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Autore: virgily    18/06/2013    2 recensioni
-Voi non siete umana- disse, con un misto tra stupore e curiosità che riuscirono a farlo sorridere -Ma giuro che scoprirò che cosa siete…-
-Chissà, forse un giorno ci riuscirete. Non dimenticatevi, nel frattempo, che sono uno spirito di non poco conto, mio caro- si cucciò su di lui, accorciando pericolosamente le loro distanze. Riario riusciva a percepire il suo fiato caldo carezzargli il volto, e il suo profumo quasi palpabile. Silenziosamente, il conte cominciò a pregare il suo dio, chiedendogli di essere forte. Detestava doverlo ammettere, ma saperla così vicina al suo misero corpo di essere umano e indegno, legato ancora agli istinti primordiali della terra, era come la più piacevole delle torture. Si inumidì le labbra, socchiudendo appena le palpebre quando sentì le sue labbra sfiorargli il lobo sinistro:
-Prendetevi cura di ciò che mi spetta. Ho riposto molta fiducia in voi- e sollevandosi di pochi centimetri, audacemente rubò un bacio a fior di labbra al giovane conte, per la prima volta inerme sotto di lei.
Genere: Erotico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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In primo pomeriggio, quando il sole era ormai alto in cielo, raggi color ocra filtravano tra le spesse tende di velluto, focalizzando il prezioso gioco di colore che il porfido, il granito e il marmo di Carrara creavano su tutta la pavimentazione. Con passi svelti e decisi, il giovane uomo, di nero vestito,  s’incamminava con ampie falcate e portamento nobile, rigoroso, verso quella maestosa porta di legno massiccio che lo separava dal santo padre, che con poche ore di preavviso, lo aveva fatto chiamare di tutta fretta. Il peso delle sue spade che gli incorniciavano la cintola si udiva ad ogni suo passo, e come due fide compagne mai si allontanavano dal loro padrone. D'altronde solo il nipote benedetto di Roma poteva permettersi di presentarsi armato alle udienze private con il papa. Lui era il suo braccio armato, l’ombra scura che agiva nel nome della fede, pronto a macchiarsi le mani di sangue pur di perseguire il suo scopo. Giunto a destinazione, afferrò ambo le maniglie dorate del grande portale, e applicandovici una discreta pressione lo spalancò nel giro di pochi attimi, rivelando la figura del santo padre seduto sulla sua nobile seggiola al di sotto dell’architettato baldacchino papale. Appena i loro occhi s’incrociarono, un ghigno verosimile ad un sorriso storpio si scolpì rigido sul volto dell’uomo che lo aveva accolto:
-Santità…- affermò il giovane inchinandosi al suo cospetto, prima di avanzare lentamente di qualche passo, afferrando la mano callosa e gonfia dello zio tra le sue per poterne baciare l’anello papale con austera riverenza.
-Riario. Siete arrivato, finalmente…- rispose l’altro osservandolo con stizza mentre si ricomponeva. Non era solito per il papa considerare quel giovane con affettuosità. Era sangue del suo sangue, certo… E seppur svolgesse ogni suo compito con estrema precisione e devozione, mai gli aveva concesso una parola gentile, un sorriso sincero, genuino, che venisse dal cuore.
-Sono accorso non appena mi avete fatto chiamare- rispose. Dal canto suo, oramai aveva lottato tutta la vita contro la speranza di una misera dimostrazione di affetto, tanto che oramai quasi non ne sentiva neanche più il bisogno. Era alle sue dipendenze, e se il suo venerabile zio desiderava una macchina da guerra, un bastardo spietato e privo di rimpianti… Beh, lui lo avrebbe accontentato. Papa Sisto IV guardò per un’ultima volta suo nipote, fissandolo dritto nei suoi grandi occhi nocciola, quelle iridi profonde e magnetiche da sembrar vuote, prive di ogni qualsiasi emozione. Quel giovane uomo che aveva innanzi, il suo alleato più fedele, abile e scaltro, era ciò che lui stesso aveva creato.
