¤Capitolo
8¤
“Che cosa?!”
L'esclamazione di Brandon si librò
feroce nello studio privato di Nickolas.
La villa di Santa Monica dei genitori
era silenziosa; la coppia non si trovava a casa, in quel momento e, forse, era
un bene per entrambi i fratelli, vista la tensione evidente tra Bran e Nick.
Un attimo dopo, un bicchiere panciuto
e pieno a metà di bourbon finì contro la parete a pannelli di legno che
rivestivano l’intera stanza.
Insensibile alla sua ira, il maggiore
dei fratelli Van Berger chiosò serafico: “Credimi, ti farà bene lavorare al suo
fianco. Chissà che non impari un po' di savoir faire.”
“Da quella non potrei imparare proprio
niente, se non a fare qualche pompino di terz'ordine, forse” replicò irritato
Brandon, camminando nervosamente per l'ufficio.
Il suo sguardo torvo esprimeva tutta
la rabbia e la frustrazione che stava provando ma, cosa incomprensibile per Nickolas,
anche una profonda paura.
Cosa lo turbava
tanto, in quella collaborazione con Hannah?
Accigliandosi, Nick lo afferrò per un
braccio, ringhiando: “La vuoi smettere di parlare di Hannah come se fosse una
poco di buono? Mi irrita parecchio!”
“Oh, allora il pompino te lo ha già
fatto, ed è più brava di quel che pensassi!” lo irrise il fratello minore,
guadagnandosi per diretta conseguenza uno spintone ben assestato.
I troppi bourbon ingollati, uniti alla
sorpresa di fronte a quel gesto, fecero barcollare all'indietro il giovane.
Caracollando fino a raggiungere un
divanetto in stile Luigi XV, Bran si lasciò crollare sui morbidi cuscini prima
di sibilare contro il fratello: “Non ci lavorerò mai, con quella, è chiaro?!”
“Quando mi darai delle motivazioni logiche
per non farlo, allora potrò valutare l'idea di correggere la mia decisione. Diversamente,
tu lavorerai con lei o sarai estromesso dal progetto!” lo rabberciò
Nick, fissandolo torvo.
Il fratello allora sgranò gli occhi,
disorientato, e replicò sconvolto, la voce percorsa da un brivido di panico:
“Non puoi togliermelo! L'idea è mia!”
“Posso eccome, visto che ti sei
rifiutato di fare il lavoro sporco e
non hai neppure tentato di avere un mezzo colloquio con Dreyfus. Siamo su
questa barca per merito di Hannah e, oltre a questo, Nicodemus la vuole
attivamente nel progetto. Quindi, vedi bene che sei tu ad essere in posizione minoritaria, fratellino” gli spiegò
spietatamente il fratello, senza mettere nelle sue parole neppure un grammo di
compassione.
Erano anni che parlava gentilmente a
Bran, anni che tentava con le buone di avvicinarsi a lui, anni che provava
senza successo a scardinare la gabbia in cui si era rinchiuso.
Ora era giunto il momento di dire
basta. Non era più un bambino e doveva prendersi le sue responsabilità, a
partire dal lavoro.
La sua salute sarebbe stata il punto
successivo. “Ora, ricollega il cervello e dimmi seriamente perché non
vuoi collaborare con Hannah.”
“Con la tua segretaria non lavorerò
mai e tu, fratello, sei un maledetto stronzo ad anteporre lei a me!” gli sputò
in faccia con malagrazia Brandon, risollevandosi in piedi a fatica per
andarsene dall'ufficio.
“Non ti reggi nemmeno in piedi... era
proprio il caso di ridursi così?” mormorò a quel punto Nick, fissandolo
spiacente.
Come una fiera di fronte alla preda,
Bran gli si scagliò contro prendendolo a sorpresa per il collo.
Spintolo indietro fino a sbatterlo
contro la pannellatura lignea, il giovane fissò astioso il fratello per poi
sibilargli contro: “Non osare commiserarmi, broer1,
perché potrei veramente infuriarmi.”
