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Autore: onlydreams    20/06/2013    4 recensioni
STORIA RISCRITTA DAL PRINCIPIO!
Una storia che ormai si è lasciata andare alle spalle torna prepotente nelle veci dei loro corrispettivi figli: Crhistine e Josh. Fin da subito attratti l’un dall’altro, legati inconsapevolmente. Ciò che non sanno è che il loro amore non è altro che il ripetersi di una storia terminata molti anni prima dai loro genitori.
Scopriranno con amarezza che il passato tende spesso a ritornare nel luogo in cui era finito, ignari di ciò che li unisce. Scopriranno come sia cattivo il fato nel fargli vivere le stesse emozioni,nello stesso contesto di un passato ormai trascorso.
DAL CAP
< Buongiorno Sono Josh Somerhalder e vi darò tutte le dritte per raggiungere gli obiettivi prefissati da questo corso e superarlo. Voglio precisare una cosa non accetto favoritismi di nessun genere. > La sua voce assottigliata, declinava a quelle che lo stavano già puntando, la possibilità di passare una notte con lui in cambio di un punteggio alto, ma lasciava anche intendere che fosse stato propenso a qualche notte di puro divertimento ma senza ripercussioni.
Non c'era nessun punto di sospensione nella sua frase, né nessuna forma di indugio nella sua voce.
Genere: Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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L'amante






 

Quello era il centesimo starnuto che facevo, ma nello stesso momento era la centesima maledizione che urlavo contro i muri, sperando di riuscire a battere quelle barriere affinché le mie imprecazioni potessero colpirlo.

E in qualche modo era impossibile  non ritrovarmi ad imprecare contro di lui, che in galanteria faceva rabbrividire, non aveva nemmeno avuto la cortesia di svegliarmi, si era volatilizzato codardamente nello stesso modo in cui ci aveva fatto chiudere dentro, fingendo ai miei occhi indifferenza  e un totale disinteresse alla situazione.

Poteva anche trattarsi di un miraggio giocato dalla spossatezza e dalla volontà di fare qualche ora di sonno, ma avevo notato, come la mia entrata all'università a differenza delle altre volte in cui l'avevo varcata, avesse attirato l'attenzione di tutti, che in modo sincronizzato si erano voltati a fissarmi  e anche per chi aveva altro per la testa veniva invogliato dagli altri a dedicarmi fin troppa attenzione.

Mi sentii quasi una star, una star non sotto i riflettori ma dentro un turbine di pettegolezzi.
Fino a quando non incrociai tra tutti quegli sguardi il volto di Taylor, così decisi di ignorare i visi che mi circondavano per raggiungerla.

< Sola? Caryin? > Domandai continuando a camminare.

< Non c'è >

< Non... senti un leggero ronzio? >  Proruppe all'improvviso guardandosi intorno, simulando indifferenza con un leggero tossicchio abbassando e alzando gli occhi più volte, lasciando intuire quanti sguardi si fossero posati su di noi, in particolare su di me, che dopo avermi lanciato qualche sguardo maligno continuavano a confabulare.

Inarcai le sopracciglia verso l'alto abbozzando una smorfia di scetticità, questa non era la stagione delle mosche o forse in realtà, non esisteva nemmeno una stagione prestabilita.

< No... fortunatamente le mosche hanno smesso di torturarmi molto tempo fa > Replicai pacata roteando gli occhi, fingendomi sollevata.

< Scema.. lo sai di che parlo > Mi schernì dandomi una leggera spinta.

< Stavo cercando di ironizzare. > Mi difesi corrucciando le labbra fingendomi offesa, passando una mano nella parte lesa come se la sua mano mi avesse fatto veramente male.

< Sai anche il perchè sono il loro oggetto del desiderio? > Aggiunsi sussurrando, guardandola indispettita da tutta questa attenzione.

< Sì, parlano di una presunta notte di passione tra te e il professore playboy > Affermò con nonchalance quasi incredula e divertita dalla storiella che le persone annoiate e senza una loro vita privata erano riuscite ad inventare, quando incrociando il mio viso quasi accondiscendente a quelle che lei, aveva appena giudicate noiose la sua espressione tramutò in terrore.

Il sorriso mi morì nelle labbra.

Impulsivamente mi bloccai sul posto mentre una mano si posava sulle mie labbra per smorzare quello che era un viso in preda ad uno shock e questa mia espressione fu più che sufficiente per sostituire quelle brevi parole che avrei utilizzato per spiegare l'intera situazione.

