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Autore: HPEdogawa    11/06/2013    1 recensioni
Quando si risvegliò, non ricordava niente di se stesso. Né il suo nome, né dove si trovasse, tantomeno chi fosse. Sapeva solo di essere sdraiato sulla schiena, a contatto con il legno umido di una chiatta sul fiume Han. Si mise a sedere, confuso e stordito, nonché con un potente mal di testa. Solo quando portò una mano a sfiorarsi la tempia, in cerca di sollievo da quel dolore assillante, si accorse di stringere tra le mani un cellulare. Non lo riconobbe, non avrebbe saputo dire se fosse suo o di qualcun altro. Mise a fuoco l'immagine dell'apparecchio elettronico e notò i suoi polsi rossastri, le sue dita sporche di qualche vivida goccia cremisi, rafferma. Sangue. Sempre più confuso, ignorò quelle macchie sulla sua pelle e schiacciò un tasto del cellulare. Lo schermò si illuminò e, quando lo sbloccò, si ritrovò a leggere un messaggio formato da poche righe:
"Hai inviato questo messaggio a te stesso. Quando ti sveglierai non ricorderai più niente.
Ti chiami Kim Yesung. Sei una spia. Cancella questo messaggio non appena l'hai letto e getta il cellulare."
WonYe.
Yaoi.
Tutti i Super Junior, più possibili apparizioni di altre celebrità.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Choi Siwon, Kyuhyun, Leeteuk, Un po' tutti, Yesung
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7.

Kyuhyun.

 

 

La stanza in cui si trovava era buia e fredda. Ma lui non faceva caso al freddo, all'umidità stagnante e all'odore poco gradevole. Tutto ciò che gli interessava era una figura avvolta nell'ombra. Anche senza conoscere la sua identità, sarebbe riuscito a riconoscerlo facilmente. Gli sorrise, sedendosi su una poltrona bitorzoluta, l'unico segno di arredamento presente nella stanza, oltre ad un vecchio tavolo di legno. Accavallò le gambre, concentrando tutta la sua attenzione sul ragazzo di fronte a sé.

-Ciao, Jongwoon-hyung.

-Kyuhyun-ah- lo salutò l'interpellato, il sollievo era palese nella sua voce. Il più piccolo ridacchiò, rilassandosi contro la stoffa impolverata.

-Ti consola il fatto che ci sia io?- domandò.

Jongwoon annuì, sollevandosi fino a sedersi sul tavolo, posto al centro della stanza:

-Sì, ma avrei preferito Shindong.

-Accontentati- tagliò corto Kyuhyun, con il suo solito tono seccato e sbrigativo e i suoi modi spicci di quando ha un lavoro importante da portare a termine.

-Cosa succede, Kyuhyun-ah?- chiese Jongwoon, dondolando le gambe oltro il bordo del tavolo e andando dritto al nocciolo del loro incontro: non era di certo una simpatica rimpatriata.

Il più piccolo rimase in silenzio, ritrovandosi, forse per la prima volta in tutta la sua esistenza, a corto di parole. Fece vagare lo sguardo dal corvino alla finestra sbarrata, e viceversa, mentre il suo cervello si arrovellava in cerca dei termini giusti da utilizzare in una simile circostanza. Parlare non era mai stato un problema, per Kyuhyun: le risposte a tono e i piccoli monologhi erano il suo pane quotidiano; eppure, questa volta, faticava ad esprimere ad alta voce un problema che, nella sua testa, era estremamente chiaro – forse anche fin troppo. Alla fine, dopo interminabili minuti di assordante silenzio e imprecazioni pronunciate mentalmente, Kyuhyun si arrese con due semplici parole:

-Ti controllano.

Nonostante il buio, non fece fatica a nostare il cambiamento d'espressione sul volto del più grande, che si mosse a disagio sul tavolo.

-Come sarebbe a dire?

-Sospettano di te- spiegò l'altro, nonostante fosse sicuro che Jongwoon avesse compreso appieno.

-Devi fare attenzione, hyung.

-Credi che--

-Lo crediamo tutti- lo interruppe velocemente Kyuhyun. -Forse lo sanno.

Tra di loro corse, per qualche minuto, un silenzio attonito, carico di tensione. Dopodiché, Jongwoon scese dal tavolo, mostrandogli la schiena e dirigendosi verso la porta.

