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Autore: Shark Attack    21/06/2013    5 recensioni
Prendete una classica storia fantasy e buttatela via: il protagonista cade dalle nuvole e si ritrova a dover salvare il mondo come dice una profezia sbucata da chissà dove, giusto? No, non qui.
Lei è Savannah, lui è Nehroi: sono fratelli senza fissa dimora, senza passato, senza futuro ma con un presente che vogliono vivere a cavallo tra il loro mondo e il nostro seguendo solamente quattro regole: non ci si abbandona, si restituiscono i favori, non si prendono ordini e non si dimentica.
Sfidano antiche leggende, rubano amuleti e armi magiche di ogni genere per il solo fine di diventare più forti e usano i poteri per vivere da nababbi a NewYork. Il resto non conta. (... o almeno, così credono!)
[Grazie anticipate a chiunque vorrà essere così gentile da leggere e lasciare due parole di commento! ^-^]
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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35
Il Fiore Nero



Philip alzò lo sguardo al cielo.
Era terso, blu, splendente, perfetto. Come sempre.
Poche nuvole morbide come panna montata transitavano ogni tanto, ma non avevano mai intralciato il bel tempo, mai una goccia di pioggia si era abbattuta su Ataklur, mai un fiocco di neve si era aggiunto a quelli già presenti sulle montagne quando sono state create.
Inspirò a fondo, sentendo quell'aria carica entrargli nei polmoni ormai abituati ad accoglierla, e ripensò alla prima volta in cui il suo naso da bambino l'aveva annusata, come un cucciolo spaurito, e a quanto gli fosse sembrata nauseante. Eppure, già da quella prima volta, non era più riuscito a farne a meno.
Era piccolo, con un medaglione in mano, appena sbucato da una parete rocciosa dopo averne miracolosamente oltrepassata un'altra.
«Avevo appena compiuto dieci anni», esordì con un mezzo sorriso che sprigionava calore, sebbene titubante.
Ripensò ai litigi che si era lasciato alle spalle, alla luce negli occhi che aveva quando aveva sentito parlare di Ataklur per la prima volta, quando aveva stretto tra le mani la sua piccola Stella...
«Mia madre», disse con orgoglio. «Mia madre è di qui. Era di qui. Di Eastreth.»
Nehroi si sentì lievemente abbattuto da quella precisazione. «È... morta?», domandò piano.
All'orfanotrofio era quasi tabù chiedere agli altri bambini perché fossero lì. Passavano le giornate a prendersi in giro e farsi i dispetti a vicenda, ma quando si toccavano certi argomenti non c'era viso che non si rabbuiasse. Molti avevano perso i loro genitori da poco o ne soffrivano comunque la mancanza, così i Fein Anis furono costretti ad imparare ad avere tatto con chi subiva perdite di quel genere, sebbene non avessero alcuna base personale per comprendere il dolore. Lo capirono troppo tardi, quando fu il turno di Ughrei di lasciarli, e allora si sentirono sporchi e crudeli per la loro insensibilità verso gli altri, quando li avevano derisi perché deboli e frignoni.
Phil scosse la testa ma non sembrava affatto rallegrato. «Mi parlava sempre della leggenda del Fiore Nero, sapete? Agli altri bambini le mamme leggevano fiabe piene di sirene e lupi parlanti e fagioli magici mentre la mia parlava in continuazione di una terra magica come le altre ma che nessuno conosceva. Pietre potentissime, acque che bruciano, regni sconosciuti... non credo che possiate capirlo, per gli umani è diverso. Mi parlava di talpe giganti e di mostri alati che le cacciavano, di un sole eterno e della libertà di fare quello che si voleva, sempre, perché bastava volerlo.»
