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Autore: Ronnie02    18/06/2013    1 recensioni
«“Tu sei troppo incosciente di quello che sei”, rispose il ragazzo.
Per lui era speciale in qualsiasi cosa facesse, ma per il resto del mondo era ancora di più.
Era diversa… diversa da chiunque in qualsiasi mondo andasse.
Era unica nella sua specie.»
Come si comporterebbe Jared se qualcosa dovesse fargli cambiare tutte le sue opinioni, tutte le sue convinzioni? Amando così tanto avere il controllo della situazione, cosa farebbe se questa gli sfuggisse via?
E Tomo, con Vicky, come possono proteggere il frutto del loro amore, sapendo che non potrà mai essere quello che credevano?
E Shannon... Shannon, che ama la vita e tutte le sue sfaccettature, come aiuterà il fratello a credere a ciò che sta capitando a tutti loro?
Spero di avervi incuriositi :)
Genere: Avventura, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Gente, scusatemi. Scusatemi davvero ma EFP fa i capricci per non so che motivo... avrà le sue cose, non so (??)
Sta di fatto che non riuscivo ad aprire il sito o, se lo apriva, mi faceva fare poco o niente. Si sistemava solo  su tablet o ipod, ma non avendo lì la storia non potevo aggiornare.
Ora sto usando Explorer (con Chrome non va proprio) e va abbastanza. Piano ma va.
Speriamo che si ripigli presto e mi scuso ancora per il mega ritardo. But it wasn't my fault, dude.
Ora, buona lettura

 




Capitolo 19. …and deep inside my blood




 

 
 
Era davvero successo tutto quel casino? Che mal di testa…
Jared non era nemmeno riuscito ad alzarsi dal letto quella mattina e se ne stava ancora sdraiato, con la mano sulla fronte, per cercare di capire, di ricordare.
Era come perso in ricordi che credeva non esistessero. Ma se erano davvero reali o solo un vago ritorno ad incubi passati?
This nightmare can only make you want to die.
Sì, ‘only’ proprio. Però… bella frase, se la sarebbe appuntata più tardi.
“Dimmi che ieri sera abbiamo solo visto un film in cui Ash faceva la parte della protagonista o la mia testa potrebbe imputtanarsi seriamente”, commentò Shannon, comparendo sulla soglia della camera di Jared e facendolo saltare di almeno cinque centimetri dal materasso.
“Solita finezza, fratello”, se ne uscì Jared, chiudendo gli occhi. “Mi sa che devi dire addio anche al tuo ultimo neurone e far andare in pensione le sinapsi, Shan. Ho paura che sia tutto vero”.
“Ti sei appena svegliato?”, chiese Shannon.
“No, sono qui sdraiato da un po’, non avevo la voglia e la forza di affrontare il mondo oggi”, rispose Jared. “Tu?”.
“Svegliato da un messaggio di Tomo. Dice che Ash si è trovata con una specie di capo d’esercito dell’Esis a casa che vuole vedere Devon. Deve fare dei test, a quel che ho capito, per capire quanta forza abbia, da dove arriva e a quali poteri è più affine… robe varie”, lo informò il fratello, ciondolando dentro la camera di Jared, cercando goffamente di non inciampare nelle chitarre, nei fili in giro o molto più semplicemente nei pantaloni o nei suoi stessi piedi.
“Wow… procedure normali?”, domandò il più piccolo.
“E che ne so! Mi ha scritto un messaggio, mica un tema di dieci facciate, Jared”, si lamentò Shannon, superassonnato. “Su, alzati che andiamo al covo Milicevic, così avrai le risposte alle tue domande”.
“Al covo Milicevic?”, lo citò Jared, con uno sguardo confuso.
“Sì, sai… quel posto oscuro, pieno di persone dai poteri sovrannaturali”, scherzò Shannon, con una voce misteriosa. “Si dice che lì viva un vecchio sosia di Gesù Cristo con il potere di suonare davvero bene la chitarra e far muovere divinamente i suoi capelli. La sua dolce moglie, a quanto so, è venerata come protettrice della natura. Suo figlio, invece, è un figlio del male… pratica magia oscura”.
“Quanto sei cretino”, lo liquidò Jared, alzandosi dal letto e mettendosi seduto, per passarsi una volta le mani sul volto, come a scacciare i brutti pensieri.
“Che stai pensando?”, disse Shannon, sedendosi vicino a lui.
“A niente, tranquillo. Andiamo da Tomo, avanti”, lo spinse Jared, facendolo alzare.
Si vestirono con i loro soliti abiti poco appariscenti – anche se forse era meglio togliere il forse ormai – e fecero una semplice colazione: tè per Jared e caffè per Shannon, come ormai era da tradizione. Appena furono pronti, presero la macchina e partirono vero la casa di Tomo e Vicki.
 
