Ayios si difese dall’ennesimo colpo di spada di un suo rivale portando davanti al viso il grande e pesante scudo di bronzo.
Le forze cominciavano a venire meno e i soldati ateniesi erano affaticati e appesantiti dall’imponente armatura che indossavano. Tuttavia sembravano avere la meglio sui tanto temuti Persiani che, fortunatamente, non contavano poi così tanto sulla cavalleria come si era detto.
I corpi dei nemici sostavano riversi nella polvere mentre il sangue sgorgava dalle ferite macchiando indelebilmente la piana e gli animi degli assassini.
Ayios aveva ucciso due uomini fino a quel momento, e ne aveva feriti tre, che ora agonizzavano dolorosamente tra i compagni.
Ma i loro lamenti sembravano sovrastare quelli degli altri, almeno alle orecchie dell’ uomo, che osservando la punta della sua spada macchiata del sangue nemico, non poteva fare altro che sentirsi un vile assassino.
L’entusiasmo di pochi minuti prima era scomparso lasciando il posto ad un grande vuoto, che in parte era stato occupato da quell’enorme macigno che molti chiamavano “senso di colpa”.
Ma perché per ottenere la pace c’era bisono di uccidere? Se lo era domandato molte volte Ayios durante la battaglia ma ancora non aveva trovato risposta a questa domanda assurda. Già, assurda, perché gli veniva alla mente solo adesso, mentre mai se l’era posta nelle guerre passate.
E quando la sua lama trafisse un uomo che aveva davanti il sentimento che provava si fece pericolosamente più concreto. Quel guerriero che aveva appena colpito poteva avere sì e no la sua età. Magari a casa, in Persia, alla corte del re Dario, lo aspettavano una moglie e dei bambini. Magari tutti gli abitanti del paesino da cui proveniva si stavano preparando a festeggiarlo come vincitore. Forse era stato costretto a combattere quando non avrebbe voluto. Magari fino al giorno prima era stato l’uomo più felice della terra e adesso lui, Ayios, oplita greco, aveva sgretolato in finissimi pezzi il ricordo che rimaneva di quella felicità ormai perduta.
Sostenne lo sguardo dell’uomo mentre cadeva a terra e si accasciava senza vita ai suoi piedi. Sentì il suo respiro fermarsi ed i suoi occhi brillanti in un attimo furono opachi.
Provò il suo stesso dolore quando estrasse la spada dal corpo ormai immobile.
Un nemico era morto, avrebbe dovuto esultare!
E invece non si sentì nient’altro che un mostro, uno sporco assassino. Si maledisse e strinse i pugni fino a farsi male per la rabbia. Si guardò intorno e vide ovunque morte e distruzione.
Continuava a sperare di vincere la battaglia, era ovvio.
Ma adesso era diverso perché viveva questo desiderio come un atto di grande egoismo. Un altro cadavere cadde inerme ai suoi piedi, gli occhi spalancati rivolti al cielo.
L’intenso stridio del metallo delle armi che si scontrano divenne insopportabile.
Implorò gli dei che lo scontro terminasse all’istante, qualunque fosse il suo esito. Ebbe l’impressione che il mondo dovesse crollargli addosso tutto insieme.
Cadde a terra, in ginocchio.
E pianse.



Buonasera :)
Volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto questo e i capitoli precedenti e in particolare chi ha lasciato recensioni!!
Al prossimo capitolo
Sophie :D