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Autore: Latis Lensherr    10/06/2013    10 recensioni
La notte in cui Lord Voldemort venne sconfitto dal piccolo Harry, Albus Silente si recò nella casa devastata dei Potter a Godric's Hollow. Lì, fra le macerie e la morte, s'imbatté nel corpo senza vita di una donna di cui l'intero Mondo Magico non conosceva né nome né storia. Si tratta di Phoebe Hool: la persona - l'unica persona - che rimase al fianco dell'Oscuro Signore praticamente per tutta la sua vita. E sarà proprio attraverso i suoi numerosi ricordi che, sedici anni dopo, lo stesso Silente e il Bambino Sopravvissuto intraprenderanno un viaggio che li condurrà negli angoli più bui e mai esplorati della vita del più grande e temuto Mago Oscuro di tutti i tempi.
[Versione revisionata e migliorata di una pubblicazione precedente.]
Genere: Azione, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '"All that's done is forgiven"'
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Capitolo due: Primo sorriso
 
 
Gli occhi verdi di Phoebe Hool si aprirono con cautela, quando finalmente il russare rumoroso della donna addormentata accanto a lei giunse alle sue orecchie. La testolina piena di capelli neri sbucò da sotto le lenzuola bianche, come un timido funghetto che si fa largo fra gli steli d’erba d’un prato. Si mise a sedere e sbatté le palpebre un paio di volte per permettere alle pupille di abituarsi alla scarsità di luce, guardandosi intorno con curiosità: quando l’avevano condotta nella stanzetta occupata dalla levatrice dell’istituto – che per quella sera sarebbe stata anche la sua stanza – non era riuscita ad osservarla più di tanto. Era una camera abbastanza grande da contenere un letto matrimoniale e priva di finestre, ricavata con tutta probabilità da un vecchio ripostiglio. Gli unici mobili presenti erano uno stretto e alto armadio e un comodino, sul quale spiccavano fotografie di bambini dai sorrisi sdentati e di un’anziana coppia a braccetto. La porta dava direttamente sull’atrio d’ingresso illuminato dalle lampade a gas ed era stata lasciata appena un po’ aperta: quando Phoebe glielo aveva chiesto con tono leggermente supplichevole, l’assistente della direttrice che aveva avuto il compito di metterla a letto le aveva sorriso e non aveva avuto il coraggio di scontentarla. Non che avesse paura del buio, no, figuriamoci: ma restare al buio non le piaceva proprio, no no!
Prima di scivolare giù dal materasso e toccare il pavimento freddo con i piedini scalzi, sventolò una manina davanti alla faccia rotonda della levatrice per assicurarsi che stesse effettivamente dormendo profondamente. La camicia da notte emise un lieve fruscio quando, inginocchiata per terra, cercò a tastoni la sua vecchia valigia logora, testimone degli innumerevoli passaggi da un orfanotrofio all’altro. Da quello che le riusciva di ricordare, aveva passato la maggior parte della sua breve vita seduta sul sedile di una carrozza sgangherata con un bagaglio adagiato sulle ginocchia. Aveva poco più di otto mesi quando qualcuno aveva bussato con urgenza alla porta dell’umile casa di un’anziana donna scozzese, da poco rimasta vedova, la quale si era ritrovata sullo zerbino davanti all’ingresso un fagottino scalciante e gorgogliante.
Non una lettera.
Non una traccia o un indizio che potesse aiutarla a rintracciare i genitori o i parenti dell’infante.
Solo una copertina bianca e malandata: e un nome, ricamato maldestramente vicino ad un angolo bucherellato. Hool.
Nessuno sembrava avere qualche relazione con quel semplice cognome o conoscere qualcuno al quale appartenesse. Dopotutto, chiunque avrebbe potuto abbandonarla lì ed andarsene: commercianti di passaggio che si dirigevano verso i mercati più ricchi di Edimburgo; profughi che fuggivano verso l’America o che stavano scappando proprio da essa. Zingari; briganti ricercati dalla polizia e fanciulle ingravidate in modo disonorevole…la lista poteva andare avanti all’infinito.
