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Autore: suni    25/12/2007    20 recensioni
James solleva le sopracciglia con stupore, perplesso. Tanto cattivo umore è persino eccessivo.
“Tutto a posto, Pad?” domanda prudentemente, con un sorriso di puro affetto, splendente e accorato come sono solo i suoi sorrisi per Sirius.
“Chiedilo a Moony,” ribatte lui infuriato. “Ha la luna storta,” puntualizza maligno.
“Impiccati,” sbotta l’interpellato con stizza, lanciandogli un’occhiata omicida.
James pare sempre più confuso e li osserva a turno, interdetto. Peter sembra inquieto, lo guarda come in cerca di rassicurazione.
“Ragazzi, a Natale tutti sono più buoni, non si può litigare,” osserva James accomodante, sorridendo di nuovo per sdrammatizzare.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Malandrini | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Se vedo altro stramaledetto vischio ucciderò qualcuno

Alla fine sono cascata anche io in questa cosa del Natale. Di conseguenza, prendete questa shot per quel che è: una storiella natalizia senza pretese, un regalino sparuto, pubblicata proprio solo perché a natale siamo tutti più buoni. Dicono.

Una precisazione: io ho sempre immaginato che lo scherzo a Severus sia stato al sesto anno. Voci –affidabili- mi dicono che JK l’abbia collocato al quinto. Pazienza. Per me resta al sesto, almeno in questo caso.

E buon Natale a tutti.

suni

 

 

 

 

 

 

Di vischio, litigi e colazioni natalizie

 

 

“Se vedo altro stramaledetto vischio ucciderò qualcuno!”

Remus Lupin si ritrae leggermente, quasi temesse di essere lui quel qualcuno che rischia la morte per mano del giovane erede della più illustre famiglia magica inglese. Lo osserva di sottecchi, fa scivolare gli occhi sulle mani guantate che spezzettano rabbiosamente il rametto verde appena strappato dal soffitto, le braccia lunghe, il collo bianco, le labbra stirate e gli occhi foschi.

“Ma se dici sempre che il bello del Natale è che tutte le tue fans ne approfittano per baciarti,” osserva con leggera ironia, rinserrando da qualche parte in fondo ai polmoni il fastidio innato che il pensiero gli genera e sorridendo condiscendente.

Sirius arriccia il naso, continuando a camminare e strattonando la sciarpa per cercare di sfilarsela. Fuori ha smesso di nevicare, la temperatura è scesa molto sotto lo zero. Il naso di Sirius è di un bel rosso acceso, come ogni volta che prende tanto freddo. Remus trova straordinario il modo in cui spicca sul viso latteo dell’amico, come se qualcuno gliel’avesse colorato con la magia.

“Io dico sempre che è l’unica cosa non troppo negativa di tutta questa manfrina del Natale, che come sai…” ribatte piccato, sollevando il mento con alterigia.

Remus gli trotterella accanto svoltando verso la torre e sbuffa, interrompendolo.

“…consideri una delle peggiori seccature dell’anno e ti sembra un’ipocrita perdita di tempo ed energie. Lo sappiamo tutti, Sirius. Credo lo sappia tutta la scuola,” puntualizza stringendosi nelle spalle con sufficienza.

“Esattamente,” replica Sirius secco. “Quel Potter è un idiota. Non sopporto il modo in cui inizia a fibrillare come un asmatico in crisi di nervi a partire dal primo del mese. Ogni anno è la stessa fottuta storia. Odio James a dicembre. Lo odio, è più forte di me,” conclude con aria depressa e impotente. Ha uno sguardo astioso e freddo che Remus gli vede raramente e sembra davvero affranto di non poter controllare il fastidio nei confronti dell’amico.

E’ vero che sotto le feste James e Sirius si allontanano un pochino, per quanto possano allontanarsi loro due, vale a dire mai comunque per più di tre ore al giorno. Cento e ottanta minuti di distacco, è l’autonomia massima raggiungibile dai due Marauders senza stare insieme. Dopo cominciano a dare segni di patimento.

James trilla e cinguetta auguri tutto il giorno, sfoderando un’euforia sempre crescente che culmina il mattino del venticinque con l’apertura dei regali, e a partire dal diciotto dicembre sfiora picchi di frenesia difficili da riscontrare anche nelle ragazze a San Valentino. Sirius invece si fa più tetro man mano che il mese avanza, s’incupisce, perde la leggendaria e inarrestabile favella diventando taciturno e stizzoso. A vederli insieme durante la settimana di Natale riesce difficile immaginare che siano così amici.

“Non passare sotto il vischio, allora, Sirius,” suggerisce Remus bonario, saltellando su per le scale. Le dita dei suoi piedi sembrano dieci cubetti di ghiaccio, ma iniziano già a pizzicare per il riscaldamento. Sono dovuti uscire per andare alla capanna di Hagrid e tornare verso il dormitorio, al caldo, è un sollievo impagabile.

“Come se fosse facile, ce n’è dappertutto. Silente si è completamente rincoglionito, e sì che già l’anno scorso iniziava a dare segni di cedimento. E’ troppo vecchio, non sa più cosa fa,” ribatte l’altro storcendo il naso con una smorfia irritata.

“Sono d’accordo, Silente è stato veramente stronzo a non espellerti l’anno scorso. Ci sono rimasto malissimo,” replica Remus in tutta tranquillità. La frase gli è scivolata fuori dalle labbra con impertinenza, e anche con una certa esasperazione.

“Non cominciare con quella storia, Moony,” intima Sirius abbassando lo sguardo, oltraggiato. “Cerchiamo almeno di non pensare a Snivellus, è già abbastanza deprimente il Natale,” conclude fermo.

