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Autore: Mad_Blood    17/06/2013    17 recensioni
E se vi dicessi che sono pazzo, vi basterebbe?
Genere: Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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«Mamma farà ritardo stasera, ma non ti preoccupare piccola, Kate rimarrà con te tutto il tempo»
«Ho sete, e mi brucia la gola»
«Ti prometto tesoro mio che stasera guariremo quella gola malata»
«Ne voglio tanto»
«È quello che avrai»
«Giuri?»
«Si, te lo giuro»
«Mignolino?»
«Mignolino. Kate è arrivata. Ti voglio bene. Ciao pulce»
«Ciao mammina»


‘Tic Toc.’
‘Tic Toc.’
‘Tic Toc.’
Trentacinque minuti, cinquantasette secondi.
Cinquantotto.
Cinquantanove.
La sete la stava uccidendo. Nessun tipo di distrazione riusciva a placare per almeno qualche secondo quell’ardente desiderio di bere, di sentire scorrere nelle vene quel liquido peccatore. Tentò varie volte di seguire il ticchettio di quell’antiquato orologio di legno, vecchio quanto prezioso, ma dopo solo pochi secondi quel dolce suono le risuonava in testa come un fastidioso rintocco, e la sete continuava a comandare sul corpo ormai sottomesso e stanco. Impaziente, ordinava di bere, distruggendo così le ultime risorse della bambina. Si, la bambina. La vita le apparteneva da quattro anni ormai, e da quattro anni viveva la stessa straziante sofferenza ogni volta che aveva sete, il che, via via crescendo, le capitava sempre più spesso. 
Da ore stava attaccata a quell’orologio, seduta sulla sua appariscente e piccola seggiola rosa, a tentare d’obbligare il tempo di scorrere più velocemente. Davanti a se, imponente e lucido, il mobiletto dei ricordi. Era alto poco più della minuta bambina, la quale poteva facilmente raggiungerlo con la sua sedia. Esso portava al suo interno le solite scartoffie del disordinato padre, e sopra di esso, coperto da un sottile strato di polvere, i ricordi del periodo del liceo dei genitori. Cornici dorate molto rovinate, caratterizzate da una semplice ma allo stesso elaborata forma rettangolare, raffiguranti varie scene di quella stravagante epoca. Le medaglie del nuoto di mamma Charlie, e le infinite coppe del baseball di papà. La mazza e la palla autografata; la foto del giornale, la quale rappresentava la vecchia squadra di baseball del lontano ’82, quando aveva vinto per la prima volta il torneo nazionale. La carriera da nuotatrice professionista di mamma, ad un soffio dalle olimpiadi, il sogno frantumato dalla gravidanza della prima figlia, morta in un incidente domestico avvolto nel mistero qualche anno dopo la sua nascita. Ora invece, inaspettatamente, il padre era uno degli uomini più ricchi del paese. 
La porta socchiusa si aprì, mostrando il volto inquisitorio di Kate, sorpresa di tutto quel silenzio. Si avvicinò alla creatura, che non la degnò di uno sguardo.
«Hai fame? Vuoi una bella macedonia?»
«No. Ho sete»
«Oggi allora faremo un pieno di vitamine C»
«Niente aranciata, grazie»
«Acqua?»
«No»
«Ah, ho capito. Un bicchierone di latte caldo prima di andare a letto»
«No, neanche»
«Non capisco. Avevi detto che avevi sete»
«Appunto»
«Sai che non puoi bere la Coca, Charlotte l’ha vietata»
«La tua voce è fastidiosa»
«Come?»
«Sangue»
Si voltò, i suoi occhi sui suoi, maledettamente desiderosi di placare la sete.
«Cosa?»
«Sangue. Voglio bere sangue. Ora» 
«No, non riesco a c-capire»
«Nessuno può capire»
D’un tratto la sua pupilla scomparì, e la retina degli occhi si colorò di un nero opaco. Capitò quel che temeva. La sete aveva preso in tutto per tutto il pieno controllo del suo debole corpo. In un secondo, stringeva già in un palmo la pesante palla da baseball del mobiletto dei ricordi.
Il pallido volto di Kate, dal pensiero del prossimo passo della bambina.
Stava vivendo un incubo.
Era solo un incubo.
Niente di più.
Ma non fu così.
«M-ma questo non può… non può succedere»
«Scusami»
La bambina si mise in posizione di lancio, prendendo la mira verso la pancia, in modo che cada a terra.
Kate cominciò a correre in cerca di una via di fuga in quella sala infinita. La mente confusa da quello che stava accadendo. Non poteva essere possibile. Non doveva essere possibile. Non credeva fosse vero, ma non fece in tempo a riordinare tutti questi pensieri, che la palla finì dritta contro il suo ventre, causando un dolore tremendo a lei… e al feto. Il suo corpo si accasciò a terra, il volto terrificato e preoccupato per il bambino in grembo.



