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Autore: Pendragon of the Elves    13/06/2013    4 recensioni
"La sento.
I fremiti mi partono dalla punta dei piedi e risalgono lungo la colonna vertebrale fino ai capelli, sembra che mi si rizzino sul capo, una nube carica di tempesta. Le punte delle dita mi prudono nervosamente, come se stessero per mandare scintille. Non sento quasi i piedi che toccano terra, percepisco la schiena satura di carica elettrostatica: sembra quasi che debbano spuntarmi le ali da un momento all'altro.
So bene cosa vuol dire: la voglio, la voglio subito. Ho bisogno di lei, ne ho bisogno. E so dove trovarla, so sempre dove trovarla.
Corro come il vento, apro la porta ed entro.
E lei è là. Adagiata accanto al letto, assopita, dentro il suo vestito nero: è là, nel luogo in cui mi aspetta. Ma non sa quanto io aspettassi lei.
"
~Attenzione! Questa storia non è come sembra: genere, rating e note sono del tutto ingiustificati dal reale contenuto di questa one shot in quanto si basa tutta su un gioco narrativo-descrittivo. Ad alcune persone potrebbe piacere come ad altre potrebbe sembrare semplicemente strana. (rating arancio per implicazioni sessuali esplicite)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Señorita




La sento.
I fremiti mi partono dalla punta dei piedi e risalgono lungo la colonna vertebrale fino ai capelli, sembra che mi si rizzino sul capo, una nube carica di tempesta. Le punte delle dita mi prudono nervosamente, come se stessero per mandare scintille. Non sento quasi i piedi che toccano terra, percepisco la schiena satura di carica elettrostatica: sembra quasi che debbano spuntarmi le ali da un momento all'altro.
So bene cosa vuol dire: la voglio, la voglio subito. Ho bisogno di lei, ne ho bisogno. E so dove trovarla, so sempre dove trovarla.
Corro come il vento, apro la porta della camera ed entro senza quasi accorgermene.
E lei è là. Adagiata accanto al letto, assopita, dentro il suo vestito nero: è là, nel luogo in cui mi aspetta. Ma non sa quanto io aspettassi lei.
La afferro, quasi abbracciandola. Comincio a spogliarla abbassando le cerniere. Prima di aver finito, sento un suono di sorpresa: il mio impeto l'ha svegliata ma non oppone resistenza. Alla fine è lì, nuda, sopra un manto sfatto di velluto nero. La saluto in silenzio, con gli occhi, emozionata, allungando la mano a toccare il suo bel caldo color caramellato. Non rimango mai impassibile di fronte a quella vista: è tanto perfetta che toglie il fiato. E lei… lei ha aspettato tanto ma è indulgente e attende ancora, paziente, che io riesca a ricominciare a respirare. La tiro sù di peso, con entrambe le braccia, sentendo le narici inondate del suo dolce profumo. Porta ancora addosso l'odore della sua terra, la Spagna, come una vergine appena poggiata sul talamo nuziale: sa di legno e d'incenso.
La sfioro. È timida, impacciata. Sembra sentirsi inadatta e me lo manifesta. Mi si stringe il cuore. Non è colpa sua, ma mia: l'ho fatta aspettare troppo. Assumo l'approccio della dottoressa. La testo, la correggo, la modello: ascolto i suoi gemiti sgraziati fino a che non emette la nota perfetta. Quella che mi fa fermare il cuore, quella che mi fa capire che è pronta, quella che sussurra invitante di cogliere l'attimo, un'attimo prezioso, irripetibile, così fragile e raro come un fiore sconosciuto. La tocco di nuovo e la sento ancora: è il momento.
Non riesco più a pensare: sento l'energia racchiusa nel mio corpo, una pulsione troppo sconveniente per placare in altro modo. Sono energia, elettricità pura: avverto il magnetismo che attira le mie dita addosso a lei. Le mie dita su di lei… Ogni volta mi stupisco di quanto sia difficile trovare il trasporto giusto ma di come, alla fine, riesca naturale.
La afferro, abbracciando quelle sue curve generose, lisce, perfette. Apro appena le ginocchia per farla appoggiare sulle mie cosce, indifesa, abbandonata ai miei desideri. Con una mano la afferro, con l'altra la cingo: la posizione perfetta.
Allungo la mano verso il basso. Una vibrazione. Sorrido, elettrizzata: è ora.
È come una cerimonia sacra, il vecchio, magico rituale che rompe in maniera così terrificante il silenzio. Le mie dita si aprono ad artiglio, come ali, e si posizionano dinnanzi a quella nera apertura. Comincio a pizzicare…
… e l'aria si riempie di suoni.
É una melodia meravigliosa, infinitamente semplice, elementare, ma la sua voce è così bella. Merito delle mie dita: sanno dove andare. Lavoro di unghia e polpastrello, delicatamente ma con decisione, senza artigliare, solo premendo gentilmente, come se le stessi accarezzando l'anima. È un movimento tecnico, studiato, infinitamente complesso e voluttuoso: c'è un'intera filosofia dietro quel singolo, indescrivibile gesto. La musica dipende tutta da quello. La sinfonia è incredibile: 6 corde vocali che vibrano dolci nell'aria e nelle mie orecchie. La voce è sua, ma i suoni li controllo io. Io, che mi impossesso di tutto ciò che è.
C'è stato un tempo in cui ero un'amante inadatta, alle prime armi, incapace di soddisfarla appieno, un'inetta che non riusciva a trovare la sua bella voce: quando la toccavo, le usciva forzata, sempre uguale, senza intensità… Ora invece, ora è molto meglio. La mano sinistra sa dove premere per ottenere ciò che vuole, i polpastrelli si impuntano come bambini capricciosi ma precisi, nel punto esatto, con fermezza. La mano destra articola in basso con le carezze giuste, la precisione sembra micidiale rispetto ad un tempo: dove prima c'era solo rozzezza ed approssimazione, ora ci sono crescendi, atmosfere, colori. I miei seni le premono addosso man mano che la stringo, la mano destra si muove sempre di più, la sinistra la sfiora mentre si muove i alto e in basso, dura, irrigidita. So che la stringo troppo, l'ho sempre stretta troppo con quella mano, ma non conta molto: l'unica cosa che conta, è la fluidità della mia mano destra. Danza dinnanzi all'apertura, come una ballerina, con un'articolazione languida, sensuale: la lingua di un gatto nella ciotola nel del latte, la proboscide di una farfalla nel polline di un fiore, le labbra di un bambino contro il capezzolo della madre… mi attacco a lei e mi nutro del piacere che traggo dal quel contatto.
Chiudo gli occhi, e mi lascio guidare dal mio istinto. Le mie braccia cominciano ad ondeggiare, i polsi si flettono elegantemente come rami, le mie gambe compensano ogni mossa. Ora la sento meglio, nel buio sotto le mie palpebre ora esiste solo lei. La avverto fremere, la sento vibrare, il suo tremito contro di me che parte dalle mie dita e mi arriva dritto al cuore assieme al suo suono. Catturata, resa schiava, non riesco a controllarmi. Il mio capo ondeggia dolcemente, assecondando il movimento del mio corpo, le mie narici sono allargate, mie labbra sono schiuse, il mio respiro si fa profondo, accompagna i miei movimenti. Sento come una corrente profonda, una forza che proviene dal profondo della mia anima che si libera, scaturisce da me, potente ma contenuta. Non esplode, fuoriesce. Non brucia, soffia. Non si agita, danza. Il mio spirito la emana come un soffio vitale: la mia emozione che trasmetto a lei, solo a lei. E lei che la canta, soave come un angelo, che dà vita alle parole della mia anima. Tira fuori ciò che c'è di più nascosto in me, la mia passione, la mia energia, e la libera nell'aria, senza che io dica niente. Lei mi legge, mi rende vera, soltanto facendosi usare. Da me. Rendendosi mia.
Le mie dita danzano sulle note della mia vita, sul battito del mio cuore che trasmetto a lei. Il canto che scaturisce dal suo petto mi travolge. Mi sento volare, così in alto che la forza di gravità non sembra avere più potere su di me -su di noi- mentre ci allontaniamo dalla realtà. Siamo più leggere dell'aria, più brillanti delle stelle, più distanti della notte e più forti della morte. Siamo una cosa sola: un'essere perfetto, un punto unico, una melodia inscindibile ed infinita nel silenzio cosmico dell'universo. Noi siamo l'universo. In quel momento non c'è altro rispetto a noi, ognuna è parte dell'altra e tutto il suo mondo. Perché non c'è bisogno di altro, se non un cuore e la voce più bella del mondo per cantarlo.
Poi, piano piano, come un sogno sciolto dalla luce dell'alba, tutto finisce. Le mie dita rallentano, la melodia cala, i miei occhi si aprono e il mio respiro torna ad essere silenzioso. Ed infine nell'aria risuona l'ultima nota, perfetta e tesa: la sua bellezza è troppo effimera ma troppo indescrivibile per pensare che possa svanire così, come una goccia di rugiada che cade da una foglia alle prime luce di un mattino di primavera. Il suo eco si perde per sempre nel silenzio e la musica si ferma.
Ci metto un po' prima di riuscire a respirare. Non credo ancora che tutto quello sia potuto finire così, in un istante, decaduto nell'immobilità fredda di un'oggetto senz'anima. Abbasso gli occhi: lei è morta, fredda ed immobile fra le mie braccia, muta come se non avesse mai cantato. Sorrido, mentre guardo il corpo che ho appena posseduto. La sollevo nuovamente e la rivesto della sua custodia carezzando un'ultima volta il manico di legno e le sei magiche corde che hanno appena suonato la sinfonia della mia vita: carezzo in saluto, il legno spagnolo della mia bella quattro quarti che possederà sempre il mio cuore in eterno.
«Buona notte, mia bella Señorità...».