Remus serra le labbra ma non risponde. Mantiene lo sguardo fisso davanti a sé, vuoto e senza espressione. Sirius fa sempre così; lo fa perché si vergogna, anche se non lo ammette; è troppo orgoglioso per farlo, ma i suoi occhi sono sempre sfuggenti e quasi timorosi quando l’argomento viene sfiorato.

“Merlino!” sbotta nel silenzio che Remus ha lasciato cadere preso da quelle considerazioni, e fraintendendolo. Si ferma in mezzo al corridoio, le mani strette a pugno e le labbra arricciate. “Non la smetterai mai, vero? Dovrai continuare a rinfacciarmelo per i prossimi vent’anni o più. Quante volte mi devo scusare?” continua aggressivo.

“Non è affatto vero!” replica Remus scandalizzato, parlando più in fretta di quanto vorrebbe. “Sei tu che hai parlato di Silente e dell’anno scorso,” osserva, fermo a sua volta un paio di metri più avanti. Getta un’occhiata al ritratto della Signora Grassa, in fondo al corridoio.

“E allora?” replica Sirius sarcastico, con asprezza. “L’unica cosa che ha fatto Silente l’anno scorso è stata non espellermi?” sorride risentito.

“No,” risponde Remus secco, e parla con crescente ostilità. “E’ solo la prima cosa che mi è venuta in mente quando hai parlato di…”

“Silente. E dell’anno scorso. E della Stamberga, e della licantropia, e di Snape, e dei Serpeverde, dell’animagia, di scherzi, del Platano e di qualunque argomento esistente al mondo. E’ la prima cosa che ti viene in mente al mattino quando mi vedi alzarmi dal letto.”

La voce di Sirius è definitiva, sicura. Sta esponendo una sua constatazione, un dato di fatto oggettivo almeno secondo lui. Remus apre la bocca per rispondere negativamente, ma guardandolo negli occhi non ci riesce.

Gli è difficile mentire davanti agli occhi argentati di Sirius. Per la verità quegli occhi gli rendono difficile fare molte cose, a seconda della situazione: certe volte anche respirare diventa un affare complicato quando Sirius gli punta in faccia quei due laghi di metallo liquido.

Remus china lo sguardo.

“Non è vero,” risponde piano. “Ma è una cosa che è successa, come tante altre. Perché dovrei rimuoverla dalla memoria?” ribatte stringendosi le mani tra loro, con innegabile impaccio.

“Sai una cosa, Remus? Quando dici a una persona che la perdoni dovresti farlo davvero. Se continui a rinfacciare le cose è perché non l’hai fatto e allora evita di dirlo. Ok?” sibila Sirius incollerito, prima di riprendere a camminare.

Remus sussulta, punto sul vivo, e aggrotta la fronte. Sarà coda di paglia, ma quelle parole lo offendono. Come se fosse semplice, buttare giù quello che gli ha fatto l’amico mesi fa. 

“Ma cosa pretendi, che ti ringrazi?” esclama aspro, incrociando le braccia ingarbugliate nel mantello pesante. Sirius si volta indietro con una smorfia amara.

“No, solo che la pianti di ripetermi eternamente che sono stato uno stronzo. Se ci vuoi passare sopra fallo, se non ci vuoi passare sopra smetti semplicemente di parlarmi e fa’ finta di non conoscermi. Fatti insegnare da Regulus o un altro di quelli,” ribatte piatto, fissandolo con una sfumatura di rancore. Remus ridacchia allibito.

“Ti è indifferente?” chiede, assottigliando gli occhi con leggera ira. “Che io ti parli o meno, intendo, è lo stesso?” precisa freddo.

Sirius sbuffa sprezzante.

“Questa è una cazzata, e lo sai. Ti ho chiesto scusa un milione di volte, e sono stufo di farlo, tutto qui,” conclude lapidario arrivando ad un passo dal ritratto.

“E allora non farlo più. Tanto mi ci pulisco il culo con le tue scuse,” risponde Remus sempre più innervosito. Di sentirsi rivolgere delle accuse a proposito di quella faccenda che lo ha visto come vittima gli sembra fuori da ogni logica e gli fa salire la collera lungo tutte le terminazioni nervose. “Potevo ucciderlo, a cosa mi sarebbero servite le tue scuse da ipocrita? Merlino, sei veramente un cretino,” sbotta con cattiveria.

Sirius serra le labbra, lo guarda in silenzio per qualche secondo.

La Signora Grassa sta seguendo lo scambio di battute tra i due ragazzi con crescente interesse. Sposta lo sguardo dall’uno all’altro con aspettativa, immobile nella cornice. Ma qualcuno sta uscendo dalla Sala Comune e la porta si spalanca, facendola scivolare di lato. Sirius fa un cenno del capo al ragazzino che lo saluta con ammirazione, lui, il lato più tenebroso del favoloso duo di leadership della Casa. Senza spostare uno sguardo risentito da Remus, oltrepassa il ritratto e marcia all’interno. Il licantropo lo segue con passo spedito, lo sorpassa su per le scale ed entra per primo in Dormitorio.

“Allora eviterò di parlarti,” sibila spiccio, scaraventando il mantello sul letto e sfilandosi i guanti con violenza.

“Benissimo,” è la piatta risposta di Sirius.

Chissà come ci sono arrivati, in quel freddo giorno dicembrino qualunque, al ritorno da un passeggiata fuori dal Castello, a litigare per quella storia vecchia mesi. Si siedono ciascuno sul proprio materasso, Remus afferra un libro di scuola per iniziare a ripassare, Sirius estrae da sotto il letto la cioccolata e appella un fumetto dal baule aperto di James, con un gesto brusco della mano che impugna la bacchetta. Rimangono in silenzio tutti e due, cupi e impettiti.

