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Autore: lalla    02/01/2008    3 recensioni
Come fu che Doc Cullen diventò un vampiro? Con questo racconto, ho partecipato al Twilight Contest che, non essendo lì presente, non ho mai saputo come sia finito. Se qualcuno sa qualcosa, m'illumini. Grazie.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CARLISLE CULLEN

Quando era nato a vita mortale il suo nome era un altro. Un nome che gli tornava alla memoria nei sogni e il risveglio scacciava via: quello che suo padre gli aveva imposto, trecentosessantadue anni prima. Prima della guerra. Prima che gli uomini impugnassero il nome di Dio come un’arma.

Non bestemmiare il nome del Signore. Non mentire. Non uccidere. Onora tuo padre e tua madre.

Strinse gli occhi, come se la luce che filtrava pallida attraverso le nuvole gonfie di pioggia gli desse fastidio. Chi sei, “Doc” Cullen? Sarebbe stato facile, per lui, rispondere a quella domanda perché, contrariamente al nome che gli era stato imposto quando era venuto al mondo, il risveglio non riusciva a cancellare la memoria della sua prima vita.

Londra, Seconda Metà del XVII Secolo

Non bestemmiare il nome del Signore. Non proferire menzogna.

Brucerei il tuo corpo anche se sei sangue del mio sangue, pur di salvare la tua anima. Occhi di fuoco. Parole dure, senza amore, malgrado si dicesse uomo di fede e pastore di anime. Aveva lasciato il suo villaggio, portandosi appresso una moglie incinta e malata che non sarebbe durata a lungo, tra i miasmi appestati di quella città lercia. Ma a Londra c’erano tante anime da salvare. C’era tanto male da distruggere.

Non bestemmiare il nome del Signore. Non proferire menzogna. Onora tuo padre e la verga con cui ti colpisce a sangue, perché il dolore ti insegni a distinguere la virtù dal vizio e a portare la tua anima a salvamento.

Non proferire menzogna. Non uccidere.

Chiuse gli occhi, inghiottì un groppo di saliva e di bile. Aveva sei anni, quando era stato costretto a guardare la strega che si consumava tra le fiamme, ed era come se il puzzo di carne bruciata, cenci fetidi, escrementi, gli indugiasse ancora in gola. La nostra missione è quella di estirpare il male dal mondo, non dimenticarlo. Mai. Ne aveva sedici quando il licantropo era stato ammazzato a bastonate proprio davanti ai suoi occhi. La missione. Quella che lui intendeva lasciargli in eredità, quando il trascorrere del tempo avrebbe reso debole e fiacco il suo corpo. Estirpare il male dal mondo. Bruciare e massacrare gli emissari del demonio: la vecchia zingara che ti leggeva la mano in cambio di qualche spicciolo, il povero idiota dalle membra contorte e dagli occhi vacui, incapace perfino di parlare. La strega. Il licantropo. Non bestemmiare. Non mentire. Non uccidere.

I cunicoli delle fogne pullulano di esseri immondi. Demoni che vagano nella notte per placare nel sangue la loro fame e la loro sete. Mordono con denti infetti e, come cani rabbiosi, trasmettono agli innocenti tutto l’orrore della loro condizione. Solamente il fuoco può distruggerli. E la nostra missione…

La maledetta missione che non sarebbe stata la sua. Li aveva visti, quelli che suo padre continuava a chiamare vampiri, fuori dai tuguri che dividevano con i topi, gli occhi rossi di tracoma e la pelle divorata dalla scabbia, mani luride che ti arpionavano i vestiti, mentre pietivano un tozzo di pane o ti maledicevano per una carità negata. Petti squassati dalla tisi, arti contorti dai reumi, bocche piene di denti marci. Era la miseria e solo quella, il demone che li infettava con mille mali.

Mi rifiuto di credere nel vostro orribile dio che non conosce pietà. Ma se la rabbia avesse parlato per lui, suo padre sarebbe stato capace di punire con la morte quelle bestemmie. Non proferire menzogna. Allora taci, e continua a cercarli, i fantasmi affamati dei bassifondi, donne uomini bambini e vecchi ai quali un infuso di erbe medicinali, un po’ di pane, un salasso, una carezza, avrebbero potuto rendere più sopportabile quell’esistenza grama.

Non l’aveva mai visto prima o, forse, non l’aveva mai notato, uno dei tanti piccoli luridi straccioni destinati a non arrivare ai dodici anni. Un bel bambino al quale, d’impulso, lui aveva regalato la sua colazione. Ma perché non si era gettato sul cibo come un cane affamato ed era scappato via? Per dividere, chissà, quel povero tesoro con i fratellini? Eppure la miseria non rende nessuno più buono. Nemmeno i bambini, nella loro decantata, forse fittizia innocenza. Quello aveva gli occhi azzurri, come s’immagina che ce li abbiano gli angeli. E un sorriso freddo, adulto, che gli scopriva denti bianchi e aguzzi, da animale.

La croce che egli stesso aveva intagliato nel legno era difesa e simbolo di potere contro il male che infettava il mondo e che, dopo di lui, quel figlio inquieto e taciturno, avrebbe portato al collo. Era sancito dai Comandamenti che avrebbe dovuto rispettare la volontà di chi gli aveva dato la vita. Perché, allora, anziché impiegarlo nella meditazione delle Scritture, perdeva il meglio del suo tempo a bighellonare nei bassifondi? Se Dio nega a quegli animali la sua misericordia, a che può servirgli la tua inutile carità, maledetto idiota?

A casa di suo padre non sarebbe tornato, pensava mentre vagava senza sapere dove andare. Non ci sarebbero stati demoni da distruggere, nel suo domani, ma vite da salvare.

L’angelo vestito di stracci si era materializzato dal niente nella nebbia fetida e, a gesti, aveva cercato di attirare la sua attenzione. Nel tugurio dove viveva, sicuramente qualcuno, malato o ferito, aveva bisogno della sua scienza. O forse…la miseria non rende nessuno più buono. Neanche i bambini.

Il sole doveva essere sorto da un pezzo, quando si risvegliò. Gli occhi gli facevano male e qualche goccia di sangue grumoso si stava rapprendendo sulla sua gola. Era stato attirato nel vicolo, assalito…Ma non per portargli via i vecchi stivali o i pochi scellini che tintinnavano nella sua borsa. Era una stata una creatura antica, ad aggredirlo. Una creatura antica e affamata.

Esistono davvero. Pensò. Adesso sono anch’io come loro. E il suo ultimo barlume di umanità si spense in un lungo brivido freddo.

Fine

Lalla, 8 novembre 2007

   
 
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