¤Capitolo
7¤
La musica leggera e appena accennata
dell’Eroica di Beethoven si espandeva
nella sala da the del Waldorf, mentre gli avventori discorrevano a bassa voce e
camerieri in livrea servivano bevande e pasticcini.
L’ambiente, rilassato e di classe,
piacque molto a Hannah che mai, in tutta la sua vita, aveva passato una serata
più strana di quella.
Si era sempre ritenuta immune dalla
parlantina degli uomini e dal loro fascino, ma era indubbio quanto si fosse
sbagliata.
Mr Dreyfus avrebbe potuto ammaliare le
persone fin nella tomba, con il suo colloquiare piacevole e gentile e, suo
malgrado, dovette ammettere che anche Nickolas ci sapeva fare.
Tralasciando la sua evidente bellezza
esteriore, il suo capo aveva dimostrato di possedere anche un cervello di
prim’ordine – cosa che, ormai, avrebbe dovuto esserle più che ovvia – e un’eleganza
che non avrebbe mai associato a uno sciupafemmine matricolato.
Per quanto Providence fosse una bella
donna, Nickolas non aveva tentato neppure una volta di lanciarle strane
occhiate allusive, né si era permesso di decantarne le doti con battute
ineleganti.
Era stato un perfetto ospite e un
altrettanto perfetto gentiluomo, facendo sorgere parecchi punti interrogativi
nella mente di Hannah.
Era evidente quanto il suo
comportamento non fosse stato imposto dalla situazione, ma sgorgato
sinceramente dal suo essere perciò, perché aveva la nomea del latin lover senza freni?
Dove si nascondeva il gentleman che
lei aveva avuto al fianco per l’intera serata e, soprattutto, perché si eclissava senza farsi mai
vivo?
“Non pensavo potessero esistere così
tanti argomenti sotterranei in una serie televisiva per adolescenti e,
soprattutto, che si potesse passare dai succhiasangue alla crisi nel Golfo con
pochi, semplici passaggi logici” celiò ad un certo punto Nickolas mentre, con
tutta calma, terminava di bere il suo the al rosmarino. Dreyfus e la sua
segretaria se n'erano andati da meno di dieci minuti.
Hannah sorrise melliflua, lasciando ad
un altro momento i suoi pellegrinaggi mentali, e replicò candida: “Quando si sa
dove cercare...”
“E tu lo sapevi?” ironizzò allora l’uomo.
Tornando seria, la donna passò
distrattamente una mano sull’abito di viscosa come per voler eliminare un
peluzzo inesistente. A mezza voce, ammise: “Sapevi che Mr Dreyfus nacque in
Austria e, all'età di sei anni, venne deportato a Bergen-Belsen?”
Nickolas boccheggiò a vuoto e, nel
poggiare lentamente la tazzina sul piatto di porcellana fiorata, esalò
sconvolto: “Non ne ero al corrente.”
“Quando mi hai affidato il compito di
contattarlo, mi sono informata su di lui. Tra le tante cose che ho saputo, ho
anche scoperto che la sua famiglia era ebrea e che, durante l'epurazione
nazista, i suoi genitori e le sue sorelle furono uccisi nelle camere a gas. Lui
fu l'unico a sopravvivere.” Nello spiegargli quel triste aneddoto, Hannah
giocherellò con alcune paillettes della pochette. “Immagino che il suo interesse
per i vampiri sia legato a quel periodo. La propaganda nazista aveva messo
sullo stesso piano il vampiro interpretato da Max Schreck con gli ebrei
tedeschi, creando così un alone di malvagità intorno a loro. Molti slogan
pubblicitari, negli anni, legarono la figura del Conte Dracula con quella del popolo
ebraico. Li dipinsero spesso come degli arrivisti senza scrupoli, delle
creature senza anima capaci solo di lucrare sulle vite degli altri. Le leggi
razziali ne furono il triste seguito. Vollero far credere alla gente che
eliminando gli ebrei, come viene eliminato Nosferatu nel film, tutti i mali
della Germania potessero essere cancellati.”
Sempre più sorpreso, il magnate la
scrutò con sincera sorpresa mista a compiacimento e, dubbioso, le domandò:
“Ma... non è un po' come rivangare un passato odioso?”
“Forse. Non però se pensi che il
vampiro rappresenta soprattutto l'esule, il reietto della società, colui che
non viene accettato per le sue differenze. Una sorta di bandiera per i borderline, se vuoi” scrollò le spalle
Hannah, afferrando un pasticcino per sbocconcellarlo. “I nuovi film e telefilm,
invece, hanno mutato il vampiro esiliato nella notte in un oggetto di desiderio
e, addirittura, in una creatura da amare.”
