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Autore: imnotalive    29/12/2007    0 recensioni
Cosa faresti se scoprissi di aver dimenticato una parte del tuo passato, quella parte di cui nessuno è a conoscenza tranne colui scopri essere una persona che hai amato? Una persona che si rivela non essere più come la ricordavi. Un essere che non appartiene più al mondo dei vivi, un mondo di cui una volta anche tu avresti voluto far parte.
Genere: Triste, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LONTANA DALLA PRIGIONE

 

Due anni prima.

 

Certe volte mi è capitato di domandarmi a che scopo viviamo.

Per fare soldi?

Viviamo per trovare l’anima gemella, sposarci e avere figli?

 

Non ha senso. Mi sembra tutto così inutile.

Vedi la tua vita scorrere come un film in cassetta, e quando il nastro arriva poi alla fine, si riavvolge da solo e riparte dall’inizio.

Non so quante volte il mio nastro si sia riavvolto, so soltanto che sono stufa di vedere sempre la stessa cassetta.

A volte penso di essere debole a tal punto da non avere la forza di sopportarlo; e a volte mi ritengo più forte di quello che avrei immaginato.

E’ sempre tutto uno sforzo: alzarsi la mattina, dover fingere che tutto vada bene, e quando arriva la sera, levar via la maschera con quel briciolo di volontà che ti è rimasta. E io potrei anche restare per tutto questo schifo di vita sdraiata per terra a fissare il cielo, senza dover fare nulla.

In questi giorni ho pensato di farla finita molte volte.

Non ho fame. Non ho sete. Vorrei solo dormire..Per sempre.

Ma Cristo è infame. Oh..si, se lo è. Ti dà quelle fottute speranze, quelle piccole gioie per cui tu NON PUOI ammazzarti. E lui ride, mentre ti osserva che combatti tra la vita e la morte. Mentre cerchi di trovare delle ragioni per cui non farla finita.

A volte le trovi. Ed è una sensazione così sgradevole, perché tu ce la metti tutta per dimenticarti di avere quelle motivazioni per continuare a respirare. Essere importante per coloro che probabilmente non ce la farebbero senza di te; eccone una.

 

 

Sono stanca.

Non voglio ammazzarmi, ma se mi addormentassi e non mi risvegliassi mai più, sarebbe tutto più facile.

 

 

La diminuzione della velocità di quel ferro vecchio, mi avvertiva di essere arrivata finalmente a destinazione. Era stato un lungo viaggio ma sapevo che almeno quello che avrei ottenuto in cambio sarebbe stata un ottima ricompensa per molti aspetti.

Richiusi il quaderno lasciando che il mio ultimo sguardo si rivolgesse proprio su quell’ultima frase che avevo scritto. Scossi il capo, perché come tutte le volte mi ritrovavo a non sapere niente di niente; sia quando lo scrivevo, sia quando lo rileggevo.

Mi alzai mentre il treno si apprestava a fermarsi, attenta a non cadere mentre prendevo la borsa che avevo nello scompartimento sopra la mia testa.

Allungando lo sguardo verso il finestrino, notai che all’esterno alcune persone avevano aperto l’ombrello. “Bene, piove” mi dissi scocciata, mentre infilavo il cappuccio della giacca.

Arrivata in albergo mi sistemai nella stanza che avevo prenotato, infilandomi nel bagno ancor prima di posare il borsone. I treni solitamente mi facevano abbastanza schifo, e passare tante ore a contatto con oggetti e stoffe intrise di odori non miei, e sporcizia di altra gente, mi faceva sempre viaggiare in uno stato di nervosismo. Quel momento lo attendevo da un giorno intero; quando uscii, pulita e profumata, mi sentivo già meglio.

Non ero mai stata in quella città, ma vista la stanchezza rimandai il giro turistico al giorno dopo. Inoltre era già abbastanza tardi, e infilarmi nel letto per fare una bella dormita non mi dispiaceva. In più, mi aspettava una giornata pesante e il corso di web design che avevo deciso di seguire in un posto molto distante da casa, era un’esperienza a me nuova. Potevo anche restarne sconvolta a vita: meglio essere preparate.

Quando il mattino dopo mi svegliai, erano solamente le 6.00. Era forse la prima volta che succedeva di svegliarmi così presto; ma forse è vero quello che si dice a proposito di dormire in un letto diverso dal tuo. Non pensavo però che questo sarebbe valso anche per una dormigliona come me.