E’ così che li trovano James e Peter, venti minuti dopo. Sul momento non ci fanno molto caso, anche perché sotto Natale Sirius trascura un po’ James in favore di Remus, che è molto più pacato e meno entusiasta, e il giovane Caposcuola lo sa benissimo; Remus è uno con cui ogni tanto bisogna saper stare in silenzio, per questo non fanno caso alla loro freddezza, scambiandola per semplice calma.

“Che dice Rubeus?” chiede Peter con un sorriso, saltando sul letto del giovane Potter.

“Che domani ci aspetta per merenda come concordato. Ha detto di avere dei regali per noi,” risponde Remus, alzando finalmente lo sguardo dal libro.

“Oh, ma allora sarai furioso, signor odio-il-Natale-e-tutti-quegli-stupidi-pacchetti-colorati,” scherza James, sogghignando all’indirizzo di Sirius e accasciandosi accanto a Peter con un sospiro rilassato.

“Sì,” è la ringhiante, monosillabica risposta proveniente dal baldacchino dell’altro.

James solleva le sopracciglia con stupore, perplesso. Tanto cattivo umore è persino eccessivo.

“Tutto a posto, Pad?” domanda prudentemente, con un sorriso di puro affetto, splendente e accorato come sono solo i suoi sorrisi per Sirius.

“Chiedilo a Moony,” ribatte lui infuriato. “Ha la luna storta,” puntualizza maligno.

“Impiccati,” sbotta l’interpellato con stizza, lanciandogli un’occhiata omicida.

James pare sempre più confuso e li osserva a turno, interdetto. Peter sembra inquieto, lo guarda come in cerca di rassicurazione.

“Ragazzi, a Natale tutti sono più buoni, non si può litigare,” osserva James accomodante, sorridendo di nuovo per sdrammatizzare.  

“Ma vaffanculo,” stride Sirius tra i denti, alzandosi bruscamente. Sbatte il fumetto sul cuscino, intasca la cioccolata e si catapulta fuori dalla stanza col passo pesante dei suoi momenti di rabbia.

Lo sentono scendere le scale, prima che il suono dei suoi passi svanisca lontano.

 

“Ma quindi è per questo che hanno litigato? Di nuovo?”

La voce acuta di Peter esprime sorpresa e sincero dispiacere. Gli occhietti acquosi sono ancora fissi su James come se da lui potesse venire la soluzione ad ogni problema.

“Così dice Remus,” conferma James, il mento appoggiato nel cuscino. Ha un’aria stranamente depressa per questo periodo dell’anno, lui che di solito in questa occasione sprizza allegria, risate e continue canzoni a tema.

“Ma è acqua passata,” protesta Peter contrito. “Non possono litigare! E’ l’ultimo anno e  la prima volta che passiamo le vacanze di Natale tutti e quattro insieme, non possiamo rovinare questo momento! E poi oggi è la vigilia,” squittisce addolorato, dando voce al malessere di entrambi.

James infatti si limita a stringersi nelle spalle con espressione sconsolata, sprofondando ancor più nel cuscino.

“Forse non è così passata come credevamo,” mormora saggiamente.

Rimangono in silenzio, assorti dal dispiacere condiviso. Peter ha smesso di guardare James, osserva il pavimento mordicchiandosi le labbra.

“E la nottata alla Stamberga? Come facciamo adesso? E’ già tutto pronto, e poi non voglio che sia rovinata. Prongs, non possiamo fare qualcosa?” pigola con tristezza.

L’altro sospira, rotolandosi sul letto fino a rimanere a pancia in su. Fissa il soffitto con impotenza.

“Non credo dipenda da noi, Pet,” replica con passività. “Questa cosa va risolta una volta per tutte. Forse non sarebbe questo il momento migliore, ma ormai la frittata è fatta. Magari è meglio così, almeno si chiariranno definitivamente,” osserva funereo.

“Ci metteranno un mese,” commenta Peter risentito.

James annuisce piano, sbuffando.

La porta si apre sulla figura longilinea di Sirius, accompagnato da immancabili dolciumi al cacao. Li scruta indeciso prima di avanzare, e lo fa con noncuranza, come se niente fosse. Si accoccola sul letto e riprende a mangiare, compito.

L’esitazione di James dura un battito di ciglia. Con uno scatto, si solleva appoggiandosi sui gomiti e lo guarda serio.

Pad, non voglio essere invadente, ma quale sarebbe la tua prossima mossa? Tanto per sapere cosa aspettarmi per Natale, eh,” domanda nervosamente.

Sirius solleva lo sguardo su di lui, distaccato.

“Riguardo a cosa?” chiede freddamente.

L’altro sospira, precipitando di nuovo sul cuscino.

Remus,” brontola paziente.

“Non so proprio di quale mossa tu stia parlando. Per me può anche far finta che io non esista per il resto dell’anno,” esclama Sirius freddamente, con sguardo cupo e ostinato. Promette male e James lo sa, traspare dai suoi occhi rassegnati fissi sopra la sua testa.

“Ma Pad!” squittisce Peter timidamente. “Sono sicuro che è un malinteso. Tu e Remus…” inizia ottimista.

“Quando vorrò consigli da te, te li chiederò, Wormtail,” lo zittisce bruscamente l’amico.

Le parole muoiono in gola a Peter all’istante, raggelate dalla decisione minacciosa di cui è carica la voce di Sirius. Il biondo deglutisce a fatica, chinando la testa.

“Cercavo di rendermi utile…” osserva in un mormorio quasi spaventato.