“Buffy e Angel” chiosò allora Nickolas,
cominciando a comprendere l’intricato pensiero della donna e di Dreyfus.
“Già” ammiccò lei. “Una sorta di riscatto,
se vuoi. Da creatura odiosa e da debellare, a essere con un cuore e un’anima.
C'è una sorta di affinità con la sua storia, ecco tutto. Per questo, credo,
l'argomento gli piace tanto.”
“E tu ti sei data alle ricerche su
internet solo per capire come ragionava?” esalò lui, sempre più sorpreso dalla
sua segretaria.
“Mi ha colpito la musica della sua
segreteria telefonica. Era il brano portante di Bram Stoker's Dracula.
Da lì, conoscendo anche la sua storia, ho fatto due più due” gli spiegò Hannah,
con noncuranza.
“Hai fatto un'intera equazione, altro
che due più due!” replicò divertito l'uomo, ridacchiando. “Beh, in qualunque
modo tu ci sia riuscita, non posso che farti i miei complimenti. Lo hai
conquistato.”
“Fa sempre piacere sapere che si è
lavorato bene” chiosò lei, sorridendogli nel sorseggiare il suo the.
“Hai lavorato così bene che ti
occuperai delle pubbliche relazioni di questo progetto, Hannah” le dichiarò lui
di punto in bianco, facendole quasi andare di traverso il the.
Trattenendosi a stento dallo
sputacchiare, la donna si coprì la bocca con una mano prima di poggiare la
tazzina e gracchiare: “Cosa?! Ma non è compito tuo? O di tuo fratello?”
“Non scherzavo, prima, quando dicevo
che mio fratello non ci sa fare, nelle pubblic
relations. E, visto come ti sai esprimere e come riesci a incantare le
persone che ti ascoltano, quando inizieremo a presentare alla stampa questo
progetto, tu sarai il suo portavoce.”
“E con che titolo? Sono la tua
segretaria, non un membro della famiglia o del Consiglio di Amministrazione!”
protestò Hannah, impallidendo leggermente non appena un altro pensiero si fece
largo nella sua mente. “Fatti solo un'idea vaga di quel che dirà la stampa.
Penseranno che io... io...oh, santo cielo, che io venga a letto con te, o cose
ben peggiori!”
Nickolas non poté che scoppiare a
ridere sommessamente di fronte alla sua sincera preoccupazione e, per chetarne
subito le paure, le disse sinceramente: “Purtroppo per me, la stampa sa benissimo
con che genere di donne mi intrattengo di solito, e tu sei troppo intelligente
per ricadere in quel quadro. Occorreranno due minuti di discorso per sanare
qualsiasi dubbio.”
A quel punto, però, Hannah lo fissò
scettica e replicò: “Scusa se non mi sento rassicurata dalle tue parole.”
“Vai tranquilla. Ho una pessima fama,
da quel punto di vista. Non ti scambieranno mai per una delle mie
conquiste. Inoltre, tu non mi guardi mai come se ti interessassi, e
anche questo balzerà all'occhio, credimi. Quelli sono peggio di segugi, per
queste cose” ammise senza remore Nickolas, scrollando una mano come se nulla
fosse.
In realtà, quella nomea di Casanova
gli dava assai fastidio, ma sapeva bene di avere tutte le colpe che gli
venivano affibbiate. In parte, se le era cercate per difendere Brandon dagli
assalti dei paparazzi, in parte perché – anche se odiava ammetterlo – ormai ne
era diventato quasi schiavo.
Il fatto di saperlo, però, non serviva
comunque a farlo smettere. Finché gli fosse stato permesso, lui avrebbe
continuato con quella vita.
“Non riesco a capire se la cosa ti
dispiaccia, o ti faccia piacere” mormorò Hannah, terminando il suo the.
“Diciamo che, nel caso specifico, ci
sarà utile. E io voglio che tu incanti i nostri ascoltatori come hai
incantato Dreyfus. Sei brava, e quando io vedo del talento, mi sento in obbligo
di sfruttarlo... in senso buono, s'intende” le spiegò lui, sorridendole
soddisfatto.
“Tua madre non scherzava quando mi
disse che, di fronte a del potenziale, avresti messo da parte il tuo lato
più... sensuale.” Nel dirlo, si esibì in un breve ghigno.
