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Autore: arwen5786    02/01/2008    13 recensioni
Temari, Shikamaru. Dopo gli anni della felicità, adesso sono divisi dalla guerra tra Suna e Konoha. Ma dopo essersi ritrovati una volta, non possono più accontentarsi di quell'ultimo, straziante incontro. Perchè quello che conta, sono loro due.
Sequel di "Under pressure - Tortured", one-shot di bambi88: ne consiglio caldamente la lettura. E naturalmente questa shot è per te, robi.
Genere: Romantico, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Temari, Altri, Shikamaru Nara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UNDER PRESSURE: IL RESTO NON CONTA





“Vi ho detto che posso tranquillamente disinfettarmi da sola, sono solo ferite superficiali, cristo santo!” sbottò Temari all’indirizzo delle due infermiere che la stavano medicando delicatamente. Le due ragazze si stopparono intimidite, ma lo sguardo di Gaara bastò per permettere loro di proseguire quanto stavano facendo.
“Smettila, Temari, e risparmia il fiato. Hai subito delle percosse che difficilmente una kunoichi meno allenata di te avrebbe potuto sopportare, e sei viva per miracolo. Quindi per cortesia lasciati curare come si deve.”
Temari sbuffò, soffocando un gemito di dolore quando una delle due le toccò con più fermezza il livido sull’occhio.
“Ahia! Cazzo, fa male!” borbottò irata, dimentica delle parole appena pronunciate due minuti fa.
Gaara scosse la testa, sedendosi accanto a lei stancamente.
C’era mancato poco, questa volta. Maledettamente poco. Se l’avessero uccisa, a quest’ ora senza alcun dubbio avrebbe dato ordine di radere al suono Konoha. Un ordine maledettamente realistico, visti i tempi di guerra.
Kankuro entrò nella stanza in abiti normali, gettando a terra la sua divisa d’ordinanza, pulendosi rapidamente i segni rossi sulle guance. Diede un’occhiata a Temari, sorridendole.
“Ammazza nii-chan, sembri un incrocio tra uno spaventapasseri e una mummia sanguinante…”
Lei lo fulminò con l’unico occhio che riusciva a tenere aperto, viste le pietose condizioni dell’altro, talmente gonfio e pesto che era stato prontamente coperto con bende bianche.
“Piantale di fare dello spirito, Kankuro. Non ci metto nulla a darti un pugno anche in queste condizioni, sia ben chiaro…”
“Non ne ho dubbi, sorellina…” le disse lui tra l’ammirato e lo stupito.
Sua sorella aveva la scorza dura. Era sopravvissuta a una tortura mostruosa, e addirittura senza danni permanenti. Scorza dura, oltre che la giusta dose di fortuna.
Gaara sospirò ancora, e con un cenno fece uscire le infermiere, zelanti e timorose. Rimasti soli, i tre fratelli si guardarono a lungo. Finalmente, Kankuro parlò.
“Allora, adesso puoi dirlo. Come hai fatto a scappare? Nessuno, e dico nessuno, è mai riuscito a evadere dalla sorveglianza degli anbu di Konoha. Ti ho trovata in mezzo alla foresta da sola. Cosa significa, Temari?”
Lo sguardo della kunoichi si fece lucido, e chinò il capo mordendosi forte il labbro. Non voleva pensare a lui, adesso. Non ancora, non voleva ancora soffrire e ricordare…

“Che diavolo vuoi fare? Liberarmi?”
Shikamaru annuì distrattamente
“Rapida come al solito nei ragionamenti è?!” la schernì, accarezzandole i capelli sporchi.
“E perché?” gli chiese lei, ondeggiando i polsi tumefatti.
“Perché ?” gli chiese ancora, irritata dall’espressione teneramente scocciata di lui.
“Perché ti amo Temari” le rispose, uscendo dalla stanza



