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Autore: Notthyrr    19/06/2013    1 recensioni
[Post-Avengers]
Dopo il fallimento a Manhattan, Loki viene riportato ad Asgard e imprigionato. La possibilità di fuga sembra una luce di speranza che può apprestarsi a raggiungere, ma proprio quando tutto sembra andare male si può comprendere quanto in realtà questo male sia niente...
Il Bifrost sbaglia destinazione, Loki e Thor ancora divisi, su mondi diversi e senza un ricordo.
Sembra siano destinati a non ricongiungersi mai...
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cuore di Ghiaccio


Freddo. Perché era così freddo? Anzi, per meglio domandarsi: si chiamava davvero così quella strana sensazione che lo obbligava a tremare come una foglia al vento? Era quella candida e soffice sostanza su cui si era risvegliato a trasmettergli una tale sensazione di gelo?
Ancora intontito, alzò il viso e un nuovo brivido di freddo lo attraversò. Gli occhi ridotti a due fessure, ancora abbagliati da una luce che si era spenta, mescolavano lo scenario in macchie bianche e blu. E grigie. C’era così tanto grigio…
Puntellandosi sui gomiti, le braccia che tremavano per il freddo e per la debolezza, riuscì a mettersi a sedere e si accorse di avere il volto bagnato: i batuffoli cosparsi sul terreno dovevano essersi sciolti sotto il calore del suo corpo e gli avevano inumidito le guance. Se le deterse con la manica della tunica che indossava: era sbrindellata verso il fondo e gli arrivava appena sotto il gomito. Non che si ricordasse di aver mai indossato altro, eppure ‒lo capiva da solo ‒, quella veste era troppo leggera per quel luogo. Seduto da solo in mezzo a quella distesa bianca, i suoi occhi cominciarono a  mettere a fuoco lo scenario tetro e spento di alcune montagne e di costruzioni di pietra scura. La testa gli doleva un po’ e, abbassando lo sguardo sulla sostanza fredda sotto di lui, vide che era macchiata di rosso. Incuriosito, tese le dita e le intinse nel vermiglio, portandosele poi davanti agli occhi per vederci meglio. Annusò la vischiosa sostanza che gli aveva sporcato le dita e storse il naso, per poi affondare nuovamente la mano nel fresco candore e ripulirla. Il bianco andò a imbrinargli la pelle blu e s’insinuò sotto le unghie nere. Qualcosa, in un qualche recesso della sua mente, lo stava mettendo in guardia, lo stava implorando di studiare con più attenzione quel colorito che, però, ai suoi occhi che altro non ricordavano di aver visto, pareva naturale.
Quando tentò per la prima volta d’alzarsi, la testa gli diede un capogiro e avvertì una lancinante fitta attraverso la nuca: ricadendo sulle ginocchia, tastò la zona dolorante con la mano, scoprendola poi ricoperta della solita sostanza rossa. Capì di aver quindi battuto la testa e che quello doveva essere il suo sangue; quello che, però, non comprendeva e tantomeno ricordava era come fosse accaduto e da dove fosse precipitato.
Il secondo tentativo ebbe maggior successo e le sue gambe magroline riuscirono a sostenerlo e a farlo arrancare sino a una sporgenza rocciosa, contro la quale si abbandonò.
Faceva molta fatica a sollevare i piedi da terra: essi, infatti, restavano piantati nella neve alta e ogni passo gli costava un dispendio di energie a dir poco considerevole; energie, che lui non aveva, né, nel bel mezzo di quel nulla, aveva idea di come recuperare.
Il silenzio era totale, rotto di tanto in tanto dal rumore dei batuffoli bianchi che lui sollevava e che ricadevano sul manto candido, andando a mescolarsi a tutti gli altri. Si spaventò molto, infatti, quando un suono grottesco gli rimbombò nelle orecchie, facendosi sentire attraverso di lui. Con lo stomaco che pareva volerlo addentare dall’interno, si fermò guardandosi spaventato intorno, finché il rumore si ripresentò. Con orecchio un po’ più attento e tentando di seguirlo per giungerne all’origine, si rese conto che proveniva da lui stesso e si osservò perplesso il torace: dentro di lui pareva agitarsi il potere di un tuono ‒il tuono… se lo ricordava! Per lo meno, credeva di averne sentito uno… da qualche parte… seguendo una scarica di luce che tagliava il cielo in due ‒e s’immaginò di finirne folgorato. Invece, nulla accadde; solo, lo stomaco continuava a gorgogliare.
Non poteva definire dolore quella sensazione, piuttosto una mancanza. Sentiva il bisogno, l’istinto animale di mettere qualcosa sotto i denti, eppure, attorno a lui non c’era niente, se non la neve. Valutò per qualche istante l’idea di affondarvi le dita e di portarsela alla bocca, ma il ricordo del gelo che gli aveva trasmesso ‒probabilmente il primo da quando era stato sputato dal cielo o partorito dalla terra ‒, lo trattenne dal commettere quel gesto.
Oltretutto, si accorse anche che i batuffoli che vedeva al suolo erano cominciati a scendere dal cielo terso di nubi grigiastre e questo bastò a distrarlo: come un bambino che per la prima volta vede un fiocco di neve volteggiare nell’aria per poi posarsi con grazia a terra, alzò il capo al cielo, gli occhi che gli s’incrociavano mentre cercava di seguirne uno che gli s’andò a posare sul naso, facendolo starnutire.
