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Autore: Take_Me_ Home    10/06/2013    2 recensioni
Brava la mia piccola. Ti amo, lo sai?
Se mi aveva fatto fare tutto quello per farmi capire che non dovevo fare quelle cose da “persone normali” era perché voleva proteggermi, e le persone proteggono coloro che amano, no?
“Sì, lo so. Ti amo anch’io”, risposi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Cap 2

Il giorno dopo mi svegliai sul pavimento. Non era la prima volta che finivo lì, quindi per me non c’era da preoccuparsi. Ma evidentemente mia madre, che era stata la prima a trovarmi sdraiata a terra, si era spaventata, così aveva chiamato l’ambulanza senza pensare neanche per un attimo che stessi semplicemente dormendo. Beh, forse non semplicemente. A causa delle sue urla mi ero svegliata, lasciando Louis senza neanche salutarlo. Ero talmente arrabbiata che l’avrei buttata volentieri giù dalla finestra, ma mi trattenni dal farlo.
“Rachel! Stai bene? Ho chiamato l’ambulanza e sta arrivando. Tu rimani sdraiata!”, mi disse con il fiatone mentre mi sorreggeva la testa. Ma io non avevo niente che non andava.
“Mamma sto bene...”.
“No, tu non stai bene. Non è normale dormire sul pavimento! Oggi stesso ti porto dallo psicologo, forse lui può dirci qualcosa”. Ecco che rigiocava la carta dello psicologo. Ogni volta che facevo “qualcosa di strano”, come lo definiva lei, mi portava da quel vecchio che forse era messo peggio di me. Probabilmente preferiva accollare i miei problemi ad altri, pur di non ascoltarmi.

Lei non potrebbe capire, amore.

“Lo so”, risposi senza pensare.
“Cosa?!”, chiese mia madre guardandomi dubbiosa.
“Niente mamma, sto bene e non ho bisogno né di medici, né di quel vecchio”, dissi spingendola via per poi alzarmi. Senza starla a sentire entrai in bagno e chiusi la porta a chiave. Cominciai a lavarmi cercando di ignorare i suoi urli che mi dicevano di aprire la porta. Quando ebbi finito la aprii e uscii tranquillamente, con l’intento di vestirmi per andare a scuola, ma quella pazza urlante mi prese per un braccio e mi portò di fronte a lei.
“Mi vuoi ascoltare? Tu non stai bene! Sei troppo magra e pallida e in più hai delle profonde occhiaie. Sembra che tu non dorma la notte. Ascoltami, tra poco arriverà l’ambulanza e ti porterà in ospedale. Facciamo dei controlli e poi andiamo dal signor Trevor, vedrai che lui riuscirà a capire cos’hai”.
“Sì, come l’ha capito in quest’anno in cui lo avete continuato a strapagare per niente. Mamma, io non ho bisogno di ospedali o psicologi!”.

Tu hai bisogno di me.

“Esatto”.
“Cosa?!”, chiese lei di nuovo.
“Niente mamma, non stavo parlando con te”, dissi tradendomi.
“E con chi stavi parlando?”, chiese lei guardandomi tra lo spaventato e il curioso.

Non dirglielo. Sarebbe gelosa di noi. Tu sei speciale e lei non può capire.

“Con nessuno. Ora scusami, ma farò tardi a scuola”, dissi per poi vestirmi in fretta e uscire di casa senza fare colazione. Quel giorno c’era il sole e questo contribuì a peggiorare il mio umore. Mi sentivo fuori posto in una bella giornata del genere. Arrivai a scuola in largo anticipo, così mi sedetti su una panchina e aspettai il suono della campanella.

Non preoccuparti, se ne sarà già scordata.

Lo credevo anche io. Era sempre stata troppo occupata per pensare a me e la situazione non sarebbe cambiata.
“Lo so”, dissi sospirando tristemente.

Perché sei triste?