“Grazie, ma non occorre,” ribatte Sirius rigido.

“Scusa, sai, ma secondo me ti sbagli,” interviene James, a cui il malumore dell’amico non fa la minima impressione. “In fondo è vero che sei tu quello che si è comportato da stronzo,” commenta con voce prudente.

“Gli ho detto centinaia di volte che mi dispiace,” replica Sirius scrutandolo malevolo, sulla difensiva.

“E come lo hai dimostrato?” insiste James con candida impertinenza.

Sirius lo guarda stranito, ma non risponde. Non saprebbe cosa dire.

Rimangono in silenzio tutti e tre.

Fuori nevica di nuovo.

 

La cena è stata deprimente, nell’angolo dei Grifondoro del settimo anno rimasti al castello, cioè loro quattro. Persino Silente sembra aver fiutato la tensione innaturale dell’altrimenti chiassoso e affiatatissimo quartetto. Hanno parlato poco, svogliatamente, mangiando molto per compensare il silenzio. Poi Sirius è sparito di corsa, come se avesse una squadra di Mollicci alle calcagna, e Peter è stato coinvolto in una partita a scacchi magici con un Corvonero del sesto anno.

Remus, puoi chiarire una mia perplessità teorica fondamentale?” domanda James serio, mentre marciano verso la loro Sala Comune.

L’altro lo guarda con attenzione, annuendo appena.

“Che cosa? Trasfigurazioni?” domanda disponibile.

“Non precisamente. Non l’ho mai chiesto, ma…come si era risolta tra te e Sirius la questione dello scherzo, all’epoca?” domanda il Caposcuola dopo una comprensibile incertezza, guardandosi le mani con improvviso interesse.

L’altro sussulta, deglutisce ripetutamente e sposta lo sguardo sulle armature lungo il corridoio. La domanda lo coglie impreparato e lo sprofonda nel disagio, ma James è fatto così. Trasparente fino all’eccesso.

“Affogata nelle lacrime,” replica sbrigativo, accelerando il passo.

James gli tiene dietro, sorpreso.

“Tue?” domanda per precisione.

“Di entrambi,” risponde Remus con sufficienza.

Il ricordo lo turba. Quella lunghissima conversazione scandita dai singhiozzi gli è rimasta sulla pelle da allora. Non si è mai messo a nudo così tanto davanti a qualcuno come quel giorno con Sirius, vomitandogli addosso recriminazioni e delusione; Sirius non ha mai abbassato tanto la corazza, mostrando la propria umana debolezza, come quel giorno, né prima, né dopo. Al ricordo si sente ancora tremare le mani per l’intensità di quei momenti strani e decisivi.

“Perché oggi avete litigato, Moony?” continua James gentilmente.

Remus sbuffa; preferirebbe parlar d’altro. Del Natale, o di come riuscire lo stesso a divertirsi durante la nottata. Ma mentre oltrepassano il Ritratto si rende conto che in fondo le domande di James sono legittime.

“Non te lo saprei dire, Prongs. E’ successo e basta,” ammette sinceramente.

James annuisce, accucciandosi sul tappetino accanto al camino acceso.

Remus, ti posso dire una cosa?” chiede, storcendo pensosamente il naso.

Lui affonda in poltrona, annuendo con una certa ritrosia.

“Dimmi, Jamie,” acconsente rassegnato. Anche se si opponesse, dubita che James terrebbe per sé quel che ha deciso di rendergli noto. Solitamente quando decide di fare una cosa la fa e basta, come Sirius.

“Ti capisco. Davvero, anche per me questa cosa è rimasta nell’aria, in qualche modo,” afferma James lentamente, quasi misurando le parole. “Ma se Sirius per te è ancora un amico, penso si debba andare oltre. E io credo, Remus,” continua, bloccando un timido tentativo di replica da parte dell’amico, “che prima o poi si debba prendere atto del fatto che a volte anche le persone che amiamo di più commettono brutti errori,” aggiunge, stringendosi nelle spalle. 

Remus china lo sguardo, annuisce piano.

“Lo so. Cioè, mi sta bene. Non avevo intenzione di risollevare il problema, solo che ogni tanto mi succede di parlarne, non lo faccio apposta,” ammette irritato, più che altro con se stesso, e naturalmente con Sirius.

“Perchè t’è rimasta sullo stomaco. Ma sai, si perdonano le persone che si amano. Insomma, quando ne vale la pena,” osserva James pacato, storcendo il naso sulla precisazione finale.

Il verbo amare ferisce Remus mentre l’altro lo pronuncia. Gli blocca lo stomaco indipendentemente dalla sua volontà. Non sa perché, dopotutto è vero che li ama, quei pazzi dei suoi amici. Sono loro, sono i Marauders, i suoi compagni di vita.

“Beh,” obietta, aggrottando la fronte. “Anche tu ami tanto Pad ma quella volta che…” inizia sarcastico, spostando i capelli dal viso.

Remus,” lo interrompe il giovane Potter. Si passa una mano sul viso, esitando, quindi scompiglia i capelli con incertezza. “Sì, anche io amo Sirius, come se fosse un’altra parte di me. Ma non credo…che stiamo parlando dello stesso tipo di amore,” mormora a disagio, fissando la fiamma nel camino.

A Remus si spezza il fiato in petto e sgrana gli occhi allucinato.

Fissa James per qualche secondo, senza trovare una sola parola da dire, il cuore martellante nel petto. Prende fiato, ma l’ossigeno sembra non arrivare nei suoi alveoli. Vorrebbe aver capito male, ma sa che non è così. E’ spiazzato, perché non si aspettava che James avesse capito quel che lui stesso fatica ad ammettere anche con se stesso.