Non avendo la capacità finanziaria per poter mantenere nemmeno se stessa, la donna aveva intrapreso un lungo e faticoso viaggio per accompagnare la piccola in un modesto ma ben tenuto orfanotrofio nella vicina Glasgow.
Da quel giorno la bambina aveva passato la sua vita fra le mura di qualche istituto per l’infanzia. Qualcuno si era preoccupato di darle il nome di Phoebe e qualcun’altro aveva provveduto a far scomparire anche l’ultimo – flebile, sbiadito – ricordo di una famiglia.
I lunghi viaggi erano iniziati poco dopo il suo terzo compleanno. Era il 1929 e il mondo stava affrontando forse la più grave crisi finanziaria di tutta la storia dell’umanità: gli orfanotrofi di tutto il Regno Unito, che già si accontentavano dei magri finanziamenti che il Governo concedeva loro, si erano visti sottrarre anche quelli. In mancanza di soldi e di appoggi per mantenere i piccoli ospiti, molti istituti minori erano stati costretti a chiudere i battenti e a trasferire i bambini in strutture più fortunate. In quel modo, Phoebe Hool aveva viaggiato per quasi l’intera nazione inglese, partendo dalla Scozia – Dumfries, New Castle, Southport, Leicester, Luton – e arrivando infine nel più grande orfanotrofio della capitale, con la solita valigia rattoppata e nessun particolare desiderio, bisogno, di fermarsi in maniera definitiva.
Aprì il bagaglio e strinse contro il piccolo petto un fagottino che Lynette, la ragazza che si occupava di lei nel precedente istituto, aveva preparato appositamente la sera prima ponendolo sopra la piccola pila dei suoi vestiti ripiegati.
Uscì dalla stanza in punta di piedi.
L’atrio sembrava apparentemente deserto: con tutta probabilità la sorvegliante di turno si era addormentata nel suo gabbiotto e così nessuno notò la corsa impacciata della piccola Phoebe, che raggiunse in pochi istanti le scale di pietra e cominciò a salirle un gradino per volta. Quando passò sotto ad una grossa lastra di marmo appesa alla parete ruvida, si fermò ad osservare le lettere perfettamente colorate e incise nella pietra con il naso all’insù. Aveva compiuto sei anni da qualche mese e la sua capacità di leggere era ancora parecchio incerta e zoppicante, ma riuscì ugualmente a comprendere che quella era una sorta di insegna che aveva il compito di commemorare il trentesimo anniversario dall’apertura dell’istituto per l’infanzia londinese di Wool’s. Continuò tranquillamente la sua marcia silenziosa.
Arrivata al pianerottolo del primo piano si guardò intorno strizzando gli occhi nella penombra. Aveva già afferrato la maniglia della prima porta sulla destra quando le tornò in mente che la stanza che stava cercando si trovava al secondo piano. Strinse con un più forza l’involto al petto e raggiunse la rampa di scale saltellando.
Phoebe Hool aveva varcato l’ingresso di ferro dell’orfanotrofio quella mattina presto, quando il sole era ancora un grigiore appena accennato nel cielo notturno, in compagnia di altri cinque bambini. La direttrice – una donna tanto rinsecchita quanto severa che tutti chiamavano semplicemente Signora Cole – li aveva ricevuti in maniera frettolosa, abbandonando i modesti bagagli nell’atrio d’ingresso e facendo sistemare i nuovi ospiti nella grande mensa deserta con piatti ricolmi di pane e burro.
Il resto della popolazione dell’orfanotrofio li aveva raggiunti in poco meno di mezz’ora, ognuno con la propria divisa grigia e malinconica, riempiendo così la sala di un confortante chiacchiericcio che rimbalzava sulle pareti. Intorno al piccolo gruppetto si era immediatamente formato un capannello di bambini curiosi ed eccitati. C’era chi poneva domande sul loro precedente istituto o sul colore delle loro vecchie divise; chi chiedeva se il paesino di Luton fosse tanto diverso da Londra e se era vero che da quelle parti mangiavano solo zuppa di cavoli. E c’era chi, invece, si offriva di far loro da cicerone, guidandoli nelle varie zone dell’edificio, o di aiutare i più piccoli – la stessa Phoebe e un bimbo di appena quattro anni e mezzo di nome Dorsey – a mangiare e vestirsi. Un certo Eric Whalley, uno dei bambini più grandi, aveva tenuto banco in modo particolare. Mentre spalmava distrattamente generosi strati di burro sulle fette di pane, si era lanciato in un lungo monologo nel quale aveva elencato ai nuovi arrivati le varie regole e orari che si dovevano rispettare alla Wool’s; ciò che faceva imbestialire la direttrice e ciò che poteva evitare loro una permanenza prolungata nella famigerata “Stanza”. E per terminare aveva dato una descrizione molto vaga degli altri bambini presenti nell’orfanotrofio.
