9)Come on let me hold you, touch you, feel you. Always
La
mattina dopo vengo
svegliata dal suono del telefono.
Dall’altra parte del filo
c’è Jack, lo sento felice e di conseguenza, anche
se mi manca molto, mi sento
felice anche io.
“Ciao mamma!”
“Ciao amore! Come stai?”
“Bene, sto imparando a
fare surf e poi è venuto papà da zia Anne. Ha
detto che si comprerà una cosa
qui vicino e così potremo vivere insieme.”
“Sono felice, tesoro.
Probabilmente anche io tornerò negli Stati Uniti, non posso
stare troppo
lontana dal mio ometto.”
“Papà mi ha detto tutto,
stai con Tom, ora?”
“Io… sì.”
“Va bene. Passami Ava, per
favore.”
Io lo accontento e chiamo
la ragazzina, rimangono un po’ a parlottare tra di loro e poi
lei mette giù il
telefono sorridendo.
Cosa si siano detti rimane
un mistero, ma dal sorriso di Ava deduco che abbiano tubato, se
così si può
dire per dei ragazzini di dieci anni.
Tom guarda sua figlia
leggermente perplesso, immagino stia pensando a cosa fare con lei e a
come
valutare questa cotta che lei ha per Jack.
“Fra dieci anni mi
ritroverò tuo figlio come genero.”
Borbotta alla fine,
facendomi scoppiare a ridere.
Facciamo colazione tutti
insieme e poi portiamo i bambini
a
scuola, solo per un miracolo di una non ben specificata
divinità riusciamo a
fuggire dalla massa di mamme curiose.
Quelle della scuola
elementare vogliono davvero sapere se sto con Tom, se è vero
che io e Mark ci
siamo lasciati e dove è Jack.
Quelle dell’asilo invece
sono affamate di pettegolezzi su quello che è successo il
giorno prima e
vogliono sapere chi fosse quella donna. Solo una ragazza madre mostra
un po’ di
comprensione e forse ci riconosce perché distrae le altre
arpie abbastanza a
lungo da lasciarci il tempo di scappare.
Una volta arrivati in
macchina ci sentiamo sicuri e ci dirigiamo verso il nostro solito bar,
il
barista ci sorride. Forse si è preoccupato perché
non ci ha visto per così
tanti giorni o forse era solo felice di avere dei clienti.
In ogni caso al nostro
tavolo arriva anche la donna sdentata.
“Due cuori spezzati ne
hanno formato uno nuovo?”
Io sorrido.
“Sì.”
“E lui è tornato?”
“Sì, è tornato, ma non era
più lui la metà giusta del mio cuore.”
Lei sospira.
“Succede. Lasci un attimo
la mano del tuo amore e quello si volta dall’altra parte e se
ne va. La vita è
mutevole. Vi auguro tanta felicità.”
“Grazie mille.”
Le rispondiamo in coro mentre arrivano le nostre ordinazioni.
Per fortuna c’è almeno una
persona che non ci giudica a questo mondo.
Il cappuccino e le
brioches sono buone come le ricordavo, fuori dal bar la ragazzina
indiana e il
ragazzo che avevamo visto baciarsi di nascosto al parco camminano
tranquilli
mano nella mano, segno che forse i genitori di lei non
l’hanno né ammazzata né
spedita in India.
Non posso fare a meno di
sorridere, questo mi sembra l’inizio di una buona giornata.
È un presentimento giusto,
la mattina trascorre tranquilla, a mezzogiorno mi metto a cucinare
guardata a
vista da vista da Tom che ha stampato in faccia un sorrisetto
inesplicabile.
“Stasera mettiti carina,
che ti porto fuori.”
“Oh, è un invito a cena
ufficiale?”
Lui ride grattandosi la
testa.
“Uhm, devo corteggiarti,
no?”
“Sì, penso proprio che
dovresti corteggiarmi.”
“Perfetto, allora
aspettati di essere corteggiata da me e presto.”
Io sorrido e tra me e me
mi dico che non ha alcun bisogno di corteggiarmi, mi ha già
– sono qui con lui
e non con Mark – ma mi piace che mi dedichi attenzioni, mi fa
sentire bene.
