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Autore: Patty9393    12/06/2013    0 recensioni
"ricordare l'amore è come evocare un profumo di rosa in una cantina.Si può richiamare l'immagine di una rosa,ma non il profumo."Arthur Miller.
Questa frase riassume ciò che Marta, 18 anni, timida e riservata, pensa dell'amore. Non è facile amare ed essere amati. è per questo che non ha mai avuto un ragazzo. Eric sarà il suo primo amore, colui che le farà capire che non bisogna aver paura di amare, bisogna amare e basta.
Il bello della vita, poi, è che ti sorprende sempre.E Marta lo capirà proprio nel suo ultimo anno di liceo=)
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO 2
UNA FOTO,UN RICORDO

Ricordi di un anno , momenti che lasciano un sorriso ancora in più
Ricordi bellissimi… Pensieri e sensazioni che ti danno ricordi..”
Ricordi- Finley

Appena arrivata a casa corsi subito in cucina. Come al solito il pranzo era già pronto. Non mi restava latro che accontentare il mio stomaco brontolante. Mia madre - non passava un giorno senza dimenticarsene – mi chiese com’era andata a scuola. Io le parlai dei professori nuovi, del progetto del prof. Martini. So già che quest’anno mia madre scandaglierà dettaglio per dettaglio la mia carriera scolastica, questo interrogatorio era solo l’inizio.
“Se ti bocciano la patente te la puoi scordare”. Ecco cosa mi ha ripetuto continuamente mia madre per tutta l’estate. Io le avevo promesso che mi sarei impegnata. Non potevo correre quel rischio. La patente era troppo importante.
Mio padre, invece, non disse nulla. Si limitò a mostrare la sua approvazione per ciò che mia madre diceva. Non voleva mai intromettersi nei discorsi tra me e la mamma, ma sapevo che la pensava esattamente come lei. A parte qualche rara volta. Inoltre era meglio lasciarlo tranquillo. Lui odia essere contraddetto e quando si arrabbia diventa molto difficile calmarlo.
Finito di mangiare e di rispondere alle domande da terzo grado di mia madre, mi buttai sul divano con la stessa delicatezza di un sacco di patate. Puntualmente non feci neanche in tempo a metter il mio programma preferito che qualcuno mi prese il telecomando dalle mani.
“Dario dammi subito il telecomando! Il mio programma preferito sta per cominciare proprio ora!”, urlai furiosa.
“No, voglio guardare i cartoni !”, rispose mio fratello con prepotenza.
Il mio dolce e, allo stesso tempo, capriccioso e testardo fratellino, non voleva proprio darmi retta. Ma in fondo ero abituata alle sue reazioni. Succede così ogni giorno. Io ci mettevo tutte le mie forze e tua la mia determinazione per averla vinta, ma quel visino tenero era ogni volta disarmante. Non riuscivo a resistergli. Così riusciva sempre a farla franca. Inutile chiedere l’appoggio dei miei genitori, tanto non mi avrebbero mai dato ragione.
Ormai programma era bello che finito, pensai. Quindi andai in camera mia, anche se mia non lo era del tutto perché dovevo condividerla con quell’insopportabile di mia sorella. Sabrina ha soltanto un anno di me, quindi siamo cresciute insieme, praticamente come due gemelle. Da piccole eravamo molto unite, ma ora che siamo cresciute è già tanto se ci sopportiamo. Fortunatamente sarebbe rientrata più tardi, quindi nessuno mi avrebbe potuto disturbare. Neanche Alessio, il terzo arrivato in casa : era andato a pranzo a un suo amichetto che non vedeva tanto. Dunque accesi la radio. Stavano trasmettendo “Bad day” di Daniel Powter. Lo so è una canzone un po’ deprimente, ma il titolo descriveva bene la mattinata appena trascorsa. Poi quella canzone mi riportò alla mente mille ricordi.
Era il 2005, sei anni prima. Come ogni anno la mia famiglia aveva affittato una casa al mare per una quindicina di giorni. Ogni estate, come diceva una canzone, stesso posto e stesso mare. La prima settimana non accadde nulla di speciale. Gli ultimi giorni, invece, furo bellissimi. Avevo deciso di allontanarmi dall’ombrellone per sedermi un po’ più vicina alla riva. Due ragazza che, data la somiglianza, sembrano essere sorelle mi notarono e, vedendo che ero tutta sola, mi invitarono a giocare con loro a racchettoni. All’inizio non volevo, ma poi accettai. Così chiamai anche mi sorella e le chiesi se voleva unirsi a noi. Dopo un po’ entrammo in acqua e cominciammo a parlare:
“Io mi chiamo Federica”, si presento quella più alta e magra. Lei era la più grande delle due.
“Io, invece, sono Syria e sono sua sorella”, disse l’altra. La mia intuizione era giusta.