Phil sorrise ma i suoi occhi non si accesero, anzi. «Mio padre la sgridava», proseguì, «Non voleva che mi riempisse la testa di frottole assurde e... e sgridava anche me quando scopriva che avevo condiviso quelle storie con i miei amici. Mamma si incupì col passare degli anni ed iniziò ad avere atteggiamenti sempre più strani. Non aveva più voglia di cucinare perché era cibo senza sapore, non voleva più stare in città perché non era naturale, parlava sempre più spesso di una città nel canyon e degli infiniti prati verdi su cui aveva passato l'infanzia. Diceva che il nostro mondo era uno schifo, che non voleva più viverci e che eravamo tutti grigi ai suoi occhi. A volte urlava parole senza senso, “brehmisth” o “Ataklur”, e non smetteva di parlare della sua vera terra... allora io non potevo capire perché ero cresciuto sapendo che era nata a Londra e che avesse sempre vissuto lì. Fu un brutto colpo quando vidi gli infermieri dell'ospedale psichiatrico venire a casa, una sera, e portarla via di peso.»
Savannah inorridì e sgranò gli occhi trattenendo il fiato. «L'hanno rinchiusa?», esclamò sconvolta.
«Hanno pensato che fosse pazza, che altro potevano fare?»
La ragazza ripensò alla dottoressa della prigione, la strizzacervelli con cui aveva chiacchierato per moltissime ore fino a pochi giorni prima, e a come avesse pensato anche lei che fossero due svitati. Non era troppo strano credere alla sorte toccata alla madre di Phil, ed ebbe i brividi senza riuscire ad immaginare quanta tristezza possa averle causato la perdita del suo mondo e la relegazione in uno che non la comprendeva. Non era pazza, ma gli umani erano semplicemente ignoranti. Savannah l'aveva sempre trattata come una cosa di poco conto, forte del suo potere e della convinzione che avrebbe potuto sistemare tutto fuggendo e distruggendo qualcosa... ma si immaginò brehmisth, in quelle condizioni, e le venne da vomitare per l'angoscia.
Phil si raddrizzò un poco, per quanto riuscisse a muoversi stretto com'era nella morsa invisibile della jiin, e chinò la testa.
«“C'era una volta il Creatore”», esordì con finta allegria, ombra di un cantastorie di paese. «“Era il mago più potente di tutti i tempi e viveva tra gli umani fin dalla preistoria, scoprendo con loro ogni epoca e generazione. Jiin e umani avevano sempre vissuto assieme sulla Terra piuttosto pacificamente, con una scaramuccia ogni tanto”... mamma arricciava il naso e faceva una voce buffa quando diceva questa frase», commentò ridacchiando tristemente. Si ricompose in fretta e riprese la narrazione, scoprendosi di fronte a due ascoltatori piuttosto attenti.
«“Gli umani veneravano i jiin come dei e attribuivano loro molti cambiamenti della natura. Sull'Olimpo come tra gli Egizi, dai Maya agli Zulù, i jiin si distinguevano sempre. Quando però la popolazione umana iniziò a crescere e crescere, i jiin iniziavano a mescolarsi a loro e i brehmisth iniziavano a comparire, figli dell'una e dell'altra specie”...»
Phil dondolò la testa a destra e a sinistra mentre lo recitava, probabilmente imitando istintivamente i gesti della madre chinata su di lui nel lettino, rischiarata dalla candela che accendeva per creare atmosfera. «“I jiin si mescolarono troppo e ritrovarono ad essere sempre meno; divennero minoranza e vennero trattati come tali. Il Creatore” -che tutti sanno che non è una sola persona ma tutti i jiin più potenti, ma nella storia popolare è diventato un unico uomo- “rubò allora pezzi di terreno agli umani e li sigillò dentro un'unica barriera valicabile solo grazie alla magia, delimitando un luogo vasto e libero in cui avrebbero potuto vivere serenamente senza doversi preoccupare degli umani e della loro diversità.
Il creatore era molto contento della sua invenzione ed invitò tutta la popolazione magica ad Ataklur, che all'epoca non si chiamava ancora così ma Jiiklur “Terra della Magia”. Man mano che la gente viveva, nasceva e moriva, Jiiklur diventava sempre più prospera e la magia che veniva scaturita dai maghi rimaneva intrappolata lì dentro, rendendo più magico anche il territorio. Ecco perché è sempre bel tempo!” … e questo, credetemi, per un bambino che vedeva il sole neanche una volta al mese e che viveva perennemente nella nebbia o sotto la pioggia, era già sufficiente a renderlo un mondo magnifico», commentò serio.
