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Autore: Dante_Chan    14/06/2013    1 recensioni
Questa storia parla di due ragazzini. Di un metallaro allevatore di ratti (o un allevatore di ratti metallaro?) che si innamora irrimediabilmente di un truzzo un po' particolare. La trama...beh, in realtà la scopro scrivendo, ma in generale il primo incontra il secondo, rimane colpito e tenta di ritrovarlo. Seghe mentali comprese nel prezzo :3
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ultimamente sono preso dal cazzeggio, nonché da un'altra storia (che non so se posterò qua, ma in fondo a nessuno importa) e da una tesina di epigrafia latina; perciò il capitolo dopo questo sta andando un po' a rilento, ma non mi va di scrivere quando non ho l'ispirazione, altrimenti verrebbe fuori un horror peggiore di quello che già è (no, non lo dico per ricevere complimenti, lo dico perché lo penso seriamente :P). Quindi se non aggiorno spessissimo è tutto normale, devo seguire i miei tempi.
Venendo alla storia, io trovo questo capitolo super-noioso e scriverlo è stato assai arduo. Proverò a metterci maggior brio in quelli seguenti, ma si fa quel che si può.



Il ragazzo rimase in coma per tutta la domenica. Passò gran parte della giornata a letto a lottare con la nausea e col dolore che gli segava la testa, senza riuscire a mangiare qualcosa fino a sera. Giurò più volte a se stesso che non avrebbe più messo piede in una discoteca, e che anzi se ne sarebbe tenuto ben lontano. Dopotutto, però, era felice della buona riuscita della serata; non trovò la forza di chiamare Trunks col telefono di casa per raccontargli tutto, anche se sapeva che probabilmente l’amico l’avrebbe cercato al cellulare, perché il parlare gli aumentava solo il malessere, così come lo stare in piedi. I suoi genitori, suo padre in particolar modo, erano furiosi e le poche volte che si fece vedere fuori da camera sua furono piene di tensione difficile da sopportare. Lasciò i compiti a marcire in cartella, incapace di trovare l’energia necessaria per affrontarli; il giorno dopo probabilmente se ne sarebbe pentito, ma non poteva farci niente, stava troppo male.
Il lunedì mattina si svegliò con la testa nel pallone e con ancora un po’ di nausea (“Ma con cosa diavolo erano fatti quei cocktail?? Sono micidiali!”), ma non avendo il coraggio di dire ai genitori di essere ancora mezzo intossicato preferì sforzarsi e andare a scuola ugualmente. Sotto il solito alberello dell’abituale aiuola davanti all’ingresso trovò ad aspettarlo un Trunks assai curioso, che gli chiese notizie non appena lo vide arrivare. Dante gli raccontò in generale l’accaduto, promettendogli i dettagli a ricreazione; l’amico si disse felice per il risultato finale, ma avanzò qualche dubbio riguardo al prezzo che s’era ritrovato a dover pagare.
«No, guarda, va più che bene così.» gli rispose Dante, sicuro. «Sono stato un coglione a non accorgermi che si stava facendo tardi, ma se avessi la possibilità di tornare indietro rifarei la stessa cazzata. Almeno mi sono tolto un peso e non riesci a immaginare quanto meglio mi sento, dopotutto! Se lo sapevo, che anche lui va in questa scuola…ma va bene così. È certamente più di quello che mi aspettavo.». E ora che lo sapeva, si vergognava anche un po’ a muoversi e a guardarsi in giro: aveva timore che Virgilio potesse osservarlo da lontano senza che lui se ne accorgesse. Sì, a volte ci vergogniamo proprio per le cose più stupide! Eh, ma così è la vita (?).
Effettivamente, Virgilio gli fece sentire subito la sua presenza. A ricreazione, stava aspettando che gli altri della compagnia si disperdessero un po’ per poter parlare con calma con Trunks; Diama e Zanna già erano partiti alla volta della macchinetta del caffè prima che si formasse la solita coda interminabile, quando un bolide a stelline gli si lanciò addosso, facendolo cadere e cadendogli sopra a sua volta.
