile.
“Non
precisamente. Non l’ho mai chiesto, ma…come si era risolta tra te e
Sirius la questione dello scherzo,
all’epoca?” domanda il Caposcuola dopo una comprensibile
incertezza, guardandosi le mani con improvviso interesse.
L’altro
sussulta, deglutisce ripetutamente e sposta lo sguardo sulle armature lungo il
corridoio. La domanda lo coglie impreparato e lo sprofonda nel disagio, ma James è fatto
così. Trasparente fino all’eccesso.
“Affogata
nelle lacrime,” replica sbrigativo, accelerando
il passo.
James gli tiene dietro, sorpreso.
“Tue?”
domanda per precisione.
“Di
entrambi,” risponde Remus
con sufficienza.
Il
ricordo lo turba. Quella lunghissima conversazione scandita dai singhiozzi gli
è rimasta sulla pelle da allora. Non si è mai messo a nudo
così tanto davanti a qualcuno come quel giorno con Sirius,
vomitandogli addosso recriminazioni e delusione; Sirius non ha mai abbassato tanto la corazza, mostrando la
propria umana debolezza, come quel giorno, né prima, né dopo. Al
ricordo si sente ancora tremare le mani per l’intensità di quei
momenti strani e decisivi.
“Perché
oggi avete litigato, Moony?” continua James gentilmente.
Remus sbuffa; preferirebbe parlar d’altro. Del Natale, o di
come riuscire lo stesso a divertirsi durante la nottata. Ma mentre oltrepassano
il Ritratto si rende conto che in fondo le domande di James
sono legittime.
“Non
te lo saprei dire, Prongs. E’ successo e basta,” ammette sinceramente.
James annuisce, accucciandosi sul tappetino accanto al camino acceso.
“Remus, ti posso dire una cosa?” chiede, storcendo
pensosamente il naso.
Lui
affonda in poltrona, annuendo con una certa ritrosia.
“Dimmi,
Jamie,” acconsente
rassegnato. Anche se si opponesse, dubita che James terrebbe per sé quel che ha deciso di
rendergli noto. Solitamente quando decide di fare una cosa la fa e basta, come Sirius.
“Ti
capisco. Davvero, anche per me questa cosa è rimasta nell’aria, in
qualche modo,” afferma James
lentamente, quasi misurando le parole. “Ma se Sirius
per te è ancora un amico, penso si debba andare oltre. E io credo, Remus,” continua, bloccando
un timido tentativo di replica da parte dell’amico, “che prima o
poi si debba prendere atto del fatto che a volte anche le persone che amiamo di
più commettono brutti errori,” aggiunge, stringendosi nelle
spalle.
Remus china lo sguardo, annuisce piano.
“Lo
so. Cioè, mi sta bene. Non avevo intenzione di risollevare il problema,
solo che ogni tanto mi succede di parlarne, non lo faccio apposta,” ammette irritato, più che altro con se
stesso, e naturalmente con Sirius.
“Perchè
t’è rimasta sullo stomaco. Ma sai, si perdonano le persone che si
amano. Insomma, quando ne vale la pena,” osserva
James pacato, storcendo il naso sulla precisazione
finale.
Il verbo amare ferisce Remus
mentre l’altro lo pronuncia. Gli blocca lo stomaco indipendentemente
dalla sua volontà. Non sa perché, dopotutto è vero che li
ama, quei pazzi dei suoi amici. Sono loro, sono i Marauders,
i suoi compagni di vita.
“Beh,” obietta, aggrottando la fronte. “Anche tu ami tanto Pad
ma quella volta che…” inizia sarcastico, spostando i capelli dal
viso.
“Remus,” lo interrompe il
giovane Potter. Si passa una mano sul viso, esitando,
quindi scompiglia i capelli con incertezza. “Sì, anche io amo Sirius, come se fosse un’altra parte di me. Ma non credo…che stiamo parlando dello stesso tipo
di amore,” mormora a disagio, fissando la fiamma nel camino.
