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Autore: ClaireCarriedo    13/06/2013    1 recensioni
La vita ci riserva sorprese ad ogni respiro, una lezione che Raquel non ha ancora imparato nonostante l'età. Un inizio un po' turbolento darà solo il via ad una serie di situazioni imbarazzanti, stupide e comiche.
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" Sì, la vecchia doveva aver decisamente allungato l'occhio verso il contenuto della scatola. La cosa in un certo senso la turbò, ma ben presto le divenne molto utile.
«Li vuole? Altrimenti li butto.»
«Pure che li butti, chi ti fa credere che non proverò a recuperlarli dal secchione. Da' qua.»
E con questo allungò il tutto verso l'anziana signora, che arraffò il bottino quasi leccandosi i baffi – e ne aveva. "
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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AÚN ES DEMASIADO PRONTO

Capitolo 1

 

«Le amicizie vere sono quelle basate sul sentimento; l'amico non giudica, comprende.»

Aldo Fegatelli

 

 

 

È poi così difficile riprendere la vecchia vita dopo due anni di relazione buttati al vento?
Avevo sempre pensato che fosse una bezzecola, una cosa da niente, ma forse lo credevo perchè ci dovevo ancora passare. Certo non erano trascorsi poi così tanti giorni da quella fatidica sera in cui la Germania aveva improvvisamente preso vita avvinghiandosi a quello che era il mio uomo, ma credevo che almeno dopo una settimana ci avrei potuto fare l'abitudine. Forse la colpa era di Hector che nonostante la vicenda continuava a chiamarmi, ovviamente senza ricevere alcuna risposta da parte mia. Oppure avrei dovuto dire tutto ad Eldora? Magari mi sarei tolta quel peso di dosso.
Eppure non ce la facevo, anche se sapevo che lei non mi avrebbe mai giudicata e non sarebbe mai uscita fuori con il classico “Te l'avevo detto!”.
Era più forte di me e sapevo di sbagliare.