Eric li aveva rassicurati che non avrebbero avuto nessun tipo di problema con il resto del gruppo: specialmente se si tenevano a dovuta distanza da un certo Tom Riddle…
< Perché? Chi è Tom Riddle?> aveva domandato uno dei bambini di Luton.
< E’ un bambino spaventoso!> era intervenuta una ragazzina con le lentiggini, abbassando di parecchio il tono di voce. < Ha sempre vissuto nell’orfanotrofio e qualcuno dice che sua madre si sia lasciata morire perché non riusciva più a sopportare la sua presenza.>
< Anche i ragazzi più grandi hanno paura di lui!> aveva aggiunto un altro bambino con un singhiozzo.
Eric Whalley aveva fatto un cenno per ottenere il silenzio e, con fare cospiratorio, aveva spiegato:
< Più di una volta sono capitate delle cose molto strane da queste parti…e tutte le volte Riddle era presente o comunque nei paraggi. Nessuno riesce a stare da solo nella stessa stanza con lui senza scappare urlando. E la Signora Cole non vuole ammettere apertamente le sue stranezze, ma lo sanno tutti che il coniglio di Billy Stubbs non si è ammazzato da solo…>
< Che tipo di stranezze?>
< Porte e finestre che si aprono e si chiudono per conto loro. Bambini che si fanno male senza sapere come. Compare alle spalle silenzioso come un fantasma. Fa cose strane. Come delle magie!>.
Fino a quel momento Phoebe Hool non aveva minimamente prestato attenzione ai discorsi intorno a lei, troppo impegnata com’era a raggiungere il piatto su cui stava il pane con il braccio proteso sopra il tavolo. Ma l’ultima parola pronunciata da Eric Whalley l’aveva richiamata come il trillo di un campanello.
< Magie?!> aveva domandato con la bocca piena di pane. < Chi fa le magie?>
Tutti i bambini con le divise grigie avevano indirizzato con cautela i propri sguardi verso un tavolo poco lontano, dove un ragazzino magro e pallido terminava in silenzio la propria colazione senza prestare attenzione a nessuno.
Raggiunse il pianerottolo del secondo piano con un pizzico di euforia che sfarfallava in mezzo al petto.
Si avvicinò frettolosamente alla prima porta sulla destra e riuscì ad aprirla al secondo tentativo, quando si alzò sulle punte dei piedi per abbassare la maniglia. La stanza era parecchio stretta e, nonostante la finestra posizionata sul muro opposto, illuminata solo dalla falce di luce che la porta socchiusa proiettava all’interno. Intravide le sagome scure di un armadio dalle ante spesse, di un paio di comodini, di una scrivania di legno e di una seggiola divorata dalle tarme. I lettini in ferro erano due ma solo quello attaccato alla parete di sinistra era occupato da un rigonfiamento sotto le lenzuola. Lasciando la porta aperta, Phoebe entrò nella stanza e si avvicinò. Il bambino dormiva su un fianco dandole le spalle, la nuca scura era abbandonata senza riserve sul cuscino e le lenzuola si erano ammassate intorno alle spalle: si sollevavano a ritmo del suo respiro e lasciavano intravedere le righe blu verticali del pigiama.
La mano della piccolina artigliò saldamente il tessuto e cominciò a strattonarlo con forza. L’altro emise subito un mugugno infastidito e si girò supino sul materasso, mentre usciva lentamente dal dormiveglia stropicciandosi un occhio. Era ancora così assonnato che rimase alcuni secondi a fissare l’altra persona presente nella stanza senza capire. Nel momento in cui la coscienza riaffiorò, gli occhi scuri si spalancarono e il resto del corpo si irrigidì. Si mise a sedere con uno scatto e cercò a tastoni la manovella della lampada a gas sistemata sul comodino vicino, senza staccarle gli occhi di dosso nemmeno per un momento. La luce cruda e giallognola si diffuse all’istante disperdendo le ombre.