“Sta bene? Dov’è? Che le ha fatto?! Dov’è finito?”, continuò a chiedere Dean, appena Joel lo andò a trovare al Lightness, anche per aggiornarlo di ciò che era accaduto.
Era rimasto in fondo alla sala, attento agli sbalzi d’umore del ragazzo, che controllava accuratamente solo in presenza di Ash.
Dean era seduto sul letto e stringeva a sé le coperte bianche con una forza che aveva riacquistato da pochissimo, senza accorgersene. Avrebbe voluto alzarsi e picchiare Joel per non aver protetto Ash, ma la sua mente capiva che era una pazzia. Doveva solo controllarsi.
“Ash ora sta bene, tranquillo”, cercò di calmarlo Joel, con un sorriso amichevole. “E’ a casa, a Los Angeles. Namel l’ha trovata al suo posto di lavoro, da sola con gli Incompleti con cui si vede e…”.
“Era da sola?!”, scoppiò Dean, tentando di alzarsi, ma Joel lo fermò appena in tempo.
“Sono arrivati Sorrow ed Edmund a soccorrerla!”, disse svelto, vedendo Dean ritornare un po’ più calmo. “E poi siamo arrivati noi. Ha parecchie ferite e giramenti di testa, ma niente di eccessivo. Contando che è il giorno dopo dell’incidente e può già andarsene in giro è un ottimo risultato”.
“Bene”, commentò apatico Dean. “E Namel? Quel lurido figlio di un troll bavoso…”.
“E’ sparito, ma lo rintracceremo presto, Dean”, l’informò l’agente, professionalmente.
“Che sia dannato”, esclamò Dean, rimettendosi tranquillo a letto, sdraiato. Gli venne un conato di vomito, da tutta l’ansia che aveva appena avuto, ma non ci fece caso. Chiuse gli occhi e aspettò che passasse tutto il dolore che sentiva.
“Se vuoi posso mandartela qui”, gli disse Joel, avvicinandosi di qualche passo, come a fargli intendere che poteva fidarsi di lui. “Posso andare a Los Angeles e portarla qui in pochi attimi, se lo desideri. In fondo, credo che…”.
“No”, lo fermò Dean, riaprendo gli occhi.
“Posso fare altro allora?”, domandò l’altro, curioso.
“In effetti una cosa ci sarebbe…”, sussurrò Dean, con il suo solito sguardo malandrino. Stava  programmando un piano. E i suoi piani non sbagliavano mai.
“Mi sto mettendo in guai seri, vero?”, indovinò Joel.
“Non immagini quanto”, ridacchiò il ragazzo, con un sorriso sghembo.
 