A
Remus si spezza il fiato in petto e sgrana gli occhi allucinato.
Fissa
James per qualche secondo, senza trovare una sola
parola da dire, il cuore martellante nel petto. Prende fiato, ma
l’ossigeno sembra non arrivare nei suoi alveoli. Vorrebbe aver capito
male, ma sa che non è così. E’ spiazzato, perché non
si aspettava che James avesse capito quel che lui
stesso fatica ad ammettere anche con se stesso.
“Non
per niente sei il mio migliore amico…” mormora con un sorriso
sconfitto.
James lo ricambia, solare.
“Già,” sussurra imbarazzato.
“Perfetto.
Allungalo un po’ di là,” esclama James, indicando l’angolo arrotolato dello spesso,
morbido tappeto che fa loro da divano nel covo alla Stamberga.
Peter trotterella in quella direzione e allunga
l’estremità del tessuto, aggiustandola per bene in terra.
Contemplano soddisfatti il risultato e James fa
saltare il tappo di una bottiglia di burrobirra a
sancire la buona riuscita dell’impresa. La loro tana è pronta
definitivamente, secondo i canoni ormai fissi da un paio d’anni. Sirius, nell’angolo del tavolino, sta mescolando la
pentola con la sangria che ha preparato nel pomeriggio, e la assaggia per
verificare che sia buona. Schiocca le labbra, soddisfatto, prima di versarsene
un altro campione. Poi si allontana col bicchierino in mano e scompare al piano
di sotto.
“Ma
dov’è Moony?” sbotta Peter irritato, perché il quarto Marauder
non è ancora arrivato: è decisamente in ritardo.
“Avrà
avuto un contrattempo,” risponde Sirius secco. Ma nasconde un sorriso nel bicchiere, bevendo
un altro sorso. Pensa di sapere dov’è Remus.
Ed infatti ha ragione. L’ex Prefetto è in dormitorio,
seduto sul suo letto. Ha un foglio in mano, una lettera che ha trovato sul
cuscino. La sta leggendo con attenzione, la fronte corrugata e gli occhi che
scorrono rapiti lungo le righe stilate con la bella calligrafia aristocratica
del giovane Black.
Moony,
e’ difficile scrivere
queste parole. Non so nemmeno cosa dire.
Sinceramente sono stanco di questa cosa. Sono
stufo di sentirmi colpevole, perché
è così, riesci
sempre a farmi sentire sporco. Vorrei davvero non aver fatto quella
stupidaggine e non aver mandato Snivellus alla Stamberga, e lo sai.
Ma l’ho fatto. Mi dispiace, anche se come
hai detto oggi le mie scuse non ti servono
a niente. E allora mi
chiedo cosa possa servire a qualcosa, perché non posso riportare
indietro il tempo. Prima Jamie mi ha fatto notare che non ho mai fatto nulla di concreto
per dimostrarti quanto mi
sia sentito male per averti ferito in quel modo. E’ che non
saprei cosa fare, davvero,
perché ormai il danno è fatto. Quel che ti posso dire,
però,
è che se potessi
riportare indietro il tempo lo farei, e di corsa. Farei qualunque cosa,
se ci fosse, per
rimediare a quell’errore.
Davvero, Remus.
Qualunque cosa.
Lo so che non sono mai serio e che sono uno sbruffone
arrogante, ma in questo momento
sono serissimo invece.
Scusami se non lo dimostro, ma tu sei un elemento basilare della
mia vita. E se pensi il
contrario sei un cretino, Moony, onestamente.
O forse il cretino sono io che vado in giro
come se mi bastassi da solo, quando è più
che evidente
l’esatto contrario. Quello che sto cercando di dire, Remus,
con le difficoltà
comunicative per cui mi sfotti
sempre, è che tengo a noi
due in un modo che non è
spiegabile. E che se pensi ci sia qualcosa che
posso fare per rimediare, me lo devi dire.
Perché qualunque cosa sia, io la faccio.
