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Autore: rekichan    29/12/2007    2 recensioni
Chissà cosa lo aveva spinto a credere che gli Uchiha fossero tutti uguali.
Lo avrebbe dovuto comprendere subito che Obito, col suo sorriso incancellabile, perfino nella morte, aveva costituito una tanto improbabile quanto meravigliosa eccezione.
Così come doveva comprendere che quel ragazzino dagli occhi neri e il broncio sul volto non sarebbe mai stato come lui.
E non avrebbe più riso, perché le risate dei bambini, quelle che si rompono e si trasformano in etere fate, si erano perse per strada allo svoltare dei suoi sette anni.
No.
Decisamente, a Kakashi, quel Sasuke adolescente non piaceva.
Forse, perché erano troppo simili.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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And what did you hear, my blue-eyed son?

Heard ten thousand whisperin' and nobody listenin',

Dopo tre anni, aveva smesso di fermarsi a guardare la porta in legno del quartiere degli Uchiha.

C'era voluto molto tempo, perché l'occhio - quell'occhio che non voleva proprio smettere di prudere e che urlava la notte di non ignorarlo - smettesse di prudere.

Però, adesso non doveva più preoccuparsi di vedere alcunché.

I fantasmi sembravano spariti.

I morti erano stati sepolti.

Kakashi sembrava sereno.

Peccato che, al posto di vedere gli spiriti, adesso li sentiva.

E le orecchie non si possono mettere a tacere coprendole con un coprifronte.

Odiava la fastidiosa presenza di Obito che continuava a sussurrargli nell'orecchio.

Tuttavia, non riusciva a farne a meno e l'Uchiha continuava sempre ad accompagnarlo nel suo peregrinare.

Gli parlava, ma Kakashi fingeva di non sentirlo, se non quando erano da soli.

Solo allora concedeva la propria attenzione.

E ascoltava.

Gli spiriti non sono così silenziosi come vogliono farci credere.

Sasuke aveva compiuto dieci anni.

Era grande ormai e ne andava fiero.

Insomma, a dieci anni non sei più un bambino: devi usare ben due numeri per esprimere la tua età.

Sasuke aveva compiuto dieci anni.

Non c'era stato nessun bambino a festeggiare il suo compleanno e non aveva ricevuto alcun regalo, se non le fastidose letterine d'auguri da parte delle bambine della sua classe: un tripudio di rose e cuoricini che non si era degnato neanche di guardare.

A Sasuke non era mai piaciuto festeggiare il suo compleanno, prima.

Era solo un modo per rimarcare che era più piccolo [debole] del fratello maggiore.

Da qualche anno a quella parte, però, gli mancava la festa che i suoi genitori erano soliti organizzare.

Ogni volta che lui o Itachi compivano gli anni, il quartiere Uchiha si riempiva di luci, c'erano tante cose buone da mangiare e tutta la famiglia si riuniva a festeggiare.

Sasuke sentiva la mancanza dei rumori dei passi allegri lungo il viale, delle chiacchiere delle comari vestite a festa e la voce della madre che intonava la nota della prima canzone della serata.

Ma adesso Sasuke aveva dieci anni e non era più un bambino.

Era grande.

Tuttavia, quel ventitré luglio, fu contento di tornare a casa e di sentire i saluti dei fantasmi - che non se ne erano mai andati, purtroppo - che gli auguravano buon compleanno.

Quel giorno, Sasuke si sentì meno solo e decise che gli spiriti non erano poi così fastidiosi come pensava.

And what did you hear, my darling young one?

I heard the sound of a thunder, it roared out a warnin',

Kakashi era di cattivo umore, quel giorno.

Aveva bocciato l’ennesima squadra di genin falliti.

Non c’era collaborazione, tra loro.

«Chi non porta a termine la missione è feccia. Ma chi abbandona i suoi compagni è feccia della peggior specie.»

Obito l’aveva avuta vinta, su quello.

E, ogni volta che Kakashi tentava – ostinatamente – di ignorare quell’insegnamento, l’Uchiha era là, pronto a sussurrarglielo beffardamente all’orecchio.

Come monito, come avvertimento.

Alle volte, Kakashi trovava perfino piacevole parlare con il fantasma del suo migliore amico.

Alle volte, invece, non lo sopportava proprio.

Era fastidioso dover concentrarsi sempre su quello che dicevano gli altri per non prestare attenzione ad un noioso spirito che sembrava intento a perseguitarti.