Casa Milicevic era molto grande, considerato che Ash viveva in un semplice monolocale oppure in quattro metri quadrati di stanza dell’Esis. La cameretta di Devon, a parere suo, era la più bella: era tutta colorata e illuminata da grandi vetrate, con adesivi di personaggi di cartoni e fumetti.
Ash si era documentata, prima di incominciare a lavorare all’asilo, e ne riconosceva alcuni: certi avevano come protagonista Paperino, altri Topolino, altri ancora i Pokemon…
“Lui i… si… chiama… ome… come… te”, cercò di parlare Devon, impegnandosi ad ogni parola a dirla corretta. “Ash”.
Lo vide camminare veloce e senza alcun equilibrio verso di lei, indicandogli un ragazzino con addosso un cappello da baseball al contrario. Oh già, Ash l’addestratore.
Quando Devon arrivò al suo fianco, lei lo prese in braccio, cosicché lui si accucciò contro di lei, mettendosi comodo. Lei indicò l’adesivo e lui annuì, battendo le mani.
“A… ma… tu… sei iù… più bella”, arrossì Devon, facendo ridere sotto i baffi la ventenne, che lo ringraziò e lo fece giocare ancora per qualche minuto, mentre aspettava che Harold, il generale dell’esercito, ispezionasse tutta la dinastia della famiglia.
Era la solita proceduta per gli Incompleti che mostravano poteri magici, quindi non si preoccupò. Harold era un ottimo lavoratore e lei riponeva tutta la sua fiducia in lui.
Quando Vicki arrivò a chiamarli in camera, Ash vide tutta la preoccupazione sul volto della donna. Prese il bambino in braccio e la seguì in salotto, dove Harold era arrivato.
“Signorina Connor!”, la salutò, rivelando ai coniugi la sua vera identità. Per quanto fosse muscoloso, corpulento e con una voce bassa, simile davvero ai Vichinghi Incompleti… era un cucciolone.
Sapeva maneggiare armi più grandi di lui con una destrezza inimmaginabile, aveva una forza magica veramente potente e spaventava chiunque; ma aveva il cuore d’oro ed era dolcissimo, con chi meritava la sua fiducia.
Bè… Ash era una di quelle persone.
“Harold! Come sta Danielle?”, chiese Ash, passando Devon a Tomo ed andando ad abbracciare l’omone, che ricambiò immediatamente.
“Benissimo, direi! Ieri era tutta contenta, prima di sapere dell’attacco, perché Frederic ha fatto qualche magia”, sorrise, fiero come un perfetto padre dovrebbe essere. Ash sorrise felice. “Quando poi le hanno riferito il tutto era davvero preoccupata. Ti manda i suoi saluti e è felice di sapere che stai bene”.
“Ricambia i saluti, dovrei anche passare a salutarvi qualche volta! Non ci vediamo da tanto ormai! Frederic avrà avuto cinque anni alla mia ultima visita”, ricordò Ash.
“Ora ne ha sette… non è passato molto tempo, se ci pensi; tranquilla”, ridacchiò Harold, per poi voltarvi verso i padroni di casa. “Scusate la poca gentilezza, vi abbiamo esclusi”.
“Oh, ma si figuri”, sorrise Tomo, porgendogli la mano, che il generale strinse. “Io sono Tomo, questa è mia moglie Vicki e lui è Devon”.
“Il piccolo Completo prodigio…”, sussurrò Harold. “Quanti anni ha?”.
“Uno e… bè, tra un mese ne compie due”, disse Vicki, nervosa… o impaurita. Ash non sapeva distinguere le emozioni della donna in quel momento. “E’ piccolo ma dimostra più della sua età”.
“Decisamente piccolo per saper già fare magie”, commentò Harold, pensando. “Già tu, Ash, eri stata precoce, ed avevi quattro anni e mezzo... ma prima!”.
“E’ Devon. È speciale”, sorrise Ash, tutta felice.
“Sono assolutamente d’accordo”, gli rispose il generale, avvicinandosi al bambino. “Forse magari vi faccio paura ma vi posso assicurare – e Ash certamente mi darà ragione – che non farò nulla a vostro figlio. Solo devo stare con lui per un po’… da solo”.
“Dobbiamo andarcene?”, chiese stupita Vicki.
“Potrebbe sentirsi in imbarazzo ad avere tanta gente in giro, mentre se è da solo farà quello che più si sente di fare, liberamente”, spiegò Ash, tranquillamente, appoggiando l’uomo. “Non è niente di preoccupante, l’hanno sempre fatto a tutti i bambini. Anche a me”.
“Sicura che andrà tutto bene?”, chiese Tomo.
“Al cento per cento, davvero”, sorrise la ragazza, facendo annuire i due coniugi. Così Vicki si decise a lasciare Devon tra le braccia di Harold, che cominciò a giocarci con calma, mettendolo a suo agio.
Ash portò in un’altra stanza Tomo e Vicki, tanto per tenerli occupati, quando suonò il campanello.
“Sono di sicuro Shannon e Jared”, disse Tomo. “Li ho chiamati stamattina. Ho fatto male?”.
“No, non fa niente. Ma portali qua con noi”, rispose Ash con un sorriso, mentre si guardava in giro.
Quello doveva essere lo studio di Tomo: era insonorizzato, c’erano diverse chitarre – una anche sul divano – e cd sparsi, una grande libreria appoggiata al muro e tanti fogli di canzoni in giro.
“Deve essere bello starsene così a stretto contatto con la musica”, commentò Ash, senza parlare con qualcuno in particolare. Si avvicinò ad una chitarra, una Gibson, e alzò lo sguardo verso Vicki. “Posso?”.
“Sai suonarla?”, annuì la donna, facendole spazio vicino a lei per sedersi. Ash accettò e si mise a guardare la chitarra.
“No, ma…”, cominciò, senza poi finire la frase.
Con grande stupore di Vicki – che ormai avrebbe dovuto essere quasi abituata, ma era sempre come la prima volta – il braccio di Ash si coprì della solita piccola turbina di neve mattutina e la ragazza mise la mano quasi a contatto con le corde.
Pian piano, senza che le dita toccassero nulla, una melodia lenta cominciò a suonare.
Era dolce, soave, come una ninna nanna mista ad un canto religioso. Ispirava tranquillità e pace, riuscendo a calmare Vicki dalla sua paura per Devon. La mora chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalle note che Ash riusciva a creare.
“Wow”, la interruppe la voce di Shannon, alla porta.