Ho bisogno di qualcuno che
mi faccia sentire bene dopo tutto il dolore di questo periodo e, anche
se non
pensavo che sarebbe stato lui quello che l’avrebbe dato, mi
sento felice anche
solo al pensiero della nostra cena insieme.
I miracoli dell’amore!
Come se avesse sentito i
miei pensieri Tom si avvicina e mi abbraccia, baciandomi dolcemente il
collo.
“Cosa stai preparando?”
“Pasta al pesto.”
“Il pesto sarebbe la roba
verde?”
Indica scettica il
pentolino in cui il pesto sta cuocendo tranquillo.
“Sì, è una ricetta
italiana.”
“è buono?”
“Oh, sì!”
Lui sembra poco convinto,
io lo bacio a tradimento e la questione pesto viene accantonata per il
nostro
bacio. Questa volta non c’è nulla di aggressivo,
c’è solo dolcezza, in fondo ci
conosciamo già e sappiamo che possiamo funzionare.
Mi stacco di malavoglia
per controllare il cibo, fortunatamente lo faccio perché
poco dopo arriva Ava.
“Sono a casa! Cosa c’è di
buono?”
Urla dalla soglia.
“è tua figlia Tom.”
Lui ride.
“Sì. Pasta al pesto,
tesoro!”
“Buona!”
Ava fa capolino in cucina
e annusa l’aria come un cagnolino.
“Sì, ha un buon odore. Non
è come quella che tentava di fare la mamma senza riuscirci,
vado a preparare la
tavola!”
Dice sorridendo, io invece
scolo la pasta e preparo tre piatti, Tom decide di aiutare Ava e presto
siamo a
tavola tutti insieme.
Questo pranzo sa
stranamente di famiglia e non di rovina famiglie, Ava mi ha accettato
in pieno
e subito. Jen deve essere stata una pessima madre, forse farcela non
è poi così
impossibile!
Il
pomeriggio trascorre
tranquillo se non per la mia ansia.
Non so cosa mettermi, mi
sento impacciata come una ragazzina al primo appuntamento, voglio che
Tom mi
trovi attraente anche se non penso di avere bisogno di un bel vestito
per
quello.
In fondo mi ha visto in
lacrime e con il trucco sfatto e non se ne è andato, al
contrario è rimasto al
mio fianco per asciugarmi le lacrime.
L’unica cosa da fare è
rimanere calma.
Keep calm e andrà tutto
bene, Skye!
Mi dico mentre respiro
profondamente dopo aver fatto la doccia davanti al mio armadio
straripante di
vestiti, ma non di quello che io considero giusto.
Alla fine scelgo un tubino
nero di seta senza maniche, molto semplice.
Mi lego i capelli in una
semplice coda alta con i capelli che mi ricadono lisci sulle spalle e
poi mi
trucco. Scelgo un trucco smokey piuttosto elegante, ma con un
po’ di
personalità e alla fine un paio di scarpe a tacco altissimo
con il cinturino e
una pochette che contiene giusto le mie sigarette.
Quando esco Tom mi lancia
un fischio di ammirazione.
“Stai benissimo!”
Anche lui sta benissimo
nella sua semplice camicia bianca, nei sui jeans scuri e nelle Macbeth
scure,
anzi è perfetto.
Ava mi guarda e alza un
pollice subito imitata da suo fratello.
“Allora, adesso vi
portiamo da Alice e ci vediamo domani mattina, fate i bravi e non
fatela
arrabbiare!”
La voce di Tom è pacata,
ma vagamente minacciosa, i suoi figli annuiscono. Alice è
una compagna di
classe di Ava che li ha invitati a dormire a casa sua, coincidenza
assolutamente perfetta.
Usciamo tutti e quattro
allegri e vocianti e saliamo in macchina, la prima tappa è
la casa della
ragazzina. Io e Tom scendiamo e accompagniamo i ragazzi, Tom raccomanda
alla
madre di non aprire a una donna dai capelli castani che dice di non
essere la
madre dei ragazzi.
La donna annuisce e noi ci
rechiamo a un’elegante ristorante giapponese della city, una
donna in chimono
ci scorta fino al nostro tavolo nascosto alla vista degli altri da
un’elegante
separé di carta bianca con disegni di sakura in fiore.