Il mio silenzio per Taylor equivalse ad una conferma, mi conosceva, sapeva che di fronte ad una critica o qualche pettegolezzo falso smentivo imperterrita, si fermò bloccandomi per un braccio cercando la verità nei miei occhi.

< Mi sono persa qualcosa? > Domandò lasciando che il suo volto serio e preoccupato facesse da testimonianza all'ansia che vigeva sul suo viso

< Sì. - Sibilai - Tranquilla niente a che fare con la notte di passione, ti spiegherò dopo – Continuai consapevole che avrei dovuto dare diverse spiegazioni >




*****



 

Respira.

Non c'era nulla da temere a parte una leggera sensazione che mi induceva a pensare che  questa situazione alla fine sarebbe sfuggita via dalle mie mani, ma in fondo non c'era nulla di cui meravigliarsi, lui aveva la possibilità di confermarmi quanto meschino potesse essere o darmi una smentita, dimostrandomi che fosse in grado di dividere la vita privata da quella lavorativa.
Presi un profondo respiro e ignorando i diversi sguardi che si erano posati su di me mi avvicinai a lui.

Istintivamente, come se avesse sentito la mia ombra su di se, alzò gli occhi verso di me, inizialmente chini su un libro di letteratura antica, che si premurò di chiudere, e incitarmi con il movimento degli occhi a prendere posto di fronte a lui, così seguii quel consiglio.

< L'amante di Marguerite Duras > Proruppe simulando indifferenza, accavallando una gamba sopra l'altra e le sue labbra ne smentirono l'intenzione quando si schiusero in un sorriso divertito.

La sua richiesta non poté che attirare non solo la mia attenzione, che in seguito alle sue parole avevo spalancato gli occhi, maledicendolo in lingue che non mi appartenevano mentre percepivo il mio viso colorarsi  dei colori più bizzarri di un arcobaleno, dal verde che indicava la mia ira nei suoi confronti al rosso, per la vergogna di quello che i presenti potevano dedurre dalle sue parole e che adesso pazientemente aspettavano una mia replica.

Questa non era un'interrogazione.

Ero consapevole che la mia risposta secca e decisa sarebbe stata decisiva per questa valutazione finale, ma questa in realtà, non poteva considerarsi una prova scolastica, la mia risposta era una conseguenza al suo intento di prendersi qualche sorta di rivincita nei miei  confronti.

< Non c'è molto da dire. Si incontrano. Si innamorano. Fine della storia > Sentenziai stizzita, evitando discorsi espansivi sulla vera trama del romanzo.

< Davvero? -  Proruppe simulando curiosità con lo sguardo - Eppure ricordavo diverse notti di passione - Aggiunse smentendomi, dando l'aria di uno che era appena caduto dalle nuvole, propenso ad ascoltare qualcosa che lo potesse illuminare. >

Strinsi i pugni.

Mi stava davvero chiedendo di scendere nei particolari?

Potevo perfino percepire l'ansia di chi mi stava circondando, magari insultandomi anche nei loro pensieri, attendendo pazientemente qualche mia risposta che accondiscendesse le sue affermazioni allusive.

Infastidita dall'intero contesto mi voltai  fulminea verso quei visi posati su di me, che percependo l'ira nei miei occhi si voltarono dal lato opposto, fingendo di dedicarsi ad altro.

< é l'inconscio - Inventai al momento - La protagonista agisce  in modo irrazionale - Continuai a difendere una tesi appena inventata >

Mi bloccò, prendendo la parola non per contraddirmi ma per fare della mia teoria un modo per ribaltare la situazione a suo piacimento.

< Molte sono le cose che un uomo o una donna compiono inconsciamente, a volte è semplicemente l'espressione di un desiderio represso, come  è visibile nel romanzo.  > Riprese prontamente come se qualche minuto prima, quando avevo appena iniziato ad esporre la mia tesi lui aveva già progettato questo stacco per prendere parola, aspettava solo il momento opportuno. Perchè questa situazione era pressoché simile ad uno scambio di opinioni divergenti piuttosto che l'esposizione di una tesi.

La sua finta spontaneità nel parlare scomparve subito, lasciandosi andare ad un sorriso laterale, una smorfia che lasciava intendere la sua curiosità nell'attendere pazientemente una mia possibile crisi isterica.

