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Autore: Centomila    10/06/2013    0 recensioni
"Che in questo momento vorrei starle vicino, vorrei ripeterle ancora una volta di non preoccuparsi e che andrà tutto bene, ma sono stanco di mentirle, stanco di mentire a me stesso, le distanze si accorceranno anche con le parole, ma le emozioni non si sbiadiscono."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Che mi eri così vicina e non ti avevo mai sentita più distante.
E dovevo dormire, ma le tue parole m’echeggiavano in testa. Ed i tuoi sorrisi di troppo che tanto amavo, mi voltavano lo stomaco. Ancora non ci credevo, non ci credevo che davvero mi avevi detto che non ci saremmo più visti con un sorriso stampato sulle labbra.
E non mi bastava più sentire la tua pelle sotto le mie dita, non mi bastava più vedere i tuoi occhi saturi di quello che credevo fosse amore, non mi bastavano più i tuoi sospiri e le tue parole che mi avevano fatto sentire, così tante volte, l’unica persona di cui davvero t’importasse.
Perché quando credi finalmente di esserne uscito, bastano due parole a rigettarti dentro?
A confonderti con tutte quelle persone che sono morte prima di nascere, con tutta quella gente che, ormai, la speranza l’ha persa, che va avanti con inerzia, e con gli sguardi vuoti di chi non ha più l’anima, di chi non riesce più a reggersi in piedi, e di chi non vuole farlo, perché stanco di doversi rialzare ad ogni caduta.
E poi? E poi di cosa cazzo avrei vissuto quando non sarebbero stati più un centinaio di chilometri a dividerci ma un continente intero? Che ci avrebbe diviso un oceano, e comunque non ti sarebbe importato.
Che i tuoi sorrisi sarebbero stati sempre della stessa staticità su skype, a Berlino così come a Vancouver. Ed i nostri discorsi sempre troppo poveri, perché non ci andava di distruggerci a vicenda, che preferivamo mentirci.
Perché l’amore a distanza non lo si spiega.
Non la si sa spiegare quella sensazione di vuoto che ti prende lo stomaco ogni mattina appena ti svegli, ed è destinata ad annientarti per tutta la giornata; non lo si spiega quel bisogno di sapere che l’altro stia bene, a prescindere da come stia tu; non la si spiega quell’ansia che ti prende quando non senti l’altro da giorni; non lo si spiega e basta, perché non lo si comprende finché non lo si prova sulla propria pelle.
E non volevo che quel fine settimana volasse come tutti gli altri. Volevo viverti per l’ultima volta e strapparti l’ultimo bacio alla stazione, come in uno di quei film melodrammatici di merda.
“Non riesci a prendere sonno, vero?” dicesti, prendendomi per mano.
“Da quanto sei sveglia?” ribattei.
“Non importa” sospirasti, lasciando la presa ed accasciandoti sul materasso.
“Mi sento inutile, davvero. Che vorrei poter dire qualcosa per farti sentire meglio” accennai “e detto sinceramente, trovare qualche lato positivo alla tua partenza, servirebbe anche a me”.
Avevi gli occhi colmi di lacrime, ed i brividi mi si attorcigliavano attorno al midollo osseo.
“Io, te lo giuro, che non ti dimentico”.
Abbassai lo sguardo, e lo persi nel nulla. Avrei voluto registrarti, in modo da poter risentire le tue parole ogni volta che ne avrei avuto bisogno, ogni volta in cui avrei creduto che non sarei diventato altro che una macchia sbiadita nel tuo passato.
Ed a queste promesse non c’avevo mai creduto, e forse non avrei dovuto cascarci neanche quella volta.
  
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