-Bene- disse, prima di chiudersela alle spalle, senza voltarsi indietro, e sparire alla vista di quel criminale tanto fuori dal comune.

 

Quando il taxi si fermò di fronte al condiminio, Kyuhyun si riscosse dai propri pensieri, distogliendo lo sguardo dal finestrino e riacquistando conoscenza con la realtà, che per i precedenti dieci minuti era svanita nel nulla, lasciando spazio solamente a ricordi indelebili. Pagò la corsa al tassista e si affrettò a scendere dalla vettura. Raggiunse l'ingresso del condominio, suonando al citofono abbellito dall'etichetta bianca, sulla quale compariva con anonimi caratteri neri il nome della persona che lo stava aspettando. Passarono meno di otto secondi prima che il portone si aprisse con un rumore secco, che rimbombò sulla tromba delle scale interne. Kyuhyun lasciò la porta chiudersi alle sue spalle, mentre saliva le scale a due a due. Arrivato al terzo piano, suonò il campanello dell'interno 8 e, subito dopo, la porta si aprì, rivelando il ragazzo che il più piccolo si divertiva a chiamare “Peter Pan”.

-Jungsu-hyung- disse, con il suo solito sorriso sghembo, entrando nell'appartamento senza troppi complimenti o convenevoli.

-Kyuhyun- lo salutò il più grande, chiudendo la porta. -Perché ci hai messo tanto?- aggiunse, seguendolo lungo il corridoio che il ventenne aveva imboccato con decisione, come se si trattasse di casa sua.

-Ho preso un taxi- spiegò con un'alzata di spalle, guadagnandosi un colpo in piena nuca.

-Ehi!- esclamò, girandosi verso Jungsu.

-Lo sai che non devi prendere il taxi!

-Non succede nulla, per una volta.

-Questa frase l'ho già sentita... Oh, giusto!- esclamò il ventiseienne, con fare teatrale: -Lo aveva detto anche Chaerin, tre giorni prima di finire in prigione.

-Stai zitto, hyung- sbuffò Kyuhyun, fermandosi in cucina, di fronte al corpo addormentato di uno sconosciuto.

-Piuttosto...- disse, voltandosi verso l'altro ragazzo e puntando alla persona ignota: -Spiegami questo.

-E' un agente- disse Jungsu con un sospiro.

-Perché dorme sui file dell'agenzia?

-Perché stava cercando anche lui quello riguardante Jongwoon.

-E l'ha trovato?

-Quasi. L'ho addormentato giusto in tempo- spiegò l'altro con un ghigno, puntando lo sguardo alla mensola che conteneva, in mezzo ai soliti oggetti da cucina, anche un potente sonnifero che aveva versato nel caffè.

-I classici funzionano sempre- ridacchiò Kyuhyun, cogliendo il significato nello sguardo del più grande. -Hai già fatto le fotocopie?

-Fatte, pinzate e fascicolate- sorrise Jungsu, mostrando la sua solita fossetta sulla guancia sinistra. Kyuhyun lo guardò, prendendo i documenti con uno sbuffo:

-Non abituarti al lavoro d'ufficio, Jungsu-hyung.

-Non sia mai.

-Perché il bell'addormentato sta cercando i documenti di Jongwoon?

Jungsu si voltò a guardare Kyuhyun con un sopracciglio inarcato.

-Hai davvero bisogno di una risposta?

Il più piccolo guardò il fascicolo che aveva in mano per pochi secondi, prima di scuotere il capo:

-No. In effetti, no.

-Risposta esatta. E ora esci di qui, prima che si svegli.

-Gli lascerai il fascicolo originale?

-Devo.

-Se finisce nelle mani sbagliate, lo distruggeranno.

-Kyuhyun-ah, è scontato che quei fogli diventeranno cenere entro domani mattina.

-Brindiamo alle fotocopiatrici, allora- esclamò il più piccolo, cercando di distendere la tensione, mentre Jungsu lo spingeva verso l'ingresso.

-Ci vediamo, Kyuhyun-ah, saluta tutti quanti da parte mia- disse, aprendo la porta e facendo uscire l'altro sul pianerottolo. Il ventenne annuì, mettendo il fascicolo al sicuro nella sua tracolla.