Nickolas rimase immobile nella sua
stretta, gli occhi scuri ridotti a due fessure colme di dolore ed il fratello
minore, lasciatolo andare con uno strattone, raggiunse meglio che poté la porta
dell'ufficio e, sulla soglia, lo minacciò nuovamente.
“Non mi estrometterai da quello a cui
tengo di più.”
“Dimostramelo, e smettila di
distruggerti senza motivo” replicò il magnate, rimanendo a distanza dal
fratello.
Se solo lo avesse toccato, lo avrebbe
preso a pugni fino a stordirlo e, come Hannah e Serena gli avevano consigliato,
lo avrebbe sbattuto dentro la prima clinica a disposizione.
“Il mio fegato non c'entra nulla con
il progetto Dreyfus” precisò Brandon, sarcastico.
“Dovrebbe essere la tua vita la cosa a
cui tienere di più, non quel maledetto progetto!” lo rabberciò Nick prima di
sospirare pesantemente. “Ma ti lascerò con i tuoi demoni, fratello, visto che
non ne vuoi sapere di essere aiutato. Come
sempre.”
“Aiutato? Sei tu che dovresti andare
in una clinica per disintossicarti dalla tua mania del sesso. Quant'è durata,
con Becca? Due mesi? E mentre te la facevi con Sabine! O c’è anche
qualcun’altra di cui non sono a conoscenza?”
Nickolas non disse nulla ed il
fratello minore, per rincarare la dose, snocciolò uno dietro l'altro la lunga
lista di nomi che componevano le miriadi di conquiste vuote e inutili del tanto
chiacchierato A.D. della V.B. 3000.
Ad ogni nome, Nick storse la bocca ed
il fratello, con sempre maggiore enfasi e sadico divertimento, gli rammentò i
suoi insuccessi e le sue pulsioni sempre più estreme.
“Non sei proprio la persona più adatta
per potermi fare la paternale” terminò di dire Brandon, uscendo finalmente
dalla stanza per poi sbattere la porta alle sue spalle.
Rimasto solo, Nickolas si passò
nervosamente una mano tra i capelli e, nel tornare alla scrivania, si sedette
stancamente sulla poltrona rimuginando sui volti ignoti che avevano costellato
la sua vita superficiale.
Brandon, su quello, aveva ragione.
Si era lasciato andare alle luci della
ribalta, rimanendo intrappolato nella sua stessa tela di ragno.
Donne bellissime si erano assiepate a
frotte attorno a lui, richiamate come falene con la fiamma dal suo nome
altisonante, e non ne aveva mai conosciuta veramente nessuna.
Certo, il suo scopo era stato per
l’appunto quello.
Voleva ferire con forza, continuamente
e senza scampo ma, nel contempo, stava ferendo se stesso, conducendo la propria
anima in un baratro sempre più profondo, sempre più nero e vuoto.
E dal quale, sempre più difficilmente,
avrebbe potuto risalire.
Ma nel contempo, pur oppresso dal
desiderio sadico di provocare dolore a chi tanto gliene aveva fatto provare,
aveva cercato una luce per scappare da quel mondo di depravazione.
Conosceva più che bene i suoi demoni,
camminava a braccetto con loro da anni, ma Brandon? Cosa lo scuoteva realmente? Cosa lo aveva allontanato così tanto da
lui, dalla famiglia?
Sfruttare la sua nomea era stato
l’unico modo per aiutarlo - visto che le parole erano ormai divenute inutili da
tempo immemore - così da evitare il sicuro scandalo che ne sarebbe seguito.
L’azienda ne avrebbe sofferto e, lui
ne era sicuro, Brandon si sarebbe ammazzato piuttosto che dare un dolore al
padre.
E di certo, il suicidio non era ciò
che Nick voleva per il fratello.
Ma come faceva ad aiutarlo, se lui era
il primo a scagliarsi contro le sue profferte di amicizia?