-Vogliamo presentarvi una persona…- disse con un sontuoso cenno della mano che attirò lo sguardo del giovane conte verso una finestra aperta su Roma dalla quale una figura, che gli dava le spalle, vi era affacciata. Dalle sobrie vesti violacee, e i folti capelli bruni, Girolamo intuì che dovesse trattarsi di una donna, e questo lo portò a pensare a nulla di buono; dopo tutto, l’ultima volta che gli era capitato di incontrare delle donne in una udienza privata con il papa era quando avevano combinato, o meglio complottato, le sue nozze con la figlia illegittima degli Sforza.
-Venite, mia signora…- la invitò ad avvicinarsi il santo padre. Questo dolce e languido richiamo su come un secondo campanello d’allarme per la mente sveglia del giovane conte: mai suo zio si era degnato di rinunciare al plurale maiestatis, soprattutto con una donna. Questa si voltò di scatto, lasciando che i boccoli scuri vorticassero leggeri per scoprirle il tenero ovale. Fu in quel preciso istante che gli occhi di Girolamo s’immersero nelle iridi brillanti della donna. Avevano un colore molto particolare. Di un castano molto chiaro, quasi ambrato per certi aspetti. Eppure gli parve che un sottile barlume cremisi folgorasse ulteriormente quello sguardo che sarebbe stato capace di tentare anche il più pio dei credenti. Allora non ebbe più alcun dubbio, cominciava a capire le cadute in errore del papa. Senza fiatare, la fanciulla si fece avanti, trascinandosi un modesto quantitativo di stoffa morbida e ben trattata che drappeggiava con eleganza attorno al corpo ben curato e straordinariamente pallido della donna. Si fermò a pochi passi dall’uomo, fiancheggiando Sisto IV, che scrutandola di sottecchi con ammirazione prese la parola:
-Mia signora, lasciate che vi presenti mio nipote: il conte Girolamo Riario- osservandolo con attenzione, suo zio pareva totalmente rapito dalla minuta figura al suo fianco. E quando tornò a puntare la sua attenzione sulla giovane ospite, Girolamo non poté che notare, con sua sorpresa, che lei al contrario da quando i loro sguardi si erano incontrati, non aveva mai smesso di fissarlo, e sembrava che sulle sue labbra fine e rosee vi fosse disegnato un sorriso.
-Nipote, vi presentiamo madonna Ermia. Il signore ha voluto che c’incontrassimo. E con la sua benedizione raggiungeremo i nostri interessi comuni…- sbarrando appena gli occhi, il velo dello stupore calò sul volto di Riario. Una donna, non usata come una pedina, ma come alleata. Questo, per il conte non era altro che un incentivo a provare una certa sfiducia nei confronti delle figlie di Eva, e di quella giovane in particolare.
-È un vero piacere, mio signore…- s’inchinò graziosamente, senza tuttavia togliergli quei suoi grandi occhi sfacciatamente eloquenti di dosso.
-Incantato…- rispose sollevando appena l’angolo destro delle labbra, simulando un finto sorriso, inchinandosi. Si portò la sua mano al volto, avvicinandola alla bocca. La sfiorò appena, ma gli parve di aver gustato per un centesimo di secondo il sapore di un frutto esotico, sconosciuto e proibito. Si morse il labbro inferiore, riacquistando la ragione momentaneamente dispersa, come se lei volutamente fosse stata in grado di annebbiargli i pensieri. E questo non gli piaceva per niente.
-Mi sorprende che una donna come voi possa essere interessata agli affari del Vaticano…- affermò argutamente, con un tono affilato e sotto certi aspetti velenoso.
-Al contrario. Sono una donna che sa molte cose. E il mio sapere coincide perfettamente con gli affari della santa chiesa- affermò la giovane mantenendo un pacato e piacevole sorriso sulle labbra.