-Contaci. Yunho e Heechul ti stanno aspettando. C'è un colpo perfetto per voi, aspettano solo che tutto questo sia finito.

-Ci manca una persona, però- borbottò Jungsu, amaramente.

-Come ti ho già detto, tutto andrà alla fine di questa faccenda. E si spera che per allora, anche Jongwoon sia tornato tra noi- sospirò il moretto.

-Vorrei vederlo...- fece il ventiseienne, con un sussurro, per poi guardare l'espressione indecifrabile sul volto dell'altro. Espressione che, per lui, diceva tutto.

-Tu sai dov'è- dichiarò, incrociando le braccia al petto.

Kyuhyun sbarrò gli occhi, mettendo le mani avanti: -Ho un sospetto, nulla di più.

-Perché non verifichi?

-Perché deve capirlo da solo, non bisogna forzare le cose. Lo sai meglio di me.

Jungsu sbuffò, passandosi una mano sul volto pallido e stanco. Sentirono entrambi dei rumori dalla cucina e, velocemente, Kyuhyun venne spinto verso le scale, mentre l'altro chiudeva la porta con tutta la grazia possibile.

Il ventenne si ritrovò da solo su una rampa di scale fresca e pulita. Sospirò, guardando i documenti tra le sue mani e stringendoli tra le dita lunghe e affusolate.

-Tornerai, Jongwoon-hyung. Costi quel che costi, sarai di nuovo dei nostri.

 

 

Yesung.

 

Yesung fu svegliato da un pulsante dolore alla testa. Con un gemito, affondò il volto nei cuscini e impiegò un po' a capire dove si trovava. Rigirandosi tra le coperte, si ritrovò ad osservare un soffitto azzurro. Corrugando la fronte, iniziò a ricordare ogni dettaglio della giornata precedente. Si portò una mano alle tempie, serrando le palpebre e maledicendosi in tutte le lingue a sua conoscenza. Si sentiva svuotato di ogni energia, come se un trapano gli stesse traforando il cranio e un altro si stesse facendo strada lungo il suo esofago. Si accorse solo allora di trovarsi nella camera di Siwon: l'armadio posto davanti al letto matrimoniale era moderno e piuttosto grande; dalle finestre, assicurate dalle persiane, filtrava qualche spiraglio di luce. Voltandosi verso il comodino, vide parecchie foto incorniciate e poggiate su un centrino di pizzo. Incuriosito, si sporse per guardarle una ad una: Siwon con i suoi genitori; Siwon nel giorno della sua laurea; Siwon con i suoi amici; Siwon e un cane dalle dimensioni abnormi; Siwon il primo giorno di scuola, un sorriso sdentato in volto e la cartella decorata con i personaggi del suo cartone preferito. Sorrise davanti a quei ricordi indelebili, sistemati con ordine e cura, come se fossero un tesoro inestimabile. Lasciò vagare lo sguardo sulle ultime immagini e si pietrificò non appena notò una foto famigliare: lui e Siwon, stretti l'uno all'altro, gli occhi riflettevano il sorriso che avevano dipinto sui loro volti e la felicità che sembravano irradiare da ogni poro. Inconsciamente, si ritrovò a sorridere, sfiorando con le sue piccole dita il vetro che lo separava da quel ricordo cartaceo. Tastando le sue tasche, recuperò la sua foto – sgualcita, vissuta – per poi confrontarla con l'altra. Con sua sorpresa, notò come indossassero, in entrambe, gli stessi vestiti e come il paesaggio alle loro spalle fosse identico. Cambiavano solo le espressioni e le posizioni. Quella di Yesung sembrava programmata, mentre la foto di Siwon gli sembrava, in qualche modo, più vera e naturale, come se fosse stata scattata senza alcun preavviso. Chiudendo gli occhi, Yesung si sforzò, concentrando tutte le sue forze sull'immagine della foto impressa nella sua mente, cercando di ricavarne qualche ricordo. I suoi tentativi furono del tutto inutili, e si arrese non appena sentì la porta aprirsi delicatamente, con lentezza e in modo silenzioso: nel varco tra questa e lo stipite comparve, solo in parte, la figura di Siwon. Non appena notò lo sguardo di Yesung su di lui, sorrise appena:

-Oh, sei sveglio- disse, avvicinandosi al letto e stringendo tra le mani un bicchiere d'acqua e un'aspirina. Poggiandole entrambe sul comodino, si sedette sul bordo del letto, guardando l'amico in volto:

-Come ti senti?