E la sua affermazione non poté che attirare l'attenzione dei presenti che in un gesto perfettamente sincronizzato si voltarono in direzione del nostro tavolino, scrutandoci con gli occhi dilatati, svogliati nel portare a termine tanto duro lavoro, più propensi invece  a cercare quella smorfia o parola adatta che fosse prova di quelle voci di corridoio in relazione alla sera precedente.

Assottigliai gli occhi invitandolo a zittirsi, non volevo diventare lo zimbello di tutti, odiavo l'idea che la gente che mi passava accanto mi scambiasse per una facile, per una che vendeva la propria dignità solo perchè vuole sentirsi orgogliosa nell'uscire con il massimo dei voti.

Ma lui continuava a scambiare i miei sguardi, indifferente.

Era palese.

Solo dopo compresi che quella breve pausa non fosse una semplice casualità, anche quello era un dettaglio calcolato, anche lui come me, era bloccato in quel turbine di voci e chiacchiere eppure sembrava non infastidirlo minimamente, anzi, si era ritorto la situazione a suo piacimento.

< Farsi prendere da terminate emozioni. Rabbia, rancore sono anche queste condizionate dall'inconscio ? > Sbraitai fingendo tranquillità stringendo i pugni sotto il tavolo, abbozzando un'aria di ripicca tipica di una persona che non si faceva intimorire dai suoi giochetti.

E trovai la reazione che cercavo.

Digrignò i denti, lasciando che le sue sopracciglia inarcate e gli occhi limpidi si infuocassero nei miei, mostrando interesse d'ascolto con la sua mano che tamburellava decisa sul tavolo di fronte a me, non cessando di fissarmi.

Era il gioco della debolezza.

Entrambi ci ricoprivamo di frecciatine, le quali erano sentimenti e debolezze personali e chi esagerava non moderando i termini, veniva decretato vincitore di un gioco in cui venivamo stuzzicati o feriti a prescindere se ricoprivamo il ruolo di perdente o vincente.

Lui decise di giocare un'altra carta, una carta che per quanto gli donasse molteplici punti per quanto riguardava colpire in basso, ne prendeva altri in stronzaggine, aveva utilizzato il ruolo che ricopriva, per riprendersi una rivincita personale, solo perchè io avevo osato difendermi dai suoi attacchi invece di subire come auspicava.

< 18. prendere o lasciare? > Sibilò vittorioso, lasciando intuire quanto la mia affermazione l'avesse toccato nel profondo.

Ero esterrefatta e nello stesso tempo irritata.

Sorrisi.

Ma questo non poteva considerarsi un vero sorriso, era una smorfia irritata, preda del tic nervoso che ormai aveva consumato i miei ultimi neuroni.

Si alzò, con la soddisfazione che faceva da cornice al suo viso, intuendo la mia risposta, non sapendo che in realtà volevo aggiungere qualcos'altro oltre ad una risposta monosillaba.

Questo sotto gli occhi di studenti, professori e assistenti che avevano dimenticato il motivo per il quale si trovavono lì, scambiando quel contesto per una partita di basket alla quale nessuno poteva mancare.  
             
Spostavano gli occhi da una parte all'altra in base a chi parlava, quasi come se ci fosse una telecamera che riprendeva le varie parti, i loro occhi continuavo a muoversi, fino a quando la sua alzata improvvisa da quella sedia e il mio mutismo, equivalse per loro alla decretazione del vincitore, inconsapevoli che il mio silenzio era la sola volontà di non rovinare una media sacrificata e lavorata.

Non potevo stare ferma a rigirarmi i pollici, passeggiando nell'atrio dell'università consapevole di avere gli interi sguardi dell'edificio su di me, circondata dai loro continui vociferi mentre spettegolavano sulla mia vita sessuale con il professore, dosando fin troppo l'immaginazione con scene prive di censure ma che soprattutto non avevo mai vissuto, ma che a quanto pare i loro occhi e le loro orecchie avevano visto e sentito.

Mi sorse un dubbio.

Io dov'ero?

Dov'ero in tutte quelle scene intrise di passione che loro descrivevano quasi con una sorta di eccitazione mentre raccontavano di incontri segreti avvenuti a casa sua e perfino in macchina.
Io non sapevo neanche che macchina avesse quello lì.

Esatto, quello lì, adesso non aveva più un nome, era un perfetto estraneo, certo lo era anche prima, ma adesso era completamente invisibile ai miei occhi.