“Non per niente sei il mio migliore amico…” mormora con un sorriso sconfitto.

James lo ricambia, solare.

“Già,” sussurra imbarazzato.

 

“Perfetto. Allungalo un po’ di là,” esclama James, indicando l’angolo arrotolato dello spesso, morbido tappeto che fa loro da divano nel covo alla Stamberga.

Peter trotterella in quella direzione e allunga l’estremità del tessuto, aggiustandola per bene in terra. Contemplano soddisfatti il risultato e James fa saltare il tappo di una bottiglia di burrobirra a sancire la buona riuscita dell’impresa. La loro tana è pronta definitivamente, secondo i canoni ormai fissi da un paio d’anni. Sirius, nell’angolo del tavolino, sta mescolando la pentola con la sangria che ha preparato nel pomeriggio, e la assaggia per verificare che sia buona. Schiocca le labbra, soddisfatto, prima di versarsene un altro campione. Poi si allontana col bicchierino in mano e scompare al piano di sotto.

“Ma dov’è Moony?” sbotta Peter irritato, perché il quarto Marauder non è ancora arrivato: è decisamente in ritardo.

“Avrà avuto un contrattempo,” risponde Sirius secco. Ma nasconde un sorriso nel bicchiere, bevendo un altro sorso. Pensa di sapere dov’è Remus.

Ed infatti ha ragione. L’ex Prefetto è in dormitorio, seduto sul suo letto. Ha un foglio in mano, una lettera che ha trovato sul cuscino. La sta leggendo con attenzione, la fronte corrugata e gli occhi che scorrono rapiti lungo le righe stilate con la bella calligrafia aristocratica del giovane Black.

 

Moony,

e’ difficile scrivere queste parole. Non so nemmeno cosa dire.

Sinceramente sono stanco di questa cosa. Sono stufo di sentirmi colpevole, perché

è così, riesci sempre a farmi sentire sporco. Vorrei davvero non aver fatto quella

stupidaggine e non aver mandato Snivellus alla Stamberga, e lo sai.

Ma l’ho fatto. Mi dispiace, anche se come hai detto oggi le mie scuse non ti servono

a niente. E allora mi chiedo cosa possa servire a qualcosa, perché non posso riportare

indietro il tempo. Prima Jamie mi ha fatto notare che non ho mai fatto nulla di concreto

per dimostrarti quanto mi sia sentito male per averti ferito in quel modo. E’ che non

saprei cosa fare, davvero, perché ormai il danno è fatto. Quel che ti posso dire, però,

è che se potessi riportare indietro il tempo lo farei, e di corsa. Farei qualunque cosa,

se ci fosse, per rimediare a quell’errore.

Davvero, Remus. Qualunque cosa.

Lo so che non sono mai serio e che sono uno sbruffone arrogante, ma in questo momento

sono serissimo invece. Scusami se non lo dimostro, ma tu sei un elemento basilare della

mia vita. E se pensi il contrario sei un cretino, Moony, onestamente.

O forse il cretino sono io che vado in giro come se mi bastassi da solo, quando è più

che evidente l’esatto contrario. Quello che sto cercando di dire, Remus, con le difficoltà

comunicative per cui mi sfotti sempre,  è che tengo a noi due in un modo che non è

spiegabile. E che se pensi ci sia qualcosa che posso fare per rimediare, me lo devi dire.

Perché qualunque cosa sia, io la faccio.

Vorrei tornassimo quelli di prima. Vorrei che ti fidassi di me, perché non ripeterò

l’errore. Ho capito che non c’è nessuna cosa al mondo per cui varrebbe la pena di

rischiare me e te.

E non parlo di me e te a caso, Moony, anche se è imbarazzante persino scriverlo. A

pensare alla tua faccia mentre leggi mi viene da sotterrarmi in mezzo alle zucche di

Hagrid, in una fossa profonda almeno otto o nove metri. Ma per me io e te siamo

qualcosa che non capisco ma che non voglio sciupare. Probabilmente è una mia turba

mentale ma mi piace pensarci come due persone che hanno in comune molto più di quanto

sembra, e che condividono qualcosa di particolare. Non so cosa sia, ma ritengo, o

meglio, spero che per te sia lo stesso.

Non credo di sbagliarmi, Remus, scusa la supponenza. E’ una cosa che non ho mai osato

neanche pensare apertamente, ma mi piace che sia così, che questa cosa esista. Mi piace

il modo in cui i tuoi occhi seguono i miei movimenti quando siamo insieme. Adesso sei

arrossito. Pensavi che non me ne fossi accorto, ma sai, sono abituato ad essere guardato.

Adesso stai pensando che sono il solito presuntuoso. E’ vero. Ma comunque il modo in

cui mi guardi tu mi piace infinitamente di più di quello di chiunque altro.

Smetto il delirio, adesso. Ti aspettiamo alla Stamberga come stabilito. Spero non vorrai

farci il torto di mancare e spero non vorrai rendermi triplamente sgradita questa festa

privandomi del piacere di sentire la tua voce rivolgersi a me.

Buon Natale, Remus.

Sirius

 

Quando finisce di leggere la lettera, Remus Lupin rimane seduto per qualche istante sul letto, senza muoversi. Fissa il foglio con occhi distratti, senza quasi respirare. Non riesce davvero a credere a cosa ha letto; probabilmente sta fraintendendo completamente le parole innocenti di un amico, grazie alla troppo fervida fantasia. La sua sciocca fissazione per Sirius lo porta a travisare la realtà in un modo infantile e sognante che trova francamente imbarazzante.

I suoi occhi incontrano di nuovo la frase il modo in cui mi guardi tu mi piace infinitamente di più di quello di chiunque altro.