‘Che classe’, pensò Ash, sorridendo, mentre Vicki apriva gli occhi e lo fulminava con lo sguardo. La foschia sparì subito dall’avambraccio di Ash e le note finirono di invadere la stanza.
“Bell’acustica comunque. Passerei le giornate in questa stanza!”, si complimentò Ash con Tomo, il quale le sorrise mentre gli riconsegnava la chitarra.
“Scusa se ti abbiamo fermata”, disse Jared. “Ma a quanto pare Shannon deve sempre dimostrare la sua presenza”.
Il fratello si grattò la testa, come imbarazzato, ma Ash rise. “Non preoccupatevi, non fa niente”.
“Come hai fatto, comunque?”, chiese Vicki, all’improvviso, come se solo in quel momento si fosse risvegliata dalla musica.
“Non è ovvio?”, mosse il braccio la bionda. “Di solito lo facciamo con le arpe, ma il procedimento è lo stesso”.
“Le arpe?”, si stupì Shannon.
“Sì. Da noi le chiamiamo Reije”, spiegò Ash. Ma vedendo le facce confuse dei suoi amici, andò avanti. “E’ lingua antica. Molti termini, come Completo o Incompleto, sono stati tradotti, per comodità di chi nasceva mago anche senza una dinastica. Però altri termini si imparano e sono rimasti quelli di una volta”.
“E voi avete queste… Reije?”, chiese Vicki.
“Sì, sono strumenti molto simili alle arpe Incomplete. Le usiamo di più perché… bè per il loro potere”, sorrise la bionda. “Insomma: calma i bambini, rilassa gli adulti e fa dormire gli anziani. Se modificate con la magia vengono anche usate in battaglia per intontire il nemico”.
“E non avete qualcosa di più… movimentato? Se capisci che intendo dire”, chiese Shannon, imitando le sue mosse davanti alla batteria.
“Ovviamente”, scoppiò a ridere Ash. “Credi che i maghi adolescenti ascoltino il suono delle arpe?
“Abbiamo i quihi, che sono una specie di chitarra, ma che suona come l’elettrica senza bisogno dell’amplificatore. Credo abbia anche una  corda in più e i movimenti delle dita sono diversi.
“Poi c’è la ibke. E’ simile alla batteria, ma ha un suono un po’ diverso e viene suonata senza bacchette. Di solito la suonano i Glifi”.
“Glifi?”, chiese Tomo, guardandosi il braccio, dove spuntava un tatuaggio rosso, con dei simboli, e una scritta nera che passava sopra.
“Sì, per i greci i glifi erano i caratteri di scrittura, lo so”, commentò Ash. “Ma per noi sono delle cosette rompiscatole alte come una quindicenne, con quattro braccia. Per quello suonano la ibke… hanno più mani”.
“Wow… ma quante creature esistono?”, si meravigliò Shannon.
“Oh, molto più di quello che immagini. I Glifi, per esempio, derivano da un accoppiamento di una fata e qualche specie estinta, per quello che so. Essendo mezze fate vivono a lungo e hanno caratteristiche simile a loro, ma hanno quattro braccia e un carattere abbastanza irascibile”, raccontò la bionda. “Mai mettersi contro un Glifo”.
“Un perfetto batterista”, ridacchiò Shannon, pensando che quando aveva i nervi a fior di pelle suonava meglio.
“E poi? Altri strumenti?”, disse Jared, per farla andare avanti.
“Oh, bè non saprei. Usiamo tanto anche la lin, che è come un violino e un flauto a traverso insieme. Tieni lo strumento sulla spalla, di traverso; con una mano suoni la parte con le corde, come facevo io prima, e con l’altra lo tieni fermo mentre soffi. Il suono cambia in base al tono, come se fischiettassi”.
“Sembra complicato”, commentò Vicki.
“Un pochino, ma chi la sa suonare fa davvero una bella figura”, rispose Ash.
“E dove le imparate tutte queste cose?!”, chiese Tomo, stupefatto.
“Bè… ce le abbiamo nel sangue”, sorrise Ash. “La maggior parte si trasmettono di padre in figlio, come per esempio la capacità a suonare uno strumento, mentre le materie tipiche… bè si va a scuola come voi”.
“Avete una scuola? Devon dovrà andare a scuola?”, s’interessò Vicki, mentre Shannon faceva una smorfia.
“Esistono le scuole anche lì. Fine del divertimento, nipote”, scherzò, ridendo con suo fratello minore.
Vicki li guardò male ed esortò Ash ad andare avanti, cosa che la ragazza fece. “Quando avrà l’età giusta. Io ci andai prima, ma senza seguire i corsi. Era solo un posto dove stare, visto che i miei erano scappati e mia cugina, dove ero rimasta fino a quel momento, era appena morta”.
“E quando inizia la scuola?”, riprese il discorso Tomo, vedendo Ash intristirsi.
Lei sorrise malamente e continuò. “Verso gli otto anni circa, o comunque da quando cominci a fare magie. Dipende molto dal bambino. Poi si va avanti fino quasi a vent’anni di età. Si rimane lì a scuola sempre, tranne per le vacanze e, se qualcuno vuole, i fine settimana. A volte qualcuno non rimaneva nemmeno lì a dormire, ma solo perché aveva casa molto vicina”.
“E cosa si impara?”, domandò Jared, interessato anche lui.
“Qualunque cosa. Io mi ero appassionata a tutti i tipi di incantesimi e con Dean facevamo a gara a chi li sapeva fare meglio”, ridacchiò Ash, mentre Jared la guardava male. Ancora quel Dean… ma chi era? “Però c’erano altri corsi: storia della nostra civiltà, pozioni, addestramento, lingue antiche, allevamento di tutte le creature animali, astronomia, caccia, incantesimi di difesa, attacco, trasformazione…
“Poi verso i diciotto anni cominciano i corsi per i lavori futuri: medicina, politica, anche una sorta di scuola militare. Cose molto più pratiche e molto più simili alle vostre”.
“E lì ci sono tutte le creature che ci dicevi prima?”, chiese Tomo.
“Come i Glifi? Oh no, loro hanno solo un’educazione familiare, non hanno scuole. Forse solo in rarissimi casi la Arrant accoglie non-maghi, ma anche perché loro non ne hanno bisogno”, rispose Ash.
“Fico”, finì in bellezza Shannon, prima che i Milicevic potessero interrogare ancora la ragazza.
E dopo il suo commento fu il turno di Harold di interrompere quel piccolo incontro nello studio di Tomo.
“Vostro figlio è… una bomba!”.
 