Non resistetti più e feci ciò che l'istinto mi suggeriva.

Poco importava se lo spogliatoio fosse completamente maschile e la mia irruente entrata avrebbe sconvolto i volti più puri, avevo perso il rispetto verso me stessa ma soprattutto la faccia di fronte a docenti e ragazzi più grandi di me, questa mia figuraccia imminente era una sciocchezza in confronto all'umiliazione ricevuta precedentemente.

Spalancai la porta.

I miei dubbi e tutte quelle possibili scuse che mi sarei trovata costretta ad adottare svanirono nel momento in cui, varcando quella porta mi accorsi che lì c'era solo Josh e in parte, mi sentii sollevata perchè in fondo questa mia irrazionalità avrebbe solamente peggiorato la mia situazione.

Si voltò credendo di trovarsi di fronte un uomo, quando invece resosi conto che in realtà i miei tratti non corrispondevano a quelli di un ragazzo, tramutò la sua espressione in curiosità  e arroganza  come se in fondo si aspettasse questa mia entrata improvvisa.

E guardandolo, le parole mi uscirono spontaneamente, quasi dal cuore aggiungerei.

< Lei è un emerito bastardo > Sibilai stizzita chiudendo la porta avvicinandomi a lui.

Istintivamente alle mie parole si voltò verso di me guardandomi meravigliato ma con la strana consapevolezza disegnata in viso che in fondo si aspettava e meritava quell'insulto, girandosi e continuando a cercare qualcosa dentro il suo armadietto

< Come scusa? > Replicò con una lieve nota di divertimento disegnata sulle sue labbra

< Non lo ripeterò. - Sentenziai con fermezza - Non perchè sono intimorita dal suo ruolo ma perchè temo di andare oltre i miei limiti  - Precisai assottigliando gli occhi sorridendo decisa, temendo che lui potesse scambiare questa mia inversione come una mancanza di coraggio dopo un'affermazione così forte >

< Delusa che stamani non ero lì accanto a lei ? > Beffeggiò dilatando gli occhi fingendosi dispiaciuto per questa enorme mancanza da parte sua, mettendo fine alla sua espressione addolorata con un sorriso arrogante.

Sorrisi di sbieco di fronte a tanta sicurezza.

< Non dico che lei dovesse obbligatoriamente indossare una veste bianca e portarmi in braccio come se fossi una principessa - Asserii roteando gli occhi, sottintendendo quanto le mie pretese sulla sua possibile e a quanto pare inesistente galanteria equivalesse a zero - ma nemmeno lasciarmi lì, da sola, in balia di possibili assassini o pervertiti - Continuai imperterrita pronunciando ogni sua singola mancanza con tono secco e consapevole >

Se avevo un difetto, quello sicuramente era la capacità di ingrandire e appesantire le parole che adoperavo, perchè se c'era qualcosa che mi feriva o in qualche modo mi scalfiva, io volevo essere la prima e l'ultima persona a inferire il colpo di grazia.

Con lo sguardo chino verso il suo armadietto, simulando indifferenza e chinando la testa spazientito in senso di ascolto , con nonchalance e con la presunzione di  farmi sentire scomoda in quella situazione sciolse il nodo della sua cravatta, riponendola senza averne cura lì,  per poi iniziare a sbottonare i primi bottoni della sua camicia.

Arrossii di colpo.

Non potevo certamente negare che l'immagine di lui intento a spogliarsi mi fosse del tutto indifferente, perchè eliminando il contesto e i ruoli che ricoprivamo ero pur sempre una ragazza mentre lui un uomo, che continuava a sbottonare i bottoni, completamente indifferente alla mia presenza che stava assistendo al suo spogliarello imminente.

Con uno scatto improvviso, spazientito dalla mia estenuante parlantina lasciò la presa sulla sua camicia voltandosi verso di me, facendomi sussultare.

< Che cos'è che l'ha ferita? - Sputò in uno scatto di follia sgranando gli occhi - La mia obiettività nel giudicarla di fronte ad una materia o il suo orgoglio che si è appena reso conto di aver fin troppe pretese?! - Sbraitò abbozzando una smorfia di irritazione e i suoi occhi si ingrandirono soddisfatti come se avessero centrato a pieno il bersaglio >

Strinsi i pugni, non riuscivo a capire se a toccarmi nel profondo fossero state queste sue parole o il fatto che ambissi davvero  qualcosa da uno che rivendicava il proprio riscatto personale.
Un suono grossolano simile a quello di uno che pazientemente aspettava dietro quella porta ci destò dalla nostra conversazione, i suoi occhi istintivamente seguirono quel suono scrutandone con sorpresa e quasi con un pizzico di timore i lineamenti di quella porta, seguito a ruota da me, che ne imitai il gesto voltandomi impulsivamente verso di essa, ritornando a fissarlo con trepidazione e ansia.