Beh, decisamente è fraintendibile. Ha poco di puramente amichevole, fantasia o meno. Sbatte le palpebre, più volte, cercando di restare con i piedi per terra. Ma non riesce a evitarsi di rileggere ancora e ancora quella frase e sentirsi leggero, con uno strano sfarfallio nello stomaco, che è una sensazione fisica nemmeno poi particolarmente piacevole. Ma tant’è, a lui fa spuntare un sorriso involontario sulle labbra.

Poi gli cade l’occhio sull’ora. E’ tardi, sono le dieci passate; Remus si caccia la lettera di Sirius in una tasca e marcia spedito fuori, fino alla Strega Gobba, e poi giù nel passaggio per la Stamberga. Ha le gambe che sembrano più pesanti del solito e anche un po’ meno coordinate, ma si sforza di non pensarci, di non pensare a niente di particolare.

E poi è lì. Peter è nervoso per il ritardo e James e Sirius sono già un po’ alticci a forza di assaggiare le bevande nell’attesa. Quando entra nella stanza incontra lo sguardo argenteo di Sirius; i suoi occhi rimangono agganciati a quelli dell’altro per qualche secondo e la gola gli si secca.

“Alla buon’ora, Moony. Quelle tue gambette rachitiche sono terribilmente lente,” osserva James ridacchiando e riportandolo alla realtà.

“Scusate,” risponde lui sorridendo. “Ho perso la cognizione del tempo,” si giustifica vago.

“A volte capita,” commenta Sirius fatalista, stringendosi nelle spalle.

E la serata inizia, con una burrobirra e uno scoppio di trillofuochi natalizi freschi di Zonko.

Bevono, ridono e scherzano, mentre fuori nevica piano. Peter e James non commentano la ritrovata armonia tra lui e Sirius, semplicemente tutti e quattro sono troppo presi dal divertirsi per pensare a questo. Non riescono a trattenersi dall’aprire subito i regali senza aspettare il mattino. In questo Sirius non è poi così antinatalizio come vorrebbe far credere, è il primo ad avventarsi sui pacchetti stracciando via la carta del regalo di James. Osserva ad occhi spalancati la bella targa cromata dentro la carta.

Sirius Black

Questa è casa mia e qui comando io

E’ una targhetta da porta. Sirius mormora che si ricorda un monologo delirante partorito a casa di James durante l’estate relativo alla sua futura casa di rinnegato con tanto di targhetta dittatoriale all’uscio, ma era talmente noioso e vittimista in quei giorni che pensava l’amico non lo ascoltasse nemmeno.

E’ commosso, si direbbe. Abbraccia James senza dire niente. Quando è il turno di Remus di essere ringraziato, assapora socchiudendo gli occhi la stretta del braccio di Sirius intorno alle spalle, morbida. I capelli corvini dell’altro gli solleticano il mento e profumano di frutta e di qualcos’altro che non riesce ad identificare. Oh, sì: vino. E’ la sangria.

Ridono, si strattonano e ringraziano strillando commenti euforici sui regali, continuando a brindare. E’ Natale.

 

La testa è pesantissima, troppo. Remus sbatte le palpebre una, due volte, infastidito dalla luce che penetra dalle imposte. Ha dormito in terra, sul tappeto. Inspira a fatica, schiarendosi la gola. Ha bevuto troppo e preso sonno dopo l’alba, quando tutti quanti sono entrati in estasi mistica per la stanchezza e sono impietosamente crollati. Lui è stato il secondo, dopo Peter, ricorda le voci sussurranti di James e Sirius che continuavano a parlottare.

Moony? Hey, Moony,” lo riscuote il bisbigliare sommesso di James, mentre la sua mano lo scrolla gentile. Il ragazzo è chino su di lui, sorridente, Remus lo vede ad occhi socchiusi. “Io e Peter andiamo a fare presenza a scuola e a cercare la colazione. Stanotte abbiamo mangiato troppo.”

Remus annuisce, intravede l’altro amico, i capelli biondi sconvolti, barcollare nel tentativo di mettersi le scarpe. James gli sorride ancora.

“Ma non ti fa male, il braccio?” chiede divertito.

“Perché?” biascica Remus inspirando rumorosamente, stravolto. Fa per muovere l’arto incriminato ma lo scopre bloccato. Volta il capo, per scoprire che il suo gomito è stato adottato da Sirius come cuscino, e lo sfarfallio ormai consueto lo schiaffeggia quasi, tanto è brusco. “Ah…no,” borbotta senza guardare James.

Quello soffoca una risata e si alza, con un cenno di saluto. Remus lo vede sparire dal proprio campo visivo e poi sente il rumore dei passi degli amici che si allontanano, finché la Stamberga non torna silenziosa.

Adesso Remus vorrebbe girarsi sull’altro fianco, perché ha la schiena indolenzita per la posizione scomoda tenuta e il “materasso” non molto soffice. Ma se si gira dovrà spostare il braccio da sotto il capo di Sirius e non ha voglia di farlo. Il peso della testa del ragazzo è piacevole. Rimane per un po’ così, lo osserva in silenzio storcendo la testa per guardare meglio.

Sirius dorme della grossa, la bocca semiaperta, e respira rumorosamente. Ha le labbra viola per la sangria, screpolate. D’inverno le labbra di Sirius sembrano l’opera di un sadico, piene di tagli e spaccature per l’effetto del freddo. Remus smette di guardarle con un certo sforzo, per passare alle ciglia lunghe richiuse sugli occhi, mezze coperte dalle ciocche nere di capelli scompigliati. Bello lo è indubbiamente, lo dicono tutti; ma nessuno ne è più certo di lui.