“Mia madre mi conosce bene.” Tornato
serio, aggiunse lapidario: “Quanto a mio fratello, gli parlerò io, e accetterà tutto
quello che gli dirò, te compresa. Se dovesse farti delle difficoltà, ti esorto
a parlarmene subito, così da risolvere immediatamente qualsiasi attrito.”
“E se io preferissi sbrigarmela da
sola, con tuo fratello?” gli fece notare lei, levando un sopracciglio con
ironia.
Nickolas la fissò con attenzione, il
corpo longilineo e forte abbracciato dalla viscosa scura che non nascondeva
nulla alla fantasia, e lasciava scoperti solo i polpacci sodi e da ginnasta. Scuotendo
il capo per evitare di soffermarsi troppo su quel corpo da sirena, mugugnò:
“No, preferisco evitare che una lite sfoci in qualcosa di brutto.”
Aggrottando la fronte, Hannah si
arrischiò a domandargli: “Pensi... potrebbe mettermi le mani addosso?”
Sospirando, il magnate reclinò il capo
in avanti e si passò le mani tra i capelli, scompigliandoli, prima di ammettere
roco: “Non so più chi è mio fratello. Sono anni che fatico a comprendere le sue
scelte. Per questo, ti prego, fammi sapere se ci sono dei problemi. Preferisco
essere io a subire i suoi attacchi.”
“Va bene” assentì con semplicità
Hannah.
Nickolas allora la guardò in quegli
occhi apparentemente freddi, del colore del ghiaccio baciato dal sole
mattutino, e scorse in essi un barlume di comprensione. In qualche modo,
comprendeva il suo disagio e pareva disposta ad alleviarlo, pur se alla sua
maniera.
“Andiamo? Non vorrei che Tony Stark si
sentisse troppo solo, a casa” le propose allora lui, levandosi in piedi ed
offrendole una mano per aiutarla.
Nell'accettarla, Hannah replicò: “Puoi
chiamarlo solo Stark. Di solito, non uso mai il suo nome completo.”
“Ma come mai l'hai chiamato così?” le
domandò curioso Nickolas, prendendola sottobraccio nell'uscire dall'hotel.
Riscoprendosi a sorridere divertita,
lei ammise: “Iron Man era il mio fumetto preferito, da bambina e, quando
ne hanno fatto il film, mi sono innamorata pazzamente di Robert Downey Jr.. Da
qui il nome del cane.”
“E Buffy? Come mai ti piace quel
telefilm? Dovrebbe essere roba da adolescenti, in teoria” si informò ancora,
trovando quelle sfaccettature di Hannah davvero curiose.
“Avevo vent'anni, quando uscì Buffy, e mi colpì molto perché incarnava
il mio ideale” ammise lei, con un sorrisetto imbarazzato.
“E cioè? Una ragazza forzuta e ammazzavampiri?”
ridacchiò il giovane, cliccando sul portachiavi per aprire le portiere della
Lamborghini.
Le quattro frecce dell’auto brillarono
per un istante nella notte, riflettendosi sulle cromature delle vetture vicine.
Hannah salì sulla fuoriserie con
apparente scioltezza e, quando si fu allacciata la cintura, mormorò: “Piccola e
minuta.”
“Oh” disse soltanto Nickolas, mettendo
in moto e facendo così scatenare il rombo cupo del motore della Lambo.
Certo, con un'altezza considerevole
come la sua, doveva essersi sentita fuori posto per anni, pur avendo sfruttato
questo vantaggio per giocare a pallavolo per un bel po' di tempo, e con
successo.
Per una donna, doveva essere stato – ed essere – un problema non da poco,
visti i preconcetti esistenti e l'assoluta stupidità di certi uomini
sull'argomento. Lui compreso.
Non si era dimenticato le orribili
battute che le aveva propinato al loro primo incontro e, in quel momento, si
pentì amaramente di averle proferite.
Ma quando avrebbe imparato a usare il
cervello?
Uscendo dal parcheggio del Waldorf,
Nickolas le fece notare con ironia: “Puoi vantare delle gambe da modella, però,
no?”
Hannah suo malgrado ridacchiò e,
studiando il profilo del magnate, in quel momento tutto preso dalla guida della
sua Lamborghini, celiò: “Sei a schema fisso, eh?”
“Sto cercando di migliorare, lo giuro,
ma faccio un po' fatica. Troppi anni passati con le mani tra...” Bloccandosi a
metà della frase, imprecò e rise. “Oddio, sono davvero un caso senza speranza!”