Poi anch’io mi presentai e iniziammo a parlare di noi. Chiunque ci avesse sentito avrebbe detto che ci conoscevamo da tanto tempo. A furia di parlare il tempo volò via. Si era fatto tardi ed eravamo in acqua già da troppo tempo. Così andammo ad asciugarci e ci salutammo. Prima di andare feci in tempo a sentire le note di una canzone:
“Cause you had a bad day
You’re taking one down
You sing a sad song to turn it around…”
Si era proprio la canzone di Daniel Powter. Quella canzone segno, dunque, l’inizio di una nuova grande amicizia.
Per quattro anni non ci vedemmo, ma restammo sempre in contatto. Poi ci rincontrammo, sempre nella stessa spiaggia in cui tutto ha avuto inizio. Ma quella volta c’era anche un loro amico Me lo presentarono. Non so perché ma il nome non mi resto impresso. Il suo fisico, invece, mi restò fisso in mente. Aveva un anno in meno di me, ma sembrava più grande. Questo è tutto ciò che seppi di lui. Decidemmo, poi, di fare un giro sul pedalò. Avevo una gran paura perché non c’ero mai salita e, ahimè, non sapevo nuotare. E infatti le mie paure  presto si rivelarono a tutti: i freni si ruppero e tutti, tranne me, scesero a spingere il veicolo. Non avevo mai provato tanta vergogna in vita mia.
“non preoccuparti, se affogherai ci sarà Eric pronto a salvarsi”, mi disse Syria per rassicurarmi.
Eric. Ecco come si chiamava. Proprio come il ragazzo che mi piaceva e che mi faceva battere il cure ogni volta che, per puro caso, incrociavo il suo sguardo. Tutti quei pensieri mi riportarono alla realtà.
Improvvisamente mi venne in mente che dovevo prestare un libro ad Elena. Era tutta l’estate che me lo chiedeva, ma non ho trovato l’occasione per darglielo. Allora aprii il primo cassetto del mio comodino. Più che un cassetto sembrava un campo di battaglia. C’era di tutto lì dentro. Comunque non fu difficile trovare il libro in mezzo a tutte quelle cianfrusaglie inutili. Lo aprii per essere sicura di non aver lasciato qualcosa dentro come segnalibro. Con mia grande sorpresa trovai una foto. Non ricordavo nemmeno di averla. Era una foto, ma anche un bellissimo ricordo d’estate che riportava a quel piccolo incidente col pedalò. C’eravamo tutti: io, Sabrina, Syria, Federica e persino quell’Eric. Osservando meglio il ragazzo mi accorsi che aveva un non so che di familiare. Forse il fatto che si chiamasse come il ragazzo di cui ero innamorata era solo una coincidenza, cominciai a pensare. Ma io non credevo alle coincidenze, non ci avevo mai creduto. Le mie riflessioni furono interrotte dalla fastidiosa vibrazione del mio cellulare. Un messaggio:
“Ciao, come va? Com’è andato il primo giorno di scuola? Preoccupata per gli esami? Forse sto facendo un po’ troppe domande, ma volevo solo sentirti.”
Era Fede, sempre molto carina e gentile. Su una cosa aveva ragione: faceva sempre troppe domande. Delle volte mi sembrava mia madre, ma aveva solo due anni in più di me. Comunque mi faceva piacere sentirla e soprattutto in quel momento. Ero sicura che lei avrebbe risolto il mio dubbio.
“ Ciao, Fede! Io sto benissimo e tu? Comunque è stato un giorno normalissimo e non sono spaventata per gli esami, almeno non ancora. Ps: Posso chiederti una cosa? Ma promettimi che sarai sincera. È una cosa importante per me”.
“Ok, dimmi tutto. Ma devo dire che sono un po’ preoccupata…”
“Ti ricordi quel ragazzo che mi hai presentato al mare due anni fa? Eric. Mi pare si chiamasse così”
“Certo che mi ricordo! È un mio amico! Ma come mai t’interessa tanto?”
“Vedi, credo frequenti la mia stessa scuola. Insomma c’è un ragazzo nella mia scuola che gli assomiglia e ha il suo stesso nome. Hai una foto recente?”
“è probabile. Mi aveva detto che si sarebbe trasferito, ma non ricordo dove. Comunque guarda il suo profilo facebook e risolverai il problema.”
Accesi subito il computer. Appena entrata su facebook digitai il suo nome. Appena vidi la sua foto ogni mio dubbio scomparve. Erano la stessa persona. Stentavo ancora a crederci. Ringraziai Fede e chiusi la conversazione. Per non so quanto tempo rimasi a rimirare quella foto. Mai e poi mai l’avrei cancellata, neanche se mi avessero puntato una pistola alla tempia. Mi chiedevo se anche lui avesse quella foto scattata due anni fa. Chissà se si era accorto che in quella foto c’ero anch’io…
Quel giorno cominciato col piede sbagliato aveva preso una piega che non mi aspettavo. Forse aveva ragione Elena. Sarebbe stato un anno speciale. Volevo crederci fino in fondo.
 
  
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