Improvvisamente sollevato da quella vista, come se il silenzio e la tranquillità della neve che scendeva delicata fossero riusciti a penetrare in quel suo cuore in subbuglio, le sue labbra s’incresparono in un sorriso sereno e, le gambe finalmente più leggere, cominciò a rincorrere i cristalli perfetti che calavano dall’alto e gl’imbiancavano i capelli fino a che, nel momento in cui si volse per tentare di afferrarne uno, urtò contro qualcosa che non era roccia e finì per cadere seduto, affondando nella neve.
Intontito per il colpo, avanzò a carponi per potersi volgere a guardare cosa l’avesse mandato a terra: si spaventò alquanto quando si accorse di essersi scontrato con qualcosa di vivo che lo stava guardando minaccioso con un paio di fiammeggianti occhi scarlatti. Non solo: al suo fianco, intravide altre quattro creature simili, esseri molto alti e dalla pelle blu come la sua, che lo scrutavano come una bestia strana.
Sprofondando nella neve fresca, si domandò perché fosse oggetto del loro interesse, quando, per quanto aveva visto di sé, credeva di somigliar loro così tanto.
La risposta giunse da sé nel momento in cui la creatura che più gli era vicina lo sollevò con malagrazia, strattonandolo per un braccio: in piedi, faticava ad arrivargli alle spalle.
«Chi sei?» grugnì l’essere, piantando nei suoi quegli occhi color del sangue.
Lui non rispose. Nella sua testa, la domanda risuonava, vuota di significato. Probabilmente aveva compreso quello che il suo simile gli aveva chiesto; fatto stava, però, che fosse il primo a non saper cosa replicare. Oltretutto, la sua lingua era talmente impastata, i suoi pensieri così congelati dal freddo, che faticava a ricordarsi persino come si facesse a parlare.
Si limitò a fissare a sua volta quell’individuo, il cui volto era solcato da strani segni curvilinei. Si portò d’istinto una mano alle guance per constatare se anche il suo fosse segnato da tali linee, ma non ne incontrò, se non un piccolo accenno sulla fronte. Muovendosi, alcuni fili corvini gli scivolarono lungo le tempie e sul viso e lui, incuriosito levò gli occhi verso l’alto, cercando di capire da dove provenissero, poi la creatura lo scosse di nuovo e la paura che, come un infante che non è in grado di concentrarsi su due cose al contempo, aveva rimosso ritornò a opprimergli il petto.
«Allora?» lo incalzò. «Da dove vieni?»
Mosse le labbra e deglutì, poi aprì appena la bocca e uno sbuffo di vapore si condensò davanti ai suoi occhi: «Da…» riuscì ad articolare. L’essere inarcò un sopracciglio, forse convinto che lo stesse prendendo in giro. «… dove vengo?» la sua voce era impastata, ma le parole furono pressoché comprensibili. Scosse il capo e lo abbandonò sulla spalla destra, dove altri fili scuri catturarono la sua attenzione. Si rese conto che scendevano come una cascata dal suo capo e si sorprese alquanto nel constatare che i crani degli esseri di fronte a lui erano glabri, completamente privi di capelli.
«Se non ti decidi a parlare da solo, probabilmente saranno le torture a convincerti.»
«Tor…» aggrottò la fronte, improvvisamente confuso, poi tutto passò e il suo volto si distese di nuovo. «… ture?»
«Se è quello che vuoi tu…»
«Io…»
Spazientita, la creatura si volse verso i suoi simili e lo indicò con il pollice: «Questo è perso, lasciamolo qui.»
«Io non lo so!» proruppe quindi, completando quella frase lasciata a metà. Il suo fu quasi un urlo in quel silenzio, uno strepito, uno sfogo. «Se è un nome che volete… Beh, io non lo so!»
«Da dove vieni?» ripeté il suo interlocutore, che sospirò non appena lo video scuotere nuovamente la testa.
«Dalla neve.»
«Dalla neve.» ripeté scettica la creatura. Poi, vedendo annuire l’altro, s’avvide della ferita sulla sua nuca.
«Ha sbattuto la testa…» commentò, rivolto agli altri che, per quanto alto potesse essere il loro interesse, non superava certo quello del diretto interessato, che pareva saperne di sé ancora meno di quanto ne sapevano quegli esseri. «Deve aver dimenticato… tutto
«Quindi la questione non si pone…» intervenne un altro con fare seccato. «Andiamo, o faremo tardi a cena. Magari stasera quello spilorcio del re dà da mangiare qualcosa di commestibile.»
«Sì, ma… costui…»
«Cos’è? Non ti torna che sia alto un metro e niente?» ridacchiò l’altro, al che l’oggetto del discorso assunse un’espressione imbronciata. «Oh, allora capisci…» mormorò poi, fingendosi dispiaciuto.
«Non lo so, ma qualcosa mi dice che Byleistr non sarebbe felice se venisse a scoprire che lo abbiamo lasciato libero. Dopotutto, non ha ricordi: potrebbe fare qualsiasi cosa. E non sappiamo da dove proviene
«L’hai sentito, no? Lui viene dalla neve!» lo arrise un terzo.
«Poco m’importa.» capitolò il primo essere che aveva parlato. Slacciò la corda che gli teneva la tunica stretta ai fianchi e, prima che questi potesse reagire, la strinse attorno ai polsi dell’oggetto della loro conversazione.
Senza capire, questi rimase a fissarlo per qualche secondo, poi, a uno strattone, si trovò costretto a camminare al loro seguito; ovunque lo stessero portando,; chiunque fossero loro; chiunque fosse lui.

 

Now who’s the one
Who’s Lost and Lonely?

 




Note: Sì, ho deciso di postare anche il terzo capitolo. No, non è bello per niente. Sì, lo so che i miei deliri non interessano a nessuno. Ammetto che è stato arduo scrivere due A4 e mezzo senza mettere nemmeno un soggetto... Spero proprio che la descrizione iniziale non sia stata mortale per nessuno.
La canzone, ancora dei The Rasmus, è Lost and Lonely, tra le mie preferite.
Al prossimo capitolo,
~Notthyrr

  
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