Vorrei tornassimo quelli di prima. Vorrei che
ti fidassi di me, perché non ripeterò
l’errore. Ho capito che
non c’è nessuna cosa al mondo per cui
varrebbe la pena di
rischiare me e te.
E non parlo di me e te a caso, Moony, anche se è imbarazzante persino scriverlo. A
pensare alla tua faccia mentre
leggi mi viene da sotterrarmi in mezzo alle zucche di
Hagrid, in una fossa profonda
almeno otto o nove metri. Ma per me io e te siamo
qualcosa che non capisco ma che
non voglio sciupare. Probabilmente è una mia turba
mentale ma mi piace pensarci
come due persone che hanno in comune molto più di quanto
sembra, e che condividono
qualcosa di particolare. Non so cosa sia, ma ritengo, o
meglio, spero che per te sia
lo stesso.
Non credo di sbagliarmi, Remus,
scusa la supponenza. E’ una cosa che non ho mai osato
neanche pensare apertamente,
ma mi piace che sia così, che questa cosa esista. Mi piace
il modo in cui i tuoi
occhi seguono i miei movimenti quando siamo insieme. Adesso sei
arrossito. Pensavi che non me ne fossi accorto, ma sai, sono abituato ad essere guardato.
Adesso stai pensando che sono il solito
presuntuoso. E’ vero. Ma comunque il modo in
cui mi guardi tu mi piace infinitamente
di più di quello di chiunque altro.
Smetto il delirio, adesso. Ti aspettiamo alla
Stamberga come stabilito. Spero non vorrai
farci il torto di mancare e
spero non vorrai rendermi triplamente sgradita questa
festa
privandomi del piacere di sentire
la tua voce rivolgersi a me.
Buon Natale, Remus.
Sirius
Quando
finisce di leggere la lettera, Remus Lupin rimane seduto per qualche istante sul letto, senza
muoversi. Fissa il foglio con occhi distratti, senza quasi respirare. Non riesce
davvero a credere a cosa ha letto; probabilmente sta fraintendendo
completamente le parole innocenti di un amico, grazie alla troppo fervida
fantasia. La sua sciocca fissazione per Sirius lo porta a travisare la realtà in un modo infantile e
sognante che trova francamente imbarazzante.
I
suoi occhi incontrano di nuovo la frase il
modo in cui mi guardi tu mi piace infinitamente di più di quello di
chiunque altro.
Beh,
decisamente è fraintendibile. Ha poco di puramente amichevole, fantasia
o meno. Sbatte le palpebre, più volte, cercando di restare con i piedi
per terra. Ma non riesce a evitarsi di rileggere ancora e ancora quella frase e
sentirsi leggero, con uno strano sfarfallio nello stomaco, che è una
sensazione fisica nemmeno poi particolarmente piacevole. Ma tant’è,
a lui fa spuntare un sorriso involontario sulle labbra.
Poi
gli cade l’occhio sull’ora. E’ tardi, sono le dieci passate; Remus si caccia la lettera di Sirius
in una tasca e marcia spedito fuori, fino alla Strega
Gobba, e poi giù nel passaggio per
E
poi è lì. Peter è nervoso per il
ritardo e James e Sirius
sono già un po’ alticci a forza di assaggiare le bevande
nell’attesa. Quando entra nella stanza incontra lo sguardo argenteo di Sirius; i suoi occhi rimangono agganciati a quelli
dell’altro per qualche secondo e la gola gli si secca.
“Alla
buon’ora, Moony.
Quelle tue gambette rachitiche sono terribilmente
lente,” osserva James
ridacchiando e riportandolo alla realtà.
“Scusate,” risponde lui sorridendo. “Ho perso la
cognizione del tempo,” si giustifica vago.
“A
volte capita,” commenta Sirius
fatalista, stringendosi nelle spalle.
E
la serata inizia, con una burrobirra e uno scoppio di
trillofuochi natalizi freschi di Zonko.