“Perché mi rendo conto che non è cambiato niente da quando ero una bambina. Continuano ad ignorarmi e si arrabbiano se io faccio lo stesso”.

Ma tu non hai bisogno di loro. Tu hai me.

“Hai ragione. Grazie amore...”.
“Parli da sola?”, chiese una vocetta stridula alle mie spalle. Mi voltai incrociando lo sguardo perfido di Margaret Rose, una ragazza della mia stessa età che non sopportavo.
“N-no”, balbettai.
“Non mentire, stavi parlando da sola. Ecco, ve l’avevo detto che era pazza”, disse rivolta alle ragazze dietro di lei che subito iniziarono a ridere.

Non reagire. Loro sono diverse.

“Magari stava parlando con il suo fidanzato immaginario”, continuò la ragazza.

Trattieniti, Rachel.

“Anche perché credo che con la testa che si ritrova possa aspirare ad avere solo quello”.
Ubbidiscimi!

Non ce la facevo, non potevo starmene zitta mentre quella mi umiliava davanti a tutti, parlando male di me. Aprii la bocca per risponderle, ma venni interrotta da due urli. Uno era dentro la mia testa, ed era di Louis.

Non ci provare!

Aveva detto. L’altro però veniva dalla massa di persone che si era formata dietro a Margaret. Il ragazzo che aveva urlato si fece spazio tra le persone per poi mettersi tra me e la ragazza.
“Basta”, ripeté. Provai un senso di gratitudine per quel ragazzo che si era azzardato a prendere le mie difese, ma cercai di reprimerlo subito. Lui era come tutti gli altri, non avrebbe capito. Lo riconobbi: era il ragazzo del giorno prima.
“Cosa c’è Horan?”, chiese Margaret infastidita.
“Smettila di darle fastidio. Se sei annoiata va’ ad importunare i tuoi tirapiedi”, rispose il biondo stringendo i pugni. La ragazza lo guardò male per poi andarsene, seguita da tutti i ragazzi che erano venuti a vedere cosa stesse succedendo. Quando si furono allontanati tutti il ragazzo si voltò verso di me, tendendomi una mano, proprio come il giorno prima. Sorrise, facendo splendere gli occhi azzurri.
“Sono Niall”, disse ancora con la mano verso di me. Ebbi l’impulso di stringerla, di parlargli, di ringraziarlo per avermi difesa, ma la voce di Louis mi ordinò di fermarmi.

Non disubbidirmi.


Ripeté. Non volevo essere punita di nuovo e non volevo farlo arrabbiare, così quando la campanella suonò mi alzai e scappai nella scuola.
Dopo le lezioni mia madre mi era passata a prendere a scuola, anche se non l’aveva mai fatto.
“Ti porto dallo psicologo, che tu lo voglia o no”, aveva detto quando ero salita in macchina. Come risposta io avevo sbuffato, ma mi ero arresa. Dopotutto, sarebbe stata la solita noiosissima ora con il solito noiosissimo uomo che provava a farmi dire qualcosa.

Tranquilla, passerà. Appena torni a casa ci risentiamo.