-Come se un picchio cercasse di bucarmi il cranio.

Siwon ridacchiò, e si accorse solo in quel momento delle foto che Yesung stringeva ancora tra le mani. Il più piccolo seguì lo sguardo dell'amico, per poi borbottare:

-Stavo solo guardando certe... foto...

-Quella non è mia- mormorò Siwon, confuso, indicando la più sgualcità delle due.

-E' mia... L'ho trovata nella busta.

-Posso vederla?

Yesung annuì, porgendogliela. Siwon la prese delicatamente e la osservò, senza voltarla per vederne il retro. Yesung lo vide sorridere, mentre, probabilmente, richiamava a sé i momenti più belli di quella giornata. Studiando quel volto sereno, il ventiduenne si ritrovò a domandarsi cosa Siwon stesse ricordando, esattamente, desiderando di poter condividere quel momento con lui.

Notando il suo sguardo perso, Siwon corrugò la fronte:

-Yesung? Va tutto bene?

L'interpellato sobbalzò, per poi scuotere il capo:

-Va tutto bene.

-Sicuro?

Yesung sospirò, abbandonando lo sguardo sulle sue ginocchia, mordicchiandosi le unghie dal nervoso. Siwon ridacchiò, allontanando le mani di Yesung con le proprie, sottraendole a quella tortura:

-Smettila di strapparti le unghie, Yesung-ah. Non riesci proprio a toglierti questo vizio, eh?

 

E quella fu, per Yesung, la famosa goccia che fece traboccare il vaso.

 

-Vedi? E' questo che non va!- esclamò, irritato.

-C-cosa ho detto?- balbettò Siwon, sorpreso da quell'improvviso cambiamento. Yesung incrociò le gambe, afferrando con uno scatto il piumone tra le mani, e stringendolo tra le dita martoriate:

-Tu sai tutto di me, della mia famiglia, del mio passato. Sai persino che ho questa insana mania di mangiucchiarmi le punte delle dita, mentre io non so assolutamente nulla di me stesso, tantomeno di te! Io voglio sapere, Siwon. Voglio sapere com'erano i rapporti con i miei genitori e con mio fratello. Voglio sapere se avevo un cane, un gatto, o perché mi sento sciogliere dentro ogni volta che vedo una tartaruga. Sono allergico a qualcosa? Ho qualche fobia imbarazzante? Siwon, io mi sono stancato di stare qui ad aspettare un miracolo per recuperare un'intera esistenza. Voglio costruirmi una nuova vita, ma voglio anche sapere un minimo su me stesso. Tu sai tutto di me. E io voglio delle risposte.

Passarono interminabili secondi di puro silenzio, con il solo respiro affannoso di Yesung a far da sottofondo. Alla fine, Siwon sorrise, stringendo quelle mani ridicolosamente minuscole tra le proprie:

-Sai, oggi è il mio giorno libero. Non potrò illuminarti sugli ultimi due anni, ma ho tutto il tempo che vuoi per recuperare gli altri venti.

Non gli giunse nessuna parola in risposta, nessuna esclamazione di felicità.

Gli arrivò solo un sorriso.

Un sorriso ampio, bello e genuino.

Uno di quei sorrisi che fa sembrare le parole estremamente futili.

 

 

Heechul.

 

-Ti cedo il colpo al Louvre.

-Perché dovrei accettare?

-Se va a buon fine, arriveresti ad ottenere popolarità nel nostro mondo. Ti vorrebbero tutti per i colpi migliori. Andresti in Egitto, in Argentina – ci sono parecchie sciccherie da prendere, in quel Paese. Quindi, la domanda esatta è: perché dovresti rifiutare?

-No, la domanda esatta è: perché mi stai cedendo l'incarico? L'hai detto tu stesso: a colpo finito, si entrerebbe a far parte della bella vita.

-Per solidarietà? Un uccellino mi ha detto che sei inattivo da quattro mesi. Ti limiti a lavorare in quel bar in centro. È una cosa piuttosto triste.

-Ed è anche una cosa che non ti riguarda.

-Sono Kim Heechul, lo sanno tutti che ficco il naso in qualsiasi affare.