Il ragazzino seduto sul letto rimase a squadrarla per un po’ con espressione ostile, come se stesse valutando il suo grado di pericolosità. I suoi occhi attenti si soffermarono sui lineamenti smunti del viso e sui capelli scuri tagliati a caschetto, sulla povera camicetta da notte e sui grandi occhi verde bottiglia.
Phoebe Hool ricambiava lo sguardo indagatore dell’altro con uno curiosamente perplesso. E siccome le sembrò che l’altro non avesse alcuna intenzione di parlare per primo, alzò cautamente la mano e salutò muovendola appena:
< Ciao…>
< Chi diavolo sei tu? Cosa ci fai nella mia stanza?!> le ruggì contro lui all’istante, senza lasciarle nemmeno il tempo di terminare la frase.
< Io mi chiamo Phoebe > disse, indicandosi con un dito puntato contro il petto. < Tu sei Tom, giusto?>
< Non sono affari tuoi! Ho detto: cosa ci fai nella mia stanza.>
< Gli altri bambini dicono che tu fai le magie. Voglio vederne una anch’io > spiegò la bambina, alzandosi un poco sulle punte dei piedi.
Il ragazzino rimase in silenzio per una manciata di secondi, continuando a studiarla con il mento leggermente alzato. Il labbro inferiore ebbe una contrazione quasi impercettibile mentre domandava in tono asciutto:
< E cos’altro dicono gli altri bambini?>
< Non lo so > rispose semplicemente lei con un’alzata di spalle. < Me la fai vedere una magia, adesso?>
< No; sparisci!>
< Ti prego, ti prego! Solo una! Ah…aspetta. Ti ho portato una cosa > farfugliò tutta agitata, mentre si inginocchiava e poneva il fagotto bianco sul pavimento davanti a lei. Disfò il nodo solo dopo qualche tentativo, poi si rialzò.
Nel frattempo, l’altro si era sporto silenziosamente oltre al letto per sbirciare ciò che stava facendo.
< Ho portato i miei giocattoli: se tu mi fai vedere una magia, io te ne regalerò uno. Ma uno solo!> precisò la bambina. Si accucciò di nuovo a terra e ritornata in posizione eretta appoggiò un malconcio balocco di legno sul materasso, aggiungendo: < Questo è il mio trenino. Ti piace? Puoi prenderlo, se vuoi.>
< Non lo voglio > sputò Tom, facendo cadere l’oggetto sul pavimento con una manata.
Phoebe rimase a fissarlo per un secondo e subito dopo tornò ad abbassarsi verso il pavimento, senza scomporsi e riempiendosi le mani di tutti i giocattoli rimanenti. Sulle lenzuola vicino al ragazzino si posarono una raganella, una trottola dai colori incrostati, una corda per saltare troppo corta e una cartolina spiegazzata di un paesino sperduto e disperso nella nebbia. La piccola fece scorrere i grandi occhi verdi sui suoi poveri averi, prima di riprendere dicendo:
< Questi sono gli altri. Prendi quello che ti piace di più. Ho anche un quadretto di cioccolata, se la vuoi!>
< Non voglio niente > ribatté irritato l’altro, quando la bambina gli porse il fazzoletto che avvolgeva il dolcetto. < Vai via!>
< Ma io voglio vedere una magia!> protestò lei con tono piagnucoloso.
Tom Riddle era a un passo dall’esasperazione. Si mise in ginocchio sul proprio letto e lanciò un’occhiataccia furente a quella fastidiosa marmocchia che se ne stava aggrappata al bordo del suo materasso.
Voleva una magia?! Ebbene l’avrebbe avuta! Avrebbe fatto in modo che quella mocciosa si pentisse amaramente di essere andata a ficcare il naso in camera sua e di averlo importunato a quel modo. L’avrebbe fatta scappare a gambe levate nella sua stanza, nello stesso identico modo in cui faceva fuggire terrorizzati tutti gli altri bambini dell’orfanotrofio. Sarebbe scappata via e avrebbe cercato conforto e protezione dalla Signora Cole. Con tutta probabilità si sarebbe beccato una bella punizione, ma ne sarebbe valsa la pena!
Per prima cosa puntò gli occhi scuri in direzione dell’ingresso rimasto aperto: all’istante la porta di legno, come sospinta da una folata di vento particolarmente forte, si chiuse sbattendo. Phoebe sussultò visibilmente e si voltò da quella parte con gli occhi sbarrati.