 

El Fin




 

 

*             *             *





 

Angolino dell'autrice

Inanzitutto, saluti! E un complimento a tutti quelli che sono rimasti sconvolti ma sono arrivati a leggere fino a qui.
Storia strana, non c'è che dire: non ho mai avuto questa insana mania per le personificazioni degli oggetti ma, devo dire che, questo oggetto in partiolare, non fatico affatto a vederlo come una creatura vivente, anzi, penso inconsciamente di averlo sempre considerato tale. Per chi non l'avesse ancora capito, l'oggetto in questione è una chitarra. E non una chitarra in particolare, ma quella della sottoscritta: la mia adorata Señorita quattro quarti costriuta appositamente su ordinazione dalla Spagna.
In effetti, le chitarre sono molto umane come strumenti musicali: hanno bisogno di attenzioni costanti, di cure,
cambiano suono col tempo, a seconda di come le si suona e a seconda di chi le suona e soffrono gli sbalzi di umore e di pressione... sono strumenti affascinanti che non finiscono ancora di stupirmi anche dopo tanti anni di conoscenza!
E se mi chiedete il perchè di questa storia, la risposta è una e semplice...
PERCHè SUONARE UNA CHITARRA è SESSO CON SEI CORDE!!! :D
Alla prossima!


Penny

  
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