E perché tanto accanimento al solo
sentir nominare la madre? Cos’era successo, tra loro? Possibile che…
Scuotendo il capo per il fastidio,
Nick lanciò un’occhiata alla fotografia che teneva sulla sua scrivania, e che
ritraeva lui e Rena durante un viaggio in Svezia, nei fiordi norvegesi.
Erano appallottolati in pesanti
maglioni, il cielo che rombava di tuoni, eppure sorridevano entrambi, lieti di
quella reciproca vicinanza.
Il viaggio post-laurea. Lo ricordava
benissimo.
All’epoca aveva pensato di trovare la
sua anima gemella, e quel viaggio era servito per dargli il coraggio di
dichiararsi alla sua vecchia amica d’infanzia.
Dopo solo due giorni, però, si era
reso conto della realtà dei fatti. Rena era e sarebbe rimasta per sempre la sua migliore amica. E così
lui per lei.
Negli anni, il loro rapporto si era
approfondito e aveva preso mille sfaccettature diverse ma mai, neppure una
volta, Nick aveva tentato con lei un approccio intimo. Non con lei.
L’amica gli aveva confessato di aver
gradito quella totale mancanza di rapporti intimi tra loro, perché preferiva
averlo come amico piuttosto che come amante. Ma l’aveva anche rabberciato più
volte di fronte ai suoi comportamenti sempre più superficiali con le donne.
Neppure a lei aveva voluto confessare
la verità. Era troppo orribile, anche per confidarlo alla sua amica del cuore.
Serena, però, era stata lapidaria con
lui. Non avrebbe mai trovato la soluzione ai suoi dilemmi nella moltitudine di
anime perse in cui si era invischiato.
Non era la quantità a fare la
differenza, ma la qualità.
E l'unica che possedeva tutte le
qualità che lui apprezzava in una donna era, guarda caso, l'unica donna che non
avrebbe mai voluto come amante, perché la considerava alla stregua di una
sorella.
“Come ti odio, Rena” mormorò tra sé
Nick, sorridendo mestamente nell'ombra del suo ufficio.
Ma come faceva ad ammettere ad alta
voce ciò che lo spingeva a comportarsi così?
§§§
“Ti sembra il caso di bere così tanto?
Ormai hai gli occhi vitrei.”
Quel commento preoccupato gli giunse
dalle spalle e Brandon, volgendosi a mezzo per scrutare quel volto color
cioccolato così odiato e amato al tempo stesso, ironizzò nel sollevare
l'ennesimo bicchierino di votka. “Ecco che arriva il mio cavaliere con
l'armatura scintillante.”
“Smettila di fare l'idiota, Bran. Ti
riporto a casa, è meglio” brontolò l'amico, poggiando una mano sul polso del
giovane che, cocciutamente, si ribellò.
La votka finì addosso ad entrambi e
Brandon, ridacchiando scioccamente, sollevò comicamente le sopracciglia ed
esalò: “Ops. Ti ho rovinato la camicia, mi sa.”
“Chi se ne frega della camicia...
coraggio, vieni” sbuffò l'altro, afferrandolo per un braccio con maggiore forza.
Bran allora si divincolò e, persa del
tutto la voglia di fare dell'ironia, lo accusò senza remore. “E' inutile che
fai finta di preoccuparti per me, visto che c'è già qualcuno che occupa tutti i
tuoi pensieri! Ed io che pensavo che dicessi sul serio!”
“Che diavolo stai dicendo?” La
sorpresa e l'incomprensione sorsero sul volto di Phillip che, senza parole,
fissò l’amico con occhi addolorati.
“Ti ho visto mentre uscivi dalla casa
della tua amichetta, tutto contento e felice di vivere una vita normale,
mentre lei ti salutava con un bacio” lo accusò senza pietà Brandon, gli occhi
ora lucenti di lacrime che non avrebbe versato per nulla al mondo.
“Mi hai seguito?!” esclamò l'uomo,
facendo tanto d'occhi.
“Volevo... parlarti... ma tu non
c'eri! Eri da lei! Da Hannah! Che cazzo ha quella donna che siete tutti
disposti a difenderla, a prenderne le parti?! Persino mio fratello fa così!”
sbottò Brandon, sempre più furioso.
