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Autore: ScleratissimaGiu    12/06/2013    1 recensioni
Francesco, che in classe si è guadagnato il soprannome di "Rapper Depresso", cerca di identificare i suoi sentimenti per Giorgia, una sua compagna.
I due sedicenni, alla fine, riusciranno ad amarsi oppure scopriranno di non essere fatti l'uno per l'altra?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Point Of View: Francesco 
 
Sto iniziando a pensare che mia sorella mi abbia infuso un po’ di femminilità durante i nostri pomeriggi di solitudine: è mezz’ora che sono qui davanti al mio armadio, indeciso su cosa mettermi.
Non voglio sembrare il solito sfigato, il Rapper Depresso… voglio sembrare Francesco, per una buona volta.
Sto realizzando che, a parte i soliti jeans strappati ed enormi, non ho pantaloni presentabili.
Devo ricorrere alla fonte segreta: l’armadio di mio fratello.
Esco dalla mia camera e busso alla sua porta; anche da qui riesco a sentire PSY che canta Gentlemen, e faccio un grande sforzo per non sentirlo.
- Che c’è? - mi urla da dentro, la voce impastata.
Entro, mi chiudo la porta alle spalle e, avanzando nello spesso fumo di tutte le canne che si è fatto, raggiungo il suo armadio.
La musica è assordante (mother father gentleman), l’odore quasi insopportabile e il fumo mi appanna la vista, ma riesco comunque ad individuare un paio di jeans sobri ed una camicia bianca.
Li arraffo stropicciandoli ed esco quasi correndo da quella specie di “Tempio Truzzo/Arena degli Hunger Games” per rifugiarmi nel mio Piccolo Mondo di Rapper Depresso.
Mi infilo i vestiti: non sono niente male, c’è da dirlo, però non mi sento totalmente completo.
- Toh.
Mio fratello è sulla soglia della mia stanza, e mi ha gettato una specie di giacca sul letto.
È nera, semplice ma elegante.
- Grazie, - gli dico, infilandomela.
Non riesco a nascondere una punta di stupore.
- Figurati, - risponde, soffiando una nuvoletta di fumo verso il soffitto.
- La mamma?
Lui getta la canna a terra, spegnendola col piede.
- È a scopare col suo amichetto, - dice, con disprezzo.
- Che ne sai, tu?
- Guarda che li ho sentiti, - risponde, annoiato.
Sospiro: in fondo, l’ho sempre saputo.
Prendo le chiavi del mio motorino dalla scrivania ed esco, chiudendo la porta a chiave: non amo gli spioni.
Nel garage, la mia vespa nera brilla alla luce tremolante del neon, che fa risaltare ancor di più l’adesivo dei San Francisco Giants sul paraurti.
Le strade sono quiete: anche se è sabato, sono pur sempre le sette e mezza di sera.
Arrivo alla periferia di Milano tranquillamente, godendomi la strada (che, per inciso, ha poco di panoramico).
Parcheggio davanti al numero 23 di Via Paradiso, un piccolo condominio, e suono al terzo dei cinque campanelli.
Salgo al quarto piano e busso all’unica porta che c’è; Martina, sorridendo, mi apre.
- Ciao! - mi saluta allegramente.
Non abbiamo mai avuto dialoghi profondi (“C’erano compiti di tedesco?” “No” “Ok, grazie”), ma sembra felice di vedermi.
- Vieni, vieni… sono arrivati tutti.
Mi accompagna in una piccola saletta dove ci sono un televisore enorme e anche due divani rossi.
Su questi sono seduti Valeria, Luca, Alberto, Lisa, Livia, Luca e Giorgia, che mi sorride più apertamente degli altri.
- Ciao… - dico, ma mi esce appena un sussurro soffocato.
“Ciao” e “Ehi” risuonano nella stanza, quindi Martina prende una bottiglia di vodka alla pesca e la posa sul tavolo, dunque fa lo stesso con otto bicchieri.
- Beh, divertitevi. Ma non rompete niente, - aggiunge in tono minaccioso gettando uno sguardo ad Alberto e Luca, che si posano una mano sul cuore.
Dopodichè aprono la bottiglia e versano un bicchiere a tutti, stando attenti a non sprecare nemmeno una goccia.
- Alla nostra, - propone Luca, alzando il suo “calice”.
- Salute, - rispondiamo, e beviamo.
Neanche a dirlo, dopo nemmeno dieci minuti la bottiglia è già vuota e Martina la rimpiazza con uno scotch.
- Non avrei mai detto che avessi tutte quelle scorte… - dice Giorgia, che mi ha fatto posto sul divano.
- Non sono mica mie, - risponde Martina, aprendo la bottiglia - sono di mia nonna, ma non si ricorda nemmeno che le ha.
Giorgia sghignazza, e dalla sua bocca esce un lieve odore di alcool.
Martina le porge un bicchiere, che lei accetta volentieri.
Io rifiuto ringraziando, ma due vodka sono abbastanza, per me.
Cambio divano e mi godo la partita con Luca e Alberto, tanto è solo il terzo minuto del primo tempo.
Quando finisce, alle dieci e mezza, la Juventus ha battuto l’Udinese quattro a due, e siamo rimasti solo io, Luca, Martina e Giorgia.
- Dai, io vado - dice Luca, alzandosi - sono in punizione, devo essere a casa per le undici.
- Ciao… forse è meglio se vado anch’io - dico, mettendomi la giacca.
- Aspetta, Francesco.
A parlare è stata Giorgia, che è appoggiata alla parete davanti a me.
- Vieni un attimo?
La seguo.
Saliamo la scala a chiocciola, attraversiamo un corridoio ed entriamo in quella credo sia la camera dei genitori di Martina.
- Cosa…? - inizio a dire, ma lei si è già chiusa la porta alle spalle.
Ci sta appoggiata, sorridendo.
È ubriaca, ne sono sicuro.
- Giorgia… - provo a farla ragionare, ma, con una forza che non pensavo avesse, mi ha già spinto sul letto.
Devo fermarla, mi impongo, ma lei inizia a baciarmi.
Nella sua bocca l’odore di alcool si è fatto insopportabile, ma non me la sento di staccarmi.
Non adesso, almeno.
Sento che la sua mano inizia a scendere sui miei jeans, e inizia ad armeggiare con la zip.
Devo fermarla, devo fermarla, continuo a pensare, ma non ne ho la forza.
L’unica forza che ho è per assecondarla, e non ci vuole molto prima che i miei pantaloni (pardon, quelli di mio fratello) finiscano sul pavimento, seguiti dagli altri miei indumenti e dai suoi.
È sbagliato, mi dico ancora, ma ormai il mio concetto di giusto e sbagliato è scivolato via come la vodka che ho bevuto qualche ora fa.
Una parte di me non vorrebbe questo, mentre l’altra grida disperatamente che dobbiamo.
Cerco di portarmi sopra di lei, ma questa posizione peggiora solo la confusione che ho in testa.
Giorgia inizia a gemere.
Non capisco se è perché le faccio male o per qualcos’altro, ma le sue braccia mi arpionano stringendomi di più a sé.
Inizia a spingere.
Non so se sto commettendo un errore, ma so due cose.
La prima, che mi piace.
La seconda, che non voglio fermarmi.

 
  
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