Senza perdere tempo, poi, Tom mosse il proprio sguardo sulla lampada a gas. Socchiuse appena le palpebre mentre cercava la concentrazione necessaria. Gli ci vollero solo pochi secondi e il pesante oggetto di metallo cominciò a vibrare sul ripiano, prima solo lievemente e in seguito sempre più chiaramente
E poi si sollevò.
Un centimetro. Due, tre, quattro!
Quando ebbe superato di parecchio le loro teste, la lampada cominciò a muoversi velocemente per la piccola stanza. Compì svariati giri e roteò diverse volte su se stessa; passò avanti e indietro davanti alla finestra e sfrecciò sotto la scrivania; sopra l’armadio. Sfiorò pericolosamente la testa della bambina scompigliandole i capelli: Phoebe seguiva i movimenti della lampada a gas con la bocca spalancata e il naso all’insù, ammutolita e affascinata.
Solo quando fu soddisfatto e praticamente certo di averla impressionata a dovere, il ragazzino ordinò alla luce di tornare alla sua posizione di partenza con un breve cenno del capo. E quella, ubbidiente, ritornò sopra al comodino dove si fermò immediatamente.
A quel punto Tom poté riportare il suo sguardo trionfante sulla piccoletta che, ancora con la bocca aperta a formare una O, lo fissava completamente sbalordita. Ma l’espressione arrogante gli morì in viso quando il disorientamento dell’altra si trasformò in qualcosa d’altro. Si sarebbe aspettato di tutto: pianti e singhiozzi; strilli spaventati e labbra che tremavano. Mani che artigliavano spasmodicamente l’aria e piedi che si muovevano all’indietro nel disperato tentativo di raggiungere la porta.
Si sarebbe aspettato di tutto: tranne quell’ampio sorriso gioioso e accalorato che le illuminò l’intero viso.
Phoebe Hool non lo avrebbe mai saputo, ma quello fu il primo sorriso che il giovane Tom Riddle avesse mai ricevuto da qualcuno in tutta la sua vita. Un sorriso vero, sincero, diverso da tutti quelli di circostanza che si era abituato a vedere sulle facce di adulti e bambini quando si rivolgevano a lui.
Un sorriso vero, sincero…e tutto per lui!
Per lui e per le meraviglie che era in grado di fare.
Ma lui non sapeva come comportarsi di fronte a un sorriso.
Fu per questo motivo che il ragazzino rimase a fissare Phoebe con un’espressione a metà fra il perplesso e il risentito – incapace per la prima volta in vita sua di trovare le parole per rispondere a un’altra persona – anche quando la bambina esclamò entusiasta:
< E’ stato fantastico! Puoi insegnarmi come si fa?>
Quel piccolo e semplice gesto gli aveva procurato un profondo e mai provato disagio lasciandolo completamente spiazzato, così tanto da spingerlo a correre ai ripari; a correre ad alzare barriere ancora più spesse davanti a quelle che già aveva eretto. Aveva nuovamente sbarrato le porte e aveva contrattaccato con ancora più furore di prima.
< NO! TI HO DETTO DI SPARIRE, MOCCIOSA!> gridò con il viso minacciosamente vicino a quello della bambina. E senza attendere una risposta da parte sua, tornò a sdraiarsi sul letto dandole le spalle.
< E va bene > aveva risposto l’altra con tono pedante. < Se mi insegni come si fa, ti darò due dei miei giochi più metà cioccolata, va ben…>
Non terminò la frase. Come se due forti e ben strette mani invisibili l’avessero afferrata e avessero cominciato a trascinarla, una forza irresistibile le fece percorrere tutto lo spazio della stanza all’indietro fino alla porta. Non fece quasi in tempo a rendersi conto di cosa stava succedendo che era già fuori nel corridoio e con la porta sbattuta in faccia.
Ci impiegò una decina di secondi per assimilare ciò che le era capitato. Subito dopo si aggrappò alla maniglia opaca e impuntò i piedi nel pavimento tentando di forzare l’ingresso. Poi cominciò a bussare ripetutamente e a implorare a mezza voce:
< Oh, dai, ti prego! Solo una piccola piccola. Una sola!>
Quando capì che non le avrebbe aperto, qualsiasi cosa avesse fatto, gonfiò le guance paffute in una smorfia imbronciata e si incamminò amareggiata verso le scale che portavano ai piani inferiori.
A metà della rampa la sua delusione diventò ancora più cocente: si era resa conto solo in quel momento che l’altro si era tenuto la cioccolata e tutti i giocattoli.
 