Ad ogni modo quella giornata stava risultando più pensante del solito. Appena arrivai in ufficio non feci nemmeno in tempo a sedermi sullo sgabello di fronte al tavolo da lavoro, che immediatamente quell'odiosa di Carmen sbucò alla porta rifilandomi una commissione per la creazione di un'insegna.
«Deve essere pronta per la prossima settimana!» disse, con quella sua vocina sottile e fastidiosa.
«Ma questo non sarebbe compito tuo?»
«Eh, ma io ho un impegno.»
Per un istante rimasi a guardare quella “donnaccia” con fare interdetto.
«Ok.»
Poi risolsi la faccenda con quel misero monosillabo pur di non doverla ascoltare ulteriormente mentre giustificava la sua pigrizia. In quel momento avrei voluto tanto dirle che quella commissione se la poteva infilare in un posto dove il sole non batte mai, ma mi trattenni tirando fuori il cellulare dalla borsa, cancellando le ultime chiamate perse di Hector e prendendo un foglio per iniziare con qualche schizzo.
Se ne andò molto velocemente, forse aveva intuito cosa mi passava per la testa.
Nel momento in cui lei lasciò la stanza la sua presenza venne rimpiazzata da quella di Eldora.
Potevo anche non avere il miglior umore del mondo, ma la sua compagnia mi faceva sempre piacere.
Lavoravamo entrambe alla Gìron Grapichs da almeno tre anni, fu proprio quello il posto in cui ci conoscemmo e dove scoprimmo la nostra comune fissazione per i fumetti. Eldora fu la prima persona in assoluto alla quale parlai delle miei passioni senza essere presa per una bambocciona di ventiquattro anni (era l'età che avevo il giorno in cui la incontrai) che ancora si divertiva con passatempi da adolscente.
«Buongiorno!!»
Beata lei che aveva tutta quell'allegria.
« 'Giorno!» dissi, sforzandomi di mostrare un misero sorriso. Forse la stavo facendo troppo lunga. Avrei dovuto smetterla di piangermi addosso, o meglio, di fare la depressa cronica.
«Non dirmelo: Carmen ti ha lasciato la sua commissione.»
«Jackpot!» dissi, muovendo la mano, con stretta la matita, verso l'alto.
«Potevi tirarglielo.»
«Avrei potuto in effetti, ma non avevo voglia di discutere.» ammiccai, tornando per un po' con il naso e la concentrazione sul foglio che avevo appoggiato sul tavolo, iniziando a tracciare qualche linea guida.
« Se Herrero sapes-... »
In quel momento il mio cellulare prese a squillare di nuovo. Posai lo sguardo sul display e non mi stupii affatto nel notare il nome di Hector, per questo ignorai la chiamata lasciandolo squillare.
Sentii Eldora avvicinarsi e sbirciare.
«Raquel, il telefono. Sei diventata sorda?»
«Lascia stare.» mossi una mano in aria, provando a continuare il mio lavoro.
Non avrei immaginato di vederle prendere il cellulare e rispondere al posto mio. Quando accettò la chiamata, fu come se il mio cuore si tuffasse dentro lo stomaco e sgranai gli occhi fissandola.
«Certo, ora te la passo. È Hector dice che è imp-...»
Come mi porse il telefono in uno scatto lo presi, chiusi la chiamata e lo posai dalla parte opposta a dove stava Eldora.
Di certo non potevo aspettarmi che, data la mossa che avevo appena compiuto, lei non mi avrebbe chiesto nulla.
«Tutto ok?»
«Perfettamente...»
«Non si direbbe. Avete litigato?»
«No.»
In effetti quello tra me ed Hector non era stato un vero e proprio litigio. Per lo più avevo parlato io e gli avevo carinamente detto di sparire.
Ovviamente questo Eldora non poteva saperlo, infatti continuava a guardarmi perplessa mentre io cercavo in ogni modo di ignorarla. Ma non era così facile, tanto che mi trovai a marcare più pesantemente le linee sul foglio da disegno.
«E allora cosa è succeso? Per poco non dividi il cellulare a metà.»
«Assolutamente nulla! Non è successo nulla.»
«Sei certa? Da come hai attaccato si direbbe che te ne abbia fatta una gro-...»
La punta della matita si spezzò sotto la pressione che stavo esercitando sulla mina. Bucai anche il foglio.
Rientrare nel discorso in quel modo mi stava facendo arrabbire incredibilmente. Eldora non lo faceva in cattiva fede, ma io non ero del morale giusto.