«Ti mancherei, Kakashi.»

Sghignazzava Obito, ogni volta che Hatake gli intimava di andarsene.

Kakashi sbuffava e si rimetteva a leggere.

Quel giorno, in particolare, non aveva voglia di sentirlo.

Si allontanò, ignorando il suo vociferare continuo; ignorando i suoi richiami, i suoi lamenti.

«Kakashi! Kakashi aspettami! Aspettami!»

«Vattene! Tu sei morto, Obito! Morto! Lasciami vivere!»

Era la replica, nervosa e incessante come il pianto dell’Uchiha, ma che, a differenza di questo, sortì i suoi effetti, perché Obito non lo seguì nella foresta, lasciandolo correre.

E corse, Kakashi, corse fino a quando un altro pianto, più lacerante e opprimente del primo, non gli squarciò le orecchie.

Rallentò il passo, ponderando sul da farsi.

La curiosità lo spingeva a cercare la fonte del rumore; il desiderio di restare solo, gli intimava di andarsene.

Ma l’istinto prevale sempre, specie nelle persone solitarie che non perdono occasione per scoprire qualcosa di nuovo in modo da tingere di qualche esotico colore la propria vita grigia.

Fu così che Kakashi si trovò di fronte a un bambino.

Un cucciolo d’uomo rannicchiato su se stesso come un animale selvatico, urlante e furente proprio come questo.

Gli occhi neri arrossati per il pianto e sulle labbra un unico, solitario gemito.

«Perché? Perché, aniki? Perché?»

L’ultimo interrogativo esplose in un urlo di rabbia tale da rimbombare in tutta la foresta, quasi gli alberi, partecipi del dolore del bambino, volessero amplificare la sua voce per far arrivare la questione al diretto interessato.

«Aiutalo, Kakashi. Se non vuoi ascoltare me, almeno ascolta lui.»

Obito lo aveva raggiunto – se ne era mai andato? – e adesso lo pregava di aiutare quel bambino.

Un bambino che aveva cullato e a cui aveva raccontato le favole all’urlo imperioso di: «Tobi-chan! Tolia!».

«Rispondigli.»

Nulla.

«Perché?»

«Kakashi…»

«Sei morto, Obito. I morti non parlano.»

Tragica e drammatica verità.

L’ennesimo “perché” rimbombò nella foresta.

Obito lanciò un’occhiataccia a Kakashi, prima di superarlo e raggiungere Sasuke.

Il jonin non poteva vederlo, ma sentiva che la presenza del fantasma era scomparsa e si era, invece, avvicinata al bambino.

Poteva quasi sentirlo mentre gli sussurrava parole di conforto all’orecchio; unico spirito tra tanti che non lo incitava alla vendetta, alimentando il suo pianto.

Le sue urla, a poco, a poco, si smorzarono, fino a mutare in un solitario singhiozzo.

Kakashi si allontanò.

Non aveva risposte da dare al piccolo, nessuno le aveva.

Neanche Obito che, sospirando, tornò da Kakashi, lasciando Sasuke con i suoi morti.

Non si può scappare dai propri morti.

Né loro possono scappare da noi.

Sasuke aveva preso l’abitudine di guardarsi allo specchio ogni volta che rientrava a casa.

Studiava il proprio viso in cerca di qualcuno di quei cambiamenti che avrebbero segnato il suo passaggio nell’età adulta.

Che so… un accenno di barba, un cambiamento nella voce o nel fisico.

Sasuke riusciva solo a scorgere l’immagine grottesca di un bambino appena entrato nell’adolescenza; il piccolo Uchiha era, allora, all’inizio di quel percorso che porta all’alzarsi in maniera spropositata dopo essere ingrassati.

Si guardava il viso e lo vedeva morbido e rotondo, come quello dei bambini.

Si guardava il corpo e si scopriva un po’ in carne, come il bambino che doveva essere.

Allora scostava lo sguardo, irritato. Si rivestiva e andava in giardino ad allenarsi, perché nei suoi ricordi era proprio così che era Itachi alla sua età.

E li non voleva essere come suo fratello neanche nelle normali fasi della crescita.

Sasuke lanciava gli shuriken, correva, faceva ginnastica e studiava a lungo sui vecchi e logori rotoli di famiglia, cercando di ignorare gli spiriti che gli urlavano nelle orecchie.

«Sasuke, è normale.»

«Sasuke non prendertela.»

«Sasuke sei un Uchiha, non puoi star dietro a certe cose.»

