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Autore: shadow_sea    13/06/2013    7 recensioni
Il seguito di "Come ai vecchi tempi".
Questa volta le avventure del comandante Trinity Shepard fanno riferimento agli eventi narrati in Mass Effect 3.
Come nella storia precedente, la mia intenzione è quella di scrivere storie che traggano spunto dal gioco originale e se ne discostino allo stesso tempo, sempre attente a non stravolgere la trama o i personaggi. Le storie che troverete qui sono frutto di considerazioni ed emozioni personali, sono frutto del mio amore appassionato per questa trilogia e per Shepard ma, soprattutto, per Garrus Vakarian.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Garrus Vakarian, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shepard e Vakarian'
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VENDETTA


Farewell


Shepard era finalmente arrivata al pannello di controllo. I comandi che azionò fecero dischiudere le braccia della Cittadella quel tanto da consentire il posizionamento del crucibolo.
Fissò distrattamente, senza alcuna emozione, i numerosi frammenti delle navi spaziali distrutte che galleggiavano quietamente nel vuoto avanti a lei e le esplosioni rossastre dei colpi sparati nella battaglia ancora in corso: le giungevano ovattate, come immagini di un miraggio lontano.
Aveva un’ottima visuale di tutto il panorama che si offriva al suo sguardo, con la testa libera dal casco il cui comunicatore aveva smesso di funzionare, limitandosi ad emettere un urlo continuo e lacerante che le aveva straziato i timpani fino a quando l’aveva sganciato e fatto cadere in terra, subito dopo essere stata colpita di striscio dal Razziatore, poco prima di raggiungere il raggio che l’aveva trasportata sulla Cittadella.
Lungo l’estenuante cammino che l’aveva portata da Anderson, aveva gettato in terra anche tutti gli altri pezzi della sua armatura, ormai troppo lesionata per offrire protezione e troppo pesante per consentirle di muovere liberamente le membra stremate.

Quando era arrivata dall’ammiraglio il suo corpo sfinito era protetto solo dall’uniforme, che era solita indossare sotto l’armatura, e dagli stivali. Quell’indumento, intriso dal sangue che si stava iniziando a coagulare, le si appiccicava sgradevolmente alla pelle e le riempiva le narici di un odore persistente, dolciastro e metallico.
Il comunicatore nel casco era partito, ma quello inserito nel colletto dell’uniforme, che la teneva in contatto con l’Alleanza, era miracolosamente rimasto intatto e le aveva permesso di raggiungere l’ammiraglio, attraversando antri sconosciuti della stazione spaziale, cosparsi di cadaveri umani e popolati da quelle inquietanti figure insettoidi dei custodi.
Non aveva altro indosso, oltre alla maledetta pistola che aveva trovato sull’asfalto della strada di Londra a pochi metri dal raggio. Le era servita per uccidere gli ultimi nemici sul suo cammino, ma avrebbe desiderato non averla mai raccolta da terra.
La fissò con repulsione, fino a quando un gemito dell’ammiraglio Anderson la raggiunse e lei si girò a guardarlo. Meccanicamente infilò l’arma nella cintura dell’uniforme, mentre si dirigeva verso il compagno a terra.
Lo vide appoggiarsi stancamente contro la larga pedana circolare nel centro della piattaforma su cui si trovavano e gli si sedette pesantemente al fianco.

- Ce l’abbiamo fatta - commentò il comandante senza riuscire veramente a credere che quella guerra tanto disperata e quasi perduta potesse concludersi vittoriosamente con quel gesto così banale: con la semplice pressione di un pulsante.
Si sentiva stanca, malinconica e ormai assolutamente disinteressata a seguire gli ultimi avvenimenti dello scontro ancora in atto. Se avesse avuto la forza si sarebbe messa a piangere.
- Sì, è così - commentò a sua volta Anderson, con voce stanca e affaticata - E’ un bel panorama...
- Sono i posti migliori - replicò lei con lo stesso tono di voce, senza riuscire a capire perché fosse tanto affranta da una vittoria insperata.
Il commento di Anderson - Dio mio... mi pare di non sedermi... da anni - le fece comprendere quanto simili alle sue fossero le emozioni dell’ammiraglio e si sentì rincuorata.
Forse era normale uno stress come il loro alla conclusione di una guerra, iniziata tanti anni prima, che aveva dominato gran parte della loro esistenza. Provò a sorridere, senza riuscirci, per cercare di sollevargli il morale.
- Credo si meriti un po’ di riposo - gli sussurrò incoraggiante - Cerchi di resistere. Presto sarà tutto finito.
- Sei stata brava, figliola. Bravissima. Sono orgoglioso di te.
- Grazie - rispose senza soddisfazione e senza orgoglio, sentendosi solo esausta, prima di capire che quella frase era stata l’ultima che l’ammiraglio avrebbe mai pronunciato.