«M…ma…!! Ma sei impazzito?!!» urlò una volta che ebbe inquadrato l’aggressore. «AHIA, mi sono fracassato il culo…!».
«Scusa, scusa!» rise sguaiatamente Virgilio, aiutando Dante a tirarsi in piedi.
«Un attacco nemico!» esclamò Chele, puntando il dito verso il nuovo arrivato, che era vestito con dei pantaloni lilla e una felpa verde chiaro con sopra disegnate delle stelle bianche; un pugno in un occhio, insomma.
«Ma no, noi due siamo amiconi!» continuò sempre ridendo l’accusato, cingendo Dante per le spalle. «Sì o no??».
«Sì, lo conosco, tranquilli…! Ehm, andiamo via??».
«Eeeeh, ma tu non sei quello che qualche settimana fa ha rischiato il collo facendo arrabbiare il Diama?» osservò Massimo.
«Se il Diama è il mastodonte imbecille tutto capelli sì, sono io! E sapete, lui» qui Virgilio diede una pacchetta a Dante «è molto più simpatico di voi! Ha ascoltato quello che gli ho detto!» spiegò sorridendo. «Ha imparato a non giudicare le persone dalla musica che ascoltano!».
«Mmh? Cosa cavolo…?».
«Ehhh, ehmmm, ssssì. Vi spiegherò, eh? Ora, prima che torni il Diama, io lo porterei via, comunque...» e lo afferrò per un polso trascinandolo lontano, mentre Trunks cercava di non ridere e gli altri guardavano Dante perplessi.
«Vuoi – rovinarmi – la reputazione?» ringhiò quando ebbe deciso d’essersi allontanato abbastanza.
«Ho fatto qualcosa di male?» chiese con sguardo ingenuo Virgilio.
«Non so come reagirebbero se sapessero che sono andato in quella discoteca! Per favore! Li hai visti come fanno, no??».
«Sì, ma…e allora? Se sono tuoi amici non vedo dove sta il problema…».
«Non sono sicuro che capirebbero! E per fortuna che non c’era Francesco –il mastodonte, come l’hai chiamato tu– non si dimentica gli insulti lui! Se ti vede con me-».
«Ma andiamo, non gli ho fatto niente! Che dovrebbe fare, picchiarmi? Per nulla? Come no! E guarda che se se la prendono con te solo perché sei andato in discoteca non sono tuoi amici. Per cui se è così è meglio se li lasci perdere il prima possibile.».
«Perché dovrei? Io ci sto bene con loro. E comunque è stata un’eccezione, non mi piace andare in discoteca.».
«Come mai ci sei andato allora?». Quello era il quesito che Dante non voleva che Virgilio facesse.
«…in realtà loro sono amici di Trunks, comunque. E lui è il mio migliore amico, e non se la prende con me perché sono stato in discoteca.» cercò di ignorare la domanda.
«Perché ci sei andato?» richiese l’altro, risoluto.
No, non poteva ignorarla: «…cercavo te.».
«…ah. Perché?».
«Non lo so. M’eri sembrato una persona interessante.».
Virgilio sorrise incredulo. «E sei andato sul serio per questo?».
«Sì…sì, LO SO, sono un idiota, non devi dirmelo.».
«Non intendevo dire questo, anzi. La cosa in realtà mi fa piacere. Non…credevo di sembrare interessante.».
«Ora che ho fatto la figura di merda, ascolta: a me piace stare con quei ragazzi, ok? E non voglio che se la prendano con me o mi escludano o altro. E il fatto che possano farlo non significa che non sono miei amici. Non ho mai finto con loro, se è questo che intendi, solo ho paura che possano prendersela se sanno ‘sta cosa, basta. Mi fa piacere averti conosciuto dato che ho buttato nel cesso due sabati (e mezzo) per andare in quella discoteca, ma ti prego di non andare a sbandierarlo così proprio davanti a loro.».