«Perchè non mi lasci in pace, invece!?» esordii, alzando appena la voce, lasciando la matita e portandomi le mani alle tempie. Era un gesto di completa disperazione, odiavo ripensarci. Ed odiavo lui!
«Stai calmina, però.»
L'avevo offesa. Avrei dovuto pensare prima di cacciarla in quel modo.
I passi della mia amica divennero veloci e nervosi mentre si avviava verso l'uscita, ma quando fu alla soglia la fermai, passandomi una mano tra i capelli.
«Aspetta...»
«Ti sto lasciando in pace, proprio come desideri.» disse con evidente fastidio.
Ero stata proprio maleducata nei suoi confronti, lei che invece si era preoccupata per me ed aveva solo chiesto una spiegazione.
«Scusa, non ti volevo rispondere in quel modo.»
Si riavvicinò a me, portandosi le mani alla vita. Mi stava guardando con il suo classico modo del: “Fantastico, ora sputa il rospo.”.
Quindi iniziai a dirle tutto quello che era successo. Era la mia migliore amica, l'unica con la quale mi sarei potuta sfogare liberamente.
«L'altra settimana l'ho beccato con un'altra.»
«Mh!? Ma non era in Germania?»
«Lo pensavo anche io, invece l'ho beccato alla “Belle Cousine” con una tipa addosso.»
Per un attimo sentii di nuovo il naso che cominciava pizzicare come se fossi sull'orlo delle lacrime. Ma non potevo piangere ancora e le ricacciai da dove erano arrivate.
«Raqui... mi dispiace tanto.»
«A me dispiace non averti dato retta.»
«Beh, mi avevi detto che ti fidavi di lui, io mi fido di te... era un trenino di fiducia. Peccato che si sia fermato ad Hector.»
«Trenino di fiducia...» ripetei sogghignando.
Questo mi fece ridere, molto meglio di stupide lacrime. Era il bello di parlare con Eldora, in un modo o nell'altro mi faceva tornare il sorriso, senza forzarmi.
Il cellulare iniziò a squillare di nuovo ed entrambe posammo lo sguardo su l'oggetto. Avrei dovuto ingnorare ancora la chiamata oppure rispondere?
Ingenuamente presi il telefono tra le mani ed accettai. Rivelare tutto alla mia amica mi aveva fatto tornare un po' più me stessa e decisi che era il momento di mettere un punto di conclusione definitivo.
«Finiscila di chiamarmi. La tua voce è l'ultima cosa che voglio sentire. Sparisci dalla mia vita. Grazie!» dissi, in tono perentorio.
Non gli feci emettere alcun tipo di suono perchè non mi interessava ascoltarlo.
«Brava, Raquel!» disse Eldora, stringendomi le spalle con le mani.
Le sorrisi con un velo di malinconia, ma era comunque un espressione sincera. Sapere che ci sarebbe stato sempre qualcuno che avrebbe tifato per me mi risollevava il morale in modo incredibile.
«Ora ti lascio, che devo lavorare anche io. Spegni il cellulare. Ci vediamo dopo.»
«Sarà fatto.»
La salutai con un gesto militare e tornai a concentrami sul foglio che avevo involontariamente bucato con la mina della matita.
Lo guardai per un po', poi lo accortocciai e lo buttai nel cesto. Ne presi un'altro e rimasi a fissare anche quest'ultimo.
Davvero pensavo di aver dato una conclusione seria con quella semplice frase? Sembrava tutto così semplice, come se non ci fosse stato mai nulla.
Fu quel pensiero che mi portò a guardare la mia stessa figura nel piccolo specchietto che avevo attaccato al muro. Non avevo niente di diverso, certo la mia espressione non era delle più idilliache, ma non avevo occhiaie, non avevo il viso scavato e tanto meno i capelli sconvolti – o almeno non più del solito.
Quindi quali erano stati i cambiamenti da quella fine? Sentivo tanta rabbia dentro, ma rimaneva lì e non usciva.
Qualsiasi fosse il motivo per cui non riuscivo ad esternare tutta la tristezza che provavo, mi misi a disegnare.
Abbandonai momentaneamente il progetto che avrei dovuto portare a termine e presi a tracciare la sagoma di una donnina che finì per somigliarmi in qualche modo: capelli lunghi e biondi, piccolina di statura e vestita con le prime cose che l'armadio le aveva letteramente lanciato addosso.
Più la caratterizzavo aggiungendo i particolari della maglia, le ombre e anche un'ambientazione, più mi resi conto di quanto mi stavo rilassando, come se il perseverare in quel disegno mi stesse svuotando a mano a mano da quei sentimenti repressi.