-Touché.

-Allora, accetti o no?

-Dimmi la verità, prima.

-Cioè?

-Non mi stai cedendo il colpo per solidarietà. Non esiste quella parola, nel nostro vocabolario.

-Bingo.

-Quindi?

-Non sopporto Donghae.

-E...?

-Non c'è nessun “e”. Non sopporto quel ragazzo.

-Non ti faresti sfuggire un affare del genere solo per un ragazzino apparentemente sbadato. La verità, Heechul.

-E' questa, accidenti!

-Sono un ladro anche io, Heechul. Ammettilo, hai trovato un colpo migliore.

-Può darsi.

-Di cosa si tratta?

-Non posso dirlo.

-Giusto, sono stato stupido a chiedere.

-Allora, accetti o no?

-Va bene, è andata. Ma se non finisce bene, verrò a cercarti.

-Basta tenere Donghae chiuso in un cubicolo, davanti ad un computer. Dopodiché puoi stare tranquillo.

-Lo terrò a mente. Posso sapere almeno con chi farai il prossimo lavoro?

-Con Cho.

-Kyuhyun?

-Chi altro, se no?

-Solo voi due?

-Credo.

-Di solito Kyuhyun lavora da solo.

-Oh, ancora non sa che faccio parte della squadra.

-Effetto a sorpresa.

-Il mio preferito.

-Allora affare fatto. Lo dici tu a Donghae?

-Sì, ci penserà lui a contattarti. Me ne lavo le mani.

Heechul si alzò dal tavolo, riponendo la sedia sotto di esso, senza staccare lo sguardo dal ragazzo seduto di fronte a sé.

-A mai più rivederci, Hangeng.

-Te l'ho detto: se finisce male, vengo a cercarti.

Sul volto efebico dell'altro ragazzo spuntò un ghigno e si fermò per pochi secondi prima di andarsene, giusto per dire:

-Se finisce male, non ci rivedremo mai più, a meno che io non venga a farvi visita in una prigione federale. Ma, sai com'è, non sono bravo a relazionarmi con gli sbirri.

 

Rientrando nell'appartamento di zio Cholsu, allo scoccare dell'una di pomeriggio, le narici di Heechul vennero riempite da un'inconfondibile aroma speziato. Sul lungo tavolo di legno posizionato nel soggiorno, quattro piatti erano pronti ad accogliere la prelibatezza che bolliva in pentola, sotto lo sguardo attento di Shindong. Heechul si fermò poco dopo la tavola imbandita, osservando una planimetria appesa alla parete, piena di profonde rughe scavate nella carta, determinati luoghi cerchiati, evidenziato o sottolineati in mille colori diversi e affiancati da qualche scritta scarabocchiata velocemente con una penna nera. Sorrise, notando come, alla fine, Donghae era riuscito a fare dei passi avanti anche senza il suo aiuto. Camminando con passo sicuro, entrò in cucina, chiamando l'amico intento a cucinare qualcosa.

-Shindong?

L'interpellato gli prestò attenzione, salutandolo con un sorriso carico della sua innata simpatia.

-Cosa c'è, Heechul?

-Kyuhyun è già a casa?- domandò, assaggiando il kimchi direttamente dalla pentola, e guadagnandosi così una spintarella dal più grande.

-Non si tocca, Heechul-ah. E, sì, è in camera sua. Quindi va' da lui, sparisci- gli intimò, fulminandolo con lo sguardo. Heechul annuì, allontanandosi e affondando le mani nelle tasche. Raggiungendo le scale, fece gli scalini uno ad uno, lentamente, quasi con svogliatezza. Arriato in cina alla seconda rampa, fece scivolare i piedi fino all'ultima porta a destra. Entrò nella stanza senza bussare, esordendo con un:

-Dongsaeng, dobbiamo parlare.

Kyuhyun non sembrava molto entusiasta della visita improvvisa, e lo fece ben capire con il lampo che gli attraversò gli occhi quando la figura felina del ragazzo non diede segno di voler tornare da dove era venuta. Incrociò le braccia al petto, allontanandosi appena dal computer:

-Cosa c'è?- chiese, con poca gentilezza.

Heechul si trattenne dal riprenderlo per quella mancanza di rispetto e, sedendosi sul bordo della scrivania, iniziò a parlare:

-Hai un colpo a Seoul.