“Tu... conosci Hannah?” Lo
sbalordimento sul volto di Phillip si fece totale.
“Certo che la conosco, Phill. Lavora
per Nicky, non lo sapevi? Quella maledetta schifosa... sono sicuro che se l'è
già fatto, altrimenti non si spiega perché mio fratello sia così ben disposto
verso di lei. E tu... tu ci hai addirittura dormito assieme, vero?!”
Con uno spintone, il giovane allontanò
l’amico da lui mentre quest’ultimo, ancora scioccato da quella novità, lo fissò
allontanarsi con passo caracollante.
Maledetta la loro stupida regola del
non dirsi nulla di serio sul posto di lavoro! Se avesse saputo che Hannah
lavorava per i Van Berger, le avrebbe detto di Bran!
Dopo la faccenda di Horace, lui era
diventato così ossessionato dal proteggere Hannah da aver assoldato più di una
volta Berenike per controllare le credenziali dei datori di lavoro – e colleghi
– dell’amica.
Quando Hannah l’aveva scoperto era
uscita di testa e, forse per la prima volta, avevano litigato di brutto.
Da quel momento, lei si era sempre
rifiutata di parlare di lavoro in senso stretto con Phill e, gioco forza, lui
aveva accettato l’implicito rimprovero.
E ora questo! Non si sarebbe mai
davvero aspettato che gli intrecci del destino portassero Hannah al fianco di
uno dei suoi migliori amici… e contro l’uomo che lui amava più di chiunque
altro.
Confuso e preoccupato, cercò di
comprendere come reagire al comportamento melodrammatico di Brandon e, al tempo
stesso, trovare un modo per fargli capire come stesse realmente la faccenda.
A conti fatti, però, quella situazione
lo stava facendo letteralmente impazzire.
Insensibile ai richiami di Phill,
Brandon si allontanò passo dopo passo, il bar rumoroso e ricolmo di gente
niente più che una forma indistinta di fronte ai suoi occhi intorpiditi
dall’alcool e dal dolore.
Allontanandosi caracollante dalla
figura dell'uomo che, più di tutti, gli aveva aperto gli occhi sulla realtà dei
fatti, il giovane desiderò unicamente mettere fine al proprio dolore.
La consapevolezza che nulla di ciò che
avrebbe mai potuto fare sarebbe bastato a cancellare l'espressione disgustata
di sua madre, gli martellava la testa più ancora della votka che agitava il suo
sangue.
Ci era voluto molto coraggio, o forse
era stata semplice pazzia, per presentarsi nell'ufficio della madre e ammettere
che il suo unico desiderio era di poter dire dinanzi a tutti chi realmente
amava.
Non solo sua madre lo aveva accusato
di comportarsi da bambino immaturo, ma l'aveva anche minacciato di tagliargli i
fondi, se una cosa del genere fosse mai trapelata.
Gli eredi dei Van Berger si sarebbero
sposati con donne adeguate al loro nome, e null'altro sarebbe andato bene per
lei.
I suoi genitori erano morti
rammentandole questa importante verità, cui lei era venuta meno rimanendo
incinta di Andrea senza il consenso della famiglia.
Non le avevano mai perdonato la sua
scappatella con lui - e il conseguente matrimonio riparatore - e le avevano
fatto promettere solennemente che nulla del genere si sarebbe ripetuto.
Isabel si era perciò impegnata con
tutta se stessa per crescere il suo primogenito forte e privo di paure. Quando
era rimasta incinta di Brandon, poi, le sue mire si erano fatte addirittura più
imponenti.
Non solo i suoi due figli sarebbero
stati gli astri splendenti della famiglia Van Berger, ma avrebbe dimostrato che
la sua scelta di stare con Andrea non era stata dettata solo da un’infatuazione
passeggera.
Messo il marito a capo dell’azienda
sorta da un loro comune desiderio, Isabel gli aveva offerto senza remore il suo
appoggio e, nel giro di pochi anni, Andrea aveva saputo ripagarla ampiamente
della sua fiducia.