«Io sono dell’idea che se sono tuoi amici accettano ogni cosa di te, anche quello che a loro non piace. Comunque…beh, in realtà –ahah– io non vado spesso lì; non dovevo andarci nemmeno l’altro giorno, è che quei due miei amici che hai visto mi hanno chiamato all’ultimo momento e non avevo di meglio da fare. Non sopporterei di andarci ogni settimana! Ci vado solo ogni tanto, ecco, saltuariamente. Preferisco fare altro, se posso. La musica preferisco ascoltarla piuttosto che ballarla…ma ogni tanto è divertente.».
«Ah…AH.». E che cazzo, però!
«Eheh dai, se sei libero sabato ti porto in un posto speciale per ripagarti!».
«Mmh, sabato non posso. Per i miei sono arrivato a casa troppo tardi e mi hanno proibito di uscire non so fino a quando…».
«Oh, mi spiace, zio. È colpa mia?».
«No, no, figurati! Sono stato io a non accorgermi che si stava facendo troppo tardi.».
«Beh, allora quando potrai uscire di nuovo dimmelo. Ci vado sempre coi miei migliori amici.».
«Mmmma…che posto è?».
«Tutto quello che c’è di diverso da una discoteca, tranquillo! Mmmh, che poi in realtà…vabbè.».
«Cosa?».
«No, è che non so se effettivamente può interessarti. Spero possa piacerti, comunque!».
«Non so cosa immaginarmi…uffaaaa, perché dovevano mettermi in punizione?? Brutti stronzi!».
«Quanto pensi durerà?».
«Sono capaci di tenermi il muso per più di un mese. Mio padre ieri ha aperto bocca solo per minacciarmi e probabilmente anche stasera sarà così. Argh, che nervoso!!».
«Pensa ad altro, dai, non avvelenarti il sangue. Certo che sono severi, eh. I miei non mi rompono più di tanto, sono piuttosto permissivi, e non sono un criminale…».
«Penso sia più probabile che lo diventi io, guarda. Prima o poi perderò il controllo e li farò fuori.».
«Sì, ecco, non credo che essere cattivi coi figli aiuti a crescerli…ma vabbè, scusa, non sono affari miei.».
«Sono affari miei, e io sono d’accordissimo con te. Sgrunt.».
«Comunque…sai che mi sono dimenticato di chiederti come ti chiami?».
«…oh, davvero non te l’ho detto? Sono Dante!».

La punizione per Dante non poteva arrivare nel momento più sbagliato; oltre al fatto che gli precludeva la possibilità di iniziare a conoscere Virgilio in modo più approfondito, se non per quei miseri quindici minuti di svago a scuola, la cosa che lo tormentava maggiormente era l’idea di non potersi trovare coi suoi amici per altre forse tre, quattro settimane. E aveva un tale bisogno di trovarsi con loro! Non poteva proprio pensarci. Anche Trunks sembrava parecchio dispiaciuto per lui; dato che non poteva sentire Dante nemmeno via cellulare, avrebbe voluto godere della sua compagnia e tirarlo un po’ su di morale quanto meno a scuola, ma la metà delle volte saltava fuori “il truzzetto” a portarglielo via; se da un lato era felice che l’amico avesse raggiunto il suo obiettivo e fosse riuscito a conoscere quel ragazzo, dall’altro il modo in cui questi glielo rubava gli dava alquanto fastidio. Dante si era accorto della sua gelosia (comunque ben celata) e per il poco tempo in cui stavano assieme evitava di nominargli Virgilio nonostante fosse completamente assorbito dalla conoscenza in corso.
