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Autore: Legolas_    16/06/2013    4 recensioni
Sette ragazzi che anche se non si conoscono, hanno una cosa in comune: frequentano tutti e sette il Mercy Hospital, un centro psichiatrico. Ognuno dei ragazzi ha un problema che li identifica, ma anche che li fortifica, li rende forti e indistruttibili, il contrario di quello che la società e le loro famiglie vogliono.
Tutti e sette si ritroveranno ad affrontare loro stessi assieme, in un posto che farà loro sparire le loro paure.
Genere: Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fin da piccola mia madre mi portava in chiesa per cantare con il coro. Ero abbastanza brava, pur avendo anche cinque o sei anni circa. Ma a me non piaceva per niente quel posto. Lo trovavo così.. finto. Sì, finto. Perché là dentro le persone dicevano sempre: << Noi non siamo razzisti, amiamo il prossimo, rispettiamo tutti e siamo tutti uguali. >>, e bla bla bla.
   Poi quando uscivano dalla chiesa erano i primi a puntare il dito ai negri, ai gay, ai disabili e ai morti di fame.
Tutte persone di alto rango, sempre con la puzza sotto al naso. Tutti vestiti per bene, con tacchi, guanti di pizzo, borsette piccole rosa confetto a pandan con il capello con le piume bianche e soffici.
Le avrei appiccato fuoco.
Ma anche mia madre faceva parte di quella categoria di persone. Era, anzi, è ancora rispettata da tutti quanti, con un lavoro da invidiare e un marito troppo bello per lei. Mia madre è quel tipo di persona che se non rispetti quel tipo di regole ti può anche cacciar di casa. 
Non mi sembra di avere una madre, ma un comandante dell'esercito. Uno di quelli che ti butta dal letto alle cinque del mattino per andare e cantare l'inno nazionale.
Una stronza di madre, insomma. E anche oggi me la devo subire per tutto il giorno. E' sempre un travaglio con lei. E la cosa peggiore è che non sono manco incinta per dirlo, quindi..
<< Maaaary!! >>, urla lei dal corridoio << Alzati da quel letto e sbrigati! >>. Mi rigiro nel materasso comodo e con un tonfo, accendo la luce della stanza e apro gli occhi castani con calma, assonata. Sbadiglio e mi stiracchio un poco e poi, con molta fatica mi alzo, e con passo lento tipo un bradipo, mi avvio alla porta e la apro. Mi massaggio la chioma bionda e liscia e poi cammino nel corridoio con la moquette celeste scuro.
Le pantofole fanno il solito sht sht sht sul pavimento, e questo fa molto arrabbiare mia madre. In fatti, la sento urlare come 
una disperata: << E alza quei dannati piedi! >>. Così l'accontento e finalmente arrivo in cucina e vedo mio fratello Jake che 
beve il latte con i cereali.
Gli sorrido, e quando lui ricambia, mi si scalda il cuore. Lui è l'unico che mi aiuta e mi sostiene, anche se è piccolo, anche 
se non capisce tutto della vita.
<< Ciao cucciolo. >>, dico sorridendo e gli stampo un bacio nella fronte, in mezzo ai capelli castani-biondo lisci tipo a spaghetti. Lui mi risponde con un: << Ciao sorellona! >>.
Mi siedo affianco a lui e aspetto la colazione. Ma mi sbaglio come sempre. Devo farmela da sola. Così mi alzo e con riluttanza prendo la scodella e metto dentro il latte, poi prendo un cucchiaino nel cassetto e mi rimetto a sedere.
<< Mary, sbrigati che è già tardi. >>, dice la mamma.
Non ho ancora bevuto un sorso di latte che lei già da ordini a tutti come se fossimo dei soldatini.
<< Okay. >>, rispondo  io secca e piatta come una tavola da surf.
Poi si gira e mi punta con i suoi occhi da arpia neri e mi dice dura: << Collabora, Mary, okay? Perché sennò non riusciremo a.. >>, ma si blocca e si volta come se non fosse successo nulla.
Presa dalla rabbia che ho ormai dentro da anni, sbatto la scodella nel tavolo con tanta forza da sporcarmi di latte. Ma non 
è questo il mio problema principale.
Fisso la sua schiena con tanto odio e poi mi alzo di scatto, scocco un bacio a mio fratello e poi le rivolgo con rabbia parole al vento, che magari non verranno mai raccolte: << Ma sì.. facciamo come se non fosse successo nulla.. >>.
Mia madre si gira di scatto e dice: << Come, scusa? >>.
Abbasso lo sguardo, perché so, che se rivedo quegli occhi neri come la pece, giuro di sporcarmi di sangue per l'eterntià.
<< Ciao Jake.. ci vediamo dopo, okay? >>, rispondo invece. Lui mi guarda con quegli occhi color nocciola bellissimi e poi 
mi saluta con: << Va bene sorellona! >>.
<< Non fare finta di non aver sentito. >>, la voce di mia madre è dura, provocatoria.