“Non direi... ti sei bloccato prima di
dire sconcerie. E' un passo avanti... credo” gli fece notare lei, scrollando le
spalle.
“E' colpa tua, sai?” replicò con
ironia Nickolas, lanciandole un breve sorriso assassino.
Suo malgrado, Hannah rabbrividì. E non
per il freddo.
“Mia?” esalò lei, sgranando gli occhi
e cercando di non pensare a quanto fosse attraente il suo capo in quel momento.
“Sei così priva di malizia, nel discorrere,
che dimentico per un momento di stare parlando con una donna, e così mi esprimo
con più naturalezza di quanta non dovrei usare con te. Quando però i miei occhi
cadono sui tuoi seni, o sulle tue gambe, è tardi. Ho già aperto bocca” ammise
Nickolas, con una gran risata.
“E' un complimento o un insulto? Ho le
idee confuse” ammise Hannah, ritrovandosi a trattenere una risata agli angoli
della bocca.
Era così maledettamente onesto da farle
dimenticare che, a tutti gli effetti, stava facendo il cascamorto anche con
lei.
Accelerando quando la strada fu libera
da intoppi, l’uomo fece ruggire il motore della Lambo e, assottigliando le
iridi blu come l'oceano più cupo, dichiarò: “Ora ti faccio provare il vero
piacere.”
“Non ne ho bisogno, davvero” precisò
lei, aggrappandosi alla maniglia della portiera.
“E' per scusarmi del mio mezzo complimento-insulto”
le spiegò lui con un sogghigno.
“Sei scusato, credimi!” esclamò Hannah
quando i suoi occhi si puntarono sul contachilometri. Stavano già toccando le
ottanta miglia orarie, e la lancetta si muoveva verso numeri più alti a tutta
velocità.
Superando Point Fermin Park come se
neppure esistesse, Nickolas svoltò lungo Crest Road, una strada tutta curve che
si inerpicava sulle colline di Los Angeles. Hannah, aggrappata alla portiera
come se ne andasse della sua vita, fissò a occhi sgranati il mondo che passava
a gran velocità dietro i finestrini, chiedendosi cosa avesse in mente di fare.
L’uomo, perfettamente in grado di trattenere
la potenza dell'auto ben piantata a terra, percorse quella strada – in quel
momento deserta – come se si fosse trovato su un circuito automobilistico,
denotando una profonda conoscenza del mezzo e del luogo.
Che fosse venuto altre volte a testare
il percorso?
Apparentemente senza una meta
prefissata, Nickolas proseguì nella sua corsa spericolata fino a svoltare su
Crenshaw Blvd e, da lì, proseguì nel suo incessante risalire lungo la collina.
Lei lo fissò a tratti e, quando si
rese conto che la sua concentrazione era totale e il suo sguardo acceso di eccitazione,
si rilassò un poco, iniziando a godersi quella passeggiata notturna davvero
strana.
Il rombo della macchina le percorse il
corpo, facendola rabbrividire in un modo davvero gradevole e, quando lasciò
perdere la paura per permettere al piacere di impadronirsi di lei, quel viaggio
improvvisato la conquistò completamente.
Fu fin troppo presto che Nickolas,
svoltando in un parcheggio nei pressi di una chiesa metodista, interruppe quel
piccolo spettacolo di magia e, nuovamente immersi nel silenzio, Hannah sentì
quasi la mancanza del ringhio del motore.
Con un esile sospiro, l’uomo poggiò mani
e capo contro il volante mentre lei, guardandosi finalmente intorno, si rese
conto di trovarsi in un luogo completamente buio e lontano dalle abitazioni.
Cos'aveva in mente?
Irrigidendosi, Hannah si riscosse solo
quando lo udì mormorare: “A volte vorrei essere nato donna.”
“Come, scusa?” esalò lei,
completamente spiazzata da quella frase.
“Sì, forse non sarei stato così
schiavo dei miei ormoni, e avrei fatto meno cazzate in giro, che ne so” sospirò
lui, scostandosi dal volante per reclinare all'indietro il capo e poggiarlo
contro il sedile ergonomico.
“Non credo che un cambio di sesso
avrebbe giovato allo scopo. Dovresti saperlo che esistono le ninfomani, no?” si
limitò a fargli notare la donna, sorridendo a mezzo.
“Ah, già. Sarei stato fregato
comunque” si lagnò l’uomo, coprendosi il viso con un braccio, la bocca piegata
in una smorfia infastidita.
“Come mai siamo venuti qui?” gli
domandò a quel punto lei, cercando di mantenere la calma.