Se avesse avuto la forza, se le fosse rimasto un briciolo di energia, avrebbe urlato contro quell’inammissibile ingiustizia finale. Lei aveva ucciso Anderson, lei era stata l’artefice materiale di quella morte così crudele e inaccettabile. E non le restava neppure la speranza di poterlo vendicare, perché non era stata lei a premere il grilletto dell’arma che aveva freddato l’Uomo Misterioso.
Si era ucciso da solo, rubandole una vendetta che le apparteneva di diritto perché lui l’aveva costretta a uccidere Anderson, lui l’aveva controllata.
Forse Miranda aveva mentito o forse neppure lei era a conoscenza di tutte le subdole manovre del leader di Cerberus, ma l’Uomo Misterioso poteva averle inserito un qualche chip di controllo quando aveva avuto fra le mani il suo corpo, e poco prima l’aveva usata… per uccidere l’ammiraglio, uno dei suoi più cari e vecchi amici.
Non si può sopravvivere al ricordo delle proprie mani che agiscono sotto una volontà altrui, infliggendo la morte al proprio compagno di battaglia, pensò con rabbia inutile, sentendosi sopraffatta e stuprata.

Shepard avvertiva passivamente il tremito del suo corpo, l’incapacità di muoversi, la difficoltà di formulare un pensiero che fosse razionale e non il frutto amaro delle schegge di sofferenza che le si conficcavano nella mente, sommergendola in una disperazione incontrastabile.
Fissò ancora una volta la mano che aveva usato per tamponare istintivamente la ferita al fianco e provò sollievo nel vederla completamente coperta di sangue denso e viscoso. Pensò con odio a tutti gli impianti che le avevano inserito dentro il corpo per fare di lei un super soldato e pregò che non fossero sufficienti a tenerla dolorosamente ancorata a quell’esistenza che non aveva più alcun significato.

Fu la voce dell’ammiraglio Hackett a riscuoterla - Shepard. Comandante!
Lei rispose automaticamente - Io... Cosa vuole che faccia?
- Niente... Il crucibolo non si è attivato. Dovresti fare qualcosa da lì.
Shepard agì come il soldato che era, trascinandosi sul pavimento coperta dal suo stesso sangue, senza potersi alzare, ma cercando comunque di raggiungere ancora una volta il pannello di controllo perché quello era il suo dovere. Le era stato chiesto aiuto, ancora una volta, e lei aveva risposto alla richiesta, istintivamente, senza però comprendere cos’altro ci si aspettasse da lei.
- Non vedo... Non capisco come... - mormorò prima di svenire, allungando una mano verso la consolle, troppo in alto perché riuscisse a sfiorarla con le dita.

La piattaforma sotto il corpo esanime del comandante prese a sollevarsi in un silenzio ovattato, portandola verso l’alto, mentre le braccia della Cittadella si aprivano completamente, come ad accogliere religiosamente quell’ultimo sacrificio alla disciplina e alla tenacia con cui Shepard aveva combattuto fino allo stremo delle sue forze.
Quando rinvenne, si guardò attorno, senza capire dove si trovasse, mentre lo spettro del bambino che aveva turbato i suoi sogni, del bambino che si era visto morire davanti a Vancouver, si avvicinava a lei incitandola a svegliarsi.

Lo fissò, odiando quel nemico che come ultimo affronto le si proponeva nelle sembianze di una vittima innocente. Resistette a stento all’impulso di perforare quel corpo immateriale con i proiettili della pistola che aveva ancora con sé.
Quell’essere le stava parlando e, prima di morire, lei voleva capire i perché di quell’odio assoluto e inspiegabile.
Ascoltò le spiegazioni offerte spontaneamente e le risposte alle sue tante domande, ma non riuscì davvero a comprendere. Quello spettro era al di là dell’intelletto di un essere organico, era la personificazione della razionalità eterna e infinita. Era la fredda manifestazione tangibile di un potere astratto e insensibile.