-E tu a Parigi.

-Il tuo è più importante.

-Non mi pare che il Louvre sia una passeggiata.

-Voglio aiutarti.

-Non puoi.

-Sì, invece. Ho già ceduto il Louvre a qualcun altro.

-A chi?

-Te lo dico se mi fai entrare nella squadra.

Per tutta risposta, Kyuhyun alzò gli occhi al cielo e riportò la sua attenzione sul portatile. Purtroppo per lui, Heechul non era tipo da arrendersi facilmente. Otteneva sempre ciò che voleva. Sempre.

-Sai, Kyuhyun-ah, ho trovato certi documenti interessanti nel tuo computer... Cosa pensi che succederebbe se mi dovessi trovare a comporre accidentalmente il numero della polizia?

-Non oseresti.

-Tu mi hai messo una cimice addosso, un anno fa, rovinando un piano perfetto. Oserei eccome.

-Va bene, hai vinto... Cosa devo fare?

-Contarmi dentro.

-Mai.

-Oh, andiamo! Stiamo parlando di Jongwoon, dovrebbero saperlo tutti.

Il più piccolo si immobilizzò, fissando a lungo lo schermo luminoso del pc, prima di spostare gli occhi sul suo, sotto un certo aspetto, hyung preferito:

-Come fai a sapere che si tratta di lui?

-Che domanda idiota, sono Kim Heechul.

Kyuhyun guardò quelle due iridi traboccanti di determinazione e, dopo dei secondi apparentemente infiniti, annuì.

-Ok, sei dentro- borbottò, arrendendosi.

E Kim Heechul non si trattenne dall'esultare.

 

 

Siwon.

 

-No, non è vero.

-Sì, invece.

-Ma è una cosa imbarazzante!

-Era una scommessa – fatta da ubriachi – e diciamo che te la sei cavata alla grande.

Siwon stava cercando, con tutto il suo autocontrollo, di trattenersi dal ridere in faccia all'amico, ma era quasi impossibile a causa della storia che aveva appena raccontato e della faccia di Yesung, attraversata da mille sfumature di rosa e rosso. Il principale protagonista di quella serata esilarante non sapeva se ridere, affondare nella propria vergogna o scavare direttamente una buca nel salotto di casa Choi.

-Dio, una cosa del genere non avrei mai dovuto dimenticarla. Voglio dire... Lascia il segno.

A quelle parole – e alla vista dell'espressione confusa di Yesung – Siwon non riuscì più a trattenersi e, posando una mano sullo stomaco, rise con tutte le sue forze, fino a farsi lacrimare gli occhi, mentre il ventiduenne lo colpiva con i cuscini o con qualche leggero pugno sulla schiena e sulle braccia.

-Non posso credere di essere andato in giro per Seoul vestito da donna...- Yesung si poggiò al divano, scuotendo il capo, e Siwon potè finalmente raddrizzarsi, il sorriso ancora stampato tra quelle due adorabili fossette:

-E di aver rimorchiato sei ragazzi in un bar- infierì, guadagnandosi uno sguardo assassino dal più piccolo:

-Evidentemente ho un fascino da non sottovalutare.

-Di sicuro hai fatto di peggio in alcune delle tue missioni- Siwon sorrise, poggiandosi allo schienale e voltandosi verso Yesung, che se ne stava appolaiato in un angolo, le gambe rannicchiate contro il petto.

-Sai dirmi qualcosa anche su quelle?- chiese, poggiando il volto tra le ginocchia. Siwon si strinse nelle spalle, emettendo un leggero sospiro:

-Non volevi quasi mai parlarne. Accennavi solo a quelle meno importanti, ma solo se succedeva qualcosa di comico. Come quando il cammello su cui viaggiavi è rotolato lungo una duna in Marocco, o quando, in Tibet, uno yak piuttosto maldestro e una giocata clandestina ti hanno quasi fatto saltare la copertura. Insomma, cose del genere. Non andavi mai oltre, suppongo fossero tutte faccende top-secret.

Yesung annuì appena, e Siwon, osservando il suo sguardo perso, non sapeva cosa pensare, o come mandare avanti la conversazione. Ma, con sua sorpresa, fu l'amico e prendere in mano le redini:

-Beh, non voglio più pensarci.