Non sa quanto a lungo rimane ad osservarlo, poi si riappisola senza rendersene conto, sprofondando in un torpore che sfocia in un sonno leggero. Quando si riprende, è perché la schiena gli sta facendo male e, a malincuore, si rassegna a girarsi. Muove lentamente il braccio, sforzandosi fino a tremare per spostarsi con infinita lentezza di modo da non svegliare l’amico; ma Sirius emette un gemito rauco che a lui rimbomba fin nell’intestino e corruga il viso in una smorfia assonnata.

Cia’,” gracchia rotolando faticosamente prono e spostandosi dal suo braccio.

Remus lo ritrae con dispiacere ed accenna un sorriso, anche se Sirius ha richiuso gli occhi.

“Sono andati a prendere la colazione,” annuncia con voce stentorea, allungandosi supino. E’ davvero un day after, gli sembra che non potrebbe nemmeno alzarsi in piedi.

Sirius apre un occhio, raddrizzando la testa con difficoltà, e lo guarda.

Jamie e Pet?” chiede, prima di tossicchiare per schiarirsi la gola.

Remus annuisce semplicemente, mentre l’altro sbadiglia grassamente.

Ok,” mormora Sirius stiracchiandosi voluttuosamente, con una smorfia dovuta probabilmente alle tristi condizioni delle sue ossa maltrattate dalla nottata. Poi si soffia via i capelli dal viso e quindi striscia fino ad appoggiare la testa sul lato della sua pancia, all’altezza del suo stomaco, e gli dà la nuca. “Buon Natale, Moony,” borbotta dolcemente, rannicchiandosi in posizione fetale.

Remus non può rispondere, per un momento. Gli manca completamente il fiato ed è come colto da un Petrificus potentissimo che lo lascia immobile. Deglutisce a vuoto più volte.

“Tutto bene, Moony?”

Impossibile non notare la sfumatura canzonatoria della voce di Sirius nel pronunciare quelle tre parole. La cosa lo agita ulteriormente, apre la bocca per parlare ma non ci riesce. Aggrotta la fronte, intimandosi di mantenere un certo autocontrollo. E’ Remus Lupin, lui.

“Sì,” risponde fermo. “Cioè…sì, solo volevo…ecco, hai ragione.” Biascica confuso.

Sirius solleva la testa, la volta verso di lui e la riappoggia, delicatamente

“Su cosa?” chiede pacifico. E’ tutto pesto, pallido e sbattuto, ma bellissimo.

“Non…non si può cambiare quel che è successo,” si spiega Remus più logicamente, con un breve sospiro. “Il fatto che tu mi abbia deluso molto è un dato di fatto. Credo di aver passato mesi ad aspettarmi che tu riparassi in qualche modo, ma hai ragione, non puoi. Ormai è fatta,” continua annuendo.

Sirius lo guarda con occhio improvvisamente sveglio e attento. Sembra non capire se la conversazione stia prendendo una buona o una cattiva piega e attende cauto che l’altro si spieghi.

“Quindi?” mormora, sollevando le sopracciglia.

“Quindi niente,” conclude Remus appoggiando indietro la testa e fissando il soffitto. “Sono d’accordo con te, questa cosa non deve rimanere in mezzo a…noi.

A Remus pronunciare quelle parole è costato parecchia audacia. Ma, in quanto Grifondoro, ne ha in abbondanza. Tuttavia non rialza la testa per guardare Sirius, ma continua ad osservare il soffitto quasi meditabondo.

“Quindi?” insiste l’altro. Remus sente la sua mano depositarsi sul proprio sterno, come casualmente. Le dita sottili di Sirius gli sfiorano il petto e sembrano penetrare attraverso il tessuto, leggerissime; trattiene il fiato per un attimo e sorride.

“Quindi io mi fido di te, Sirius. So che non lo rifaresti. In compenso tu sopporta qualche frecciatina ogni tanto. Mi scappano, ma non ce l’ho con te, davvero,” conclude Remus con mitezza, un sorriso quasi di scuse.

Sirius tace per qualche secondo, e Remus non si riesce a trattenere, solleva la testa per guardarlo: si sta mordicchiando pensosamente un labbro e ha lo sguardo un po’ distante, ma nello scoprirsi osservato gli sorride.

Ok,” mormora annuendo.

Poi solleva la testa dalla sua pancia, con un movimento un po’ rigido che tradisce il suo nervosismo, e si allunga quel tanto che basta a raggiungere il suo viso. Remus si trova inaspettatamente con le labbra di Sirius contro le proprie e per qualche secondo non se ne capacita. Poi si scopre già col collo proteso verso di lui, la mano sulla spalla dell’animagus. Le sue labbra sono secche, come Remus aveva osservato, ma morbidissime. O almeno lo sembrano a lui. Quando le socchiude per far scivolare la lingua attraverso, Remus lo asseconda e inizia a giocare con essa, chiudendo gli occhi mentre il bacio si fa più profondo ma sempre lento e assorto, sperimentale.

Quando Sirius lo interrompe Remus si lecca le labbra istintivamente, inspirando profondamente. Ha un brivido lungo la schiena. Sirius lo sta guardando con titubanza, poi accenna un sorriso, tra l’imbarazzato e lo spavaldo.

“Se uno di noi due ha dei problemi a proseguire questa cosa, questo è il momento di dirlo,” mormora con voce strascicata. Si tiene su puntando i gomiti a terra, semisdraiato al suo fianco. Remus annuisce ma non risponde. Sirius lo prende come un invito, perché sorride e si riavvicina.