Dopo tre settimane, i suoi genitori sembravano non avere ancora l’intenzione di levargli la punizione e nemmeno di alleggerirla. Dante non si ricordava un castigo tanto duro da quando, in prima media, era tornato a casa con la guancia destra tumefatta e una sospensione da scuola di tre giorni per aver fatto a botte e rotto il naso ad un compagno che aveva cercato di fare il bullo rubandogli la merenda; quella volta aveva dovuto sopportare una punizione di addirittura due mesi. Solitamente, però, le costrizioni che gli davano difficilmente superavano le due settimane, oppure se gli proibivano di vedere gli amici gli lasciavano cellulare e computer, o viceversa; il ragazzino aveva imparato negli anni che protestare e chiedere indietro qualcosa serviva solo ad allungare il periodo di costrizione, quindi sopportava in silenzio e aspettava solo che i genitori decidessero d’essere rimasti arrabbiati abbastanza. Perciò, passò i pomeriggi di quelle settimane alla scrivania in camera sua o buttato sul tappeto del soggiorno cercando di studiare –era sicuro che un buon voto li avrebbe addolciti un poco– oppure a leggere, o ancora a scrivere, o ad insegnare ai ratti qualche giochetto; ma, passato metà mese, già si sentiva morire di noia; non poteva nemmeno uscire a farsi un giro! Quasi cedeva alla tentazione di andare da sua madre in lacrime a chiedere venia.
Il mercoledì della quinta settimana, mentre s’accingeva mestamente a tornare a casa dopo scuola, gli corse incontro Virgilio, che non si era fatto vivo dal venerdì precedente, chiedendogli se il giorno dopo gli sarebbe andato di fare un giro in centro, o da qualche altra parte.
«Ti ricordo la mia punizione…» rispose tristemente lui.
«Oh, ma…ancora? Che cacchio…».
«Non dirlo a me…».
«Ma scusa, a questo punto fregatene, insomma!».
«Così faccio solo peggio. Non può durare ancora tanto…».
«Ma i tuoi stanno a casa?».
«No, sono solo tutto il giorno. Ma mia mamma al pomeriggio mi chiama per assicurarsi che io sia a casa. Anche due o tre volte…guarda, non farmici pensare!!».
«Ma che puttana!».
«Ehi!!».
«Ooops, scusa, scusa! Ehm, ma quindi non puoi proprio uscire…?».
«Se potessi l’avrei già fatto…».
«…mmmmmh…e se venissi io a casa tua?».
«Cosa, tu? Beh, non lo scoprirebbero…ma a casa mia al momento non c’è nulla da fare, lascia stare. È  una noia mortale, mi han tolto tutto quello che c’era di divertente. A meno che tu non voglia giocare coi soldatini che usavo a dieci anni, eh.».
«Ahah beh, possono essere divertenti anche quelli! Dai, al massimo ti faccio compagnia e ci annoiamo in due!».
«No, davvero, lascia stare…non mi va di farti venire se devi annoiarti…».
«Mica ci vuole chissà cosa per divertirsi, sai, basta un foglio di carta. E se vuoi posso sempre portare qualcosa io!».
«Mh…davvero?».
«Massì! Eddai! Non ho nulla da fare in ogni caso!».
«Oh…beh…sse proprio vuoi…ma non ti costringo, eh…».
Così, Dante quel giorno se n’era tornato a casa felice. Era un po’ agitato all’idea che il giorno dopo Virgilio sarebbe andato a casa sua, ma finalmente avrebbero potuto parlare senza fretta e, almeno, avrebbe avuto un po’ di compagnia. Perché non aveva mai pensato di invitare qualcuno? Era una cosa talmente ovvia che non gli era mai passata per la testa! Ma ecco, sarebbe bastato farlo andare via verso le 18.00 e sicuramente i suoi genitori non sarebbero mai venuti a sapere che aveva visto un amico nonostante il loro divieto. Alla facciaccia loro.