Fu tentata di decidere di non scegliere fra le alternative che il bambino fantasma le aveva sciorinato davanti, come un robot che elenca la lista dei beni di un negozio. Ma non effettuare alcuna scelta avrebbe causato solo il proseguimento di una guerra che era già persa.
Quando il bambino le affidò il peso di tutta la galassia, lei piegò le spalle ancora una volta, per accettarlo, perché non c’era altra scelta possibile.

Blu, verde, rosso. La vita della galassia si giocava nei colori. Il blu degli occhi di Garrus, il verde dei suoi, il rosso dei capelli che il turian amava tanto, pensò cercando di procrastinare il momento inevitabile della fine.
Controllo, fusione, distruzione: queste erano le possibili soluzioni.
La sua esistenza e le esistenze dei compagni che avevano combattuto le sue stesse battaglie e che giacevano già morti o ancora respiravano dovevano trovare una giustificazione in quella scelta finale indifferibile.

E il comandante ricordò.
Ricordò l’attimo in cui la lama del suo factotum aveva squarciato il petto di Kai Leng, decretandone la morte: quell’attimo che era stato di autentica catarsi. Mentre la lama lacerava la carne, dilaniava i muscoli e spezzava i tendini per poi frantumare le costole trafiggendo infine il cuore, lei aveva provato una delle gioie più grandi e pure della sua vita.
- Questo è per Thane, maledetto bastardo - aveva urlato Shepard con un’esultanza selvaggia che Garrus e James avevano trovato divina. Non era una donna quella che stavano fissando; era l’incarnazione della Nemesi per Vega, dello Spirito della Vendetta per Garrus.
Erano rimasti a fissare l’espressione spietata di quella donna che sapeva odiare con una intensità che li metteva a disagio.
- Per gli Spiriti, Shep... - aveva esclamato il turian guardandola con rispetto misto a stupore - non ti resterebbe che estrarne il cuore e addentarlo mentre ancora pulsa.
- E metterti a ballare una danza di guerra intorno al suo corpo esanime lanciando grida di trionfo - gli aveva fatto eco James lanciandole uno sguardo piuttosto inquieto.
- Era un vero bastardo - aveva commentato lei con disprezzo - e aveva ucciso un mio amico - aveva aggiunto, sicura che quelle due frasi fossero sufficienti.

- Cavolo, Cicatrici - aveva sussurrato James al turian mentre stavano ritornando sulla Normandy - io avrei paura a dividere il mio letto con una donna come il comandante.
- Non ti consiglio di provarci, Vega - gli aveva risposto il turian con uno sguardo gelido che l’aveva fatta sorridere, anche se sapeva che era stata pronunciata per gioco.
- In effetti... è probabile che neppure tu sia una persona con cui sia consigliabile dividere il letto - aveva risposto James scoppiando a ridere, mentre pensava che il vecchio detto Dio li fa e poi li accoppia calzava a pennello a quei due.

Quella stessa sera, quando Garrus era passato da lei per augurarle la buonanotte, l’aveva trovata chinata sul terminale.
- Tutto bene? - le aveva chiesto.
- Stavo finendo di scrivere una lettera - gli aveva risposto lei, con un sorriso triste.
- Mi dispiace di averti interrotto, volevo solo augurarti una buona notte.
- Vieni, leggila e dimmi cosa ne pensi.

Kolyat,
poche ore fa ho ucciso l’assassino di tuo padre.
Non so se Thane abbia potuto vedermi affondare la lama nel petto di Kai Leng ma, se anche fosse, so che non si sentirebbe felice o riconoscente per questo mio atto di vendetta e di giustizia.
Non ti conosco abbastanza per immaginare cosa proverai tu, nell’apprendere questa notizia. Vorrei però che sapessi che ho ucciso quell’uomo per legittima difesa e per proteggere l’umanità dai Razziatori. Non saprò mai se sarei stata capace di ucciderlo a sangue freddo, nonostante lo meritasse, solo per vendicare tuo padre: lui non avrebbe voluto che io diventassi un’assassina. Ma è a tuo padre che ho pensato affondando la lama.
La conclusione della nostra missione si avvicina e spesso mi trovo a pensare che forse avrò modo di incontrare presto Thane. Non credo nell’aldilà ma, se esistesse, sarebbe un luogo, e un tempo, comune a tutte le razze della galassia.
Vorrei mi inviassi il testo della preghiera che abbiamo recitato insieme in ospedale. Fra le tante che ho avuto modo di ascoltare in questi lunghi anni è senza dubbio quella che mi conforta di più.
Comandante Trinity Shepard