Condividemmo lo stesso sguardo di preoccupazione,  quando inaspettatamente notai le sue pupille dilatarsi insieme ai suoi occhi che si spalancarono, quasi come se  un improvviso barlume di pazzia gli fosse appena attraversato nella mente.

Istintivamente si affiancò ai lati della porticina di fronte a noi, mentre con uno sguardo ovvio e le mani sollevate verso di essa mi incitò ad entrarvi.

< Non entrerò con lei dentro la doccia > Protestai con le gote arrossate, fissando dapprima la sua mano distesa, utilizzata quasi come una segnaletica stradale, che mi invitava a proseguire quella conversazione costretta e voluta da me, in quello che era l'interno di una doccia, per poi  trovarmi a scrutare il suo volto che mi affrettava nel prendere una scelta.

< Ah certo dimenticavo. - Fece una brevissima pausa - Meglio lasciar credere che una delle migliori studentesse dell'università, per giunta casta, in realtà... -  lasciò qualche secondo in sospeso la frase, quasi volesse creare un po’ di suspense - non è poi così puritana - sussurrò fingendosi sconvolto, spalancando gli occhi dando così maggiore veridicità alla sua constatazione - >

Corrucciai le labbra, consapevole che in fondo avesse ragione, una volta aperta quella porta, scoprendo l'esile figura di un professore che il mondo intero reputava attraente accanto a l'immagine di una ragazza che sembrava fingere l'innocenza mentre in realtà, auspicava al massimo dei voti dilettandosi con il proprio insegnate equivaleva alla mia rovina, significava dimostrare che i sacrifici ottenuti fino ad adesso, derivavano da notti occasionali.

Mi morsi il labbro interno mentre il senso d'ansia e confusione mi pervase la testa, offuscandomi con le due uniche possibilità che mi trovavo costretta a percorrere.     
                  
 Il dubbio eterno, reputazione o qualche minuto chiusa in un luogo simile ad un vicolo ristretto in sua compagnia?

Il suono della maniglia abbassarsi unita da un chiacchierio maschile mi tolse dal bivio, una mano, la sua mano, mi scaraventò dentro, seguita da lui che una volta assicuratosi di aver messo il lucchetto si espose verso di me, premendo con il suo corpo contro il mio costringendomi ad aderire a quella parete, mentre lui incollato a me, mi privava di quei pochi millimetri per respirare.

Come se il mio viso fosse un chiaro avvertimento a delle urla che avrei gettato a momenti, premette con la sua mano sulla mia bocca e con l'indice appoggiato sulle sue labbra, mi incitava al silenzio assoluto e l'altra si afferrava all'asta di acciaio dietro di me, mentre in contemporanea, i suoi occhi assottigliati assumevano una forma strana.

Il mio cuore prese a battere talmente forte che avevo paura che lui potesse sentirlo, scalpitava così velocemente che il mio seno continuava a sollevarsi e abbassarsi infrangendosi con il suo petto, senza che io potessi fare niente per fermarlo e mi convinsi che fosse l'ansia e il timore di essere scoperta in una situazione così compromettente a dettarne le pulsazioni così inferocite.

E ringraziai quelle voci che mi tolsero dall'imbarazzo di ascoltare i miei lievi affanni come colonna sonora di quel contesto immaturo e dai suoi occhi che erano fermi nei miei dal momento in cui avevamo varcato quella soglia.

< Guarda la Capra è diventata una mela a cui tutti possono arrivare > Affermò una voce che istintivamente paragonai a quella del professore di ingegneria e che me ne diede conferma il suo strano modo di parlare ormai abbastanza conosciuto.

< Tranne noi. Noi puntiamo più in alto > Controbatté l'altro di cui la voce mi era completamente sconosciuta.

E come se avessero appena detto qualcosa per la quale meritassero il premio nobel, sentii il suono di due mani infrangersi tra di loro procurando un sonoro schiocco, immaginando così, che si fossero appena dati un cinque, gesto seguito da risatine divertite per la battutina più stupida del mese che nelle loro menti bacate invece, veniva proiettata come un'affermazione intelligente mentre anche una sola persona normale avrebbe letto sopra le righe quanto insensata fosse.