«Comportati da uomo, Sasuke.»

«Uccidilo, Sasuke.»

«Vendicaci, Sasuke.»

«Sasuke.»

«Sasuke.»

«Sasuke.»

«Basta! – urlò, tappandosi le orecchie con le mani. – Basta! State zitti! Tutti quanti!»

Gli spiriti tacquero per qualche secondo; Sasuke sospirò, sollevato.

Silenzio.

Riprese a studiare, con creanza.

Quella sera si misurò allo stipite della porta dove erano segnate le altezze sue e di Itachi nel corso degli anni.

Sorrise, vedendo che era cresciuto di qualche centimetro e si rabbuiò, quando si accorse che non raggiungeva l’altezza di Itachi alla sua età.

«Certo che potevate farmi più alto.»

Bofonchiò, rivolto agli spiriti che, ormai, gli facevano compagnia nelle lunghe serate.

Nessuna risposta.

Solo il sibilo del vento tra le fronte.

«Vi siete offesi?»

Il bambino si fissò attorno, circospetto.

Non bisognava far arrabbiare gli spiriti. Era una cosa cattiva. Molto cattiva.

«Ehi…dove…dove siete tutti?»

Panico nella voce.

«Mi…mi dispiace. Non volevo mandarvi via. Io… io volevo solo studiare…»

Si giustificò.

«Tornate… zio… zia… kaa-san! Tou-san!»

Tornate…

[Non lasciatemi solo.]

Non di nuovo.

Sasuke faticò a dormire la notte in cui gli spiriti smisero di parlargli e la loro presenza si faceva sentire solo come gelido fiato sul suo collo.

Forse si erano resi conto di essere d’intralcio ai suoi allenamenti, forse si erano semplicemente offesi.

Sasuke non lo sapeva, né l’avrebbe mai saputo.

Adesso, era cosciente soltanto di una terribile verità che, fino a quel momento, era riuscito ad ignorare.

Gli era rimasto solo Itachi.

«Kakashi! Kakashi mi senti? Mi senti?»

Kakashi lo sentiva, Obito, ma preferiva non ascoltarlo.

Non quando passava di fronte al quartiere degli Uchiha, perlomeno.

Il loro luogo d'incontro era la tomba.

L'unico posto dove Kakashi si sentiva in vena - e in dovere - di conversare con lui.

«Kakashi ascoltami! Ascoltami!»

«Sta zitto.»

Sibilò a denti stretti dietro la maschera.

Solo allora notò lo sguardo scuro di un bambino che, adesso, non faticava più a portare le buste della spesa e il cui sopracciglio era perplessamente sollevato al sentire un adulto parlare da solo.

«Beh, che hai da guardare?»

Sbottò Kakashi, punto nell'orgoglio dall'essere scoperto in un atteggiamento imbarazzante.

Da quel moccioso, per di più.

«Nulla.»

Rispose, senza però distogliere lo sguardo.

Kakashi lo studiò.

Si era alzato in quegli anni, sebbene i lineamenti fossero ancora quelli dolci dell'infanzia; perfino la voce era cambiata, passando dall'acuto tono dei bambini a quello baritonale dell'adolescenza, sebbene ancora oscillante.

Il jonin passò oltre, sorpassando quel bambino fastidioso di cui continuava, tuttavia, a sentire lo sguardo.

«Che vuoi, moccioso?»

«Hai uno spirito che ti segue, vero?»

Kakashi si ammutolì.

Per qualche minuto, si udì solo l'alternarsi dei loro respiri.

«E tu che ne sai?»

Sasuke fece spallucce.

«Continua a chiamarti.»

«Non dire sciocchezze, bambino. I fantasmi non esistono.»

«Sì, invece. - Replicò deciso. - Io ci vivo assieme.»

«Vedi, Kakashi? Lui non mi ignora! Non mi ignora!»

«Stai zitto, Obito.»

«Già... - lo spirito ghignò, amareggiato - E' sempre più facile fingere di non sentire, vero Kakashi?»

Kakashi non rispose.

«Vero?»

Ignorò ancora una volta quella domanda e chiuse il libro.

Stava cominciando a piovere.

And it's a hard, and it's a hard, it's a hard, it's a hard,
And it's a hard rain's a-gonna fall.

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L'idea degli spiriti me l'ha ispirata Kodamy con la sua fanfiction: Their Will ( on his shoulders )

Consiglio a tutti di leggerla.

A presto >*<

   
 
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