-Sarei curioso di indagare fino a quali limiti può spingersi questo vostro sapere- la stava studiando, sornione, guardingo, con la più totale diffidenza. C’era qualcosa in lei che non lo convinceva, qualcosa di misterioso, qualcosa che allettava la sua insaziabile curiosità.
-Fidatevi, mio signore. Potreste restarne colpito…- dal suo canto, la donna stava accentuando ogni sfumatura del suo sguardo, che da eloquente subito aveva colto ogni accezione di una possibile sfida. Una sensazione insolita colse il giovane Riario alla sprovvista. Lui stesso era un uomo molto intelligente, sapeva come entrare nella testa delle persone e annientare i suoi avversari dall'interno, proprio come un parassita, corrodendo ogni brandello della loro personalità, delle loro certezze. Soltanto un uomo era riuscito a restare indenne da questa sua capacità. E questa donna, proprio come l’artista, rappresentava per lui la sfida più grande. E l’accolse, senza alcun indugio perché questo era nel suo essere. L’avrebbe smascherata, e se era necessario l’avrebbe distrutta.   

***

Erano passate le ore, e le calde tinte pomeridiane avevano ceduto il posto al manto corvino della notte. Per Girolamo non era stato difficile scoprire in quale palazzo alloggiasse la giovane donna che, aveva giurato a se stesso, avrebbe fatto parlare con le buone, o più preferibilmente con le cattive. Non gli piaceva, e non credeva neanche ad una sillaba delle belle parole che uscivano dalle sue labbra. Era del modesto parere che le donne fossero come le rose: bellissime e seducenti all'apparenza, ma piene di spine pronte a tormentarti. E già ne aveva a che fare con donne di questo tipo, donne come Lucrezia Donati che svolgeva un discreto servizio, dopo tutto. Ma lei, Ermia… Poteva considerarla come la sua principale spina nel fianco. Non sapeva nulla di lei: non un cognome, né un luogo di origine, e poteva soltanto immaginare in quale modo fosse riuscita a convincere suo zio della sua “pura credibilità”. Così l’aveva fatta seguire, dal momento in cui aveva messo piede fuori dal palazzo del Vaticano fino al momento in cui fece ritorno in un modesto palazzo padronale che il santo padre le aveva gentilmente offerto come alloggio. Non aveva schiavi, vagava da sola per le strette vie di Roma, ignara dei pericoli che potevano incombere su di una figura come la sua, ma soprattutto incosciente del fatto di avere lui alle calcagna, con il fiato sul collo pronto a prenderla alla sprovvista. Ma onestamente neanche il conte sapeva con precisione quale dovesse essere questo momento fatale. Dopo un rapido giro del mercato, la donna continuò a passeggiare tutto il pomeriggio, come se vagasse senza una meta precisa, senza parlare con alcuna anima viva,  guardandosi intorno proprio come una forestiera che visitava per la primissima volta la città eterna. La notte era ormai calata, e sola come era sempre rimasta rientrò nel suo casolare. La porta d’ingresso, forse per un puro caso, o per distrazione, era stata lasciata socchiusa. “O magari sta aspettando qualcuno…” pensò mentre osservava lo spiraglio di luce che s’intravedeva da quella piccola apertura. Forse era proprio quello il segnale che stava aspettando. Lasciò dunque i due scagnozzi che si era portato dietro, e decise di agire. Attraversò la strada e furtivamente si avvicinò all'ingresso del palazzo: posò una mano guantata sulla superficie lignea della porta, scostandola appena per permettergli una migliore visuale. Le candele erano accese, ma sembrava