Le sopracciglia di Siwon si contrassero a formare un'espressione leggermente confusa:

-A cosa?

-Al mio passato.

-Davvero?- Il venticinquenne non si sforzò nemmeno di nascondere la nota di sorpresa presente nella sua voce.

-Davvero. Voglio andare avanti, farmi un'altra vita. Evidentemente in passato non ero una brava persona, visto che, a quel che mi risulta, sei l'unico di cui mi sia mai realmente fidato. Voglio cambiare, diventare un cittadino modello – sai, pagare le tasse, avere un lavoro normale, non doversi nascondere per sopravvivere e, perché no?, sposarmi senza dovermi preoccupare dell'incolumità della mia famiglia. Capisci cosa voglio dire?- Lo sguardo di Yesung si spostò repentinamente dal motivo del tappeto al volto di Siwon, che annuì appena:

-Sì... Capisco.

-Voglio una vita normale. Tutti sognano sempre una vita fuori dagli schemi, ma, a dir la verità, una vita piena di suspense è la cosa peggiore che possa mai capitare. Manca poco a Natale, e in questo periodo dell'anno, più per leggenda che per verità, tutti sono più buoni. Quindi spero di poter trovare lavoro facilmente, così potrò anche farti un regalo che valga tutta la fatica e i problemi che ti ho causato. Credo di essere davvero pronto per lasciare il passato nel passato, e per dare un cambiamento radicale per rendere la mia misera vita un po' meno misera.

Siwon sorrise, percependo la determinazione nelle parole del corvino, e lo guardò sinceramente sollevato e contento.

Mancava poco a Natale, e stava per avere tra le mani il regalo più bello che potesse mai sperare, qualcosa che né i suoi soldi, né quelli di qualcun altro avrebbero mai potuto comprare.

Yesung stava tornando se stesso.

 

 

Sungmin.

 

La sera era calata senza che Lee Sungmin se ne accorgesse. Aveva passato la giornata a sfogliare fascicoli e a scribacchiare su post-it di mille colori differenti, la cornetta del telefono perennemente pressata contro l'orecchio, imprigionata tra esso e la spalla. Si era fatto portare colazione, pranzo e cena nel suo ufficio, dove aveva potuto mangiare in santa pace, senza doversi preoccupare degli sguardi altrui. Questi erano i momenti in cui amava la sua posizione all'interno dell'Agenzia più di ogni altra cosa al mondo: bastava schioccare le dita per ottenere cibo, acqua e caffeina sufficiente per varcare le mezzanotte.

Finendo l'ultimo boccone di bimbap, voltò la sedia ad osservare la città illuminata e sorrise, rilassandosi contro lo schienale di pelle nera. I file erano stati distrutti e, in quell'esatto momento, tra le luci al neon di Seoul e le strade più o meno trafficate, c'era già una squadra in azione, in perlustrazione per tutta l'estensione della capitale, mentre un paio di altri agenti tallonavano Park Leeteuk.

Lee Sungmin si fece sfuggire una risata, socchiudendo gli occhi a mandorla:

-Non mi scapperai, Kim Jongwoon.

 

 

Note dell'autrice.

 

 

Ho già la pala per sotterrarmi sotto metri di terra. Non aggiorno dal 22 febbraio ed è una cosa alquanto vergognosa. Ma è stato tutto a causa di forze maggiori (leggasi: scuola, blocco durato un paio di mesi, scuola, problemi vari e... oh, giusto: scuola). Ma adesso – finalmente – ci sono queste benedette vacanze estive, quindi gli aggiornamenti torneranno una volta a settimana, proprio come prima. Scusatemi ancora per la lunga assenza, ma sappiate che ho scritto sia questo capitolo che un quarto (?) di quello successivo sul quaderno degli appunti (della serie: quando in classe ci si annoia) quindi sono a buon punto anche con quello successivo!

Spero che questo vi sia piaciuto, e vi chiedo gentilmente di lasciarmi una recensione con un vostro parere, per favore. ^^

Ringrazio in anticipo chi si fermerà a lasciarmi due righe, chi in questi mesi ha messo tra le ricordate/seguite/preferite e anche chi legge in silenzio che apprezza questa FF.

A presto, e buon inizio di vacanze a tutti.

Lara.

   
 
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