Passai parte della mia giornata a creare bozzetti su questo nuovo personaggio venuto fuori dal caso. Le diedi anche un nome “Ramòna (Rami) Javier”.
Quando, all'ora di pranzo, decisi di mettermi a lavorare seriamente alla famigerata commissione, mi trovai serena e soddisfatta tanto che ebbi subito un paio di idee per l'insegna che era stata richiesta.

Il cellulare – spento – rimase accanto ai fogli per tutto il tempo, non lo degnai nemmeno di uno sguardo, come se Hector mi avesse potuta vedere attraverso quell'aggeggio.


Rimisi tutte le mie cose in borsa e presi una cartellina dove poter infilare i bozzetti di “Rami”.
Ormai la giornata di lavoro era finita e, nonostante sapessi che a casa non mi stava aspettando nessuno, desideravo ardentemente tornare e piazzarmi davanti alla tv con un bel barattolo di gelato.

Non feci in tempo a pensare questo che Eldora mi si piazzò davanti con fare molto allegro.
«Stasera andiamo al pub.»
La guardai, apatica, prima di alzare le spalle.
«Buon divertimento, allora. »
«No, no. Forse non hai capito: vieni anche tu.»
Non riuscii a trattenere una risata fragorosa, con tanto di lacrimuccia, mentre superavo la sua figura con la borsa in spalla e la cartellina sottobraccio.
Eldora non era una donna da mezze misure, ed in ogni caso l'amicizia che ci univa le dava in qualche modo il permesso di fare certe cose: prese al volo la mia maglietta ed iniziò a tirarla per farmi tornare indietro, azione che compii subito pur di non strappare la maglia.
«Non hai scelta.» disse, alzando un sopracciglio e gli occhi chiusi.
«Ho il diritto ad una giustificazione?»
«No.»
«Questo significa che ti troverò alla porta di casa mia pronta a trascinarmi via anche fossi in pigiama, il trucco fino al mento e i capelli dritti come un cacatua?» dissi tutto di un fiato.
«Precisamente.»
«Sono fottuta.»
«In modo pauroso.»
Il nostro botta e risposta avvenne in meno di trenta secondi, alla fine dei quali un ghigno mefistofelico percorse le labbra della mia amica.
«Alle 10 ti vengo a prendere.»
Detto questo, mi superò e se ne andò prima di me.
Trovai la cosa molto affascinante, di sicuro aveva fatto così per non darmi la possibilità di controbattere.
Ed io che volevo rimanere nella mia umile dimora ad ingozzarmi di zuccheri artificiali.


Alle 10 spaccate il campanello di casa iniziò a suonare in modo ininterrotto e quando andai ad aprire trovai Eldora, accompagnata da Verdad e Freira, intenta a pigiare il suo maledettissimo ditino contro il pulsante del citofono.
«No, ma io ti ringrazio per avermi distrutto i timpani.» dissi, a mo' di riprovero ma con tono scherzoso mentre le scansavo delicatamente la mano dal bottone.

«Ti prego dimmi che non ha intenzione di uscire in quel modo!»
A quella frase non potei far altro che abbassare lo sguardo sui miei vestiti non riuscendo a capire cosa ci fosse di male in un paio di jeans ed una maglietta.
«Meglio in pigiama?»
Alzai quindi lo sguardo sulla mia amica inziando a fissarla con un sopracciglio alzato.
«... No, no. Così è perfetto.» Eldora si rimangiò tutto, avendo capito dal mio sguardo che non avevo intenzione di tornare in casa e cambiarmi.

 