Temari scosse la testa. Merda. Non ancora, non doveva richiamarlo alla mente.
Non ce la posso fare. Non sono in condizioni per ricordarmi di te, cry-baby, non posso…
Come sempre, la voce tranquilla ma ferma di Gaara la riscosse dal suo torpore.
“Temari…Konoha è sorvegliata giorno e notte dalle squadre speciali. Ti avrebbero scoperta, è naturale. A meno che…”
Temari lo fissò. Dannazione alla maledetta perspicacia di Gaara. Lui proseguì, gli occhi cerulei improvvisamente socchiusi.
“…A meno che non sia stato qualcuno ad aiutarti a fuggire. A farti scappare deliberatamente, facendo in modo che gli altri credessero che ti avrebbe uccisa. Non è così? E chi se non una persona avrebbe potuto fare una cosa del genere?”
Temari voltò la testa, perché sapeva perfettamente che al momento era del tutto vulnerabile, un libro aperto. Incapace di fingere e negare. Con la coda dell’unico occhio sano vide Kankuro rabbuiarsi.
“Shikamaru Nara…Avrei dovuto capirlo…Quel tipo in un modo o nell’altro sa sempre come interferire tutt’oggi nelle nostre vite. Lo faceva anni fa. E tutt’ora continua a farlo…”
Gaara lo interruppe, sempre con il solito cenno. Bastava che alzasse la mano per ricordare che era lui, adesso, ad avere il comando. A decidere chi e quando dovesse parlare.
“Perché lo ha fatto, Temari?”
Lei non rispose, lo sguardo ostinatamente fisso sulla parete bianca. Sentì mormorii pensierosi di Kankuro.
“Possibile…Possibile che dopo quello che gli abbiamo fatto, dopo come l’abbiamo conciato, dopo la disgregazione dell’alleanza tra Suna e Konoha e tutti e gli anni trascorsi…Possibile che la ami ancora?”
Nessuno fiatò.
Temari si girò lentamente, mettendosi a sedere con fatica, attenta a non premere sulle numerose ecchimosi che aveva sul corpo. La sua voce giunse rabbiosa e ostile, lasciando di stucco entrambi i fratelli.
“Non parlate più di Shikamaru. Questo non è affare vostro, così come non lo sono le vostre domande. Lasciatemi da sola. L’importante è che adesso sia qui. E la guerra prosegue, inutile perdersi in chiacchiere inutili.”
Si rimise sdraiata nel letto, per l’ennesima volta girando la testa, che pulsava.
Oh sì, mi ama ancora. E io lo amo esattamente come il primo giorno. Sei tornato ad essere il mio fantasma, Shikamaru. Cazzo.