I suoceri, pur ricredendosi su di lui come
imprenditore, non l’avevano mai accettato in seno alla famiglia. Andrea, pur di
ottenere la loro totale fiducia, si era fatto carico dell’intero peso della Van
Berger Inc., lasciando che Isabel pensasse ai figli e non all’azienda.
E questo aveva segnato l’inizio della
fine dei sogni di Brandon.
Per nulla al mondo, Isabel avrebbe accettato
un erede con tendenze omosessuali. Nulla, più di quello, l'avrebbe fatta
irritare al punto tale da decidere di diseredarlo.
Non poteva permettere che il buon nome
della sua famiglia venisse insozzato da uno scandalo simile! Non dopo tutto
quello che aveva dovuto sopportare per loro!
Per anni aveva cercato di comprendere
cosa vi fosse, in lui, a non andare bene, perché non potesse semplicemente
innamorarsi di una donna come tutti gli altri, ma nulla era giunto in suo
soccorso.
La verità era sempre stata una, ed una
sola. Semplicemente, non poteva essere come voleva sua madre.
Brandon aveva perciò tentato di farle
capire che la menzogna, portata avanti in quegli anni, non aveva fatto altro
che farlo impazzire.
Crudo e senza pietà, aveva anche
ammesso quanto poco avesse apprezzato il suo interesse nel trovargli una donna
adatta per lui.
Le aveva sputato addosso tutta la
gretta realtà in cui era caduto a causa del suo rifiuto di ascoltarlo.
Le puttane che aveva visitato in più
di un'occasione per sfogare la propria rabbia erano state la conseguenza dei
suoi continui rifiuti di ascoltarlo, così come l’abuso di alcool.
Isabel non solo ne era rimasta
inorridita, ma lo aveva anche cacciato a gran voce dal suo studio, intimandogli
di non tornare finché non avesse compreso quanto pericoloso per tutti loro
fosse stato il suo comportamento.
Brandon non aveva voluto affrontare il
padre dopo quello sfogo violento e, silenzioso come un'ombra, se n'era andato
dalla villa in cerca di Phillip.
Quando aveva visto la sua auto uscire
dalla rimessa per dirigersi verso Long Beach, l'aveva seguito con l'intento di
parlargli, di ottenere da lui l'appoggio e la forza necessari per affrontare
quel brutto momento. Non appena lo aveva visto assieme a Hannah, però, tutte le
sue speranze erano naufragate.
Li aveva visti abbracciarsi con
calore, entrare insieme nella villetta di lei e non riemergerne se non la
mattina seguente.
Lo aveva odiato, si era dato dello
sciocco per aver creduto alle sue parole di conforto e affetto e, infuriato con
se stesso e con il mondo, si era rifugiato nel suo studio a meditare su cosa
fare.
Aveva passato una settimana d'inferno,
dividendosi tra il lavoro e i locali fuori Los Angeles, piccole bettole dove
nessuno lo conosceva e dove poteva confondersi con persone che mai, in un'altra
situazione, avrebbe incontrato.
Aveva lasciato che il dolore e la
frustrazione parlassero per lui e, in quello stato di profonda rabbia e auto
commiserazione, aveva ricevuto l'ennesima batosta proprio da suo fratello.
Lavorare. Con. Hannah.
Un calcio nelle palle gli avrebbe dato
meno fastidio.
No, non avrebbe mai accettato di
lavorare con lei, neppure in mille anni.
Che lo cacciassero dalla ditta,… che
gli importava?
Si sarebbe gettato da una scogliera,
così l'avrebbe fatta finita una volta per tutte con quella vita che gli offriva
solo sofferenza!
Non lo accettavano per quello che era?
Bene, gli avrebbe dato qualcosa di molto più scioccante della sua
omosessualità, di cui parlare.
Afferrato il bordo di un tavolo per
mantenersi in equilibrio, Brandon si portò all'esterno del locale, sulla
veranda che dava sulla spiaggia immersa nell'oscurità della notte e, levato al
cielo il suo bicchiere di votka, mugugnò: “A te, maledetta luna. Brilla per
qualcun altro, stanotte, bastarda.”