Ora, vorrei spendere giusto qualche riga per far capire cosa stesse succedendo nell’animo del giovane Dante. I due si conoscevano da poco più di un mese, si vedevano ogni tanto a ricreazione (quando era Virgilio a cercare Dante, perché quest’ultimo in parte era troppo timido e in parte sentiva che Trunks si sarebbe segretamente offeso se l’avesse lasciato per andare a cercare l’altro. Virgilio, comunque, si teneva sempre a una certa distanza dai suoi amici e o gli faceva un cenno da lontano o si avvicinava solo quando vedeva che il Diama non era presente), parlavano del più e del meno. Ma a Dante Virgilio già piaceva. Perché lo faceva sentire a proprio agio, perché era molto più maturo di quello che si sarebbe detto vedendolo, perché era solare e sempre allegro, aperto, lo faceva ridere e lo metteva di buon umore; e lo trovava proprio carino, oltretutto. Era una persona semplice, ma in grado di dare molto; o almeno, così gli sembrava per quel poco che lo conosceva. Sentiva di poter parlare con lui come parlava con Trunks; solo che Trunks era il suo migliore amico da anni. Truzzo o non truzzo, sembrava una persona meravigliosa.
Dante non sapeva come comportarsi. Stava ancora decidendo quanto gli piacesse: d’altra parte si conoscevano poco. E non aveva la benché minima esperienza in queste cose, per cui si sentiva impacciato al massimo. E non conosceva l’orientamento sessuale di Virgilio…e un po’ aveva anche paura di scoprirlo. Quindi faceva finta di niente, cercando di capire la situazione e di captare segnali.
Il giorno seguente, a ricreazione, si fece coraggio e scese al primo piano per cercarlo, dato che dovevano mettersi d’accordo per il pomeriggio.
«Ehilààà!» lo abbracciò Virgilio quando lo vide: era sempre molto espansivo. Forse troppo.
«Allora, per oggi va bene se torno a casa con te?».
«Ah. Ma dici subito dopo scuola quindi?».
«Beh, sì, non ha senso che torni a casa, faccio prima a venir subito da te. Se posso…».
«Sì sì, non c’è problema. È che non credevo…sì, non so cosa ci sarà da mangiare.».
«E chi se ne frega, mica vengo per mangiare! Oh, già che sei sceso tra la plebe ti presento i miei migliori amici!» e così dicendo gli fece cenno di seguirlo, per poi mettere la testa dentro l’aula e chiamare due persone, un ragazzo e una ragazza. Il primo era alto e magro, tanto magro, e aveva i capelli tinti di verde (“Estremo!” pensò Dante); la seconda era carina, con un bel sorriso e capelli lunghi, lisci e castani. Nessuno dei due sembrava discotecaro, anzi. Lo salutarono calorosamente e Dante riuscì a fare una figuraccia scoppiando a ridere in faccia allo spilungone una volta che questi ebbe detto il suo nome.
«Scu-scusa! Ma sei sicuro che si dica Elìo e non Èlio?».
«Sgrunf, credo di sapere come si pronuncia il mio nome.».
«Scusami! È che non l’avevo mai sentito! Eh-e tu sei…?».
«Star, chiamami Star.» rispose la ragazza con un sorriso. “Sì,” si disse Dante ”effettivamente avrei dovuto aspettarmi persone un po’ particolari…”.
Quel giorno, dunque, i due presero l’autobus assieme. Dante aveva iniziato ad essere nervoso, perché era sicuro che Virgilio si sarebbe annoiato: non c’era un tubo da fare; ma più di avvisarlo, cosa poteva fare? Durante il tragitto stettero in silenzio, guardando uno fuori dal finestrino, l’altro le proprie gambe.
«Ehm, sì, ecco…» balbettò il padrone di casa una volta arrivati, aprendo un armadietto della cucina e sbirciandoci dentro. «Non c’è un granché, ma della pasta riusciamo a farla…mettiti pure comodo, sentiti a casa tua…io metto su l’acqua…».