“Tu mi devi dire il perché!!!Io ho il diritto di sapere il perché, ne ho il diritto, dannazione!”
Le urla sconnesse e disperate di Ino non sembravano sortire alcun effetto su Shikamaru, che sedeva silenzioso su una scomoda sedia di legno, lo sguardo assente, la sigaretta che pendeva dalla labbra, ormai quasi finita.
Ino gli si inginocchiò di fronte, ansante, e scoppiò in lacrime accucciando la testa sul suo grembo. Shikamaru parve destarsi all’improvviso, come se solo allora si fosse accorto della testa bionda che gli premeva sul torace.
Ma, a ben pensarci, non sentiva nulla. Non avrebbe sentito nulla nemmeno se qualcuno gli avesse conficcato un kunai alle spalle.
Ino continuava a piangere. Esaurite le lacrime, ricominciarono i lamenti, stavolta sussurrati, stavolta rabbiosi, pieni di incredulità.
“Perché non l’hai uccisa? Hai mentito a me, hai mentito a Choji, hai disobbedito ad ordini ricevuti dall’alto…Tutto per quella maledetta puttana di Suna, ti rendi conto?! Ma perché l’hai lasciata andare, Shika, perché?!”
Lui non rispose. Non le sfiorò i capelli per consolarla, non proferì le parole dolci e confortanti che Ino avrebbe disperatamente voluto sentirsi dire. Shikamaru, semplicemente, rimase immobile, lo sguardo perso ancora nel vuoto, la sigaretta ridotta a un moncherino.
Ino alzò lo sguardo, tirando su col naso. Letteralmente terrorizzata. Quando Shikamaru era così apatico vi era solamente un motivo. E non presagiva nulla di buono.
Si scostò, e subito lui ne approfittò per alzarsi, e lentamente appoggiarsi alla parete. La guardava tristemente ora. Dio, si sarebbe potuto dire che la compativa.
“Cosa vuoi che ti dica, Ino.” La voce di Shikamaru giunse amara, perfettamente in tema con il suo stato d’animo.
Ino si morse un labbro, fronteggiandolo, cercando gli occhi che erano invece fissi verso il basso.
“Dovresti dirmi molte cose, Shikamaru. Mi accontento però di saperne una. La ami ancora?”
Lui finalmente trasalì, guardandola negli occhi. Eccola, la domanda che aspettava. La domanda che si era costantemente rifiutato anche solo di considerare, di pensare lontanamente che lo riguardasse tuttora.
Guardò Ino. Per un attimo la contemplò, e pensò che avrebbe potuto mentirle, che in fondo farla soffrire non avrebbe avuto senso.
Ma poi bastò un flash che gli colpì senza alcuna pietà la mente. Una immagine anche abbastanza confusa, poco chiara: dei capelli stopposi e scarmigliati che gli ricadevano sul petto, le gambe lisce e tornite che si intrecciavano con le sue, gli occhi blu socchiusi, e un buffo sorriso sulla bocca sottile e ben disegnata. Temari.
L’ultimo ricordo di lui e Temari insieme, ormai risalente ad anni lontani, quando ancora erano felici, quando ancora la guerra non aveva mandato tutto a puttane. E poi, subito dopo, un ricordo più vivido, più recente.
Il loro ultimo, disperato bacio, risalente solo a tre giorni fa. Un bacio che doveva essere un definitivo addio, e che invece ancora una volta gli aveva fatto capire che non era in grado di mentire tanto a lungo.
Poteva essere un genio, Shikamaru. Un brillante stratega, una persona ragionevole e decisa quando era il momento giusto. Ma con Temari, tutte le sue convinzioni e le sue razionalizzazioni andavano letteralmente a farsi fottere.
Gettò il mozzicone di sigaretta, e guardò il bel volto di Ino, ansioso. Inconsapevolmente già conscio della risposta.
“Si, Ino. Io l’amo ancora. E l’amerò sempre.”


Temari giaceva nel letto ormai da quattro giorni ma era ancora dolorante, in stato di semi incoscienza, incapace di addormentarsi sul serio per le numerosi escoriazioni che aveva nei punti più delicati del corpo. Si toccò l’occhio, adesso senza bende, sempre gonfio ma almeno mobile. Sì, riusciva ad aprirlo. Anche il labbro era quasi tornato a posto, e lo stesso il naso. Certo, evitava di guardarsi allo specchio, questo perché non avrebbe potuto sopportare il volto conciato il quel modo. E non certo per vanità.
Quelle ferite erano portatrici, per l’ennesima volta, di ricordi dolorosi. E soprattutto troppo, troppo recenti.
Percepì improvvisamente le voci dei suoi fratelli che parlavano dietro la sua porta: probabile che pensavano stesse dormendo, visto che non si curavano di non farsi udire. La voce squillante ed energica di Kankuro si alternava a quella più composta e ovattata di Gaara.
“Orochimaru e i suoi del Suono vogliono attaccare direttamente Konoha…L’ennesimo tentativo di raderla al suolo…”
“E tu cosa hai intenzione di fare, Gaara?”
“Non lo so…Le nostre forze sono debilitate, molti dei migliori jonin sono ancora in infermeria…Non voglio andare incontro a un suicidio. E inizio ad essere abbastanza stufo delle manie megalomani di quel pazzo scriteriato.”
“Dici che…Dici che forse dovremmo rompere l’alleanza?”
Temari sentì Gaara sospirare rumorosamente.
“Non lo so, Kankuro. Al momento, ti assicuro, non so più nulla…”
“E per Temari? Non pensi che sia il caso di impedirle di combattere ancora nei tempi a venire, soprattutto con Shikamaru di mezzo? Non credi che sarebbe un rischio troppo grande mandarla a Konoha un’altra volta?”
La ragazza trattenne il fiato, aspettando la riposta del fratello minore, che arrivò secca e dura come un colpo di frusta.
“Ci ho già pensato. Farò in modo che non si allontani da Suna. Non lascerà il villaggio per nessuna ragione al mondo, questo è poco ma sicuro.”
Temari strinse forte il lenzuolo, digrignando i denti.
Potete scordarvelo.