Zoe stava scribacchiando qualcosa su un foglio quando Joel buttò il libro sul comodino del salotto dove stavano, facendo rumore.
Lei alzò gli occhi, magari sperando che le parlasse, ma lui era già quasi fuori dalla stanza, andandosene fuori. Aveva bisogno di aria, di stare tranquillo, e in tutti quei libri non riusciva a trovare la pace.
Strano.
Insolito.
Uscì nel parchetto dell’Esis e cominciò a camminare, tirando un sassolino e mettendo le mani in tasca. Socchiudeva gli occhi, sentendo una musica leggera nelle orecchie, e sorrise.
Reije. Oh quanto tempo, pensò, dando un nome a ciò che sentiva. Era nella sua testa, quel suono che tanto aveva amato da bambino, e gli venne nostalgia. Sua madre gli suonava la reije per farlo addormentare, con una ninna nanna dolcissima.
“Joel”, si sentì chiamare, voltandosi per vedere chi fosse.
Clelia. Era a qualche metro da lui e lo invitava ad avvicinarsi con il braccio, senza però alcun sorriso.
La raggiunse velocemente, per poi fermarsi davanti e lei, curioso di sapere cosa volesse dirgli.
“Facciamo quattro passi?”, chiese la ragazza, e Joel annuì.
Cominciarono a camminare, intorno a quel parco che stava prendendo veloce i colori dell’autunno, per lo più in silenzio. Ma l’agente non voleva ammirare, voleva sfogarsi.
Voleva dire tutto di quel pomeriggio, dire ogni cosa, come se così potesse far tornare Sorrow.
“I funerali si terranno stanotte”, commentò Clelia, sapendo cosa gli passasse per la testa. Joel sapeva che andarsene in giro con lei avrebbe portato a questo, ma era proprio quello di cui aveva bisogno.
“Ne sono felice. Questa notte Venere splenderà molto di più degli altri pianeti… è la notte perfetta”, cercò di sorridere, ma senza alcun risultato.
“Perché sei così triste, Joel? Certo, Sorrow era una tua compagna di divisione, ma…?”, provò ad entrare nella sua testa.
Lui la lasciò fare, senza bloccare la sua intrusione. Perchè… perché lei sapeva tutto e voleva aiutarmi. Lei… era l’unica con cui riuscissi a parlare anche se la odiavo per come si comportava con Ash.
Clelia riuscì a vedere alcune immagini, veloci come il vento, di Joel e Sorrow nel bel mezzo di una discussione, o mentre si stavano abbracciando, oppure anche spiando… Zoe.
“Dovresti parlare con lei, non con me”, commentò la rossa.
“E’ una mia collega. Non accetterà mai”, chiuse il discorso Joel, ritornando a pensare a Sorrow. “Cosa userete per il funerale?”.
“Betulle”, rispose Clelia. “Si sedeva spesso sotto le betulle da ragazza, mi hanno detto”.
“Strumenti?”, domandò ancora.
“Ci saranno vari quihi e due bashie”, dondolò, come ad imitare il lento ballo che si faceva al suono delle bashie. Erano strumenti particolarmente allegri, ma avevano anche un suono dolcissimo, se suonate nella giusta maniera. Erano un incrocio tra i clarinetti e le trombette Incomplete.
“Sorrow le adorava” , disse il ragazzo, lasciando vagare ancora un po’ la mente. Clelia sorrise, ma lo lasciò in pace.
Solo qualche minuto dopo ritornarono a parlare, ma del più e del meno, tanto per riposare. Quella sera Joel avuto tutto il tempo di dire addio a Sorrow: ora doveva fare altro.
“E così Ash torna qui oggi?”, chiese Clelia, tutta felice nel pensare di vedere la ragazza.
“Dovrebbe. Harold è andato stamattina a guardare Devon, il piccolo Completo”, la informò Joel. “Dmitri come sta?”.
“Benone. Un pomeriggio al Lightness a farsi sistemare in fianco e ora è tutto a posto, anche con le costole”, sorrise la rossa, pensando al suo ragazzo. “Vuole portarmi a festeggiare, domani sera. Sai… al Sedna”.
“Wow… un bagno nel mare sotto la luna piena?”, chiese Joel, immaginandosi i due rincorrersi come al solito mentre si tiravano la sabbia sotto la luce bianca del satellite.
“Sì, sarà meraviglioso”, sorrise sognante Clelia, mentre arrivavano al punto di partenza. “Oh, siamo già qui”.
“Anche noi!”, piombò una voce dietro di loro. Clelia fu travolta da qualcuno e Joel, dietro di lui, vide le facce divertite degli amici di… Ash.
Harold era in fondo al gruppo e lo salutava. Ricambiò il saluto e l’omone se ne andò, lasciandoli soli, per andare a fare il resoconto del test a Seamus, forse.