Ordiamo del ramen e della
carne alla piastra, la cameriera sorride e con un leggero inchino se ne
va.
“Ti piace?”
“è bellissimo, è così di
classe.”
“Per te solo il meglio o
almeno quello che io penso sia il meglio.”
Io sorrido.
Mentre aspettiamo la cena
lui mi racconta del divorzio dei suoi e di come lo abbia segnato, gli
dispiace
imporre lo stesso dolore ai suoi figli, ma purtroppo ci è
stato costretto.
Io gli racconto dei miei,
il loro matrimonio resiste, ma non è un segreto per nessuno
che mio padre abbia
un’amante da anni. Mamma sopporta e dice che va bene
così, che l’importante è
che lui non la lasci da sola nella vecchiaia.
Forse è per questo che io
ho voluto lasciare subito Mark, ho visto troppe recite inutili nella
mia
adolescenza e non mi andava di riviverle in prima persona da adulta.
Quando arriva il ramen le
chiacchiere lasciano posto al cibo, che è decisamente buono!
“Buonissimo!”
“Vero? L’ho scoperto la
seconda sera dopo che me ne sono andato da casa tua e mi sono
innamorato della
cucina e del posto.”
“Hai abitudini costose.”
“Per ora posso permettermele!”
Dice lui ridacchiando.
Finito il primo la
cameriera di prima ci prepara la griglia per la carne e poi ce ne
lascia un
quantitativo generoso. La mangiamo tutta con gusto, è
buonissima anche questa,
la serata sta procedendo da dio e io mi sento leggera e felice.
Finita la cena mi porta a
vedere un horror, inutile dire che gli sto attaccata tutto il tempo,
con la
testa seppellita nell’incavo delle sue spalle. È
un posto comodo e
confortevole, perché mettere la testa fuori e trovarsi di
fronte al perverso
serial killer che sullo schermo sta mietendo vittime?
Finito il film passeggiamo
lungo il Tamigi con le luci di Londra a farci compagnia e il rumore
della città
di sottofondo, chiatte pigre passano lungo il fiume.
Tra di noi c’è un silenzio
complice e le nostre mani sono intrecciate, ogni tanto mi fa qualche
carezza
timida sul dorso quasi avesse paura di esagerare.
Dopo la nostra passeggiata
torniamo a casa e non appena mi chiudo la porta alle spalle mi porto
davanti a
lui sorridendo.
“Grazie della meravigliosa
serata!”
Lui sorride e mi attira a
sé baciandomi.
Le nostre gambe si muovono
da sole verso la camera da letto mentre ci baciamo e lasciamo una scia
con i
nostri vestiti. Il gancetto del reggiseno risulta particolarmente
difficile da
sganciare per lui, così ci penso io poco prima di stendermi
sul letto.
Lui mi raggiunge
immediatamente – in intimo – e continua a baciarmi
e ad accarezzarmi,
ricambiato da me. Traccio i contorni dei suoi pettorali e delle sua
pancetta
appena accennata, facendolo sospirare.
Lui scende piano dalla
bocca lungo il collo fino ad arrivare al seno e baciarlo, le mie mani
finiscono
nei suoi capelli e dettano il ritmo.
Lo sento sorridere
malizioso e poi scende ancora un po’, fino al confine segnato
dalle mie
mutandine, che volano via subito dopo.
Poi ci sono solo le sue
mani e la sua bocca a farmi gemere, sospirare e urlare quando tocca
certi
punti. Il primo orgasmo arriva come una scarica elettrica e mi lascia
senza
fiato per almeno un minuto, nel frattempo qualcosa preme contro le mie
cosce.
Io mi riprendo e comincio
ad accarezzarlo e a prendere in mano la sua situazione, ben presto
è lui che
geme e grida il mio nome. Quando smetto ho solo il tempo di sorridere
perché
lui entra subito in me con spinte lunghe e dolci. Continuiamo
così – spinta
dopo spinta, gemito dopo gemito – fino a quando arriviamo
all’orgasmo che ci
lascia senza fiato uno sopra l’altra.
“Ti amo, Skye!”
Sussurra contro le mie
spalle.
“Ti amo, Thomas.”