«Va bene, grazie. Eeh, posso andare in bagno?».
«Certo. È di là, in fondo al corridoio.».
«Ma hai una stanza piena di gabbie!» esclamò Virgilio una volta tornato, entrando in cucina con passo saltellato.
«Sì, lo so.» rispose Dante. Virgilio sbuffò ridendo e l’altro si rese conto della stupidità della risposta, mettendosi a ridere a sua volta. «Uhauha, scusa! Ho dei ratti.».
«Dei ratti??».
«Sì, lo so che è strano. Li allevo. Sono carini e sono anche buoni animali domestici. Sul serio!».
«Credevo che si allevassero solo come cibo per i serpenti…».
«E invece sono davvero intelligenti e affettuosi. Dopo te li faccio vedere, se l’idea non ti schifa.».
«No, anzi. Sono curioso, adesso!».
E così, una volta finito di pranzare, si trasferirono nella stanza delle gabbie. «Questa camera ormai era inutilizzata (ci tenevo i miei giochi quando ero piccolo), per cui sono riuscito a convincere i miei e ora la uso per tenere loro. All’inizio, quando non ne avevo così tanti, stavano in camera mia; ma fanno troppo casino di notte.» spiegò Dante, aprendo una delle gabbie e tirando fuori il suo grosso rattone omonimo.
«Ooh, ma che bello!».
«Questo è il primo che ho avuto, ha circa due anni e mezzo. Ho fatto una cavolata all’inizio perché ho preso solo lui, mentre andrebbero presi almeno in coppia. S’è abituato a stare da solo e quando ho provato a prendergli un paio di compagni li ha quasi sbranati, per cui ora devo tenerlo isolato…».
«Ha proprio un pelo bellissimo! Ed è davvero grande, una vera pantegana! Come si chiama?».
Dante si grattò la testa prima di rispondere, imbarazzato. «Come me.».
«Gli hai dato il tuo nome? Come mai?».
«Non sono egocentrico o altro…è una cosa mia, in realtà. Una cretinata. Ehmm, lui non è l’unico ad avere il nome di una persona. Ognuno di questi ratti ha il nome di una persona che conosco...».
«Ma dai.».
«Perché…praticamente, li addestro. Fanno giochetti, percorsi di agility, rispondono ai miei comandi. Quindi…mh, mi vergogno a dirlo…in pratica, beh, se mi obbediscono mi pare di avere sotto controllo anche quelle persone. So che non è così! Ma è qualcosa di simbolico, tipo. Mi aiuta a rilassarmi, a calmare la rabbia. La persona con cui mi arrabbio più spesso sono io, in realtà, per questo lui si chiama Dante. E sarà che è quello che sta con me da più tempo, ma è anche quello meglio addestrato. Come dire…è bello vedere che almeno la tua controparte è disciplinata e riesce in qualcosa.».
«Uao…che cosa originale, davvero.».
«M’hai preso per pazzo, lo so!».
«No, affatto! Tutti hanno bisogno di un metodo di catarsi, se tu hai trovato il tuo è un bene.».
Dante, ancora imbarazzato, dette la schiena a Virgilio col pretesto di prendere altri ratti. «Ehm, comunque se vuoi ti faccio vedere un po’ cosa sanno fare.».
«Volentieri!».
Virgilio si divertì e stupì un sacco nel vedere i roditori che giravano su se stessi e si alzavano su due zampe a comando, facevano corti percorsi di agility e, i più bravi, riportavano una pallina che Dante lanciava loro, oppure la facevano cadere dentro un cestino a mo’ di basket. «Non credevo che fossero così intelligenti.».
«Hanno quasi l’intelligenza di un cane…e possono essere affettuosi allo stesso modo.».