Scesi per fare colazione che erano ancora le 7.00 così decisi di prendermela comoda. Presi tra le mani gli opuscoli consegnatomi dal consulente alla quale mi ero rivolta per sapere di più sul corso, scrutando qua e là e notando che tra gli alberghi menzionati, il mio era uno dei più vicini. Almeno avrei camminato poco, pensai.

Quando salii in camera per lavarmi i denti e prendere tutto il necessario mi accorsi, sbirciando dalla finestra, che alcuni ragazzi, erano fermi all’entrata dell’hotel ed avevano sulle spalle degli zaini con degli strani tubi in plastica.

“Probabilmente faranno anche loro il corso” ipotizzai sperando che non fosse così, perché io non avevo niente di quel genere di materiale.

Anche se restia all’idea di raggiungerli e quindi dovermi presentare, decisi che almeno mi avrebbero aiutata a capire dove andare. Una volta scesa, mi avvicinai lentamente senza dire nulla, fermandomi alle loro spalle per raccogliere le idee e trovare una qualche frase che non risultasse banale. Ad un tratto, la voce squillante di una ragazza che mi chiedeva se anche io ero là per il corso, mi fece voltare. Era bionda, capelli ricci e carnagione chiara. Mi sorrise in attesa di una risposta.

“Che corso?” domandai come se non sapessi nulla.

“Il corso di arredamento per interni”

“Ah” dissi sentendomi improvvisamente imbarazzata. “C’è un corso di arredamento?”

“Si, io sono Isabel”

“Halie, ma non sono qua per quel corso”

“Ah, allora cosa ci fai qui?” mi disse ritraendo la mano.

“Veramente me lo sto chiedendo anch’io, pensavo foste del corso di web-design”

“Ahhh” disse eccitata, con una voce tanto acuta che mi perforò i timpani.

“Allora è lo stesso. L’istituto è lo stesso.” Puntualizzò annuendo.

“Ah, okay.”

“Vieni il pick-up è arrivato”

“Ma non è qua vicino?”

“Cosa?”

“Ho letto sull’opuscolo che sarebbe stato vicino a quest’albergo..”

“Si, il punto di incontro dove il pick-up ci viene a prendere..” continuò lei sorridendomi divertita, mentre io assumevo chissà quale espressione interdetta.

Perché non ne sapevo niente? Che razza di consulente mi ero ritrovata.

“Dai vieni, o restiamo a piedi”

Entrando nel furgoncino nero mi ritrovai osservata da tutti quelli che erano già seduti e che probabilmente attendevano che io e Isabel ci muovessimo a fare lo stesso. Notai un posto libero accanto ad una ragazza con le treccine; mentre Isabel si era seduta accanto ad un ragazzo poggiato a braccia conserte dal lato del finestrino. Notai il suo disappunto quando aveva dovuto spostare lo zaino per farla sedere. I nostri occhi si incrociarono per un attimo, finché io non distolsi lo sguardo su quella ragazza silenziosa che era seduta accanto a me, sorridendole appena e salutandola con la testa.

Quando arrivammo a destinazione, dopo dieci minuti di viaggio, restai sbalordita dalla maestosità di quell’edificio. Perché dove abito io non c’era niente del genere? L’entrata era di oltre quattrocento metri, e si chiudeva con un cancello automatico in ferro scuro. Il mezzo si fermò davanti a quel cancello e quando scendemmo una signorina molto giovane si avvicinò a noi con una cartella tra le mani. Cominciò a fare un elenco di nomi, spuntandoli man mano che i diretti interessati alzavano le mani.

Finito l’appello ci divise in due gruppi, e ci chiese di seguirla, indicandoci velocemente le due aule dove saremmo dovuti andare. Notai Isabel salutarmi con la mano e poi svanire dietro una grande porta rossa.

Quando entrammo in classe, mi accorsi che nel mio gruppo eravamo davvero in pochi. Era un aspetto positivo infondo; non mi è mai piaciuta la confusione.

Feci qualche passo in avanti aprendomi la giacca; l’ambiente era ben riscaldato e c’erano tante scrivanie ad ognuna delle quali, un computer nuovissimo, il cui schermo piatto era a malapena visibile. La sala però era fin troppo grande per noi, così quando qualche supervisore entrò e notò a quanta distanza ci eravamo sistemati l’uno dall’altro, ci chiese gentilmente di avvicinarci occupando i posti davanti.