Choji fissava sconsolato Shikamaru, intento a indossare il suo giubbotto da jonin e a legarsi i capelli nella sua solita coda alta. Era girato di spalle, ma ciononostante poteva percepire gli occhi tristi e buoni dell’amico che lo guardavano, in una muta preghiera.
“Hai veramente deciso, Shikamaru?” la voce di Choji uscì malinconica e mesta.
“Devo, Choji. Non posso restare qui, adesso, sto rischiando seriamente di impazzire. Sono successe troppe cose, troppe…”
“Forse sarebbe meglio che dicessi la verità. Ne è successa una, ma così grande che adesso non riesci più a fare finta di niente. Giusto?”
“Forse.”
“E offrirti come volontario in tempi di guerra per portare un messaggio agli alleati del villaggio della Pioggia ti sembra la soluzione migliore?”
“Ho bisogno di stare da solo. Ho bisogno di pensare.”
“Tu vuoi fuggire per non affrontare le conseguenze di quelle che hai fatto. E parlo semplicemente di quello che il tuo cuore sa perfettamente. È la tua stramaledetta razionalità che ti impedisce di prenderne atto.”
Shikamaru si voltò di scatto. Choji lo guardava con aria fiera, la mole imponente che troneggiava più che mai all’interno della stanza.
Come sempre, lui capiva. Come sempre, lui sapeva. Ma qualsiasi cosa avrebbe detto, o fatto, non poteva certo cambiare la sua decisione. Temari era ormai diventata un pensiero fisso, infuocato, delirante. Doveva agire, doveva andarsene per non stare con le mani in mano.
Mise una mano sulla spalla dell’amico, accendendosi una sigaretta.
“E’ solo una missione. Tornerò presto, Choji. E forse, quando tornerò, avrò risolto i miei demoni.”
Fece per andarsene, ma la voce dell’amico lo raggiunse ancora.
“E Ino? Cosa dirai ad Ino? Cose le dovrò dire io?”
Ino.
Shikamaru scosse tristemente la testa.
“Ino sa già più di quanto avrei dovuto farle sapere. Choji, prenditi cura di lei. Tu sei la persona che più saprà renderla felice. Io non posso farlo. E non ho mai nemmeno potuto…”
E uscì definitivamente prima che le parole del ragazzo lo potessero fermare una seconda volta.