Il tempo di chiudere la porta e ci ritrovammo tutte e quattro in macchina a cantare – nel nostro tedesco improvvisato – Du Hast dei Rammstein.
Era uno dei pochi gruppi che sentivamo con piacere tutte insieme ed effettivamente Freira, Verdad ed Eldora sarebbero potute passare per darkettone date le loro chiome nere e il look che spesso e volentieri sfoggiavano.
A volte stare in mezzo a loro mi faceva sentire come un canarino tra tre corvi. Avrei potuto far parte di quel terzetto nero se l'ultimo anno del liceo non avessi deciso di farmi completamente bionda, ma amavo troppo la mia chioma per tornare indietro.
Ad ogni modo loro erano la migliore compagnia che avessi mai potuto trovare.
Verdad, chiamata da noi esclusivamente “La Spagnolese” date le origini giapponesi di sua madre, l'avevo incontrata durante un servizio fotografico per la pubblicizzazione di alcuni prodotti dell'azienda per cui lavoravo. Nella stessa sede conobbi anche Freira ed il nostro gruppetto nacque in automatico.
«Oh! Questa canzone è perfetta per te!»
«Il tuo tatto è disarmante, Verdad.»
Fortunamente fu Eldora a riprenderla al posto mio, anche perchè non avrei risposto delle mie azioni. Involontariamente avrei potuto rispondere in modo anche più cattivo, magari offendendo la mia amica proprio come era capitato quella mattina con El.
Il viaggio fino al pub fu relativamente corto e, non appena parcheggiammo, sentii il bisogno di uscire dall'auto e prendere una gran boccata d'aria. Mi resi conto che Ver non aveva tutti i torti, quella canzone calzava abbastanza bene sulla mia situazione. L'unica cosa positiva era che almeno Hector aveva avuto la decenza di non chiedermi di sposarlo.
Entrammo nel locale ed una cameriera si fece subito avanti per chiedere quante fossimo e per accompagnarci ad un tavolo libero.
Una volta sedute ed aperti i menù, iniziammo a discutere sul cosa prendere o meno.
«E se mi prendessi una crêpe alla nutella?» disse Eldora, con fare entusiasta.
«Ce la dividiamo?» Verdad era sempre pronta a cogliere l'occasione per abbuffarsi senza sentirsi troppo in colpa con la dieta.
«Mh... ci sto! Però io mi prendo anche un cocktail.»
«Io mi prendo un Blue Moon!»
Anche Freira aveva scelto cosa prendere, l'unica che ancora non sapeva che pesci pigliare ero io. Fissavo i nomi sul menù non riuscendo a trovare qualcosa che mi attirasse davvero. Era la prima volta che rimanevo l'ultima, di solito questo compito era della Spagnolese che riusciva a decidersi solo dopo l'arrivo del cameriere.
«Raqui, te cosa prendi?»
«Non ne ho la minima idea...» ammisi, scuotendo il capo, mentre i miei occhi erano ancora incollati alle pagine plastificate del menù.
In quel preciso istante il famigerato cameriere (un ragazzo che doveva avere all'incirca trenta anni) si avvicinò al nostro tavolo, pronto a prendere le nostre ordinazioni.
Le altre ragazze gli dissero ciò che avevano scelto, mentre io ero ancora completamente indecisa. Eldora, con il suo fare stranamente intraprendente, decise di “farmi un favore” ordinando anche per me.
«Per lei un Gin Fizz.»
A sentire quel nome mi svegliai di soprassalto dalla tutta la concentrazione che il menù aveva richiesto.
Ero intollerante al limone ed Eldora mi aveva appena preso un cocktail pieno del suddetto agrume.
«No, no, no! Aspetta! Non le dare retta. Prendo un Green Jamaica.»
«Allora Green Jamaica per te.» disse, il cameriere puntanto la penna in mia direzione e facendomi l'occhiolino.
Sorrisi, anche con fare piuttosto imbarazzato, poco prima di spostare lo sguardo sulla mia amica.
«Volevi farmi finire in ospedale?»
«Scusa, me ne ero dimenticata. Comunque, il Green è pieno di Midori, complimenti!»
«Che c'è?» sogghignai, appoggiando la schiena alla sedia «Sono intollerante al limone, mica all'alcool.»
Con quella sottospecie di battuta feci ridere tutte, persino il cameriere che aveva appena finito di scrivere l'ordine su di un fogliettino e si stava allungando per recuperare i menù.
«Sarebbe una tragedia se tu fossi allergica agli alcolici.»
Fu il ragazzo a parlare, mostrando anche un sorriso mellifluo mentre io, come prima, gli mostrai un sorrisetto tirato. La colpa non era di quel pover'uomo, ero io che mi trovavo in momentano conflitto con il genere maschile.
In ogni caso se ne andò e ci lasciò a chiacchierare tra noi. Chiacchiere che si incentrarono principalmente su Hector. Sentir dire certe cose dalle mie amiche non fece altro che farmi domandare da quanto tempo si tenevano dentro tutto. Ma d'altronde quella non era la mia serata, il mio uomore continuava a rimanere a terra e molto probabilmente quello era il motivo vero per cui decisi di non volerle stare a sentire sul serio.
Il cameriere tornò dopo una quindicina di minuti, con tutte le nostre ordinazioni.
«Un Green Jamaica con totale assenza di limone. Non vorrei dover chiamare l'ambulanza.» disse il cameriere, con quel suo fare ammiccante.
Voleva essere una battuta?
Lo doveva essere sicuramente, altrimenti non avrebbe avuto senso. Ad ogni modo, guardai quel ragazzo mostrando l'ennesimo sorrisetto forzato.
Sembrava avermi preso di mira, si vedeva davvero tanto che non andava qualcosa? Tanto da spingere uno sconosciuto a cercare di farmi fare una risata?
La situazione sembrava oltremodo disperata e a breve avrei dovuto trovare una soluzione.