Savannah strinse le labbra e sospirò annoiata, ma Nehroi annuì convinto e sorrise, rapito da quel resoconto.
«La prima volta che siamo arrivati sulla Terra pioveva a dirotto, non sai quanto ci siamo spaventati!», disse ridacchiando. «Temevamo che il mondo ci si stesse sciogliendo addosso!»
«E tutto ciò è fantastico», tagliò la jiin con voce secca e irritata. «Ma la leggenda la conosciamo già, Mayson. Qual è il punto?»
Phil schioccò la lingua contro il palato e alzò gli occhi al cielo per un istante, trattenendosi dal dirle qualcosa. Prese un bel respiro e cercò di tornare nella sua atmosfera casalinga, rievocando i giocattoli sul comodino, il sorriso della mamma, i suoi capelli chiari raccolti da un lato...
«“Ben presto il Creatore si accorse che alla sua bella terra mancava qualcosa, perché tutto rimaneva stabile e immutato sebbene la magia operasse tanti cambiamenti a cose e persone. Non c'erano variazioni nel territorio, gli alberi non perdevano le foglie, i fiori non seccavano, le nuvole non portavano mai pioggia o neve. Al Creatore non faceva piacere vedere che il mondo che aveva creato era praticamente finto, così tornò tra gli umani e cercò di capire cosa avesse sbagliato... ma comprese che madre natura era troppo perfetta e vasta perché potesse imitarla ancora.
Comunque felice per aver dato una casa sicura a tutti i jiin e averli protetti da una futura guerra contro gli umani, decise di portare con sé una pianta di ciclamini rossi come ricordo della loro terra d'origine. Dopo qualche mese, però, il fiore iniziò a cambiare: era sempre vivo, ma iniziava a diventare più cupo finché i suoi petali non furono completamente neri.”»
Savannah sbadigliò, ma Phil non smise di parlare e portò a termine il suo racconto come se non l'avesse vista.
«“Cosa significava? Lo capì solo dopo essersi accorto che, passato qualche anno, i jiin che andavano tra gli umani non erano più in grado di tornare: sottrarre la magia alla Terra aveva creato uno squilibrio enorme sul pianeta e l'aveva resa avida di quel potere che le era stato tolto. La Terra continua a volere indietro la sua magia e la strappa via da chi la possedeva... adesso che il pianeta è in crisi questo processo è sempre più rapido e nel giro di pochi anni ti ritrovi completamente a secco.”»
«Dividere il mondo in due poteva essere un'ottima cosa, ma solo entro certi limiti», commentò Nehroi in tono convinto. «Si vede che è una vecchia versione, tua madre è rimasta a quando si avevano anni di tempo per tornare indietro e non poche settimane...»
«Fu allora che il creatore comprese ciò che aveva realmente creato», concluse Savannah con rammarico e desolazione. «Una prigione per i jiin. Il nonno lo diceva sempre.»
«Anche a noi veniva raccontata questa leggenda prima di andare a dormire, tutti la sanno ad Ataklur!», aggiunse il brehkisth con un sorrisetto da bambino che non toccò la sorella, ancora intenta a mostrare la sua noia a tutti i presenti come se ne andasse della sua vita.
Phil serrò i denti ed inspirò lentamente e profondamente. Il viso era corrucciato ma lo sguardo puntava al terreno con insistenza.
«Nessuno vuole scappare dall'unico posto in cui si può essere ciò che si è», stava proseguendo Nehroi, senza accorgersi del cambio d'umore dell'umano. «Soprattutto se poi non puoi tornare più indietro e se, facendolo, non potrai mai più essere te stesso.»
«Per questo la punizione più tremenda è l'esilio forzato. E mia madre... è stata esiliata prima che nascessi. Da allora non è mai tornata qui», concluse infine l'umano con la voce più dura che entrambi i ragazzi avessero mai sentito uscirgli dalle labbra.