“Ash!”, la salutò Clelia appena capì che cosa l’aveva afferrata facendola cadere a terra. Si tirò in piedi e guardò curiosa i nuovi arrivati, che erano ancora un po’ sotto shock, forse il paesaggio. “Ciaaao!”.
Ash scoppiò a ridere, come mai nessuno degli Incompleti presenti l’aveva vista fare, e li presentò. “Quelli sono Jared e Shannon, mentre loro sono Tomo e Vicki. Il bimbo è quel gran bel maghetto di Devon”.
“Piacere, Clelia”, rispose la rossa, andando più vicina al bambino. “Sì, ho sentito parlare parecchio di te, sai? Sei stato bravo ieri!”.
Devon le sorrise e mosse le manine verso di lei, con una piccola luce dorata, come un raggio di sole. “Iao… caeli roshi… si”.
Clelia lo guardò confusa, mentre lui le toccava i capelli, divertito. Ash allora andò in suo soccorso. “Gli piace il colore dei tuoi capelli”.
“Ah… lo so, solo questa rompiscatole di Ash dice che sono brutti, sai?”, chiese a Devon, con un sorriso.
“No… bei”, rispose lui, mentre Ash si fingeva offesa.
“Va bè, ma così non vale”, decretò. “E comunque… io devo parlare con te Joel”.
“Oh, ma certo”, disse l’agente, avvicinandosi a lei. “Da soli o possono saperlo tutti?”.
“No, è solo una domanda”, fece la vaga. “Solo… quello che ho trovato a casa mia, il messaggio, è stato l’unico?”.
Clelia si immobilizzò, continuando a guardare Devon e farlo giocare con i suoi capelli, mentre Joel deglutiva.
“No… in verità erano Zoe e Sorrow che se ne occupavano il più delle volte, ma non è stato l’unico messaggio. Credo siano state due o tre le vittime… e queste volte è stato usato solo il loro sangue”, le confessò Joel, mentre Ash tratteneva il fiato.
Se lo aspettava, era tipico di Namel, ma saperlo era un’altra cosa. Dei poveri ragazzi innocenti erano morti solo per causa sua, solo per essere usati come inchiostro.
La rabbia le crebbe ancora di più. “Chi erano?”.
 “Simon Taylor Collins e Lilian Wendy Anderson, per quel che ricordo. Li altri erano solo un caso di Sorrow”, rispose Joel. “Erano studenti dell’Arrant o comunque appena dopo la fine degli studi”.
“Facevano scherzi?”, chiese Ash, stupendo tutti… tranne Clelia.
“Non lo so… bè, non erano i leader dei propri gruppi ma erano ragazzi conosciuti ed amati, questo è sicuro”, pensò l’agente.
“Sta prendendo di mira tutti gli studenti che si comportano come Jade… o come noi”, rifletté Clelia. “Dovete dire alla scuola di alzare le difese, anche sui appena diplomati”.
“E su Clelia e Dmitri”, concluse Ash, mentre la rossa rimase stupita.
“Noi?”.
“Non fare quella faccia, Clelia. Stava per uccidere Dean e lo rifarà appena metterà piede fuori dall’ospedale se vuole. Ma voi non siete al sicuro qui, in questa situazione”, le spiegò Ash.
“Io combatterò”, incrociò le braccia Clelia, come a non sottostare alla decisione della bionda.
“Lo farai… ma per ora ho bisogno di sapere che siate al sicuro”, compromise. “Vi prego”.
L’amica di pensò su, quasi non sicura della promessa di Ash di farla combattere. Sapeva che se avesse potuto, avrebbe rinchiuso tutti i suoi conoscenti in un bunker e avrebbe combattuto da sola. Tutto pur di non far del male alle persone a cui voleva bene.
Ma… ma aveva ragione in fondo. “Okay”.
“Grazie”, sorrise la ragazza.
Devon, intanto, sussultò tra le braccia di Vicki, come se volesse scendere immediatamente. Ash si voltò a vedere che succedeva e tutti si girarono verso il bambino.
“Avanti, Devon, non fare i capricci”, cercò di calmarlo Vicki, senza però risultati. Tomo ridacchiò, parlando di quanto fosse iperattivo quel bambino e scherzando con Shannon, mentre Jared guardava verso l’entrata dell’ Esis.
“E loro chi sono?”, chiese, prendendo il braccio di Ash per farle notare ciò che stava arrivando verso di loro.
Vicki decise di lasciar scendere Devon per terra, sull’erba appena tagliata, e vide con gli altri due figure femminili.
“Zoe, che cavolo st…”, ridacchiò Clelia, mentre Ash s’immobilizzava sul posto.
Aveva sentito parlare di lei. Era quasi la fotocopia di sua cugina, soprattutto nei movimenti. Ed era sua cugina, solo non la stessa.
“Jo”.
 