Io non mi mossi, visto che ero già davanti, e mentre mi voltai per osservare quel trasloco sentii lo stridio della sedia alla mia sinistra. Notai che il ragazzo che si stava sedendo alla scrivania accanto alla mia, era lo stesso che avevo visto prima nel pulmino, seduto vicino ad Isabel.

Nonostante i capelli neri che gli cadevano davanti agli occhi coprivano metà del suo viso, riuscii a vedere in lui qualcosa che mi colpì subito: aveva un’aria distrutta; sembrava non dormisse da ore. Si voltò verso di me con l’intenzione di mandarmi a fare in culo - o almeno era quello che il suo sguardo mi stava dicendo - invece non disse nulla. Spostò lo sguardo da me alla scrivania davanti a lui, ed io mi voltai subito dopo.

Era carino, ammisi mentre sorridevo di sottecchi.

 

Restammo per mezza giornata incollati a quelle sedie, mentre entravano ed uscivano varie persone: il coordinatore generale, la ragazza che prima ci aveva mostrato le aule, e gli insegnanti che avrebbero tenuto il corso. Quando alla fine tutti fecero le presentazioni, ci svelarono che quel giorno non avremmo fatto nulla e che quindi potevamo andare via o fare un giro di tutto l’edificio.

“Ma che razza di imbecilli” sentii dire con una voce scocciata che proveniva dalla mia sinistra. Sorrisi di nuovo.

Che tipo” pensai.

L’osservai poi sollevarsi irritato dalla sedia, mentre si sistemava la felpa bianca sui jeans blu scuro che gli cadevano morbidi sulle gambe, e cominciai incantata a seguirlo con lo sguardo mentre usciva dall’aula, e spariva in qualche istante.

Quando mi alzai anche io per andare via, mi ritrovai Isabel a qualche centimetro dal viso con una strana espressione: sembrava posseduta.

“Hai visto?”

“Eh?”

“Quello! Quel ragazzo!”

Urlava e non ne capivo il motivo. E poi chi le aveva accordato così tanta confidenza..? Inarcai un sopracciglio e voltandomi mi assicurai che non ci fosse nessuno intorno. Non mi piaceva dare spettacolo.

“Allora?” le domandai abbastanza scocciata.

“Era seduto accanto a te! Fammelo conoscere no?”

“Che cosa? Io non lo conosco.”

Mi stava irritando. Cominciai a camminare incurante che questa strana tipa si fosse meravigliata o meno della mia scortesia.

“Ah. Peccato..” Mi disse seguendomi.

Era delusa, ma non me ne fregava niente; e poi anche volendo, quel ragazzo, per il poco che mi era sembrato di capire, non l’avrebbe notata nemmeno di striscio una esaltata come lei.

“Pensavo che essendo nello stesso corso l’avessi conosciuto. E poi vi ho visti seduti insieme..”

“Non eravamo seduti insieme.”

“Si okay, vicini”

“Eh c’è una differenza, mi pare.”

Attraversammo il corridoio a lentezza di lumaca, visto che Isabel di tanto in tanto, si parava davanti a me con i suoi occhi luccicanti.

“Ma hai comunque più confidenza di me”

“Scusami…” la frenai subito prima che continuasse con quelle idiozie, “ma questo genere di cose non fa per me.” Conclusi secca, mentre osservavo il suo volto farsi serio.

Mi aveva innervosita, e poi nemmeno la conoscevo, non le dovevo niente, tanto meno per quello a cui lei era interessata.

Notai Isabel farsi da parte e camminare silenziosa accanto a me. Roteai gli occhi: se credeva di impietosirmi, era solo un’illusa.

Proseguimmo in silenzio fino a raggiungere il cancello nero, dove il pick-up ci aspettava per portarci di nuovo tutti in centro. Io salii per prima e lei mi seguì senza dire nulla, sedendosi accanto nella prima fila. Mi sorpresi di vederla scodinzolarmi intorno nonostante il modo in cui l’avevo trattata. “Probabilmente è sola.” Pensai. Non sapevo perché ma quella situazione non mi piaceva. Ero a disagio, e non mi andava giù il fatto di sentirmi così.

Ero a chilometri di distanza da casa mia, finalmente libera di poter fare quello che volevo, come volevo, anche se solo per poco tempo..Volevo starmene tranquilla, infischiarmene di tutto e tutti, e invece mi si era appiccicata questa, che ovviamente era molto diversa da me; non avrei mai potuto legare con lei, se mai avessi voluto. Al solo pensiero rabbrividii.