Cosa voleva dire? Che non sarebbe rimasto con me? Non potevo chiederglielo perché c’era mia madre lì e per quel giorno le avevo già dato troppe preoccupazioni, così aspettai di essere sola nella stanzetta bianca del signor Trevor.
“Cosa vuoi dire? Non rimani con me?”, chiesi, ma lui non c’era più. Perché se n’era andato? L’avevo fatto arrabbiare? Sperai di no perché avevo una voglia matta di stare tra le sue braccia. La porta dietro di me si aprì e una ragazza bionda con due grandi occhioni marroni fece il suo ingresso nella stanza. Era giovane, forse sui 30 anni, e aveva un sorriso stampato in faccia.
“Ciao! Tu sei Rachel, giusto?”, chiese ed io mi limitai a fissarla interrogativa.
“Beh, ecco... il dottor Trevor è stato trasferito, ed io sono qui per sostituirlo. Non ti dispiace, vero?”, chiese ancora. Io feci spallucce, tanto non avrei parlato neanche con lei. La ragazza si sedette su la poltroncina in pelle davanti a me e cominciò a parlare.
“Allora, tua madre mi ha detto che sei strana ultimamente, ma vorrei che fosse chiara una cosa: io sono qui per parlare con te, non con tua madre, perciò mi baserò solamente sulle informazioni che mi darai tu. Non le dirò niente, promesso. Allora, vuoi cominciare col dirmi se ti senti bene?”, chiese la ragazza. Io la guardai, chiedendomi perché si aspettasse che parlassi con lei.
“Io sono Lara. Dai Rachel! Parla con me”, disse sporgendosi verso di me e poggiandomi una mano sulla spalla. Io quasi automaticamente mi ritirai, infastidita da quel tocco. Però poi la guardai bene: gli occhioni marroni, la bocca aperta in un sorriso benevolo... ispirava fiducia, così le concessi una breve risposta.
“Sto benissimo, grazie”, risposi atona.
“Sicura?”, chiese fissandomi ancora più intensamente, come se mi stesse studiando. Io annuii scocciata e lei tornò a sedersi tranquilla.
“Allora dimmi, dormi bene la notte?”, chiese frugando in mezzo ad una pila di fogli. Pensai a tutto ciò che mi accadeva di notte e sorrisi.
“Sì”.
“Non ti succede mai niente di strano, qualche brutto sogno...”.
“No. Non ho mai brutti sogni”.
“E cosa sogni di solito?”. A quella domanda non avrei mai risposto, neanche sotto tortura. Volevo che tutta la storia di Lou restasse segreta, quindi non sarei mai andata a spiattellarla in faccia ad una strizzacervelli. Come risposta sprofondai ancora di più nella poltrona, senza accennare a voler rispondere.
“Ho capito, non ti piace questa domanda. Come va la scuola? Hai molti amici lì?”, mi chiese. Quella era una domanda molto più facile e a cui potevo rispondere quasi con sincerità. D'altronde, i miei problemi ad integrarmi non erano un segreto.
“Ho buoni voti ma odio la gente che c’è lì”.
“Odi proprio tutti?”. Ci pensai un attimo su e il volto del ragazzo di quella mattina mi si parò davanti agli occhi, come se fosse davvero lì. Beh, ero sicura di non odiarlo perché si era rivelato diverso dagli altri, ma non potevo dire di conoscerlo bene.
“Non è così, vero?”, mi incalzò Lara.
“No”, mi lasciai sfuggire e mi pentii subito di aver risposto. Lei non doveva sapere ciò che mi passava per la testa.
“E chi secondo te è in qualche modo diverso dagli altri? Me ne vuoi parlare? E’ un tuo amico?”, scossi la testa abbassando lo sguardo. Poi però pensai che non fosse un male parlare del ragazzo, almeno avrei portato la conversazione lontano da Louis.
“E’ biondo e ha gli occhi azzurri come il cielo. E’ gentile, ma un po’ sbadato. L’ho conosciuto perché mi è venuto addosso nel corridoio. Oggi mi ha difesa dalle accuse di una ragazza. E’ stato... carino, credo”, dissi stringendomi nelle spalle. Per me era strana quella situazione perché non mi ero mai trovata a parlare bene di un mio compagno di scuola.
“Come si chiama?”. Ripensai a quella mattina, quando mi aveva detto il suo nome.
“Niall”, risposi sicura.
“E ti piace?”. Ripetei lo stesso gesto che avevo fatto quando mi aveva chiesto dei miei sogni. Come poteva piacermi qualcuno al di fuori di lui? Non lo avrei mai tradito! Lui era la mia vita, l’unico che mi fosse rimasto accanto. E poi non lo conoscevo per niente quel ragazzo.
“Non lo conosco”, dissi infatti.
“E perché non provi a farlo? Dopotutto, non sarebbe interessante scoprire cos’è che lo differenzia dagli altri? Non è un po’ speciale...come te?”. A quelle parole la voce di Louis mi ronzò in testa, come se fosse tornato a parlarmi.