Cadde uno strano silenzio tra loro, pesante, rumoroso. Era come se qualcuno di passaggio avesse lanciato un telo invisibile e nessuno fosse stato più in grado di parlare con quell'impedimento di mezzo. Phil smise di guardare il cielo e passò gli occhi castani dalla jiin al brehkisth, bevendo la loro attesa mentre pensava a cosa dire in seguito.
I loro atteggiamenti si erano parificati, senza alcuna manifestazione di noia o eccitazione.
«Perché sei qui?», domandò ancora una volta Savannah, pronunciando le parole con più significato, premendo su ogni lettera.
«Avevo dieci anni», rispose Phil ripetendosi. «Il giorno del mio compleanno mamma mi ha regalato uno strano oggetto. Sembrava un ciondolo, ma troppo grosso e pesante per essere indossato come normale gioiello. Conteneva una pietruzza rossa, tipo un rubino rovinato. Mentre lo esaminavo mi chiedeva di averne molta cura, di non separarmene mai e mi chiedeva scusa. Era il passpartout che uso per venire qui, quello che avete visto anche voi qualche tempo fa.»
«Te l'ha regalato lei, quindi... pensavo che te l'avessero dato i Capi», rimuginò la jiin. «Ma perché ti chiedeva scusa?»
«Perché non poteva più attraversare la barriera, perché lei... è stata marchiata... con quello che mio padre ha sempre definito un bruttissimo tatuaggio che avrebbe dovuto nascondere», sputò amaramente con una smorfia.
Savannah si raddrizzò e le sembrò di vedere Phil per la prima volta, comprendendo qualcosa di più su quello strano umano.
«Perché è stata esiliata?», domandò seria.
Phil socchiuse gli occhi e sospirò. «Io... non l'ho mai detto a nessuno. Qui tutti ignorano chi sia mia madre e non voglio che si venga a sapere...»
Gli occhi di Savannah erano ancora posati su di lui, ma lei non insistette. Sembrava solamente in attesa e la cosa deteriorò i nervi dell'umano. «Ha attentato alla vita del suo Capo», capitolò poco dopo, odiandosi. Anni e anni di segreto infranti da un curioso sguardo viola.
«Hai detto che era di Eastreth», ricordò Nehroi corrugando la fronte. Incrociò le braccia al petto e rimase pensieroso per qualche istante. «No, non so chi fosse il predecessore di Chawia... ma è lui, no?»
Phil annuì.
«Perché?»
«Questo non vi deve importare», troncò l'ex-consigliere scattando come una molla. «Ora sapete tutto... mi liberi? O non avete più voglia di arrivare a Norreth?»
Savannah si alzò in piedi e si pulì i jeans larghi con qualche manata, investendo il fratello con una nuvola di polvere. «Ehi!», protestò lui.
«In realtà non ci hai ancora risposto», fece notare la jiin senza curarsi del tossicchiante Nehroi. «Cosa ci fai tu qui. Sei solo un turista? Non credo. Rischi la vita rimanendo troppo tempo ad Ataklur eppure lo fai. Continuamente. Perché sei stato il consigliere di Heim? Hai anche studiato per poterlo fare?»
«Mi affascinava Ataklur e il suo modo di...»
«Perché vesti sempre da damerino?»
«Sono un avvocato.»
«Oh. Quindi hai studiato anche tra gli umani?»
Phil strinse le labbra e i suoi occhi si accesero di rabbia. «Mio padre voleva che diventassi come lui, affiancandolo nel suo studio.»
Savannah non si lasciò commuovere e rimase in attacco. «E adesso che hai realizzato il sogno del tuo vecchio sei qui a realizzare quello della mammina... ah, no, scusa. Lei non ha un sogno per te. Sbaglio? Ti ha dato modo di vivere la tua avventura e basta...o hai omesso qualcosa?»