Bevono, ridono e scherzano, mentre fuori nevica piano. Peter e James non commentano la
ritrovata armonia tra lui e Sirius, semplicemente
tutti e quattro sono troppo presi dal divertirsi per pensare a questo. Non
riescono a trattenersi dall’aprire subito i regali senza aspettare il
mattino. In questo Sirius non è poi
così antinatalizio come vorrebbe far credere, è il primo ad
avventarsi sui pacchetti stracciando via la carta del regalo di James. Osserva ad occhi spalancati la bella targa cromata
dentro la carta.
Sirius Black
Questa è casa mia e qui comando io
E’
una targhetta da porta. Sirius mormora che si ricorda
un monologo delirante partorito a casa di James
durante l’estate relativo alla sua futura casa di rinnegato con
tanto di targhetta dittatoriale all’uscio, ma era talmente noioso e vittimista in quei giorni che pensava l’amico non lo
ascoltasse nemmeno.
E’
commosso, si direbbe. Abbraccia James senza dire
niente. Quando è il turno di Remus di essere
ringraziato, assapora socchiudendo gli occhi la stretta del braccio di Sirius intorno alle spalle, morbida. I capelli corvini
dell’altro gli solleticano il mento e profumano di frutta e di
qualcos’altro che non riesce ad identificare. Oh, sì: vino.
E’ la sangria.
Ridono,
si strattonano e ringraziano strillando commenti euforici sui regali,
continuando a brindare. E’ Natale.
La
testa è pesantissima, troppo. Remus sbatte le
palpebre una, due volte, infastidito dalla luce che
penetra dalle imposte. Ha dormito in terra, sul tappeto. Inspira a fatica,
schiarendosi la gola. Ha bevuto troppo e preso sonno dopo l’alba, quando
tutti quanti sono entrati in estasi mistica per la stanchezza e sono
impietosamente crollati. Lui è stato il secondo, dopo Peter, ricorda le voci sussurranti di James
e Sirius che continuavano a parlottare.
“Moony? Hey, Moony,” lo riscuote il bisbigliare sommesso di James, mentre la sua mano lo scrolla gentile. Il ragazzo
è chino su di lui, sorridente, Remus lo vede
ad occhi socchiusi. “Io e Peter andiamo a fare
presenza a scuola e a cercare la colazione. Stanotte abbiamo mangiato
troppo.”
Remus annuisce, intravede l’altro amico, i capelli biondi
sconvolti, barcollare nel tentativo di mettersi le scarpe. James
gli sorride ancora.
“Ma
non ti fa male, il braccio?” chiede divertito.
“Perché?”
biascica Remus inspirando rumorosamente, stravolto.
Fa per muovere l’arto incriminato ma lo scopre
bloccato. Volta il capo, per scoprire che il suo gomito è stato adottato
da Sirius come cuscino, e lo sfarfallio ormai
consueto lo schiaffeggia quasi, tanto è brusco. “Ah…no,” borbotta senza guardare James.
Quello
soffoca una risata e si alza, con un cenno di saluto. Remus
lo vede sparire dal proprio campo visivo e poi sente il rumore dei passi degli
amici che si allontanano, finché la Stamberga non torna silenziosa.
Adesso
Remus vorrebbe girarsi sull’altro fianco,
perché ha la schiena indolenzita per la posizione scomoda tenuta e il
“materasso” non molto soffice. Ma se si gira dovrà spostare
il braccio da sotto il capo di Sirius e non ha voglia
di farlo. Il peso della testa del ragazzo è piacevole. Rimane per un
po’ così, lo osserva in silenzio storcendo la testa per guardare
meglio.
Sirius dorme della grossa, la bocca semiaperta, e respira rumorosamente.
Ha le labbra viola per la sangria, screpolate. D’inverno le labbra di Sirius sembrano l’opera di un
sadico, piene di tagli e spaccature per l’effetto del freddo. Remus smette di guardarle con un certo sforzo, per passare
alle ciglia lunghe richiuse sugli occhi, mezze coperte dalle ciocche nere di
capelli scompigliati. Bello lo è indubbiamente, lo dicono tutti; ma
nessuno ne è più certo di lui.