Fuori, il silenzio di tomba strideva
con la nomea della città, che la voleva perennemente caotica e frastagliata di
luci. Quel luogo la smentiva in pieno.
“C'è un parco dove mi piace
passeggiare, la notte, quando non c'è nessuno. E' pieno di fiori notturni e di
bei cespugli odorosi. Mi rilassa” le spiegò lui, sempre a volto coperto.
“Vuoi... andarci?” ipotizzò la donna.
“Mi accompagneresti?” esalò l’uomo,
scoprendo il volto per fissarla con aria speranzosa e, sì, contrita.
“Se mi prometti che non hai cattive
intenzioni...” buttò lì Hannah, con un mezzo sorriso a illuminarne il viso.
“E ti fideresti sulla parola?” le
domandò allora Nickolas, aggrottando impercettibilmente la fronte, come se la
sua fiducia lo lasciasse perplesso, come se non si aspettasse da lei un simile
comportamento.
“So come stenderti, se la necessità lo
richiede, ma spero proprio di non doverlo fare” lo mise in guardia Hannah,
uscendo dall'auto dopo un momento.
Nickolas la seguì subito dopo e, nel
chiudere la Lambo, le offrì una mano, che però lei non accettò.
Scrollando appena le spalle, l'uomo
infilò le mani in tasca e cominciò a camminare lentamente lungo un percorso a
mattoncini mentre la donna, al suo fianco, si guardava attorno suo malgrado
affascinata. La luna piena e i radi lampioni sulla strada, poco lontana, le
permettevano di avere un'idea di massima di quel luogo, permettendole al tempo
stesso di non inciampare.
“E' molto pacifico, in effetti” ammise
lei, quando raggiunsero una specie di anfiteatro scavato nella collina, dove
una serie di cespugli odorosi erano stati sistemati a formare un semicerchio di
circa venti metri di diametro.
Lì, il rumore delle auto nel centro
città era del tutto inesistente, il lieve soffio del vento umido dell’oceano
era il loro unico compagno e Hannah, nonostante l’iniziale ansia, si ritrovò a
rilassarsi.
Assaporando i profumi delle erbe
aromatiche e della terra umida, aggiunse: “E' piacevolissimo, qui. Un piccolo
pezzo di paradiso.”
“Vengo qui, quando devo chiarirmi le
idee” le spiegò lui, sedendosi su una panchina di pietra bianca e levigata.
“E che idee devi chiarirti, ora?” gli
domandò, rimanendo in piedi dinanzi a lui, le braccia conserte sotto i seni.
Nickolas la squadrò con occhio
attento, il bel corpo tonico messo in evidenza dall'abito a sirena, il lungo
collo accarezzato dalla viscosa plissettata, il viso pallido in contrasto con
l'abito color della notte.
Era bella, e la sua altezza insolita
conferiva un tocco in più al suo essere; non era certo un difetto, quanto un
pregio insolito.
Si sentiva attratto da lei ma, al
tempo stesso, i suoi occhi sapevano tranquillizzarlo, annullavano la sua
propensione a lasciare che il testosterone parlasse sempre per lui. Una
vera novità, in materia di donne.
Non aveva idea se dipendesse dal fatto
che, evidentemente, lui non rappresentava l'ideale di uomo per Hannah o se,
semplicemente, ci fosse qualcosa in lei che lo ammansiva, ma il fatto rimaneva.
Non avrebbe mai approfittato della
situazione per metterle le mani addosso. Non a Hannah.
“Pensavo a Brandon. Penso sempre più
spesso a lui, ultimamente” ammise Nickolas, sorprendendola non poco. “Sta
passando un periodo orribile, ma non riesco a farlo confidare con me come
succedeva un tempo. Gli ho anche detto di parlare con mamma, visto che con me
non si voleva sbottonare, ma lui è andato in bestia e non mi ha parlato per
giorni. Non mi piace la piega che sta prendendo la sua vita.”
“Eppure, da quel che so, quello sulle
riviste patinate e sempre pieno di donne, sei tu” gli fece notare Hannah con
aria serafica.
Con un sogghigno, Nickolas replicò
secco: “Sono uno specchio per le allodole. Faccio un gran baccano per coprire
lui, anche se non ottengo in cambio neppure un minimo di riconoscenza.”
“Cosa?” esalò lei, sconcertata.
“Scusa, non dovrei parlarne con te,
visto che non sei pagata per farmi da psicologa, ma... “ sbuffò lui, levando il
viso a scrutare il cielo.