La morsa sull'umano venne rilasciata e Phil scattò in piedi come se il terreno fosse diventato lava incandescente. Sovrastava la ragazza in altezza, quasi una spanna più alto, e i Fein Anis non l'avevano mai visto così tanto infervorato. «Vuoi sapere perché sono ancora qui? Bene! Voglio trovare il modo di farla tornare a casa, sei sconvolta? Non siamo tutti come te, egoisti che pensano solo ai propri interessi! Voglio rompere la barriera per lei, per non farla sentire più una pazza, per farla sorridere ancora! A me non importa nulla del vostro stupido mondo perfetto né della magia! Mia madre è nata qui, ha vissuto qui, è stata esiliata perché ha lottato per ciò in cui credeva, lei ama Ataklur, la ama veramente, e voglio fare di tutto per fargliela respirare e vedere e... vivere! Ancora una volta! Dannazione, è così difficile da capire?!»
Savannah sostenne il suo sguardo con altrettanta intensità, senza alcuna reazione. L'umano riprese fiato e ansimò per qualche istante. Tra il viaggio a piedi, l'aver corso per non perdere i due obbiettivi, l'essere stato immobilizzato dalla ragazza e l'aver fatto una sfuriata del genere, i suoi capelli erano completamente spettinati e alcune ciocche bionde gli pendevano fastidiosamente sulle tempie.
«Il marchio che ha addosso le impedisce di attraversare la barriera ma la vostra missione è di rompere questo blocco, no?», proseguì Phil con il fiato corto, accorgendosi di essersi scaldato molto solo in quell'istante. Si passò le dita tra i capelli ma non cambiò nulla. «Le nostre missioni possono coincidere.»
Poi un angolo della bocca della jiin, ancora contratta in un'insensibile riga dritta, si sollevò e il viso si addolcì. «Se è così... benvenuto tra noi», disse soave, come se non fosse appena stata investita da una valanga di parole infervorate.
Nehroi, ancora seduto come uno spettatore al cinema pronto alla scena d'azione, alzò un sopracciglio. «Adesso siamo un trio?», domandò confuso rivolgendosi alla sorella.
Col viso ancora colorato dal furore, gli occhi socchiusi dalla rabbia e poca aria nei polmoni, Philip Mayson si sentì sollevato. Segnò un punto a suo favore nel progetto che aveva custodito in fondo al suo cuore per tanti anni e comprese, finalmente, che le sue probabilità di realizzarlo non erano più sotto lo zero.

Dopo aver testato le sue motivazioni e dopo aver approvato il nuovo membro del gruppo, i Fein Anis lo misero al corrente dei prossimi punti da seguire.
«Per prima cosa dobbiamo andare da Meede, forse ha scoperto qualcosa di utile», gli dissero.
Avanzarono verso il percorso sicuro che l'ex-consigliere aveva suggerito loro, ma assistettero solamente all'allestimento da parte delle guardie di un altro posto di blocco, con transenne, barriere e rilevatori.
Phil scosse la testa e propose di pensare ad un piano B: nessuno dei tre sarebbe riuscito a mettere piede nella foresta senza che un plotone di guardie agguerrite li catturasse.
«Ho un lasciapassare firmato dal Capo Chawia in persona, ma non so quanto potrebbe essere utile. Mi pedinerebbero tutto il tempo, forse, e non potrei parlare con Meede», aggiunse.
L'opzione Norreth era da scartare, ormai sembrava inevitabile.
«Allora passiamo alla fase due», propose Nehroi con vivacità. «Scoprire dov'è la porta di Mjoklur»
Phil lo guardò con un'espressione mista tra l'inebetito e lo sconvolto. «M-Mjoklur?», balbettò. «Che c'entra il... sta scherzando, vero?», indirizzò alla ragazza.
Savannah e Nehroi si scambiarono uno sguardo complice e Phil si sentì fuori luogo.
«Non possiamo rompere la barriera senza Lorwaar, anche lui fa parte della missione», spiegò lei con tranquillità.
Un corvo gracchiò sopra le loro teste, volando in tondo sulla barriera che li nascondeva al mondo.