che la donna si fosse spostata al piano superiore della casa. Penetrò nell'abitazione con passi lenti e silenziosi, chiudendosi il portale alle spalle: sebbene fosse un ambiente ricco, curato sin nel minimo dettaglio dalla mobilia agli stucchi sul soffitto, le luci soffuse delle candele riuscivano a conferirgli un aspetto spettrale e incustodito. A riportarlo con i piedi per terra fu il suono di piccoli passi provenire dal piano superiore, proprio come aveva supposto. Con la adeguata attenzione cominciò a salire gli spessi gradini marmorei che lo portavano direttamente al secondo piano del palazzo, e mano a mano che avanzava una strana sensazione gli attanagliò lo stomaco. Non era una bella sensazione, tutt'altro, quasi riusciva a mettergli ansia: c’era troppo silenzio in quella casa. Come in uno spettrale labirinto, Girolamo si fece guidare da quello che era il suo istinto, incamminandosi per lunghi corridoi e grandi camere da letto. Sentì un rumore, un suono ovattato, gli era rimasta una sola stanza da perlustrare, e proprio quando stava per varcare la soglia le sue mani si strinsero quasi meccanicamente attorno all'elsa della spada. Anche in questo ultimo ambiente le candele erano accese, mostrando sotto la loro giallognola luce le ampie pareti affrescate, i tendaggi  leggeri che parevano danzare a ritmo con il soffiare del vento. Un maestoso letto a baldacchino lavorato a mano sostava nel centro della camera.  Intoccate, le lenzuola di lino candido erano ancora ben tirate, e un abito di seta viola con merletti scivolava pesantemente all'angolo del comodo giaciglio. A parte quel piccolo tesoro di sartoria, non vi era alcuna traccia della fantomatica donna che andava cercando. Anche il grande finestrone che dava sullo stretto balconcino affacciato direttamente al Vaticano era aperto; forse lei era lì, affacciata proprio come quella stessa mattina, con i capelli sciolti al vento, a fissare la maestosità e la potenza della grande Roma, quando ancora non era rimasto coinvolto da suo fulgido sguardo. Con ampie falcate oltrepassò il l’elegante divanetto posto innanzi al camino scavato nel muro e scostando le verdognole tende con forza, uscì di fuori. La luna lo osservava silenziosa, la vita romana proseguiva come aveva sempre fatto. Riusciva persino a vedere i suoi uomini impalati nello stesso punto della strada dove li aveva lasciati. Ma di lei nessuna traccia. Eppure era entrata in casa, l’aveva vista con i suoi occhi. E aveva ascoltato i suoi passi, e la sua veste era ancora lì, stesa sul suo letto. Che fosse diventato pazzo? Che si fosse sognato tutto? Respirò profondamente, cercando di ritrovare la calma e con essa la razionalità. Con sguardo basso, confuso ma pronto a ricominciare le sue ricerche da capo, se era necessario, rientrò nella stanza. Due passi e il conte dovette arrestarsi di colpo. Con uno scoppiettio improvviso la legna nel camino aveva preso ad ardere intensamente, illuminando la dolce figura distesa su quel  canapè di velluto imbottito a cui non aveva prestato la dovuta attenzione. Era sempre rimasta lì allora? A guardarlo mentre si dimenava nel suo alloggio? Come aveva fatto? Perché non se ne era accorto? Una tunica cremisi metteva in risalto le dolci forme, i capelli appena raccolti lasciavano che delle ciocche ribelli le incorniciassero le gote candide. Anche in quella circostanza, i suoi occhi erano puntati su di lui, assumendo il medesimo calore di quelle fiamme che cominciarono a scaldare l’intero ambiente.