«Vedo!». Virgilio ad un certo punto s’era trovato ad avere addosso cinque-sei ratti che, curiosi, gli si erano arrampicati addosso e gli ficcavano il muso dappertutto, annusandolo, leccandolo e “assaggiandolo”. «Oddio, è…è un po’ terrificante da un certo punto di vista…però sono così carini! Non avrei mai pensato di poterlo dire a dei ratti.».
Ridacchiando, Dante afferrò un rattino color panna e lo mise sulla testa dell’amico. «Ahahah! Bisognerebbe farti una foto!».
«Tu sai che tornerò per rubarteli, vero?» scherzò Virgilio, mentre faceva i grattini al ratto nero dalle grandi orecchie che Dante aveva rubato dal negozio un mese e mezzo prima. «Oddio, ma è troppo morbido questo qua!!! Ma che bello sei??».
«Oh, lui si chiama Geko.».
«Eh, Geko? Ma non avevi detto che si chiamano come delle persone?».
«Sì, è così. Geko è il soprannome che ho dato a una persona. Il suo nome in realtà non lo so.».
«Ah. E come mai questo soprannome?».
«Perché ha un geco tatuato sul braccio.».
Sentendo ciò, Virgilio cambiò espressione per un attimo, fissando Dante tra lo stupito e il sognante: «Un geco tatuato, hai detto…?».
«Sì…è uno che va nella nostra scuola…lo conosci?».
«Ah, ehm…moro, pelle piuttosto scura…?».
«Lui. Non credo che a scuola ci siano tante persone con gechi tatuati sul braccio.».
«Beh, solo di vista, in realtà…cioè, non c’ho mai parlato…maaa come mai hai chiamato il ratto così? Conosci bene quel tipo?».
«Non proprio, ma non mi va di entrare nei dettagli…». Dante raccontò all’altro ragazzo come avesse ottenuto sia lui sia il ratto albino suo compagno (che, guarda un po’, aveva chiamato Capo); dato che Virgilio si disse interessato, gli spiegò le basi della genetica e in breve le modalità di allevamento e selezione degli animali da riprodurre. «Il ratto della mia vita però non riuscirò mai a ottenerlo. È col pelo scuro e gli occhi rossi, il Marten. Ma ha una genetica complicata e non ci capisco molto…tecnicamente, non è naturale. Dovrei avere un ratto portatore di quel gene per farne nascere qualcuno, quindi dovrei comprarne uno. Ma sono rari…».
«Beh, ma anche quelli che hai adesso sono bellissimi…».
«Oh, sì. Non è facile tenerli, mi portano via un sacco di tempo. Ogni giorno devo pulire e lavare qualche gabbia, bisogna passarci del tempo assieme, devono poter stare liberi almeno un’oretta al giorno…e la gran parte delle mie paghette la uso per loro. Senza parlare dei soldi che spendo quando si ammalano!! Però danno tanta soddisfazione, e quando si è tristi sono un rimedio efficacissimo per stare meglio!».
«Da come parli, sembra che tu sia di cattivo umore spesso.».
«Beh, coi genitori che ho…è soprattutto colpa loro. Sembra che facciano di tutto per farmi incazzare!».
«Mi dispiace…cerca di non darci troppo peso. Alla fine ci stai male solo tu.».
Quel pomeriggio passò velocemente, contro ogni aspettativa di Dante: Virgilio gli chiese dei fogli usati e con quelli gli insegnò a fare qualche origami; giocarono a battaglia navale, all’impiccato, fecero disegnini stupidi e caricature di amici e professori. E parlarono, parlarono tanto, e Dante non avrebbe mai smesso di parlare con Virgilio, se avesse potuto; a fine pomeriggio lo salutò a malincuore, grato per le ore passate assieme.
Quella sera salutò i genitori di ritorno dal lavoro con un sorriso a trentadue denti e, per finire in bene la giornata, i due gli revocarono infine la punizione. Deh Virgilio, porti pure culo!

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