La luna piena oscurava quasi
completamente il bagliore delle stelle vicine e, in lontananza, le luci del
porto di Long Beach e di Santa Monica illuminavano il litorale per miglia e miglia.
L'aria era tersa, profumava di erbe
odorose, oceano e terra umida e Nickolas, mordendosi un labbro, ammise: “Non
so... pensavo di chiederti un parere femminile, se ti va di darmelo.”
“Non puoi chiederlo a tutte le ragazze
che frequenti?” gli domandò gentilmente lei, sorridendo un poco.
“Loro? Non saprebbero fare una ‘O’ con
un bicchiere, ammettiamolo, e l'unica a cui potrei chiedere mi ha già offerto
un parere che non ho apprezzato” ammise l’uomo, storcendo la bella bocca.
“Beh, non è detto che il mio consiglio
possa essere migliore… o più piacevole” precisò Hannah, scrollando le spalle,
chiedendosi nel contempo chi fosse la donna misteriosa interpellata dal suo
capo.
“Tanto vale provarci, visto che non so
dove sbattere la testa” scrollò le spalle Nickolas. “Mio fratello si droga,
oltre ad altri vizi legati alla prostituzione di cui preferisco non accennare
se non grossolanamente.”
La donna rimase impassibile per non
angustiarlo, ma quella verità scomoda la mise in ansia. Poteva ben immaginare
quanto una cosa del genere lo mettesse in agitazione e quanto, se portata allo
scoperto, avrebbe potuto rovinare il buon nome dell'azienda.
“Quindi, le donne con cui esci...”
“E' come ti ho detto. Loro,
naturalmente, sanno già in partenza di non doversi aspettare nulla da me, non è
ciò che cercano. E neppure io. Ma la cosa sta diventando...” Si bloccò,
incapace di proseguire, il nervosismo lampante dal tremore della mano che passò
tra i suoi capelli ondulati.
“Insopportabile?” ipotizzò,
immaginandosi cosa volesse dire avere così tanti rapporti vuoti nella propria
vita.
Lui accennò un piccolo movimento del
capo e Hannah, accomodandosi finalmente al suo fianco, disse con sincerità:
“Obbligalo a curarsi, a costo di portarlo in una clinica riabilitativa dopo
averlo stordito a suon di botte. E' troppo giovane per rovinarsi a questo
modo.”
Nickolas ridacchiò suo malgrado e,
fissandola con triste ironia, ammise: “Tu e Serena andreste d'accordo. La
pensate allo stesso modo.”
“Chi è Serena?” si informò lei,
curiosa. Era il primo nome che saltava fuori, tra tutte le donne che facevano
parte della vita articolata del suo datore di lavoro. Pareva davvero essere più
importante delle altre, per lui.
“La mia donna perfetta, se solo la amassi”
ironizzò l’uomo, distogliendo lo sguardo dal volto etereo di Hannah.
“Scelta curiosa di parole” dichiarò lei,
sbattendo le palpebre per la sorpresa.
“Torniamo?” le propose lui, di colpo.
“Ti sei chiarito le idee? O non vuoi
parlare di Serena?”
“Sì a tutte e due le cose” assentì lui
con un risolino. “Farò come mi avete detto. Credo sia l'unica soluzione
possibile, anche se non è proprio il momento adatto perché lui vada in
clinica.”
“Non è mai il momento adatto” gli fece
notare la donna, scrollando le spalle.
“Forse.”
“E Serena?”
Con un sogghigno, Nickolas ammise: “E’
l’unica vera amica che ho, e ne sono un po’ geloso. Scusa.”
Quella frase la sorprese ancor di più.
Che poteva dire, di fronte a una simile dimostrazione d’affetto? Che si era
completamente sbagliata su di lui?
Forse.
Che questa fantomatica Serena doveva
essere incredibile?
Più che sì. Quanto meno, doveva
esserlo anche solo per suscitare simili istinti protettivi in un uomo come
Nickolas, notoriamente cinico nei confronti delle donne.
L’uomo non disse altro e, insieme, si
incamminarono per tornare all'auto.
Il rientro verso West Paseo fu molto più
tranquillo e, quando lui la depositò di fronte a casa, la ringraziò per l'aiuto
e per essersi prestata a quell'uscita non programmata.
Nel salutarlo, Hannah non avrebbe
immaginato di passare una simile serata con il suo capo e, soprattutto, che
avrebbe rivisto Nickolas molto prima di lunedì, sul posto di lavoro.