-Buona sera, conte…- affabile, la giovane continuò a guardarlo con una eloquenza spietata. Ma fortunatamente per lui, Girolamo sapeva bene come uscire dalle situazioni scomode:
-Ho notato la porta aperta e mi sono sentito in dovere di controllare che stesse bene, mia signora-  rispose esponendo un riverente inchino mentre una fragorosa risata giungeva al suo udito riecheggiando per l’intera camera
-Oh mio caro Riario… Ma io ho lasciato la porta aperta proprio per invitarvi ad entrare…- Girolamo non si scompose, ma doveva ammettere che era stata piuttosto scaltra nel smascheralo
-Dunque avevate capito che vi stavo seguendo?-
-Non è stato difficile. Potete mascherare il vostro viso come meglio credete: un paio di occhiali, un cappello… Ma io non mi dimentico di una faccia. Tanto meno della vostra…- rispose beffarda inarcando un sopracciglio verso l’alto, sorridendogli spavalda. Un ghigno impassibile si scolpì sul volto di Girolamo, quella donna sapeva rendersi detestabile. Troppo audace, troppo in gamba. La donna lo stava ancora osservando questa volta però era come se i suoi pensieri avessero preso possesso di lei. Sembrava distante
-Prego- disse sorridendogli, mettendosi seduta composta -Sedetevi accanto a me- lo invitò con gentilezza. Riario non sapeva quanto potesse fidarsi di quella breve distanza che li avrebbe separati, tuttavia pensò che dopo tutto era armato, e avrebbe potuto eliminarla senza alcun problema. Strinse le dita attorno il manico della sua spada quando fece per sedersi al suo fianco, e con gli stessi occhi saccenti di una persona in grado di leggere i pensieri altrui, la giovane sogghignò
-Non preoccupatevi. Capisco che non vi fidiate di me, ma non ho alcuna intenzione di farvi del male…-
-È vero non mi fido di voi. Ma dalle mie parti una donna è capace di nascondersi pugnali tra le vesti. Non meravigliatevi se preferisco prendere qualche precauzione, madonna…- rispose schiettamente con un sorriso finto e fastidiosamente tirato.
-Mi state, per caso, chiedendo di spogliarmi?- ridacchiò appena la bruna portandosi una mano alle labbra, mascherandole dietro le sue piccole dita affusolate. Il conte, dal canto suo, ammirò l’arguta schiettezza della giovane sollevando l’angolo destro delle labbra, pur mantenendo comunque la sua ormai solita ed inquietante inespressività.
-Nel caso non lo sappiate, mia signora, sono un uomo sposato-
-Con una bambina che non ha ancora raggiunto l’età legale per consumare il matrimonio. Lo so.- affermò in un primo momento, per la prima volta distogliendo lo sguardo dai grandi occhi nocciola del giovane conte, cominciando a fissare le fiamme incandescenti che sembravano danzare una sinuosa e leggiadra coreografia, mosse dal ritmo del breve silenzio che era calato su di loro.
-So anche che per qualche decimo di secondo, la prima notte di nozze, avete desiderato di ucciderla- affermò poi, spezzando in maniera del tutto anomala quella pacifica quiete che si era venuta a creare. L’uomo al suo fianco sbarrò di colpo gli occhi, cominciando a fissarla intensamente. Il suo bel profilo mostrava una gote tonda e candida, e uno sguardo ancora sperso tra i suoi pensieri. Languido, malinconico. Tuttavia, Girolamo non poteva ignorare la grave affermazione che aveva appena fatto, sebbene, e questo gli pesava ammetterlo, aveva detto il vero.
-Come osate voi…-
-Non mentite a voi stesso Girolamo. Io so. Ve l’ho detto…- questa volta la donna voltò lentamente il capo. Quella luce innaturale che irradiava il suo sguardo brillava ancora, sebbene i suoi occhi continuassero a trasmettergli quel profondo senso di malinconia. Tuttavia, lo spirito che giaceva nel petto del conte cominciò a ruggire. Prese un respiro profondo, cercando di mantenere i nervi saldi sebbene fosse conscio del fatto che in altre circostanze non si sarebbe fatto alcuno scrupolo, e le sarebbe saltato alla gola.
-Come fate a saperlo…- le domandò a denti stretti, trattenendo il furore che gli dilaniava le membra
-Sono anni che vi osservo, Girolamo- gli rispose facendolo quasi fremere sotto pelle.