Una pazzia. Non c’erano altre parole per definire quello che Temari aveva appena fatto, ancora debole, sotto l’effetto degli analgesici. Aveva appena varcato il confine del villaggio, e trattenne a stento un risolino.
Chissà Gaara cosa farà non appena si sarà accorto della mia fuga…
Si fece forza, ignorando il dolore alle gambe indolenzite, correndo più forte. Aveva rubato dall’armadietto dei medicinali delle pillole energetiche, avrebbe continuato a correre per tutta la notte, se necessario.
Una pazza scriteriata, di certo non avrebbe saputo descriversi in maniera migliore in quel momento.
Fuggire di nascosto dalla sua camera a notte fonda, eludendo la sorveglianza. Fuggire in quelle condizioni, poi.
E tutto per…Tutto per…
Tirò via alcuni granelli di sabbia che le impregnavano gli occhi, senza smettere di correre.
Molto probabilmente rischiava la morte, ne era certa. Potevano sorprenderla i nemici, o più semplicemente finire sbranata da qualche bestia feroce. Chissà se c’erano, nella foresta che portava dritta a Konoha.
Oh sì, stava seriamente commettendo una pazzia.
Ma del resto doveva assolutamente vederlo. Era impensabile concepire i giorni a venire senza potergli dire quello che l’altra volta, come una sciocca, non era stata capace di dirgli.
Ancora una volta non era riuscita a dirgli in tempo che l’amava. E stavolta preferiva correre il rischio di essere ammazzata piuttosto che trascorrere i giorni nel rimpianto più totale.
Glielo devo dire…Devo dirglielo, devo dirglielo, ti prego devo trovarlo, devo farcela…
Un mantra lento, ripetitivo, che serviva a farla proseguire, a non farle pensare al dolore, alla stanchezza, al freddo che le intirizziva le ossa.
In fondo aveva già percorso oltre metà del percorso; il sole stava sorgendo, e a quell’ora probabilmente nel palazzo i suoi fratelli si erano accorti che era sparita.
Quanto ci avrebbero messo per capire dove era andata? Poco.
Ma l’importante era che avesse un buon margine di vantaggio, e che riuscisse a raggiungere Konoha entro la fine della giornata.
Strinse un lembo della veste, cercando di ignorare il corpo che implorava pietà, riposo.
Sei la migliore kunoichi del villaggio. Piantala di lamentarti.
Soltanto quando vide il sangue gocciolare da sotto la tunica viola si arrestò, confusa, e si riparò sotto un albero.
Le ferite che aveva sulle braccia e sulle gambe si erano riaperte. Si toccò tremante il viso, ma almeno quello sembrava a posto. Provò a rialzarsi, ma inutilmente. Improvvisamente la stanchezza l’aveva stesa, e respirava a fatica.
Il dolore. Quel maledetto dolore.
Asciugandosi le lacrime di rabbia e frustrazione, provò a medicarsi e a fasciare la ferite, ma inutilmente.
Ecco cosa ho sempre segretamente invidiato a Sakura Haruno, cazzo.
Oh dio, non poteva mollare adesso. Non ora che ci era dentro fino al collo. Non poteva arrendersi prima di averlo rivisto.
Stremata, si accasciò al suolo, appoggiandosi al tronco.
Che situazione di merda. Aveva pure la vista annebbiata adesso, e fu costretta a socchiudere gli occhi, che le pulsavano senza pietà.
E iniziava ad avere le allucinazioni, come se non bastasse. Vedeva contorni sfocati e confusi, e come se non bastasse le sembrava di vedere Shikamaru davanti a sé. Un abbaglio perfetto, nulla da dire: la sua mente l’aveva ricreato perfettamente: una versione di Shikamaru sorpreso e annichilito, quello che lei preferiva.
E, incredibile, la sua allucinazione lo faceva anche parlare, muoversi, correre verso di lei.
Fu soltanto quando sentì una presa che la cingeva forte, e una voce sgomenta gridare “Temari!...”, che si rese conto che quella davanti ai suoi occhi non era affatto una proiezione della sua mente.


Shikamaru non si scomponeva quasi mai.
Faceva parte del suo carattere essere metodico, rigoroso, sempre capace di tenere sotto controllo ogni situazione.
Per questo era riuscito come sempre a non far comprendere tutta la verità a Choji, quella mattina.
Sì, si sarebbe recato al villaggio della Pioggia; ma non prima di essere passato a Suna. Il che voleva dire che l’avrebbero ammazzato, ma non importava.
Shikamaru non aveva numerose certezze, nella vita. Ma di sicuro la più importante era il bisogno vitale che aveva di lei. Doveva rivederla, doveva parlarle, doveva riabbracciarla…Prima che passassero ancora mesi, forse anni, prima che altre guerre inutili e sanguinose li dividessero per l’ennesima volta, fino a che la parola fine non avrebbe definitivamente messo fine alla loro rincorsa.
Sì, Shikamaru, anche nella sua marcia verso Suna, non si era scomposto mai.
Era proceduto diritto e instancabile. Fino a che non si era ritrovato proprio lei, prostrata contro un albero, e proprio davanti ai suoi occhi.
E allora sì che divenne definitivamente, inesorabilmente incapace di qualsiasi pensiero razionale.