Riconobbi in quella futile conversazione un diversivo per deviare la mia attenzione da lui, che mi opprimeva con il suo corpo e che la mia mente si ostinava a regalargli più dell'attenzione dovuta.

Ma c'era qualcosa in quel contesto, un dettaglio che era sfuggito ad entrambi, ma molto di più a lui dato che era sua consuetudine frequentare quelle docce. Non avevamo calcolato che quel rubinetto, fosse programmato per far scorgere l'acqua su di noi dopo qualche secondo dal tocco della pedana che sostava sotto i nostri piedi e che sfortunatamente, proprio quel giorno il tubo dell'acqua calda era rotto.

E i miei dubbi divennero reali, un getto d'acqua gelata ci travolse costringendomi istintivamente a trattenere il respiro.

< Josh sei tu? > Proruppe la voce sconosciuta.

< Sì. Avevo bisogno di una doccia fredda > Lo zittì prontamente fissandomi, lasciando che solo io potessi cogliere quel doppio senso, dato che loro all'esterno fossero estranei a ciò che stava succedendo all'interno di quella cabina.

E in contemporanea alle sue parole, sentii un profondo vuoto crearsi nel mio stomaco e non potei che sentirmi completamente svuotata dentro e fuori, riuscendo perfino a tenere gli occhi spalancati sotto quel getto d'acqua che mi aveva dato sempre una sorta di timore.

Ok.

Bastava riuscire a distogliere i miei occhi dal suo viso,così li abbassai, cercando in quella situazione stretta e scomoda qualcosa che potesse distrarmi.

Ma sembrava che lui mi costringesse a ritornare a quella realtà.

Percepii, il rumore dell'acciaio quasi sgretolarsi nelle sue mani per quanto fosse tanta la prestanza con la quale impugnava quell'oggetto , come  se stesse stringendo con forza quell' asta dietro di me per il getto d'acqua improvviso o al fine di frenarsi dal fare altro.

Non furono proprio le sue parole a farmi deviare l'attenzione da quella porta che fissavo come unico sfogo in quella stanzetta ristretta, ai suoi occhi, ma il modo in cui lo disse, che mi obbligò a cercare un doppio senso in quella frase in combutta con i suoi occhi che mi spronavano a farlo.

Ad aggravare ma soprattutto a rendere difficile le nostre posizioni, non furono soltanto la poca distanza che ci marcava e l'acqua che faceva aderire perfettamente i nostri vestiti ai nostri corpi modellandoci, o i nostri occhi che non cessavano di guardarsi, ma il mio corpo che agiva in modo imprevedibile, mostrando l'affanno dei miei respiri attraverso l'alzarsi del mio seno, che involontariamente aveva risvegliato in lui la natura di uomo, che lui cercava in tutti i modi di trattenere dal farlo uscire allo scoperto.

E per quanto sicuramente, mi sarei trovata a benedire l'acqua in una situazione in cui l'unica cosa che mi circonda è il deserto più assoluto, in quel momento la maledii per come incollava e lasciava poco spazio all'immaginazione quella sua camicia turchese che al contatto con l'acqua divenne trasparente e gli rendeva quegli anni trascorsi in palestra.

Respirare.

Era proprio questo, quello  che dovevo fare.

Ma questo strano contesto equivalse per me a un dejavu, la situazione precedente seguita a ruota da questa, erano un chiaro segnale che in realtà io e le cose fredde non avevamo una buona comunicazione.

Queste strane sensazioni, questo blocco allo stomaco l'avevo già vissuto quando a farmi compagnia c'era lui e il gelo, ma la possibilità che fosse lui a farmi questo effetto era da escludere, era sicuramente tutta colpa di tutte quelle cose fredde.

La voce di quell'uomo mi fece deconcentrare per un solo minuto da quell'acqua che scorreva diretta senza il minimo di sosta.

< Noi andiamo. Non farla lunga questa doccia > Beffeggiò sempre lo stesso sconosciuto ridendo sotto i baffi, dando chissà quale significato all'affermazione appena fatta, imitato dallo stesso professore di ingegneria che si unì alle risate.

Le loro risate e i loro passi decisi divennero un pensiero lontano, quando il rumore di una porta aprirsi sostituì il loro chiasso, ponendogli fine nel momento in cui la porta si chiuse per la seconda volta.