-Voi mi spiavate?-
-Diciamo di sì, in una forma, o nell'altra- affermò canzonandolo. Quella fu decisamente la goccia che fece traboccare il vaso. Con uno scatto repentino in avanti, sfoderò e la spada, e bloccando con agilità la donna sotto il suo corpo, Riario le puntò la lama contro la gola
-Sii più chiara donna: chi sei? Cosa vuoi da me?- ringhiò mentre la donna, dal canto suo, sorrise facendogli letteralmente andare il sangue al cervello
-Parla!- premette appena più forte la lama contro il suo tenero collo –O ti trancio la gola-
-Voi avete qualcosa che io desidero…- secca, senza alcun giro di parole la donna parlò –E se ancora non vi ho ucciso è perché la vostra anima mi attira- gli occhi scuri e penetranti del giovane si dilatarono di colpo. Che stava dicendo? Cosa c’entrava la sua anima? E soprattutto, chi era lei da riuscire a mandarlo in una confusione così totale e devastante?
-Che cosa sei tu?- sussurrò cattivo, con i denti stretti quasi si fosse tramutato in un cane rabbioso
-Non posso dirvelo. Non ancora…-
-E allora muori!- il conte Riario fece per tagliarle la gola di netto, senza pietà, imprimendoci tutta la rabbia che aveva accumulato fino a quel momento. Ma la giovane fece un gesto improvviso e indecifrabile con la mano, uno scatto che come per magia gli permise di disarmarlo. Girolamo si sentì l’arma letteralmente strappata via di mano, e senza neanche rendersene conto, la situazione si era ormai rivoltata: steso sotto il suo copro, la donna torreggiava su di lui con i fianchi posati sul suo grembo, e gli imprigionava i polsi con quelle sue mani piccole e aggraziate che avevano acquisito una forza sovrumana. Le sue iridi avevano totalmente cambiato sfumatura, ora bruciavano di un rosso cremisi tendente al colore del sangue. E con quegli stessi occhi lo stava trapassando da parte a parte con autorità e al contempo rispetto.
-Voi non siete umana- disse, con un misto tra stupore e curiosità che riuscirono a farlo sorridere -Ma giuro che scoprirò che cosa siete…-
-Chissà, forse un giorno ci riuscirete. Non dimenticatevi, nel frattempo che sono uno spirito di non poco conto, mio caro- si cucciò su di lui, accorciando pericolosamente le loro distanze. Riario riusciva a percepire il suo fiato caldo carezzargli il volto, e il suo profumo quasi palpabile. Silenziosamente, il conte cominciò a pregare il suo dio, chiedendogli di essere forte. Detestava doverlo ammettere, ma saperla così vicina al suo misero corpo di essere umano e indegno, legato ancora agli istinti primordiali della terra, era come la più piacevole delle torture. Si inumidì le labbra, socchiudendo appena le palpebre quando sentì le sue labbra sfiorargli il lobo sinistro:
-Prendetevi cura di ciò che mi spetta. Ho riposto molta fiducia in voi- e sollevandosi di pochi centimetri, audacemente rubò un bacio a fior di labbra al giovane conte, per la prima volta inerme sotto di lei. Fu un contatto breve, ma velenoso al tempo stesso. Come una scossa elettrica che lo percosse dalla testa ai piedi, privandolo di ogni energia. Quella donna era assai più pericolosa di quanto avesse immaginato, e ora che il suo corpo non era più in grado di muoversi, sconfitto da quella misteriosa quanto temibile creatura, non gli rimaneva che lasciarsi andare e sprofondare nell'oscurità della sua mente, perdendo totalmente i sensi
.  

*Angolino di Virgy*
Secondo capitolo! Perdonatemi, ma studiando tutto il pomeriggio mi tocca scrivere in tarda notte, e onestamente spero di aver scritto decentemente con il minor numero di errori possibili XD
Finalmente, Girolamo Riario. Morivo dalla voglia di scrivere il loro primo incontro!
Spero che il capitolo vi piaccia! E spero di leggere qualche commento al riguardo.
Un bacio
-V-  
                               
  
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