Il mio umore era cambiato da quella mattina, e davo la colpa ad Isabel se era successo; in più, il vocio che proveniva dai sedili dietro di me, stava aumentando.

Finalmente intravidi l’angolo della strada sulla quale si affacciava il mio hotel. Respirai sollevata. Attesi che tutti furono scesi compresa lei, e poi mi alzai veloce, sentendo però un colpo al mio braccio aggrappato alla spalliera del sedile. Mi voltai e lo vidi.

Era lui. Fece un gesto con la mano, come per scusarsi, non mi fu chiaro, e indietreggiò mentre attendeva che facessi quei pochi passi che mancavano per scendere definitivamente. Sollevai le spalle senza badarci troppo e proseguii. Mi diressi con foga verso l’entrata dell’albergo, attraversando la strada, aprendo la porta a vetro, ritirando la chiave e premendo sull’ascensore il numero tre.

Le porte si chiusero subito - quasi - qualcuno le fermò con le braccia, infilandosi dentro. Non potevo crederci. Era nel mio stesso albergo..lui. L’osservai premere il tasto quattro, incurante di quale piano avessi scelto prima io; ad un tratto ripensai ad Isabel e a quello che mi aveva detto prima. Non mi capacitavo del fatto che quel ragazzo, fosse la causa del mio nervosismo; anche se indirettamente. Inoltre il suo atteggiamento non stava migliorando la situazione; anche se non potevo fare a meno di scrutarlo. Notai subito le sue converse nere ormai distrutte, sulle quali cadevano i jeans scuri e leggermente larghi, tutti stropicciati; la borsa a tracolla la cui cinta stringeva tra le mani e indossava una giacca nera dalla quale fuoriusciva un cappuccio bianco sistemato perfettamente.

Il mio sguardo si muoveva dalle sue spalle minute ai numeri che veloci avevano superato il piano al quale sarei dovuta scendere io; sbuffai innervosita e per non perdere altro tempo, decisi di uscire al suo stesso piano e fare le scale a piedi. L’osservai svoltare a destra, mentre io, un po’ disorientata cercavo di trovare il punto dal quale sarei potuta scendere per le scale.

Quando finalmente le trovai, scesi veloce accorgendomi che la porta della mia stanza era praticamente di fronte ad esse. Feci quei pochi passi che mi mancavano per raggiungerla, l’aprii con foga, lanciai tutto sulla scrivania, sfilandomi le scarpe e gettandomi poi sul letto.

Il silenzio improvviso della stanza mi riempii la testa, e i pensieri veloci sfrecciarono dentro di essa, urtandosi ripetutamente. Mi voltai finendo a pancia in giù contro il materasso eccessivamente morbido.

Ero stufa. Stufa di sentirmi di nuovo in quel modo: svuotata.

Sapevo che alla fine di tutto non c’entrava nulla Isabel; davo la colpa solo al mio carattere insopportabile, e questo mi portava a nutrire persino pena per lei che infondo voleva solo stringere un’amicizia. Pena, perché aveva scelto la persona sbagliata.  Ero stufa di trovarmi per l’ennesima volta a compatire qualcuno, ed odiare me stessa. Chiusi gli occhi cercando di riposarmi un po’, fingendo che al mio risveglio avrei dimenticato tutto, ma la suoneria del cellulare mi fece ricredere all’istante. Poteva essere solo una persona.

“Nessuno mi ha aggredita, tranquilla”

Esordii io, notando che era comparso il nome di mia madre sul display.

“Mancano sempre sei giorni”

Mi rispose lei ironica.

“Infatti, stavo pensando a un modo per attirare l’attenzione di qualche barbone..”

“Non fare la stupida…”

“Comunque tutto okay, non è che devi chiamarmi ogni cinque minuti..”

“Questa è la prima volta..”

“Si, parlavo per i prossimi giorni, non tamponarmi di telefonate come al tuo solito, mamma.”

“E tu come al tuo solito, sei sempre scontrosa..”

Roteai gli occhi. Avrei dovuto lasciarlo squillare, pensai.

“Sono stanca, stamattina mi sono svegliata presto, e le dieci ore di viaggio…sai, non lo faccio tutti i giorni.”

“Va bene. Comunque chiama anche tu qualche volta, adesso devo andare”

“D’accordo. Ciao.”

“Ciao..e stai attenta..”

“Si, mi chiudo in albergo, così non corro rischi, certo a meno che non prende fuoco..”