«Kate? Kate?! Dove sei?»
Lo sguardo della madre roteava da una stanza all'altra, alla disperata ricerca d'incrociare gli occhi dell'amica. Allo stesso tempo temeva la reazione della sua piccola bambina, di quando si sarebbe accorta che il sangue il quale le aveva promesso non c'era. Pensò che probabilmente avrebbe pianto, oppure avrebbe fatto solo un po' di capricci. Insomma, come di solito fanno i bambini della sua età.
Certamente Charlotte non era pronta a quello che stava per vedere.
Scavalcò le porte di legno della cucina, arrivando così al salone principale. Rimase inorridita dalla cruda scena che si stava svolgendo in quel preciso istante. 
Il viso privo di espressione di Kate, il suo corpo inerme, posato a contatto del pavimento come se fosse uno straccio; un liquido rosso circondava la sua figura rigida e senza vita, liquido scuro, sporco. Nulla poteva più traumatizzare quanto la vista di una piccola bambina con le intenzioni di 'leccare' dal pavimento in ceramica tutto quel sangue. Il suo grazioso vestito bianco, ora si confondeva tra quel fiume, quell'osceno fiume di dolore e sofferenza. Almeno, era questo che Charlotte pensava avesse provato Kate. Pensava.
«Hai visto mamma? Ora ho tutto il sangue che voglio!»
La donna pietrificata dette inizio ad un pianto isterico, ancora incredula di quello che stava succedendo. Sapeva che la figlia aveva qualcosa di 'anormale' rispetto agli altri bambini, ma aveva pur sempre quattro anni; com'era stata in grado di causare questo? Charlotte aveva paura di avvicinarsi. Aveva paura di poter solo toccare per un istante il corpo di Kate, o peggio ancora, di sfiorare la sua anima, o quella della seconda vita all'interno della donna. Quel bambino che aveva sempre desiderato, il quale lo avrebbe viziato d'amore, nonostante li avessero diagnosticato la sindrome di Down. Quel bambino che sarebbe dovuto nascere tra due settimane. 
Rimase appoggiata alla parete, non poco distante dalla porta che qualche minuto fa aveva scavalcato, inconsapevole a cosa andava incontro. 
«Mamma? Mammina? Non sei felice per me?» il tono angelico della bambina faceva un enorme contrasto con la sua vera natura. 
«Mamma è f-f-felice per te piccola mia. Si, è felice»
«Perché piangi allora?»
«G-gioia» mentì la madre.
«Ne vuoi un po'?» si alzò lentamente, e camminando con i piedi scalzi verso la madre, tese quella sporca mano.
«No, no, è-è tuo bambina mia» le disse scuotendo la testa, ancora in preda allo scorrere delle lacrime. Lacrime che bruciavano sulla pelle stanca.
«Si, hai ragione» un sorriso si disegnò in quel suo volto perfetto. Qualcosa di divino le apparteneva.
«Adesso che ci penso mammina, ho ancora sete. Dov'è quello che mi hai promesso?
Quelle parole provocarono un tremito sulla schiena di Charlotte. È sua madre, l'avrebbe risparmiata, sicuramente. Si, l'avrebbe fatto. 
«Piccola, non, non...»
«Me l'avevi promesso»
«Non...»
«Avevi giurato. Abbiamo fatto il patto del mignolino. Avevi giurato!» i suoi occhi accusatori, occhi che uccidono. 
«Mi dispiace»
«Non importa. Rimedieremo al danno»
«Co-cosa intendi dire con questo?» il suo pianto si trasformò in terrore, un terrificante presentimento. Tutto quello che era logico, in quella stanza, in quel preciso momento, perdeva il suo significato, il suo senso.
«Non preoccuparti Charlie. Non farà male»

Il cuore della madre, prima pulsante, si raggelò metaforicamente, e cominciò a temere la sua sorte più che mai. La bambina si avviò nella direzione del mobiletto dei ricordi, e aiutandosi con la sua sedia, prese in mano la mazza da baseball.
Le intenzioni furono chiare dal principio, ma Charlotte faticava ancora a crederci.
«Che vita difficile, vero? Avreste dovuto lasciarmi in ospedale, il giorno della mia nascita. Avreste dovuto non riconoscermi come vostra figlia. Sarei stata affidata a ‘mani esperte’ che probabilmente mi avrebbero guarito. Ma voi due, stupidi allocchi, avete voluto provare, perché mi amavate, e nonostante il mio problema, mi avete portato a casa, trattandomi come una bambina normale. Poi arrivava l’ora della pappa e…»
«Noi volevamo solo che tu avessi una vita come tutti gli altri. Lo abbiamo fatto per il tuo bene. Crescerai, e guarirai»
«Sei stata egoista Charlotte. Molto egoista, e per questo devi pagare»


-People were born to live. She was born to kill.-





Piacere, Sara.
Spero che vi sia piaciuto questo primo inizio della mia storia.
In ogni caso, per ogni domanda, potete trovarmi su:
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T
HANKS. -Mad. x
 
   
 
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