 
 
 
Note dell’autore.
 
Salve a tutti: qui è la vostra Latis che vi auguro un buonissimo lunedì pomeriggio!
Non mi sembra ancora vero di essere riuscita a pubblicare puntuale ^^
Sono molto fiera di me stessa *si molla delle sonore pacche sulla spalla da sola*
 
Ma passiamo a cose più importanti.
Ecco il secondo capitolo: che ne pensate? Vi è piaciuto?!
Alla fine ha mantenuto più o meno la linea guida della vecchia versione, ma a me è piaciuto molto di più scrivere questa nuova stesura rispetto alla precedente :)
Boh, non so…mi sembra più simpatica e carina. Voi che dite?!
 
Solita sfilza di cose da dire.
 
ALTRA NOVITA’. Continuando a parlare di novità, in questo capitolo quella più lampante è sicuramente il POV di Phoebe che è diventato ancora più centrale rispetto alla vecchia versione. In questa nuova pubblicazione ho deciso che tutta la storia sarà vista attraverso gli occhi della nostra protagonista. Un po’ per marcare ancora di più il fatto che la storia procede attraverso i ricordi della ragazza e un po’ – ragione assolutamente egoistica XD – per non dover rischiare di fare troppi pezzi in cui è presente il pensiero di Tom. Eh sì, quel ragazzo mi terrorizza *Tom ride in modo malvagio* : ho sempre paura di finire nell’OOC per colpa sua. Naturalmente ci saranno ancora momenti in cui verrete a sapere cosa frulla nella testa del nostro Mago Oscuro preferito, ma saranno nettamente dimezzate per il mio egoistico piacere…muahahahahahhah!
 
ERIC WHALLEY. Per chi non conoscesse questo nome, non l’ho inventato. Questo piccolo ospite viene nominato da una delle assistenti della Signora Cole durante il ricordo di Silente all’orfanotrofio di Wool’s. Insomma…non è farina del mio sacco, l’ho preso in prestito dalla vecchia e cara zia Row. Tutto il resto invece è mio ^^
 
 
Mi sembra che non ci sia altro da aggiungere.
Per il vostro piacere, in questo capitolo sono stata breve e concisa…verrò a rompere nel prossimo, che a proposito apparirà su queste frequenze…LUNEDI 24 GIUGNO!
 
Ultima cosa: RINGRAZIAMENTI.
Devo fare un ringraziamento speciale a tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo: MAYA_POTTER, LORY1989, GOSSIP_GIRL, ELYZA, SANTA VIO DA PETRALCINA, KURAPIKA95, ERODIADE e BLACKLESTRANGE.
Grazie infinite a tutte voi: il vostro entusiasmo e il vostro sostegno fanno tanto bene ;)
 
Un grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate. E anche a chi ha solo leggiucchiato: io mi esalto anche solo per una visualizzazione in più XD
 
Credo che con questo sia tutto.
Ancora grazie infinite a tutti!
Ci risentiamo presto.
 
Un bacio. Latis.
   
 
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