Lui se ne andò e il nostro gruppetto tornò ad unirsi in chiacchiera, almeno fino a quando feci per bere un sorso del cocktail.
Notai lo sguardo divertito ed allo stesso tempo stupito di Freira, che mi sedeva di fronte, mentre fissava il fondo del bicchiere che avevo appena alzato.
«Raqui, ferma un attimo...»
Rimasi in silenzio e completamente immobile quando la mia amica allungò una mano togliendo dal fondo umido del bicchiere un fogliettino che si doveva essere attaccato.
«Cos'è?» chiesi ingenuamente.
«Il numero del cameriere?» disse Freira, mostrando un ghigno sul viso. Non mi piaceva affatto quando faceva così, significava sempre che aveva qualcosa in mente.
Alzai un sopracciglio e le strappai il foglietto dalle mani constatando che oltre al numero c'era anche il nome.
«Manuél.» sussurai.
«Ora si che la serata si fa interessante.» ammise sempre l'amica di fronte a me.
«Se lo dici tu.»
Posai il fogliettino sul tavolo perdendo interesse per la situazione. Era un metodo di approccio originale, almeno per me, ma non volevo. Mi sarei messa in imbarazzo e... non ero pronta per alcun tipo di rapporto con un'altro uomo.
«Andiamo! Non puoi lasciarlo a bocca asciutta!» Verdad fece un sorrisetto, prendendo il foglio dal tavolo.
«Ma non mi interessa.»
Detto questo mi alzai e puntai un dito sulla spalla di Eldora.
«Mi accompagni in bagno?»
«Certo.»
Ci allontanammo dal tavolo e lasciammo Freira e Verdad a girarsi tra le mani quel foglietto.
Povero ragazzo... quella sera sarebbe andato in bianco, ma in fondo non lo conoscevo c'era poco da sentirsi in colpa.
«Se non altro è stato audace. Con tutta la fauna che c'è in giro stasera è meglio di niente!»
Eldora ci scherzava su e faceva bene, riuscì a togliermi un'altra risata dalle labbra, ma comunque non cambiavo idea.
Dopo una decina di minuti tornammo al tavolo e quello che vidi mi fece raggelare il sangue nelle vene.
Freira con il mio cellulare in mano ed un sorriso talmente largo che avrebbe potuto dividerle la faccia a metà.
C'erano due cose mie che non andavano assolutamente toccate: l'affetto... e il cellulare!
Mi piazzai davanti a lei con lo sguardo allucinato e la rabbia che – se fossi stata in un cartone animato – mi avrebbe potuto far uscire il fumo dal naso.
«Che cosa stai facendo!?»
La mia voce era calma ma ogni parola venne perfettamente scandita dall'altra. In risposta la mia amica alzò il viso e mi rise in faccia.
«Adesso non hai scuse!»
«Cosa hai fatto?» ripetei a denti stretti.
«Manuél vorrebbe sapere se domani sera sei libe-...»
In quel momento agii d'istinto, ci mancò poco che non mi misi a ringhiare. Non mi sarei stupita se lo avessi fatto.
Afferrai il telefono dalle mani della mia amica, cancellai il messaggio che stava per mandare e misi – o meglio lanciai – il cellulare in borsa.
«Se mi volevi far incazzare di brutto, ci sei riuscita.»
«Acida, mamma mia! È l'occasione buona per dimenticare quell'altro idiota! Coglila!»
«No!» dissi in modo perentorio, per poi prendere un lungo sorso del mio cocktail.
Come avevo immaginato prima, mi ero appena messa in imbarazzo anche se fondamentalmente non ero stata io a farlo.
Adesso quel tipo si aspettava una risposta ed io non avevo alcuna intenzione di uscire con lui.
Infilai di nuovo la mano dentro la borsa, estrassi il portafoglio e mi alzai ancora dal tavolo.
«Dove vai?» mi chiese Eldora, evidentemente preoccupata di cosa avrei potuto fare.
«A rimediare.»
Raggiunsi il bancone e mi misi in attesa che il famoso Manuèl notasse la mia presenza. Non ci volle molto.
Quando mi vide tornò ad assumere quel suo fare ammiccante alla quale non risposi con alcun sorrisino.
«Dimmi pure, cara.»
«Puoi darmi un bichiere di Gin?»
Stavo facendo la vaga apposta, non avevo nemmeno finito il mio Green Jamaica che già mi prendevo un altro bicchiere di qualcosa di alcolico. Ero davvero tanto disperata?
Dal canto suo il ragazzo non rispose e si affrettò a preparare quello che avevo chiesto, mentre io tiravo fuori i soldi per pagarlo.
Quando alzai lo sguardo lui fece scivolare il bicchiere pieno sul ripiano di legno del bancone.
«A te.» disse, sempre quel tono mellifluo. Almeno ci sapeva fare con le donne, questo dovevo riconosceglielo.
«Grazie. Quanto è?»
«Niente, offro io. Ti puoi sdebitare venendo a cena con me domani sera. Che ne dici?» A quel punto si appoggiò al banco con un gomito, sorregendosi il viso con una mano.
«Ecco... a proposito di questo. Non ero io prima al cellulare, con i messaggi intendo. Una mia amica ha pensato bene di agire a mia insaputa.»
Vidi la sua espressione cambiare in modo repentino. Non potevo biasimarlo di certo.
«Ti ringrazio per l'interesse, ma non è reciproco. Mi dispiace.» quindi allungai la banconota per pagare il bicchiere di Gin. Mi sarei auto complimentata se non fosse stato per lo sguardo che l'uomo mi riservò.
In ogni caso, prese il contante e lo mise in cassa come se nulla fosse. Dunque io mi allontanai riuscendo ancora a percepire il suo sguardo addosso. Sicuramente mi stava guardando in cagnesco, ma non potevo farci molto.
Non ero ancora pronta.
Quanto tornai al tavolo Verdad mi fissò con fare interrogativo.
«Perchè hai preso ancora da bere?»
«Per affogare i dispiaceri. No... scherzo, in realtà non lo so. Lo vuoi?»
La mia amica alzò le spalle e si prese il bicchiere molto volentieri, mentre io tornavo al mio Green Jamaica.