“Tu tieniti fuori dai guai, e vedrai che non corri rischi..”

Era un chiaro avvertimento di non stringere nessun tipo di amicizia maschile.

“Siii d’accordo. Chiudo, perché mi sto snervando.”

Chiusi il telefono, notando che grazie a mia madre il mio umore era nettamente peggiorato. Se avessi tenuto una percentuale di scocciature quel giorno, sarei arrivata vicino al cento per cento.

“Devo uscire a fare due passi” pensai infilandomi le scarpe e la giacca.

“Non si può fumare in camera signore.”

Sentii passando davanti al banco del ricevimento, per lasciare la chiave. La giovane signora mi fece un cenno con la testa prendendola mentre continuava a parlare al telefono con un cliente. Io proseguii arrivando vicino la porta, sbirciando attraverso i vetri: volevo accertarmi che non ci fosse la mia nuova amica ad aspettarmi fuori. Forse esageravo, ma davvero non volevo altre scocciature. Alcuni ragazzi erano fermi dall’altra parte della strada. Non ne ero certa ma mi sembrava di averli visti anche prima nel pulmino.

“Devi uscire?”

Mi voltai di scatto.

“Ah sei tu..”

“Scusa?”

Era strano sentire la sua voce, era la prima volta in effetti.

Non so come, e perché mi venne di dire una cosa del genere, ma quando lo vidi di fronte a me, con quell’aria seccata avrei voluto spingerlo fuori e picchiarlo. E non era un atteggiamento che solitamente assumevo. Sarà stato perché ero alquanto nervosa quel giorno, sarà stato perché in parte era anche colpa sua, ma non riuscii a trattenermi dal prendermela con lui.

 “Tanto per capirci, mi stai sulle palle”

Fece una faccia indescrivibile che non riuscii a decifrare.

“Ma guarda questa.” Mi disse infilandosi la sigaretta in bocca e fermandola tra le labbra. Mi spinse da un lato per poter aprire la porta e io lo seguii ignorando il suo tentativo di tenermi alla larga.

“Eri tu che volevi fumare in camera?”

“Non sono affari tuoi.”

“Ma tu tratti tutti così?” continuai quando ormai gli ero vicino.

“Senti chi parla..”

Sgranai gli occhi, ma restai in silenzio. Il fumo della sua sigaretta mi entrò violento nelle narici.

“Ti ho sentita prima, con quell’esaltata…tu si che sai essere gentile con la gente..”

“Prima quando..?”

“Senti, non me ne frega niente, mi lasci fumare in pace?” esclamò poggiandosi al muro.

Incredibile. L’osservai qualche istante in silenzio: avevo uno strano presentimento. 

Senza dire nulla scesi gli scalini. Uno come lui non poteva certo permettersi di criticare il modo in cui io trattavo la gente - e se l’aveva fatto ero stata proprio un mostro con Isabel.

 

Caffè. Era l’ultima spiaggia.

Feci qualche centinaia di metri, ritrovandomi nel primo bar che avevo intravisto all’angolo della strada. Entrai e ordinai una tazza di caffè doppio.

Non mi avrebbe fatto passare il nervosismo, ma visto che la caffeina per me era come una droga, almeno mi avrebbe fatto dimenticare quella giornata stressante e sperare che quelle successive non sarebbero state uguali.

Chissà perché invece avevo il presentimento che il mio desiderio non sarebbe stato esaudito. Sorseggiai quasi freneticamente il mio caffè e poi cominciai a tamburellare nervosa sulla superficie in plastica del tavolino. Nemmeno il caffè aveva fatto effetto: solitamente l’effetto, era abbastanza rapido.

Trascinai a me la borsa e la poggiai sulle gambe. Estrassi dal suo interno il mio quaderno: scrivere. Forse era l’unica cosa che mi avrebbe calmata.

 

Ho creduto di sentirmi meglio allontanandomi dal luogo in cui mi sento soffocare; dal luogo in cui sono fuggita.

Invece non è cambiato assolutamente nulla.

Sono convinta che si può viaggiare per chilometri, cambiare abitudini, vedere altra gente: quello stato di soffocamento non ti abbandona. E’ come un’ombra, ti segue ad ogni passo.

La libertà non la trovi lontano dalla prigione.

Sono ancora consapevole che l’unico modo di liberarsi è quello che io tanto desidero, ma che non riesco mai a portare a termine.

 

Posso continuare in questo modo?

 

 

 

 

  
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