Non
sa quanto a lungo rimane ad osservarlo, poi si riappisola senza rendersene conto, sprofondando in un
torpore che sfocia in un sonno leggero. Quando si riprende, è
perché la schiena gli sta facendo male e, a malincuore, si rassegna a
girarsi. Muove lentamente il braccio, sforzandosi fino a tremare per spostarsi
con infinita lentezza di modo da non svegliare l’amico; ma Sirius emette un gemito rauco che a lui rimbomba fin
nell’intestino e corruga il viso in una smorfia assonnata.
“Cia’,” gracchia
rotolando faticosamente prono e spostandosi dal suo braccio.
Remus lo ritrae con dispiacere ed accenna un sorriso, anche se Sirius ha richiuso gli occhi.
“Sono
andati a prendere la colazione,” annuncia con
voce stentorea, allungandosi supino. E’ davvero un day after, gli sembra
che non potrebbe nemmeno alzarsi in piedi.
Sirius apre un occhio, raddrizzando la testa con difficoltà, e
lo guarda.
“Jamie e Pet?” chiede, prima
di tossicchiare per schiarirsi la gola.
Remus annuisce semplicemente, mentre l’altro sbadiglia
grassamente.
“Ok,” mormora Sirius stiracchiandosi voluttuosamente, con una smorfia
dovuta probabilmente alle tristi condizioni delle sue ossa maltrattate dalla
nottata. Poi si soffia via i capelli dal viso e quindi striscia fino ad
appoggiare la testa sul lato della sua pancia, all’altezza del suo
stomaco, e gli dà la nuca. “Buon Natale, Moony,” borbotta dolcemente,
rannicchiandosi in posizione fetale.
Remus non può rispondere, per un momento. Gli manca
completamente il fiato ed è come colto da un Petrificus
potentissimo che lo lascia immobile. Deglutisce a vuoto più volte.
“Tutto
bene, Moony?”
Impossibile
non notare la sfumatura canzonatoria della voce di Sirius
nel pronunciare quelle tre parole. La cosa lo agita ulteriormente, apre la
bocca per parlare ma non ci riesce. Aggrotta la
fronte, intimandosi di mantenere un certo autocontrollo. E’ Remus Lupin, lui.
“Sì,” risponde fermo. “Cioè…sì,
solo volevo…ecco, hai ragione.” Biascica confuso.
Sirius solleva la testa, la volta verso di lui e la riappoggia, delicatamente
“Su
cosa?” chiede pacifico. E’ tutto pesto, pallido e sbattuto, ma bellissimo.
“Non…non
si può cambiare quel che è successo,”
si spiega Remus più logicamente, con un breve
sospiro. “Il fatto che tu mi abbia deluso molto è un dato di
fatto. Credo di aver passato mesi ad aspettarmi che tu riparassi
in qualche modo, ma hai ragione, non puoi. Ormai è fatta,” continua annuendo.
Sirius lo guarda con occhio improvvisamente sveglio e attento. Sembra
non capire se la conversazione stia prendendo una buona o una cattiva piega e
attende cauto che l’altro si spieghi.
“Quindi?”
mormora, sollevando le sopracciglia.
“Quindi
niente,” conclude Remus
appoggiando indietro la testa e fissando il soffitto. “Sono
d’accordo con te, questa cosa non deve rimanere in mezzo a…noi.”
A
Remus pronunciare quelle parole è costato
parecchia audacia. Ma, in quanto Grifondoro, ne ha in
abbondanza. Tuttavia non rialza la testa per guardare Sirius,
ma continua ad osservare il soffitto quasi meditabondo.
“Quindi?”
insiste l’altro. Remus sente la sua mano
depositarsi sul proprio sterno, come casualmente. Le dita sottili di Sirius gli sfiorano il petto e sembrano penetrare
attraverso il tessuto, leggerissime; trattiene il fiato per un attimo e
sorride.