- Tu non morirai e io neppure - aveva dichiarato Garrus con sicurezza una volta finito di leggere.
Poi le aveva preso il mento fra le mani e l’aveva costretta a guardarlo negli occhi - Promettimelo.
- Sarà complicato, ma ci proveremo - aveva replicato lei, sorridendo con espressione triste.
- Ci sono tanti altri amici da vendicare, oltre Thane - l’aveva incoraggiata Garrus - Non possiamo arrenderci.
- Ma io non morirò prima di aver ucciso l’ultimo Razziatore! - aveva esclamato Shepard con veemenza, sconvolta al pensiero che lui la credesse capace di arrendersi al nemico - E sai che io mantengo sempre le mie promesse.
Il turian aveva sorriso con espressione triste - James mi ha insegnato la frase all’apparenza sciocca e banale che chiude molte delle favole terrestri: E vissero felici e contenti. Sarà anche sciocca e banale, ma suona meglio di E morirono felici e contenti, non pensi?
- Sei un turian incontentabile!
- Uhm, no... mi contento con poco - le aveva risposto sciogliendole i capelli e soffiandole il fiato sul collo per farle il solletico.

Tornò al presente. Non doveva indugiare troppo sul passato e non poteva pensare al turian. Non in quel momento, non alla fine di quella dannata guerra. Doveva restare lucida per fare la sua scelta. Fissò i tre sentieri che aveva di fronte a sé: tre strade possibili, una sola opzione.



An End, Once And For All


Provò ad immaginarsi nelle vesti di custode attento e gentile delle razze viventi della galassia, con tutti i Razziatori pronti ad ubbidire ciecamente ad ogni suo ordine.
La paladina della galassia, la dispensatrice di giustizia, del suo personale concetto di giustizia.
Avrebbe potuto decidere il destino di intere razze, di tutte le IA, di tutte le forme organiche e artificiali esistenti e di tutte quelle che sarebbero nate nei millenni futuri.
Lei, una femmina umana, innalzata a madre di tutti gli dei. Eterna, infinita, onnipotente.
Avrebbe vegliato sui suoi amici e compagni, avrebbe visto invecchiare Garrus e perfino Liara, Grunt, Wrex e Bakara.

Poi si figurò tutti gli esseri, le razze organiche, ma anche IDA e i geth, vivere in sintonia, ognuno conscio di essere parte di un tutt’uno inseparabile e indistinguibile.
Si vide abbracciata a un Garrus divenuto immortale come lei e come ogni altra entità, vivente o artificiale.
Avrebbe potuto riscrivere il DNA di ogni essere, avrebbe potuto dare vita organica alle entità artificiali e avrebbe inserito circuiti e processi automatizzati negli esseri viventi.
Avrebbe potuto creare l’armonia perfetta, l’equilibrio eterno e una pace che non sarebbe potuta essere distrutta.

Infine considerò il sacrificio di tutte le IA: rivide Legion accasciarsi sul suolo arido di Rannoch, rinunciando alla vita, in nome di una insperata pace fra geth e creatori, e trovando, da solo, la risposta a quella domanda impellente Quest’unità ha un’anima?
Poi il suo pensiero andò ancora una volta a IDA, ricordandola mentre la prendeva da parte sulla Normandy per porle uno dei suoi tanti irrisolti problemi esistenziali.
Vite nate da circuiti. Anime germogliate dal metallo. Non avevano chiesto di nascere e non avrebbero chiesto di morire.

Si guardò per l’ultima volta intorno, sapendo che ad ogni istante che si prendeva per riflettere e decidere, nuove vittime si aggiungevano a quelle già cadute. Doveva concludere quella dannata guerra.
“La mia nave è lassù, da qualche parte” immaginò facilmente, senza poterla scorgere, “e io sono orgogliosa di tutti voi” confidò loro, mentre rivedeva la Normandy ancora all’attracco e lei stessa, con le braccia appoggiate alla ringhiera dell’hangar D24, che la fissava, mentre l’equipaggio le si radunava attorno.
Allora... Torniamo in azione? le aveva chiesto Garrus. Almeno abbiamo festeggiato come si deve. Forse per l’ultima volta... aveva replicato con sguardo sognante, fissando quello scafo lucido e snello.
La mia donna non parla così. Troverai il modo di vincere. E alla fine di tutto... festeggeremo insieme aveva risposto il turian, regalandole una speranza.
“Sì, Garrus. Vinceremo, ma i festeggiamenti dovrai farli da solo... Ricordati che i momenti di gioia forse non sono stati molti, ma sono stati intensi. Come hai detto tu? Ah ecco... sì... Su quella nave ho passato i migliori istanti della mia vita. E’ stato davvero bello” pensò con una malinconia che le masticava l’anima.
Impagabile ti ho risposto, mentre ti avviavi anche tu, poco prima che mi decidessi finalmente a staccare le mani da quella ringhiera e a seguirvi”.
- Addio, amici. Questa volta la mia strada mi porta lontano da voi e da quella splendida nave - sussurrò piano.
- Mi dispiace - concluse, con un breve sorriso stanco, finalmente certa che non ci fosse una vera scelta: la scelta era stata fatta tanto tempo prima e a lei spettava solo compiere l’ultimo atto necessario.