<< In fatti non sto fingendo.. >>.
Mi allontano dalla cucina, ma mia madre mi segue, così rimaniamo ferme nella soglia di cucina come due sceme. Ancora 
non alzo lo sguardo su di lei, ho troppa paura. Ma non quella paura come se stessi vedendo un serial killer o un film horror. Ma la paura di perdere il controllo. Perché se lo perdo, giuro di combinare qualche casino troppo grande per me.
<< Avanti. >>, è sfinita, si capisce dalla voce << Dimmi quello che mi devi dire. >>.
Questo è troppo, penso furiosa.
Alzo lo sguardo, e se non fosse stato per il mio sangue freddo, l'avrei probabilmente ammazzata.
<< Dirti quello che ti devo dire.. >>, ripeto le parole in un sussurro << .. tu sai cosa cosa penso! >>, esclamo di botto.
<< Invece no. >>, la sua voce è ferma. Si vede che non ha paura.
Alzo un sopracciglio.
<< Mi stai prendendo in giro? >>, chiedo con occhi sgranati.
Lei fa no con la testa.
<< Oh avanti mamma.. non farai sul serio.. >>, sussurro io.
Ma lei sta zitta, segno evidente che vuole davvero che io parli con lei di quello che penso.
Batto le mani nei fianchi ed esplodo.
<< E va bene! Ma poi non aspettarti le mie scuse solo perché ho detto la verità! >>. Lei alza le spalle.
<< Mi da fastidio.. mi fa salire il crimine quando tu mi dici che sono malata.. che sono diversa, che non merito di vivere.. che non sono degna di essere tua figlia.. >>.
<< E lo penso tuttora. >>, dice finalmente lei dopo minuti lancinanti di silenzio.
<< Ma perché?! Perché?! Perché pensi che io sia diversa? Cosa te lo fa pensare? >>.
Lei abbassa gli occhi e poi balbettando risponde: << P-perché.. perc-ché t-tu sei-i.. oh Mary, tu non potrai mai capire quello che sto passando io! Tu non hai idea di quello che io devo passare a lavoro! Di quanta paura ho se i miei colleghi scoprono cosa mia figlia è!, o quando sono per strada.. sembra che ho tutti gli sguardi addosso.. >>, urla e poi mi guarda con occhi lucidi << .. come se loro sapessero tutto.. >>, finisce di dire.
Non ci posso credere, penso sconvolta. No, no, non può essere.. 
<< Tu mi stai dicendo.. che ti vergogni di me? >>, balbetto io con il dito puntato su di lei.
<< Certo! Secondo te come mi dovrei sentire? >>, esclama disperata.
<< Come ti dovresti sentire?! E tu non te lo chiedi come io mi senta?! Tutti quelli sguardi che tu mi lanci tutto il giorno? O di quello che mi fanno in quel cacchio di ospedale psichiatrico?! >>, urlo di rimando.
<< NO! Perché tu te lo meriti! >>.
Una volta, quando ero a casa, suonarono il campanello di punto in bianco. Io pensai fosse papà, ma poi scoprii che era un 
testimone di Geova. E feci una corsa dalla mia camera fino giù, nell'ingresso. Ma non mi accorsi che c'erano le coperte per 
terra, nel corridoio. Le aveva lasciate Jake per cercare di farsi il mantello da supereroe. E io inciapai e caddi. Mi faceva male il petto da morire. Ma non riuscii a muovermi perché ero troppo occupata per una cosa: non riuscivo a respirare. 
Non sentivo l'aria che entrava o usciva dai polmoni. Era lancinante. Io aprivo la bocca per mettere dentro quei dannati polmoni l'aria, ma quello che ottenevo erano solo dei piccoli sospiri.
   Era la cosa più brutta del mondo.
Come questa. Non mi sarei mai aspettata una frase così detta da mia madre. Forse da tutti quei medici sì, ma mai da lei.
La guardo con occhi pieni di lacrime, rabbia, odio, frustrazione, pena, ribrezzo, schifo, paura di commettere l'errore più grande della mia vita.
<< Scusa.. >>, dico io.
<< Per cosa? >>, domanda lei quasi sorpresa.
La fisso solo per un'altra volta, forse l'ultima, e le rispondo dura, fredda e piatta come il marmo: << Per essere ciò che sono realmente.. >>.
Lei mi mette la sua mano nella mia spalla, ma io mi sposto e con un sibilio dico: << Non toccarmi. >>.
<< Mary.. io.. scusami.. non volevo.. >>, balbetta lei.
<< Mi dispiace per te mamma.. ma ormai il tempo delle scuse se nè già andato.. >>, rispondo io << .. dovevi pensarci 
prima. Ma evidentemente eri troppo impegnata per insultarmi.. >>.
<< Cos.. ? No.. >>, cerca di finire la frase ma io la blocco.