L'umano sentì un senso di inquietudine salirgli lungo la schiena rigida e scosse la testa. «Ok, devo aver sentito male», alzò una mano per scusarsi e notò che tremava vagamente. «Che c'entra il Regno dei Morti?»
Savannah ridacchiò di gusto come se Phil avesse appena detto una battuta da vero comico.
«Lorwaar è l'ultimo passaggio che ci manca, per il resto abbiamo già fatto tutto.»
Phil rimase imbambolato qualche istante rimuginando su quell'affermazione, poi il suo viso si rilassò e comprese. Gli oggetti che rubavano da una vita, l'ossessione per le Stelle e per il potere...
Silar non aveva capito niente di Savannah, non era affatto come pensava lui perché senza il quadro più grande era impossibile decifrare il codice delle sue azioni... ma ora tutto aveva un senso.
Si stupì della libertà che aveva stranamente guadagnato per scorrazzare nei loro piani come se fossero veramente una squadra, ma cercò di non sembrare troppo eccitato e si irrigidì per mantenere il controllo. Lorwaar... era un nome che non era mai comparso nel fascicolo e si sentiva incerto e a disagio ignorando quello che sembrava essere un passaggio molto importante nelle loro vite, addirittura da non avere problemi di fronte alla probabilità di poterle buttare via per andare a Mjoklur.
«Non possiamo trovare qualcun altro? Tra i vivi, intendo, non è più comodo che...», tentò ancora, ricordando di cosa stessero parlando prima che i suoi pensieri lo distraessero.
«No», troncò la jiin a viso duro.
«Ma è morto, giusto? Certo che sì, non sarebbe da recuperare laggiù... io non credo che un'anima sepolta potrebbe prendersela se non la si...»
Gli sguardi di Savannah e Nehroi erano sulla stessa lunghezza d'onda, identici e infuocati. Sembrava che ogni parola che uscisse dalle labbra dell'umano lo aiutasse a scendere sempre di più in una fossa, irrimediabilmente in pericolo. Comprese dopo troppo sproloquio che il tasto “Lorwaar” non andava neanche sfiorato.
«E Mjoklur sia», asserì l'umano con finta convinzione, pregando in silenzio per la sua vita.
Per entrare nel Regno dei Morti “da turisti”, come dicevano loro, ovvero senza morire, Phil scoprì che era necessaria una preparazione che non erano ancora del tutto riusciti a decifrare e che il libro che avevano rubato a Tolakireth potesse contenere la chiave necessaria.
«Però ce l'hanno i poliziotti», lo informò sconsolato Nehroi con un'espressione mogia. «Assieme a tutti i nostri tesori e ai ritratti...»
«Ritratti?», domandò l'umano.
«Quelli del nonno e di nostro padre», spiegò la jiin con meno desolazione del fratello. «Oltre ai vari dipinti con pittura magica che...»
Phil ridacchiò e si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli un po'. «Avete rubato pure quei ritratti di bassa lega?», esclamò divertito ed incredulo. «Ma siete davvero due criminali incalliti!»
I Fein Anis, però, non riuscirono a mostrare neanche un briciolo della sua allegria e lo fissarono torvi. «Non esistono molti altri oggetti che ci ricordano la famiglia», sibilò Nehroi con un guizzo oscuro negli occhi.
L'umano arrossì di vergogna e guardò altrove.
«Secondo il vostro fascicolo siete entrati e usciti dagli orfanotrofi in continuazione», bofonchiò poco dopo, mentre osservava distrattamente una lucertola azzurra sparire in un buco del terreno.
Nehroi annuì. «Sì», confermò.
«Posso chiedere perché la prima volta che siete stati registrati tu avevi meno di tre anni? Non c'era l'ex-Capo con voi?», proseguì l'umano. Era una successione di eventi che non era mai riuscito a capire e neanche Decra era stata in grado di spiegargli come fossero andate le cose.