“Temari, per la miseria…Cristo, ma sanguini ovunque! Ma dove diavolo stavi andando, dove…”.
Shikamaru non riusciva nemmeno a finire una frase, mentre la stringeva, mentre tirava fuori il suo kit del pronto soccorso fasciandole con cura e al tempo stesso angoscia le ferite sulle gambe e sulle braccia.
Lei fece una smorfia di dolore, e poi sorrise.
“Potrei farti la stessa identica domanda. Perché sei qui?”
Lui la guardò frastornato, e scosse la testa.
“Perché stavo venendo a Suna…” un bisbiglio appena accennato.
Sentì la mano di Temari posarsi sul suo giubbotto.
“Buffo. Io stavo venendo a Konoha.”
Si guardarono entrambi, silenziosi. Fu lui a parlare per primo.
“Temari…Ti rendi conto del fatto che non saresti mai giunta a Konoha? Che se io stavo facendo una pazzia tu al confronto stavi commettendo un vero e proprio suicidio? Che non ce l’avresti fatta in queste condizioni? Se io non ti avessi trovata…” Si strinse a lei, assaporando il calore del suo corpo, respirando il profumo dei suoi capelli secchi e bruciati dal sole. Le carezzò delicatamente l’occhio pesto.
“Forse…”. Sempre il tono ironico, sempre la stessa cadenza beffarda. Quella che lui amava.
“Ma allora… perché?”
“L’altra volta sei uscito prima che te lo dicessi. E non volevo aspettare.”
Lui la guardò intensamente. Prendendo tempo.
“Vuoi sapere il perché?”
“Sì, voglio sapere il perché.”
I ruoli si erano ribaltati, adesso. Ma lei non sarebbe uscita, non se ne sarebbe andata. Al contrario di Shikamaru, Temari sapeva affrontare le conseguenze di quanto affermava.
“Perché ti amo. Ti amo, e questo non cambierà mai.”
Lui deglutì. Lei sorrise ancora.
“E dovevo affrontare pur questo viaggio per dirtelo…Non volevo…Non volevo che pensassi che non avrei più potuto dichiarartelo.”
Stavolta fu lui a sorridere. Lentamente, le baciò la fronte, per poi soffermarsi sugli occhi, sulle ciglia. E poi arrivò a un centimetro dalla bocca, i fiati caldi di entrambi che si confondevano.
“Alla fine ce l’hai fatta a dirmelo, mendokuse…”
“So riconoscere quando è il momento giusto, cry-baby…”
I loro respiri si fusero, le loro bocche si unirono, avide, frementi, i loro corpi si cercarono, ancora increduli di quel contatto che avevano aspettato per anni, che temevano ormai di avere cancellato, dimenticato.
Insaziabili, inappagabili. Finalmente liberi di esprimere tutto quanto erano stati costretti a nascondere per troppo tempo, un sentimento solo addormentato, sopito. Ma che aspettava solo di essere violentemente risvegliato.
“Shikamaru?”
Il sussurro di Temari lo costrinse ad aprire gli occhi, già socchiusi dall’estasi.
“Lo sai…Lo sai che domani ci sarà ancora la guerra? E lo stesso dopodomani. E anche nei giorni a venire.”
Lui le accarezzò il viso.
“Lo so.”
Temari si accoccolò sul suo petto, sfiorandogli i capelli.
“E cosa ne sarà di noi?”
Lui affondò il volto sul suo collo liscio.
“Non lo so. So solo che ora siamo qui. Ora siamo insieme. Ora siamo uniti. Il resto…Il resto non conta.”
Lei sorrise, baciandolo sul petto.
“Il tuo QI sa sempre venire fuori nei momenti migliori, grazie al cielo. Hai ragione. Il resto non conta…”





Angolo Autrice



Questa one-shot non avrebbe avuto luogo se non ci fosse stata “Under pressure - Tortured”, una delle più belle shika-tema mai lette, opera di bambi88. Chiaramente consiglio a tutti la lettura, perché lascia davvero senza fiato.
Naturalmente quindi la dedica speciale va alla mia adorata sempai, a roberta, un’autrice bravissima e una persona speciale.
Io ho cercato di continuare quello che non era stato concluso: Temari e Shikamaru che non si rassegnano alla guerra immaginata che impera tra Suna e Konoha, che sfidano la sorte, e finalmente si ritrovano.
Perché l’amore è più grande di ogni altra cosa, e il resto non conta.
E poi ultimamente sono stata un po’ tragica in quello che scrivo, un po’ di positività ci vuole!
Spero che sia piaciuta, aspetto i vostri pareri e mando a tutti un abbraccio
arwen


  
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