<< Forse.. >>, e la fisso nei suo luridi e schifosi occhi neri << .. dovresti amare e proteggere di più tua figlia, quando sai che 
lei è lesbica.. >>.
La vedo irrigidirsi.
<< Hai paura di quella parola? >>, domando io con una punta di divertimento e follia << Beh, abituati. Siamo nel 
ventunesimo secolo, non più nell'ere dei dinosauri, e dovrestri sapere, cara mamma.. >>, la guardo prima di uscire di casa 
e sedermi nella macchina << .. che ormai il mondo si è voluto e non lui non accettà più il razzismo. >>.
 
 
Ho letto una volta su internet che alcune volte è necessario che il volume della musica superi quello dei pensieri. Chi l'ha detto ha ragione da vendere. Siamo da almeno dieci minuti in macchina io e mia madre, e nessuna delle due parla.
Fantastico, penso. Ora è ancora peggio, concludo io.
La nostra meta? Semplice, il Mercy Hospital; così lo chiamano gli altri, ma io lo chiamo manicomio. Uno stupido ospedale psichiatrico dove ti curano per il tuo problema. Nel mio caso, la mia omosessualità. 
   Fico.
E' molto semplice: a seconda del tuo problema hai un piano diverso. Io sto all'ottavo. Dicono che il mio problema sia abbastanza grave e che si possa curare. Praticamente la maggior parte delle cose che dicono sono stronzate.
Ci sono tredici piani, ma  io conosco solo il mio, perché ai pazienti non è concesso la visita agli altri piani. Ma di una cosa sono certa: non vorrei mai stare agli ultimi due piani. Dicono che là ci stanno i serial killer e cose del genere.
Beh, sempre meglio del mio.
Ora mia madre sbuffa, ingrana la marcia e parcheggia. Usciamo dall'auto in silenzio e solo ora mi rendo conto di stare ancora in pigiama, che tra l'altro è sporco di latte. Sto pure in ciabatte, penso io divertita. Allora si che sto comoda.
Entriamo e un'aria fredda e puzzolente di ospedale ci invade. Mia madre svolta a destra e va nel casello per prendere la prenotazione del nostro piano. Io mi appoggio al muro e accavallo le gambe e appoggio la testa al muro, stanca.
Le pareti giallo ocra mi accecano e io chiudo gli occhi. Silenzio, a parte mia madre che parla con la vecchia del casello.    Sento una risata femminile. E viene da sinistra. Lascio perdere mia madre e sbircio verso quella direzione. Ci sono una ragazza bionda, con un camice bianco e leggero, e un ragazzo alto e moro che è affianco a lei e sono davanti ad una macchinetta del cafe.
Lui continua a dare dei colpi alla macchinetta e quella non sembra funzionare. La ragazza bionda invece ride a quella situazione.
Mi avvicino incuriosita e tossisco. Loro si girano e a momenti svengo. Lei ha due occhi celesti come il ghiaccio ed è magrissima, il viso scavato e il collo piccolo e magro. Lui due occhi blu come l'oceano e due labbra piene e rosee; alto, muscoloso e con due spalle che sembra un giocatore di rugby.
<< Qualche problema con la macchinetta? >>, domando io per rompere il silenzio.
Il ragazzo tiene la bocca aperta, ma non risponde.
<< Mmh.. sì in effetti. Jason ha messo i soldi per prendere la bottiglia d'acqua, ma questa cosa non gli da il resto. >>, spiega la ragazza.
<< Oh. Fatemi vedere. >>, mi avvicino e do un colpo per sbaglio a Jason. Rido. E' solo inceppata, penso. Non so quante volte mi è successo a me. Do un colpo di lato e un sotto, e dopo un TUM, ecco che il resto compare nella ciotola in basso.
<< Oh ma dai! >>, esclama Jason << Bisognava fare solo questo?! >>.
Alzo le spalle sorridendo e rispondo: << Si. Succedeva la stessa cosa anche a me, ma dopo un po' ho scoperto come si faceva.. >>, spiego.
La ragazza bionda alza le sopracciglia chiare e chiede: << Anche tu sei di qua? >>.
Annuisco.
<< Oh! E di che piano sei? >>, domanda sorridente.
<< Sono dell'ottavo. E voi? >>, e guardo anche Jason. La biondina dagli occhi color ghiaccio mi risponde con voce soave, come se la divertisse.
<< Io sto al nono, mentre Jason - fortunato lui -, sta al terzo. >>.
Nono?, penso con un pizzico di panico. Wow, il suo problema deve essere grave..
Poi mi ritrovo la sua mano nella mia e mi sento dire da lei: << Comunque io sono Sam! E tu sei.. ? >>.
<< Oh, io sono Mary. >>, rispondo dando una stretta di mano.
Ma prima che potessi chiedere il loro problema, ecco che arriva mia madre e mi strattona via. Dio, quanto la odio.
<< Beh.. allora ci si vede in giro Mary! >>, mi urla da lontano Sam.
  
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