“Quindi
io mi fido di te, Sirius. So che non lo rifaresti. In
compenso tu sopporta qualche frecciatina ogni tanto.
Mi scappano, ma non ce l’ho con te,
davvero,” conclude Remus con mitezza, un
sorriso quasi di scuse.
Sirius tace per qualche secondo, e Remus non
si riesce a trattenere, solleva la testa per guardarlo: si sta mordicchiando
pensosamente un labbro e ha lo sguardo un po’ distante, ma nello
scoprirsi osservato gli sorride.
“Ok,” mormora annuendo.
Poi
solleva la testa dalla sua pancia, con un movimento un po’ rigido che
tradisce il suo nervosismo, e si allunga quel tanto che basta a raggiungere il
suo viso. Remus si trova inaspettatamente con le
labbra di Sirius contro le proprie e per qualche
secondo non se ne capacita. Poi si scopre già col collo proteso verso di
lui, la mano sulla spalla dell’animagus. Le sue
labbra sono secche, come Remus aveva osservato, ma
morbidissime. O almeno lo sembrano a lui. Quando le socchiude per far scivolare
la lingua attraverso, Remus lo asseconda e inizia a
giocare con essa, chiudendo gli occhi mentre il bacio
si fa più profondo ma sempre lento e assorto, sperimentale.
Quando
Sirius lo interrompe Remus
si lecca le labbra istintivamente, inspirando profondamente. Ha un brivido
lungo la schiena. Sirius lo sta guardando con
titubanza, poi accenna un sorriso, tra l’imbarazzato e lo spavaldo.
“Se
uno di noi due ha dei problemi a proseguire questa cosa, questo è il
momento di dirlo,” mormora con voce strascicata.
Si tiene su puntando i gomiti a terra, semisdraiato
al suo fianco. Remus annuisce ma
non risponde. Sirius lo prende come un invito,
perché sorride e si riavvicina.
Il
secondo bacio è decisamente meno innocente, è una guerra
impetuosa di lingue roventi, di morsi alle labbra e mani che scivolano lungo
spalle, toraci, colli. Remus sente il capezzolo
turgido dell’altro ragazzo sotto la camicia , ne
percorre il contorno strappando a Sirius un
lievissimo gemito che gli provoca un istantaneo calore in tutto il basso
ventre; ma non è l’unico, perché avverte l’erezione
di Sirius premere contro la propria coscia mentre lo
spinge per ribaltarlo a pancia in su. Odia la stramaledetta camicia di Sirius, la odia a morte e comincia a sbottonarla con una
certa urgenza, mentre continuano a baciarsi. Le mani di Sirius
si allacciano intorno ai suoi fianchi e lo attirano contro sì sé,
e quando i loro corpi si sfiorano è come se prendessero la scossa, il
respiro di Sirius si spezza esattamente come il suo.
Sentono
il rumore al piano di sotto nello stesso momento e si disincastrano di scatto
dall’acrobatico intreccio di membra in cui si stavano cimentando,
scambiandosi uno sguardo allarmato, perché le loro facce e i loro corpi
–certi pezzi in particolare- sono abbastanza indicativi, Sirius ha anche la camicia tolta fino ai gomiti.
Ma
i rumori rimangono di sotto, inspiegabilmente. Mentre si risistemano senza
smettere di guardarsi, con un sorriso sbilenco, sentono le voci attutite di James e Peter, i loro movimenti,
alcuni rumori. Sirius si sistema la camicia con
negligenza, passa un mano tra i capelli, si lecca le
labbra e prende alcuni lunghi respiri. Remus rimane
solo fermo ad aspettare che il proprio corpo recuperi funzioni normali e al di
sopra dei sospetti, sperando che qualunque cosa stiano facendo, di sotto, li
tenga occupati per un paio d’altri minuti almeno.
“Cazzo,” mormora Sirius
nervosamente. “Credevo fossero appena andati via, quando mi sono
svegliato,” osserva tra l’infastidito e il
colpevole.