Sorridendo, ci fumiamo una
sigaretta insieme e continuiamo a parlare di varie cose, delle nostre
visioni
politiche, degli alieni, del perché Atlantide dovrebbe
trovarsi vicino alla
Sicilia, dei tour e delle città che abbiamo visto.
Alla fine gli occhi ci si
chiudono da soli e ci addormentiamo abbracciati.
La serata è stata
perfetta.
La mattina dopo sono io la
prima a svegliarmi, i timidi raggi del sole mattutino mi hanno
infastidito al
punto da costringermi ad aprire gli occhi.
Lui dorme ancora, le
coperte sono tutte arrotolate e incasinate e i nostri vestiti tracciano
un
chiaro percorso dalla porta alla camera da letto facendomi sorridere.
Piano mi sposto e scendo
dal letto, prendo le mie mutande e le sua camicia e vado in cucina a
preparare
la colazione.
Uova, bacon e pancakes.
Preparo tutto e poi lo
metto su un vassoio, quando rientro Tom dorme ancora abbracciato al
cuscino.
Che tenerezza!
“Ehi, bell’addormentato!
La colazione è pronta!”
Lui si sveglia e mette a
fuoco me e poi il vassoio, infine sorride e si tira a sedere.
“Bacon e pancakes, sei tu
la donna della mia vita!”
Io rido e mi siedo accanto
a lui, c’è anche del caffelatte per me e
c’è dello sciroppo d’acero.
“Non abituarti, non sarà
sempre così.
Oggi è così perché è una
giornata speciale.”
Lui sorride serafico
mettendosi in bocca una generosa quantità di cibo.
“Lo so, ma so anche che tu
ti prenderai sempre cura di me.”
Io arrossisco come una
ragazzina.
“Certo.”
Finito di mangiare
rendiamo di nuovo la casa presentabile in modo da non dar adito a
domande da
parte dei pargoli, essendo i figli di Tom penso che siano piuttosto
svegli
sull’argomento.
Ci rechiamo a casa di
Alice e la madre ci riconsegna Ava e Jonas, quando stiamo uscendo Jen
si lancia
verso di noi con una faccia da pazza.
Tom mi fa cenno di entrare
in macchina con i bambini e li guardiamo litigare dai vetri della
macchina.
Questa donna sarà un
problema.
Il
temuto lunedì in cui
devo tornare al lavoro arriva.
La mattina mi sveglio di
pessimo umore e brontolo tutto il tempo come una pentola di fagioli,
non ho
voglia di rivedere i miei colleghi, di sicuro vorranno sapere se
è vero che ho
divorziato da Mark e se sto con Tom e se non mi sento una groupie.
E se…Che palle!
Arrivo in ufficio e sulla
mia scrivania c’è una bella montagna di carte, che
bello tornare al lavoro!
“Bentornata, Hoppus! O dobbiamo
chiamarti DeLonge?”
Mi chiede Doris, una delle
colleghe che più mi sta antipatica.
“Chiamami Everly, così
risolvi il problema alla base!”
Sputo acida prima di
mettermi a lavorare.
Fortunatamente mi lasciano
in pace tutta la mattina e qualcuno torna alla carica solo durante la
pausa
pranzo.
Che noia!
“Sentite, non lo ripeterò
due volte. Mi sono separata da Mark Hoppus e adesso sto con Tom
DeLonge. Se
volete chiamarmi puttana siete liberi di farlo, ma smettetela di
chiedermi
dettagli su quello che è successo perché non ho
voglia di parlarne e non sono
fatti vostri, comunque!”
La mia predica spegne ogni
desiderio di chiacchiere da parte dei colleghi, nessuno chiede
più nulla,
ognuno bisbiglia la versione che vuole.
In una sono una puttana,
nell’altra una donna.
Io mi sento solo Skye.
Lavoro fino alle cinque e
mezza e poi mi immetto nel traffico della city, direzione casa mia e
affetti
che lì risiedono.
Quando arrivo Ava sta
facendo i compiti sul tavolo, alternando il fare matematica con il
messaggiare
con qualcuno, io butto un’ occhiata distratta e mi accorgo
che il mittente è
mio figlio.
Jonas invece guarda la tv
con Tom, che sonnecchia, la testa che ciondola di qua e di
là.
“Buonasera a tutti!”