Seduta su una poltrona bordeaux, Jo stava muovendo le gambe, in silenzio, come tutte le bambine di cinque anni che si rispettino. Jade era bionda di capelli, con gli occhi marroni e il viso spigoloso, mentre Jo aveva i capelli molto più chiari, quasi argentei, e gli occhi grigi-rosati. La sua pelle era pallida, al contrario dell’abbronzato di Jade, ma le forme del corpo del viso erano identiche, sebbene Jo fosse ancora una bambina.
Ash sapeva della sua esistenza, l’aveva scoperto dopo il primo anno all’Arrant, ma non l’aveva mai conosciuta.
“Come ti chiami?”, chiese Vicki, sorridente, con in braccio Devon. Lo muoveva, facendolo giocare un po’ a cavalluccio, e Jo li guardava ammirata, anche se tutti guardavano lei.
“Jo”, disse la bambina, con un tono divertito. Aveva una voce molto simile a quella di Jade: decisa, né bassa né alta, sicura di sé. “Joanie Kady Denver”.
Kady… Jade amava quel nome, voleva darlo a sua figlia.
“Sai chi è lei?”, chiese Tomo, indicando Ash. La ragazza lo guardò scioccata, ma non disse nulla. Sperava che Jo sapesse della sua esistenza, ma non era sicura che la bimba la riconoscesse.
“Zoe mi ha detto che si chiama Ash ed è mia cugina”, rispose semplicemente Jo.
Tomo annuì, per poi dare la parola a Joel, che si era sporto verso la bambina.
“Ti hanno mai parlato prima di lei?”, domandò.
Jo ci pensò un attimo, quasi per ricordarsi di qualcosa, e mise l’indice sinistro contro le labbra. Clelia sorrise a quel gesto, ma poi la gioia sparì dal suo viso.
Un secondo dopo Ash capì il perché.
“No”, rispose Jo, senza aggiungere altro.
Tutti rimasero zitti, come se avesse detto che sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale, e gli sguardi dei presenti ballavano tra la bimba e la ragazza, cercando di vedere delle differenze.
Ma Jo continuava a dondolare le gambe, non rendendosi conto della dura verità, mentre Ash era immobile, con lo sguardo basso e perso nel vuoto, senza dire una parola.
Sono stata cancellata, pensò, quasi con le lacrime agli occhi. Mi hanno cancellato definitivamente.
Si alzò, con una forza quasi inaudita, e scappò fuori dalla stanza, per non piangere in pubblico.
Nessuno la seguì. Forse perché Clelia aveva visto tra i suoi pensieri che non desiderava compagnia.
Voleva solo scappare, o stare da sola. Anche solo per poco.
 