Nonostante l'accaduto, la serata andò avanti in modo traquillo. Freira mi aveva chiesto scusa ed aveva tentato di farsi perdonare meglio promettendomi un giorno sotto le cure della make-up artist della loro agenzia fotografica. Proposta che rifiutai, ma che apprezzai anche solo per essere stata usata come espediente per avere il mio perdono.
Mi fece sentire potente.

Una volta rientrata in casa, lancia la borsa verso il divano mancando per un pelo il bersaglio. Questo mi portò ad andarla a recuperare e quando finalmente la appoggiai, notai la cartellina con i bozzetti di Rami.
L'afferrai e mi andai a sedere al tavolo inclinato che tenevo nel piccolo studio, accanto alla camera da letto.
Iniziai a guardare tutti i disegni ripercorrendo il piacere e il senso di soddisfazione che mi aveva invaso nel momenti in cui avevo iniziato a disegnare. Questo mi spinse a prendere altri fogli (constatando che a breve avrei dovuto comprare un'altro album) e ad iniziare una nuova vicenda. Non una vicenda a caso, ma proprio quella che aveva colto me in quei giorni. Prima l'uomo che tradisce e poi la brutta figura al pub con il cameriere.
Tornai a rilassarmi come quella mattina, perdendomi tra le righe tracciate, le espressioni e la macchie di mina sul foglio e sulla mano destra.
Non c'era niente al mondo che potesse carlmarmi più di un disegno... avrei potuto continuare tutta la notte.


_____
 

Angolino dell'autrice:

 

E finalmente eccoci qui!
Il primo capitolo di Estupida en amor solo per voi~
Come avete potuto constatare Raquel si trova in un momentaccio ma le sue amiche – a modo loro – stanno cercando di tirarla su di morale.
Ci riusciranno?

Vogliamo essere ottimisti!
Inatanto l'illuminazione divina che ha colto Raqui con l'idea dei disegni le sta dando una grande mano a rilassarsi.
Non deve essere bello passare attraverso un tradimento.

 

Ripeto l'invito a laciarmi una recensione per qualsiasi cosa! Se vi piace, se non vi piace (ovviamente qui voglio dei motivi e critiche serie e costruttive) e anche se ci sono errori che sono sfuggiti alla mia correzione.
Ve ne sarei grata, in ogni caso!

 

Sulla mia pagina pubblicherò le foto dei nuovi personaggi apparsi in questo capitolo, vi lascio il link se volete colmare la vostra curiosità:
https://www.facebook.com/pages/-Soy-ciego-y-nada-s%C3%A9-pero-preveo-que-son-m%C3%A1s-los-caminos-/416108975143232?fref=ts

 

Se poi volete aggiungermi personalmente e magari farmi qualche domanda diretta (o anche solo due chiacchiere), potete trovarmi a questo link:

https://www.facebook.com/clairecarriedo.efp

 

Detto questo, vi aspetto al prossimo aggiornamento~

Pace e amore
Claire~

 

   
 
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