“Buonasera Skye, come è
andata al lavorio?”
Mi chiede Tom stiracchiandosi.
“Bene, li ho zittiti
tutti.
Quanto pensi di rimanere
ancora?”
“Non so, perché?”
Io mi siedo accanto a lui,
scalciando via gli stivali e mettendo i piedi sul tavolino basso del
salotto.
“Oggi il mio capo mi ha
detto che c’è un posto vagante a Mtv America, sede
di Los Angeles/San Diego e
vuole sapere se sono interessata, data la mia situazione.”
“In effetti mi piacerebbe
tornare a San Diego, anche perché le udienze per il divorzio
si terranno lì.”
“Anche a me manca San
Diego, potremmo rimanere qui ancora un mese e partire quando quel posto
sarà
libero.”
“Mi sembra una buona
idea.”
“Mi manca Jack, spero che
questo mese passi in fretta così rivedrò il mio
ometto. Scommetto che sarà
cresciuto e sarà abbronzato.”
“Spero non mi odi più così
tanto.”
Io non dico nulla perché
non ho idea di come mio figlio potrebbe accogliere Tom, è un
tipo imprevedibile
come suo padre.
Subito dopo mi alzo per
preparare la cena, Ava è ancora immersa nei suoi compiti di
mate quando le
chiedo gentilmente se può sgombrarmi il tavolo visto che
devo apparecchiare, lei annuisce.
“Devo chiedere a papà un
mano, non ci capisco niente di questa roba.”
Borbotta, fortuna che non
l’ha chiesta a me perché anche io non ci capisco
niente di questa roba.
Io apparecchio e poi
chiamo tutti a cena, anche se oggi ho cucinato solo un minestrone pare
che
nessuno lo insulti e dica che faccia schifo.
Dopo cena Tom aiuta Ava
con i compiti e in qualche modo li finiscono, poi ci guardiamo un
po’ di tv
tutti insieme fino alle dieci.
A quell’ora spediamo tassativamente
a letto i pargoli e poi ci godiamo il silenzio della casa, io esco a
fumare una
sigaretta e Tom mi fa compagnia, sedendosi comodamente su una delle
sedie del
terrazzo.
Fuori Londra parla per
noi, c’è il rumore incessante del traffico,
qualche colpo di clacson, gente che
urla, gente che chiacchiera e qualche sirena lontana.
Dopo tutto non è una
brutta città, ci sono un sacco di musei, di quartieri
interessanti e di
negozietti bellini; ma manca di una cosa: il sole.
Il sole che batte amico su
tutto e dirada le ombre si vede poco e per due californiani come noi
è quasi un
trauma, da qui il desiderio di tornare a casa.
“Un po’ mi mancherà questa
città.”
Commenta Tom.
“Anche a me, ma non vedo
l’ora di tornare a casa, qui mi sono sempre sentita solo come
un’ospite di
passaggio, non so se capisci.”
Lui annuisce.
“Sì, anche io. E poi a
casa mia ci sono gli Ava e i blink.”
“E il sole.”
“E il sole, effettivamente
qui si vede molto poco.”
“Ci puoi giurare!”
Dopo questo scambio di
battute rientriamo in casa e ci ficchiamo a letto, io mi fiondo subito
tra le
sue braccia.
Tra di noi cala il
silenzio, ma Tom è pensieroso, sembra stia covando qualcosa
nel suo cervellino.
“Vuoi davvero andartene da
Londra o lo fai per compiacermi?”
“Voglio davvero andarmene,
Tom. Io qui non ho più nulla, voi ve ne tornerete in
California e Jack vive già
là, non ha senso rimanere qui.
E poi davvero qui mi sono
sempre sentita come un’ospite, certo un’ospite
trattata in modo meraviglioso,
ma pur sempre un’estranea.”
Lui annuisce e chiude gli
occhi sorridendo, la questione è chiusa e ora si
può dormire.
Sono abbastanza stanca da
crollare subito tra le braccia di Morfeo.
Buonanotte a tutti.
Buonanotte Londra, un po’
mi mancherai, ma nulla può battere la mia California sul
piano affettivo.
Buonanotte, Tom.
Angolo di Layla
Ringrazio fraVIOLENCE per la recensione. Tra due capitoli sarà finita.