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Autore: coldcoffee    20/06/2013    5 recensioni
– Tratto dalla storia –
«Harry!» esclamai mentre salivo in macchina. «Piantala, per piacere. Niall si è beccato un fottuto proiettile per me. Forse sarei morta, capisci? So che non ti piace molto, ma mi ha salvato la vita. Ed è sempre stato gentile con la sottoscritta, anche al liceo. Quindi lo voglio nella mia vita. Non pretendo che ti vada a genio, ma dovete smetterla di litigare per me! Anche perché non so nemmeno chi cazzo sono, tra un po'. Questa storia della memoria è frustrante. Vorrei tanto capirci qualcosa, porca troia. E, tanto per la cronaca, anche lui avrà la sua occasione.»
«Nemmeno per me è piacevole. Lo sai quanto ci sto male? Il colpo che mi hai fatto prendere quando ho trovato la tua fottuta lettera, eh? Ero distrutto! Te ne sei andata così come sei entrata nella mia vita, per caso. Poi sono venuto in quel quartiere schifoso, sono stato scortato dalla polizia, ho preso a pugni tuo padre per cosa? Niente. Non ricordi niente. Come cazzo faccio io? Dimmelo, perché non ci arrivo. Cathe, io ti amo.»
Non gli diedi il tempo di dire altro.
Scesi dall'auto subito e corsi via.
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Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“sì, insomma, lavori o studi?”
“no, beh, non studio. Facevo schifo a scuola, ero pessimo”
“addirittura?”
“sì, fidati, non riuscivo a concentrarmi”
“ma ti sei diplomato?”
“no. Ho smesso in terza superiore”
“i tuoi te l’hanno permesso?”
“io … non ho genitori”
“cazzo, scusami. Mi dispiace”
“non potevi saperlo, va bene.”
“io è come se non gli avessi”
“perché?”
“non chiedere, non gradisco queste domande”
“ah. Comunque io lavoro in una biblioteca”
“sul serio?”
“sì, lo so, non sono il tipo”
“a vederti sembreresti più un modello, che un lettore accanito” dissi percorrendo con gli occhi tutta la immensa figura.
 
“è un complimento?”
“immagino di sì”
“allora grazie”
“non c’è di che”

Notai che avevamo finito il tè, allora decisi di appoggiare le due tazze vicino all’acquaio, in modo che non cadessero, visto la mia maldestra abilità con le cose fragili.
 
“posso chiedere come ci sei finito, in una biblioteca?”
“è difficile da spiegare, cercavo lavoro e, d’un tratto, ho capito che lì era perfetto”
“ma leggi?”
“sì. Da quando mio nonno è morto.”
“ma che è successo alla tua famiglia?”
“i miei sono morti in un incidente d’auto. Io, miracolosamente, sono sopravvissuto. Da quel momento mio nonno mi ha cresciuto, avevo 10 anni. Poi se n’è andato e io sono rimasto solo. Completamente solo.”
“Dio, è una cosa tremenda”
“odio stare solo.”
“io invece lo adoro”
“beh, quando sono solo mi capitano cose strane”
“che tipo di cose?”
 
In quel momento il suo iPhone squillò e lui fu costretto ad allontanarsi per rispondere. Pensavo di essere sfigata, con tutto quello che mi era successo, ma in realtà non lo ero. Vedevo nei suoi occhi il bisogno di qualcuno con sé. Non che lo proteggesse, ma da proteggere.
 
“Cathe, devo andare”
“sì, va bene”
“ciao”
“ciao”
 
Prima di uscire, mi mandò uno sguardo dolce, che mi infuse tranquillità, accompagnato da un mezzo sorriso. Ma leggevo nei suoi occhi che quella era una maschera che nascondeva sentimenti di odio e rancore, ma che cercava di soffocare dentro di lui.
Leggevo bene le persone, mi bastava poco per capire che pensavano, ma con lui non ci riuscivo. Aveva un trama complicata, con una copertina banale. Tanto per restare in tema di libri.
 
[…]
 
“buongiorno Josh”
“oh, Cathe, come butta?”
“piove da fare schifo, là fuori”
“siamo in Inghilterra, che ti aspetti?”
“hai ragione”
“io ho sempre ragione, bellezza”
 
Josh era un mio collega, avevamo iniziato insieme a lavorare. Era un po’ protettivo nei miei confronti.
Non lo definivo un “amico”, io non chiamavo nessuno così.
“tesoro, vieni in cassa un attimo?”
“arrivo, metto il cartellino”
[…]
 
La pioggia stava cessando, un fievole raggio di sole veniva fuori da dietro una nuvola grigiastra, creando giochi di luce sulle macchine posteggiate in un’ordinata fila al lato del marciapiede.
Presi la solita metropolitana che tutti i giorni utilizzavo, ma, a causa di un guasto tecnico, quest’ultima si fermò con un colpo secco, facendo tremolare tutte le luci.
Io soffrivo di claustrofobia solo quando andavo nel panico. Quindi cercai di distrarmi aprendo il cellulare.
C’era un messaggio.
 
<< ehi, sono Harry. Senti, sono andato via in maniera fredda, scusa. Posso passare da te alle 18:00? >>
 
Risposi. Talmente ero presa dalla sua storia, che mi dimenticai che avevo giurato a me stessa di non uscire con sconosciuti. Ma ormai era tardi, avevo premuto “invio”.
 
<< va bene. Ora sono bloccata nella metro, spero di non morire qua. >>
 
<< macché. Sei claustrofobica? >>
 
<< solo se ho paura, colpa della mia stupida infanzia >>
 
<< non ti succederà niente, te lo prometto. Vedrai che tra poco ripartirà. >>
 
<< ecco, si sta muovendo. >>

<< visto? Respira. >>
 
 
Come diavolo faceva a tranquillizzarmi? Nessuno ci era mai riuscito.
Per fortuna il guasto fu riparato in solo 10 minuti ed arrivai a casa per le 17:17 precise. Lanciai la borsa sul divano, per poi gettare, uno ad uno, gli indumenti che avevo addosso sul pavimento. Erano sudati.
Io non mi definivo “bella”, “attraente”, “carina”, o chissà che. Ero solo io. Da sempre.
Ero la tipica ragazza mediterranea, scura di capelli e di occhi. Niente di particolare. Anzi, ero banale.
Il tipo che nessuno nota, che passa inosservata.
Mi vestii, accendendo la radio. Passava in rassegna “just give me a reason” di Pink.
Davvero una bella canzone, mi piaceva. Ma non ero un tipo che si fissava con i cantanti, ciò che osservavo erano i testi e perché erano stati scritti.
 
[…]
 
Sentii bussare alla porta.
 
“Cathe? Ci sei?”
“sì, arrivo”
 
Dissi inciampando nelle pantofole ed aggrappandomi al divano per non cadere.
 
“ecco”
“ciao”
“ciao. Come stai bene”
“grazie, anche tu.”
“ti sei ripresa dallo shock della metro?”
“un pochino”
“è passata. Usciamo?”
“Immagino di sì, a questo punto”
“Bene, insomma, ti porto in un posto speciale”

----- continua -----

   
 
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