Ingollato il liquido trasparente in un
sol sorso, il giovane lo sentì bruciargli la gola per poi scendere feroce verso
lo stomaco, dove esplose in uno scintillio violento e ferale.
“Ma cosa...?” sbottò lui, allungando
una mano per aggrapparsi alla balaustra di legno.
Il dolore aumentò di pari passo con le
vertigini e, mentre tutto intorno i rumori si facevano soffusi e inconsistenti,
il suo corpo cominciò a diventare sempre più pesante, sempre più intorpidito.
Una voce alle sue spalle gli domandò
ironica come stesse, ma Bran non ascoltò minimamente. Era troppo impegnato a
tenere insieme i pezzi del suo corpo martoriato dalle esplosioni che gli
stavano friggendo gli intestini.
Sbattendo freneticamente le palpebre,
cercò di tenersi alla balaustra con entrambe le mani, ma esse divennero come di
pasta frolla e, con un singulto strozzato, perse la presa e cadde a faccia in
giù sul pavimento.
Udì urla, terrore, sgomento, o almeno
così gli parve e, alla fine, svenne.
§§§
Non appena percepì delle urla
provenire dall'esterno del locale, Phillip si irrigidì preoccupato.
Aveva preferito lasciare che Brandon
sfogasse da solo la sua rabbia ma, non vedendolo tornare, aveva iniziato ad
agitarsi.
Quando poi aveva notato la confusione
sull'entrata e i primi segni di isterismo, la sua agitazione si era trasformata
in panico.
Facendosi strada tra i corpi sudati e
le facce peste degli avventori del locale, Phillip riuscì infine a raggiungere
l'enorme veranda che guardava l'oceano cupo e schiumoso e lì, a occhi sgranati,
fissò inorridito il corpo disteso e apparentemente svenuto di Brandon.
“Spostatevi, spostatevi!” urlò lui,
scansando in malo modo la gente che stava osservando curiosa la scena.
Inginocchiatosi subito accanto all’amico,
ne auscultò le pulsazioni poggiando due dita sulla carotide e, nel sentire il
suo battito flebile e veloce, ansimò per la paura.
“Cristo Santo, Bran... ma che hai
fatto?” singhiozzò Phill, rigirandolo sulla schiena con delicatezza per
potergli dare dei piccoli schiaffi sul viso, sperando bastassero per
svegliarlo.
“Vuoi che chiami un ambulanza?” gli
domandò dubbioso un giovane, dietro di lui.
Sarebbe stata la scelta più ovvia,
peccato che i giornalisti ci si sarebbero buttati a pesce e, in un simile
stato, lo scandalo sarebbe stato enorme.
“No, ci penso io. Grazie” dichiarò
velocemente Phillip, sollevando l'amico tra le braccia per poi dirigersi lesto
verso i pochi gradini che portavano al parcheggio.
Una moltitudine di persone li osservò
per alcuni attimi prima di rientrare scompostamente nel locale, gli sguardi già
persi in altro, la mente già pronta a dimenticare.
Cos'era, dopotutto, un ragazzo che
crollava a terra ubriaco? Niente più che
la normalità, per gente del genere.
Irritato suo malgrado da quella totale
mancanza di interesse – anche se faceva il loro gioco, a voler essere onesti –
Phill raggiunse in fretta la sua BMW e, dopo aver caricato a fatica Brandon sul
sedile posteriore dell'auto, mise in moto e afferrò lesto il cellulare.
Non aveva idea di dove portarlo, e
solo una persona poteva aiutarlo, in quel momento.
“Nick... sono Phillip. Brandon è nei
guai” mormorò l'uomo, non appena udì all'altro capo del telefono la voce
preoccupata del maggiore dei fratelli Van Berger. “Ho bisogno di aiuto. Adesso.”
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1 broer: (olandese) fratello. La
famiglia Van Berger ha origini olandesi. Ho pensato fosse carino sottolinearne
la discendenza europea.