Poi si avviò.

Sbandava, senza riuscire a camminare lungo una linea dritta, strascicando affannosamente gli stivali insanguinati sul lungo percorso che portava alla fine di quella maledetta guerra durata troppo a lungo.

Sfilò la pistola dalla cintura e puntò con la mano tremante la colonna che vedeva di fronte, sbattendo ripetutamente le palpebre per ripulire la visuale dagli aloni di sangue.
Il primo colpo incerto ed ancora esitante lo dedicò a David Anderson, il secondo a Legion e poi, a ritroso, a Thane Krios, Mordin Solus, fino ad Ashley Williams e Richard Jenkins.
Adesso la determinazione era tornata a pulsarle violentemente nelle vene, assieme al sangue rimasto, e i colpi successivi vennero esplosi con precisione millimetrica, mentre i suoi passi si fecero decisi e il suo viso si illuminò di un sorriso sicuro.
Rialzò lo sguardo con espressione determinata e riprese a sparare, ricominciando a scandire i nomi ad alta voce, a partire dal primo affisso in alto a sinistra sul memoriale della Normandy, e andò avanti a sillabarli uno per uno con esultanza selvaggia, mentre ricaricava l’arma e continuava a sparare con una gioia calda che partiva dal centro del corpo e si irradiava prepotentemente per tutte le membra stanche.

Si immaginò quella lastra arricchita dal nome dell’ammiraglio David Anderson e dal suo, apposti al centro, là dove figuravano sempre i nomi dei condottieri di una nave spaziale, caduti nell’assolvimento del proprio dovere.
Infine, come ultimo tributo, lasciò che una singola lacrima tiepida lavasse via il ricordo dell’ultimo comando dolce e struggente del suo turian - Perdona l’insubordinazione, ma il tuo ragazzo vuole darti un ordine... Non morire.

- Magari un’altra volta, Garrus - bisbigliò, sorridendo tristemente nell’attimo in cui la fine divenne riconoscibile.

Ricordò, in una serie di immagini che durarono pochi secondi eterni, i suoi occhi color cielo, la smorfia ironica, la risata lieve, la sua eterna aria scanzonata, l’espressione concentrata con cui eseguiva le calibrature, rintanato nella batteria primaria.
Lo rivide in battaglia, con il fucile di precisione stretto fra le mani e l’occhio appoggiato contro il mirino, e fra le lenzuola candide del letto nella sua cabina, mentre le cercava la bocca o le infilava il naso fra i capelli, annusando il profumo della sua pelle. Sentì la durezza confortante delle sue placche addominali che la proteggevano quando si raggomitolava fra le sue braccia, con la nuca appoggiata contro il suo petto, in cerca di un sonno che non sarebbe stato disturbato da incubi.
Ricordò il profumo metallico della pelle, il sapore lievemente amaro della sua bocca calda, la scabrosità della schiena, la dolcezza premurosa con cui faceva scorrere le dita fra i suoi capelli, l’attenzione che dedicava per leggerle gli occhi e il cuore.

- Al mio posto, tu faresti lo stesso - gridò con quasi con rabbia, appagata da quella vendetta troppo a lungo agognata. Spalancò le braccia per ricevere in pieno petto la forza dell’esplosione, abbandonandosi alla soddisfazione di aver finalmente portato a termine quella maledetta missione iniziata su Eden Prime troppi anni prima, e alla riconoscenza sconfinata di non dover sopravvivere alle tanti morti che il suo ultimo gesto stava causando.
La detonazione rossastra la avvolse in un abbraccio possente, liberando il suo corpo dal contatto con il terreno e la sua mente da quella insopportabile sofferenza che aveva ormai annullato l’impulso atavico di continuare a respirare.
  
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