Tu sei speciale, nessuno può capirti a parte me.

No, nessuno era come me, quindi non avrebbe avuto senso provare a conoscerlo.
“Dai, pensaci un attimo. Non credi che proprio perché è diverso dagli altri sia spesso lasciato in disparte come accade a te? Non sarebbe bello se diventaste amici? L’hai detto anche tu che è gentile”. Per un attimo presi davvero in considerazione quelle parole, ma poi pensai a quello che mi era successo per averlo solo toccato e per averci scambiato due parole.
“Non posso”, sussurrai.
Perché?”. Eccolo, il nocciolo della questione. Non importava quanto cercassi di cambiare argomento, riuscivo a tornare sempre al punto di partenza: Louis. Chiusi gli occhi e scossi la testa per far capire che non avrei risposto.
“Va bene, la seduta è finita. Ci vediamo mercoledì, cioè tra due giorni. Mi raccomando, pensa a quello che ti ho detto... a quello che tu hai detto. Prova a seguire i miei consigli, vedrai che farai dei progressi”, disse mentre mi alzavo e mi rinfilavo la giacca. Non la salutai nemmeno e uscii subito dalla piccola stanzetta.
“Allora? Com’è andata?”, chiese mia madre. Io feci spallucce e continuai a camminare senza risponderle. Lei rinunciò a chiedermi altre cose per poi seguirmi e tornare alla macchina. Durante il viaggio verso casa aspettavo con ansia il momento in cui la voce di Louis sarebbe tornata ad occuparmi la mente, ma quel momento arrivò solo quando fui ormai in camera mia, sdraiata sul letto.

Ciao amore.

Disse tranquillo. Almeno non era arrabbiato.
“Ciao. Perché te ne sei andato? Avevo bisogno di te”, piagnucolai.

Non posso più venire dallo psicologo con te, mi dispiace. Quando sei lì devi cavartela da sola. Ma mi fido di te e so che non dirai niente che possa rovinarci, vero amore?
Com’è andata oggi?


“Come al solito. Ora non c’è più il Dottor Trevor ma una ragazza. Mi ha detto di chiamarsi Lara. E’... simpatica, ma non le dirò niente comunque”.

E lei? Cosa ti ha detto? Di cosa avete parlato?

Che cosa dovevo fare? Mentirgli o dirgli la verità? Se lo avessi fatto probabilmente sarei stata punita perché avevo parlato bene di un altro ragazzo. Dopotutto, se lui non poteva venire dallo psicologo con me, voleva dire che tutto ciò di cui avrei parlato con Lara sarebbe rimasto un segreto per lui. Decisi quindi di mentirgli.
“Di niente. Lei voleva sapere cosa sognassi e io le ho risposto che non sogno un bel niente”.

Brava la mia piccola. Ora dai, vieni da me.

Sorrisi posizionandomi meglio sul cuscino e, sorridendo, mi addormentai. Ma in quel momento non ero mai stata così sveglia.


Ciaooooooo!
Sì, finalmente ho deciso di aggiornare.
Allora, non so se questa storia continuerà, perché è molto diversa dal mio genere.
In più, per quanto io abbia aspettato prima di aggiornare, il primo capitolo non ha ricevuto
NESSUNA RECENSIONE.
Quindi devo dedurre che la storia non piace neanche a voi.
Boh, vediamo come va con questo capitolo.
Se vedo che nessuno se la caga la cancello, tanto ne ho altre da scrivere.
Che poi però sarebbe un peccato perchè le idee le ho, solo che se non legge nessuno non ha senso scrivere, no?
Vabbè, fatemi sapere.
Spero tanto in un vostro parere.
Un bacio.

  
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