Il secondo bacio è decisamente meno innocente, è una guerra impetuosa di lingue roventi, di morsi alle labbra e mani che scivolano lungo spalle, toraci, colli. Remus sente il capezzolo turgido dell’altro ragazzo sotto la camicia , ne percorre il contorno strappando a Sirius un lievissimo gemito che gli provoca un istantaneo calore in tutto il basso ventre; ma non è l’unico, perché avverte l’erezione di Sirius premere contro la propria coscia mentre lo spinge per ribaltarlo a pancia in su. Odia la stramaledetta camicia di Sirius, la odia a morte e comincia a sbottonarla con una certa urgenza, mentre continuano a baciarsi. Le mani di Sirius si allacciano intorno ai suoi fianchi e lo attirano contro sì sé, e quando i loro corpi si sfiorano è come se prendessero la scossa, il respiro di Sirius si spezza esattamente come il suo.

Sentono il rumore al piano di sotto nello stesso momento e si disincastrano di scatto dall’acrobatico intreccio di membra in cui si stavano cimentando, scambiandosi uno sguardo allarmato, perché le loro facce e i loro corpi –certi pezzi in particolare- sono abbastanza indicativi, Sirius ha anche la camicia tolta fino ai gomiti.

Ma i rumori rimangono di sotto, inspiegabilmente. Mentre si risistemano senza smettere di guardarsi, con un sorriso sbilenco, sentono le voci attutite di James e Peter, i loro movimenti, alcuni rumori. Sirius si sistema la camicia con negligenza, passa un mano tra i capelli, si lecca le labbra e prende alcuni lunghi respiri. Remus rimane solo fermo ad aspettare che il proprio corpo recuperi funzioni normali e al di sopra dei sospetti, sperando che qualunque cosa stiano facendo, di sotto, li tenga occupati per un paio d’altri minuti almeno.

“Cazzo,” mormora Sirius nervosamente. “Credevo fossero appena andati via, quando mi sono svegliato,” osserva tra l’infastidito e il colpevole.

Remus scuote la testa: lui sapeva che non potevano tardare molto, ma se n’era completamente dimenticato. Continua guardare l’altro con un mezzo sorriso, finché Sirius non gli scocca un’occhiata storta.

“Se non smetti di fissarmi, James e Peter avranno un terribile shock entro i prossimi minuti, Moony,” lo avvisa compunto.

Remus ridacchia.

“Che diavolo stanno facendo?” bofonchia, ma senza l’intenzione di cambiare discorso. Ed è strano, eppure non si sente in imbarazzo. Non si sta nemmeno facendo grosse domande, al momento, perché gli sembra tutto semplice e ovvio. E’ qualcosa che doveva succedere.

“Non lo so, ma potevano farlo altrove,” replica Sirius con una smorfia; poi accenna un sorriso. “Aspetta eh,” propone raddrizzandosi sulle ginocchia. Scatta in piedi con un gesto fluido e si appende alla porta, spalancandola.

“Che fate?” esclama a voce alta.

“Buon Natale!” è il saluto caloroso di James, dal basso. “Volevamo preparare tutto per la colazione e poi portarla su, per non svegliarvi fino all’ultimo. E’ pronta, comunque,” annuncia trionfale.

“E gigantesca!” squittisce gioiosamente Peter.

Sirius torna a voltarsi verso l’interno e sorride.

“Almeno mangiamo,” commenta Remus serafico, anche se al momento ha tutt’altra fame.

Sirius annuisce, stringendosi nelle spalle, poi torna verso di lui. Remus sogghigna mentre si siede, poi afferra la camicia e lo attira contro di sé. Sirius sorride a due centimetri da lui, poi lo bacia di nuovo, facendogli scorrere la mano tra i capelli.

“Buon Natale, Pad,” mormora il licantropo in un soffio contro la bocca dell’altro.

“Sì, non è così male come festa, alla fine,” commenta l’animagus con una sorriso sornione.

Eccoci!” esclama James dalle scale. Lui e Peter entrano subito dopo, trovando gli amici diligentemente seduti sul tappeto. Tra loro levita meravigliosamente la più sfarzosa colazione che si possa immaginare, un tripudio di dolci, bevande calde, fredde, stuzzichini, pancetta, uova, cioccolata, insomma tutto. Sirius batte le mani con una risata travolgente, mentre il banchetto si prepara a prendere il via.

Mangiano chiassosamente, ogni tanto si lanciano pezzi di pane e spruzzi di succo di succo sghignazzando come bambini. Ma quando gli occhi di Sirius incrociano quelli di Remus, nel loro sguardo passa tutt’altra luce.

La gamba di Remus, allungata, passa sotto quelle raccolte dell’animagus senza sfiorarle. Ma la mano di Sirius si poggia a terra proprio dietro al suo polpaccio e le dita lo sfiorano in lente carezze, invisibili agli altri due ragazzi.

Hanno aperto un po’ la persiana, che dà sull’esterno del paese, dove non c’è nessuno. Il tempo è cambiato, c’è un sole splendente e luminoso che benedice la campagna candida e immacolata, coperta dalla neve. Il cielo è azzurro e gelido, la temperatura dev’essere molto bassa, ma è Natale. Remus sorride, mentre la mano di Sirius rimane lì, tracciando invisibili disegni con i polpastrelli sulla sua gamba.

“Auguri a tutti,” esclama il ragazzo senza smettere di accarezzarlo, sollevando la sua tazza di tè in un brindisi.

“Ma se detesti il Natale,” protesta James sorpreso, ridacchiando.

“Niente affatto,” risponde Sirius, con un’occhiata piuttosto accesa in direzione di Remus. “Tutto sommato, mi piace il Natale,” conclude convinto.

Remus abbassa lo sguardo, sorridendo dietro una brioche.

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