“Tornerà”, disse Clelia, fermando Jared dal seguire la bionda. “E’ solo lo schock del momento. Quindici minuti e ritorna”.
“Ne sei sicura?”, chiese Jared, guardandola scettico.
“Talmente sicura, Jared Joseph Leto, da poter farti capire che dovresti credermi invece di dubitare”, alzò un sopracciglio scuro, facendo sgranare gli occhi a Jared.
“Ma che…?”, cominciò lui.
“Sa leggere i pensieri”, la finì Zoe, quasi annoiata. “Per questo sa che Ash vuole tornare”.
“E sa che io sono vicino”, scoppiò a ridere… nessuno dei presenti, per quello che Jared poteva vedere.
Si girò verso Shannon, ma lui si stava guardando in giro come Tomo e Vicki, per capire di chi fosse la voce. Poi una risata, e qualcosa cadde dietro di loro, come un ombra.
“Dmitri, piacere”, atterrò un ragazzo, stringendo loro la mano e poi andando dietro Clelia, per prenderle la mano. “Buongiorno, tesoro”.
Lei si voltò e lo fece abbassare, per baciarlo sulle labbra, leggermente, come per salutarlo e rispondere alle sue parole.
Jo li guardava sorridente, come facevano tutte le bambine con i film romantici, alla fine. Zoe, invece, si voltò dall’altra parte, nervosa.
“Ho ragione? Un quarto d’ora?”, chiese Clelia a Dmitri, come se stesse scherzando. Lui chiuse gli occhi per qualche secondo e poi li riaprì, facendo una smorfia.
Scompigliò i rossi capelli tinti di Clelia e ridacchiò. “Ho visto solo che l’orologio del capellone avrebbe segnato le cinque meno dieci”, rispose Dmitri.
Tomo, sentendosi chiamato in causa, guardò il suo orologio e notò che erano le quattro e trentanove. “Ok, hai visto male. Sono le…”.
“Ho visto nel futuro, è diverso”, schioccò la lingua Dmitri, per poi sorridere. Si girò verso quella che quindi doveva essere la sua ragazza e la guardò come per prenderla in giro. “Meno di un quarto d’ora”.
“Pignolo”, commentò Clelia, mentre Dmitri si perdeva con lo sguardo, facendo voltare tutti verso di sé.
Così non si accorsero di alcuni passi che si avvicinavano di nuovo, incerti, e capirono solo quando lui tornò nel presente e si voltò verso la porta.
“Sei tornata prima… e anche più presto di quanto mi aspettassi”, urlò.
Tutti i presenti, che ormai guardavano ogni cosa insieme, quasi girandosi contemporaneamente, videro la figura di Ash Connor sulla soglia.
“Facciamo un giro?”, chiese la ragazza, con la voce ancora un po’ spezzata, ma provando a fare un sorriso.
Se proprio non si ricorda di me, vediamo di creare nuovi ricordi, pensò, facendo ricevere il messaggio a Clelia, che sorrise.


...
Note dell'autrice:
mi sono divertita un sacco a scrivere la prima parte, con il covo dei Milicevic e tutto quindi spero che piaccia anche a voi :D
Riguardo ai nomi in lingua... bo mi piace inventare e mi sono piaciuti così.
La parte di Jo... la dovevo ad una persona e sono felie di averla inserita nella mia storia e sarà utile più anvanti. E a propostito di più avanti, nel prossimo capitolo (che vedrò di aggiornare presto visto il ritardo di ora) riguarderà la cittadella.
grazie per aver letto la storia (se vi piace, recensite :D)

alla prossima,Ronnie

 
 
  

   
 
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