Tirai un sospiro di sollievo e senza batter ciglio mi svincolai dal suo corpo, premendo sul suo petto infradiciato senza la minima difficoltà non riscontrando una possibile resistenza da parte sua, seguita da lui che imitò il mio gesto uscendo.

Improvvisamente, ad un passo della porta senza nessun preavviso mi afferrò per un braccio stringendolo saldamente facendomi voltare.

Incrociai i suoi occhi.

Capelli scompigliati, una camicia con le maniche arrotolate, che l'acqua aveva completamente fatto aderire alla sua pelle.

No, non era sexy in quello stato.

Era solo il mio peggior nemico più attraente con il quale avevo combattuto fino ad adesso.

< Tieni. Aspetterò fuori >  Sibilò porgendomi la sua tuta, quella che in realtà, doveva essere il suo unico cambio, sorpassandomi.

Attonita.

Ecco com'ero.

Mi stupii perchè sotto la sua innata freddezza forse c'era anche un minimo di profondità nel suo carattere tanto misterioso quanto criptico.





 

****



 

I piedi mi dolevano e quel cappottino nero, riusciva a malapena a smorzare quel vento gelido che imperterrito continuava ad inveirmi contro.

La tanto attesa quanto inaspettata cena con mio padre si era conclusa con l'ennesima litigata.

Ma non riuscivo a non aspettarmi troppo, a non ingannarmi che quella sera forse, sarebbe stata differente rispetto a tutte le altre, alla fine dopo l'ennesima scenata, come di consuetudine era una scena che ha continuato a ripetersi all'infinito nel corso degli anni, mi ero alzata e dopo averlo lasciato lì, avevo preso un taxi, perchè non ero mai riuscita a guardarlo negli occhi durante il tragitto di casa, ormai abbandonarlo durante la scena e ritornare a casa da sola, era diventata un'amara abitudine alla quale mi ero abituata.

All'improvviso in quel buio accecante sminuito da qualche lampione antico che con difficoltà emetteva una luce soffusa, lo scricchiolio di una porta aprirsi attirò la mia attenzione.

Mi voltai.

Spalancai gli occhi.

Li chiusi e li riaprii nello stesso secondo.

Josh che usciva da casa di Caryin.

Non credevo negli incubi capaci di indurti ad un possibile infarto e tantomeno riponevo fiducia nella possibilità che questa situazione fosse indotta da una candid camera, nessuno aveva un motivo per giocarmi questo brutto tiro, certo, tutti fuorché lui, ed è proprio per questo che ero sicura che quella scena a cui stavo assistendo non era tratta da qualche sceneggiatura di un film famoso, perchè lui non si accontentava di  farmi vivere uno scherzo, pretendeva la realtà.

Aveva appena fatto canestro.

Nel vero senso letterale della frase, aveva tirato a segno la palla come aveva distrutto qualcosa dentro di me.

Camminò lungo il vialetto con entrambe le mani riposte dentro il suo giaccone e avvicinandosi alla portiera dell'auto prima di disattivare l'allarme, alzò gli occhi verso di me.

Un sorriso laterale soddisfatto quanto vendicativo incorniciò il suo viso e immaginai sorridesse maligno, peggio di un fumettista che tenta di dar vita all'antagonista attraverso una risata che lascia intuire da se la sua natura cattiva.

< é brutto? - Beffeggiò simulando curiosità, camuffando la smorfia precedente caratterizzata ancor di più da una linea sottile di derisione  - Sentirsi improvvisamente soli e traditi - Recitò con finto rammarico abbozzando una smorfia annoiata intenta ad annuire verso il basso >
 
 


SPAZIO AUTORE.


Eccomi qui finalmente con un nuovo capitolo, che ci tengo a dire mi piace parecchio forse perché mi sono divertita a descrivere i contesti che hanno vissuto Josh e Crystine e spero che abbia avuto lo stesso impatto su di voi. Spero che non mi ucciderete per il modo in cui ho terminato il capitolo, ma ammetto che mi piace lasciare un po’ di suspense alla fine di ogni capitolo, questo tradimento inaspettato dell’amica sarà fonte di diversi guai che non sto qui a spiegarvi, dato che voi lettori/trici avete il compito di scoprire ù.ù
Approfitto di questo spazio per ringraziarvi per seguirmi e recensire
Un bacione enorme. 

 


  
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