Remus scuote la testa: lui sapeva che non potevano tardare molto, ma
se n’era completamente dimenticato. Continua guardare l’altro con
un mezzo sorriso, finché Sirius non gli scocca
un’occhiata storta.
“Se
non smetti di fissarmi, James e Peter
avranno un terribile shock entro i prossimi minuti, Moony,” lo avvisa compunto.
Remus ridacchia.
“Che
diavolo stanno facendo?” bofonchia, ma senza l’intenzione di
cambiare discorso. Ed è strano, eppure non si sente in imbarazzo. Non si
sta nemmeno facendo grosse domande, al momento, perché gli sembra tutto
semplice e ovvio. E’ qualcosa che doveva succedere.
“Non
lo so, ma potevano farlo altrove,” replica Sirius con una smorfia; poi accenna un sorriso. “Aspetta
eh,” propone raddrizzandosi sulle ginocchia.
Scatta in piedi con un gesto fluido e si appende alla porta, spalancandola.
“Che
fate?” esclama a voce alta.
“Buon
Natale!” è il saluto caloroso di James,
dal basso. “Volevamo preparare tutto per la colazione e poi portarla su,
per non svegliarvi fino all’ultimo. E’ pronta, comunque,” annuncia trionfale.
“E
gigantesca!” squittisce gioiosamente Peter.
Sirius torna a voltarsi verso l’interno e sorride.
“Almeno
mangiamo,” commenta Remus
serafico, anche se al momento ha tutt’altra
fame.
Sirius annuisce, stringendosi nelle spalle, poi torna verso di lui. Remus sogghigna mentre si siede,
poi afferra la camicia e lo attira contro di sé. Sirius
sorride a due centimetri da lui, poi lo bacia di nuovo, facendogli scorrere la
mano tra i capelli.
“Buon
Natale, Pad,” mormora
il licantropo in un soffio contro la bocca dell’altro.
“Sì,
non è così male come festa, alla fine,”
commenta l’animagus con una sorriso sornione.
“Eccoci!” esclama James
dalle scale. Lui e Peter entrano subito dopo,
trovando gli amici diligentemente seduti sul tappeto. Tra loro levita
meravigliosamente la più sfarzosa colazione che si possa
immaginare, un tripudio di dolci, bevande calde, fredde, stuzzichini,
pancetta, uova, cioccolata, insomma tutto. Sirius
batte le mani con una risata travolgente, mentre il banchetto si prepara a
prendere il via.
Mangiano
chiassosamente, ogni tanto si lanciano pezzi di pane e spruzzi di succo di
succo sghignazzando come bambini. Ma quando gli occhi di Sirius
incrociano quelli di Remus, nel loro sguardo passa tutt’altra luce.
La
gamba di Remus, allungata, passa
sotto quelle raccolte dell’animagus
senza sfiorarle. Ma la mano di Sirius si poggia a
terra proprio dietro al suo polpaccio e le dita lo sfiorano in lente carezze,
invisibili agli altri due ragazzi.
Hanno
aperto un po’ la persiana, che dà sull’esterno del paese,
dove non c’è nessuno. Il tempo è cambiato, c’è
un sole splendente e luminoso che benedice la campagna candida e immacolata,
coperta dalla neve. Il cielo è azzurro e gelido, la temperatura dev’essere molto bassa, ma è Natale. Remus sorride, mentre la mano di Sirius
rimane lì, tracciando invisibili disegni con i polpastrelli sulla sua
gamba.
“Auguri
a tutti,” esclama il ragazzo senza smettere di
accarezzarlo, sollevando la sua tazza di tè in un brindisi.
“Ma
se detesti il Natale,” protesta James sorpreso, ridacchiando.
“Niente
affatto,” risponde Sirius,
con un’occhiata piuttosto accesa in direzione di Remus.
“Tutto sommato, mi piace il Natale,”
conclude convinto.
Remus abbassa lo sguardo, sorridendo dietro una brioche.
Piace
anche a lui.