Si ricordò solo un istante dopo che a New York gli avevano spiegato che odiavano il fatto che lui avesse letto il loro fascicolo e che disponesse delle loro informazioni private, ma la cosa non sembrò toccarli come l'altra volta. Forse l'aver trovato qualche pezzo del puzzle li aveva resi meno irritabili.
«È perché non sapeva gestirci», rispose Savannah con un'alzata di spalle, quel tipico gesto che poteva voler dire tutto o niente.
«Poi ci ha ripresi per pulirsi la coscienza», proseguì il fratello con altrettanta tranquillità, sebbene il suo viso si fosse rabbuiato.
«Ma è caduto nell'alcolismo.»
«Allora siamo stati rispediti indietro.»
«Per riprenderci ancora finché non è morto», aggiunse lei in tono grave.
«Siamo stati presi di nuovo dagli istitutori...»
«... ma siamo fuggiti», continuò Nehroi con un sorriso furbetto.
«E siamo andati sulla terra perché non ci prendessero più.»
Il viso di entrambi si spense per un attimo. «Peccato per il tempo limite di permanenza...»
Phil non aveva mai assistito ad un dialogo così diviso tra due persone, come una partita di ping pong, e per un attimo immaginò di avere a che fare con due gemelli. «Sareste rimasti là?», domandò quando fu certo che lo scambio di pezzi di frase fosse finito e che non avrebbe infranto alcun idillio fraterno parlando.
Annuirono contemporaneamente e con la stessa triste espressione. «Almeno lì i bambini orfani non sono trattati come animali», commentò Nehroi con un filo di voce. «Ma adesso dobbiamo andare al maniero fantasma di Feinreth, dove sono custoditi un po' di libri interessanti.»
Phil alzò un sopracciglio. «Avevo sentito dire che era un bordello abbandonato e infestato», fece notare con scetticismo.
Nehroi allargò le braccia e fece un gesto vago con la mano, indicando distrattamente la direzione da seguire per raggiungere la regione desertica, nascosta oltre la foresta. «Beh, il nonno aveva degli strani nascondigli per le scoperte delle sue ricerche. Ci aveva fatto sudare anche solo per fargli dire dove tenesse il “grande archivio”, come lo chiamava lui, e non hai idea di quanti mesi... sì, mesi, quanti ne abbiamo passati a spulciare volume per volume tutti i volumi di quella dannata biblioteca a New York! Per fortuna non era una grande, o non saremmo qui adesso. Non tutti sanno quanto fosse appassionato di storia e mitologia, già. Come Silar ma...»
«Ma meno noioso», concluse Savannah saltellando di fronte a loro due. Aveva un sorriso radioso e persino avvolta in quel logoro mantello era una visione speciale, immersa nel sole dorato del tramonto steso di fronte a loro, gentilmente appoggiato sull'orizzonte. «Forza, si parte!»
I suoi occhi brillavano di speranza e di eccitazione.



*-*-*-*



E io piango.
No, non capireste mai... a meno che non rileggiate questo commento dopo aver letto il prossimo capitolo, quindi no e basta ^^
… sono crudele, ossignur ma perché sono così crudele? Sigh.
Anche solo perché vi sto facendo incuriosire, certo u.u
Ahahah!

Tra l'altro è una fortuna che avessi già scritto questi ultimi capitoli e anche i prossimi meeeeeesi fa, con tutti i casini che mi stanno capitando in questo periodo non avrei più aperto neanche il file! xD

E quindi abbiamo scoperto un pezzo molto significativo della vita di Phil! Contente? :) Era da millanta capitoli che lo si aspettava... MA abbiamo anche scoperto un altro tassello, Lorwaar! Che, detto tra noi, sono sicura nessuno dei lettori si sia mai filato sebbene lo abbia sparso in una frase qui, una là, già dal primo capitolo... ma senza mai troppa importanza. Ora ne ha! E ne avrà un botto più avanti! Ma non corriamo, perché poi piango di nuovo. Ripensiamo solamente a ciò che devono fare i nostri eroi adesso, che è già abbastanza xD

Alla prossima ^^
Ciao!

Shark <3
   
 
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