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Autore: kirlia    21/06/2013    4 recensioni
Nessuno si è mai chiesto come Franziska affrontò la morte di Manfred von Karma? 
E se avesse bisogno dell'aiuto di qualcuno per riprendersi dal dolore della perdita di un padre, anche se non è mai stato presente per lei? E se quel qualcuno fosse proprio herr Miles Edgeworth?
Dal capitolo 18: 
Sapevo che la presenza della nipotina avrebbe cambiato molte cose nella mia vita. Anzi, in effetti, stava già succedendo: mi sentivo meglio, quando ero con lei, non avvertivo il peso opprimente delle mie responsabilità e del mio cognome. Mi sentivo semplicemente me stessa. 
Spesso succedeva anche quando ero in presenza di lui, ma non volevo ammettere che mi tranquillizzasse. Lui mi destabilizzava.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franziska von Karma, Miles Edgeworth
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Perfect for Me'
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Capitolo Dieci – Seize the Day


“Trials in life, questions of us existing here,
don't wanna die alone without you here
Please tell me what we have is real

So, what if I never hold you, yeah, or kiss your lips again?
Woah, so I never want to leave you and the memories of us to see
I beg don't leave me”

Sieze the Day.



Il paesaggio era splendido.
Un cielo azzurro punteggiato qui e là da qualche nuvola bianca e vaporosa come panna, o forse come batuffoli di cotone volanti, una gradevole brezza che scostava gentilmente i capelli azzurri e lunghi fino alle spalle dal mio viso, il rumore dei nostri passi incerti sui sassolini.
Non avevo mai visto prima il mare, non avevo mai sentito la sensazione della musica prodotta dalle onde che si infrangevano sulla spiaggia, né quel profumo perfetto di salsedine che sentivo in quel momento.
Era assolutamente splendido.
«Allora, ti piace?» aveva chiesto lui, passandosi una mano tra i capelli e poi mettendosela in tasca, senza guardarmi. I suoi occhi fissavano l’immensità del mare in silenzio e la sua espressione non tradiva alcuna emozione. Eppure sapevo che sotto sotto doveva essere felice di avermi portata lì, altrimenti non avrebbe mai assecondato i desideri di una sorellina capricciosa come solo io potevo essere.
«Non posso ancora credere di essere qui. Avevo visto tante foto del mare, tanti quadri… ma non riuscivo proprio a immaginare che fosse così» risposi io, stringendo le palpebre per il sole e per cercare di mettere a fuoco un minuscolo triangolino bianco all’orizzonte, una barca a vela sicuramente.
Era vero che proprio non avevo mai capito come fosse davvero il mare. D’altronde ero cresciuta nella fredda capitale del mio paese senza mai avventurarmi più in là, senza mai avere l’occasione di scorgere all’orizzonte la striscia azzurra del mare che mi sembrava ancora irreale per certi versi. Eppure era davvero stupenda e non mi sarei mai voluta allontanare da lì.
Miles sorrise per un attimo al mio commento, continuando ad osservare il panorama e godendosi il leggero venticello fresco. Rimanemmo in silenzio per un po’, minuti o forse ore ma era così bello che sarei rimasta davvero lì per sempre.
Io e Miles. A guardare le onde per sempre.
In quel momento non mi sembrava affatto una cattiva idea e lo desideravo davvero, forse perché Vater ci aveva detto di tornare entro poche ore…?
«Adesso mi credi allora?» disse improvvisamente lui, quasi trascinandomi via dai miei pensieri che in quel momento avevano preso il volo.
Mi voltai verso di lui rabbrividendo e stringendomi nelle spalle per cercare di contrastare il vento. Anche se il sole era alto cominciava a fare freddo, stranamente.
«A cosa ti riferisci esattamente?» chiesi curiosa. Non sapevo proprio di cosa stesse parlando e il suo atteggiamento mi irritava. Non mi piaceva quando faceva il sapientone, come se avesse notato una cosa che io non potevo vedere. Io ero perfetta e la cosa a cui si riferiva era certamente una sciocchezza.
«Ai tuoi occhi, Frannie. Quando dico che i tuoi occhi sono color del cielo non mi riferisco mai al cielo scuro e pieno di smog di Berlino…» fece una pausa quasi si aspettasse una mia risposta. Ma io non sapevo cosa dire non capivo dove volesse arrivare quindi in silenzio aspettai il resto della frase.
«… Mi riferisco a questo cielo, il cielo azzurro che si specchia nel mare. Questo è il colore dei tuoi occhi.»
Lo disse quasi sussurrando e io non potei evitare di arrossire anche vistosamente a quella frase. Era stato stranamente gentile, mi aveva fatto un complimento! Era raro che Miles parlasse, di solito si teneva tutto per sé e per questo lo odiavo… ma oggi mi aveva parlato, e mi aveva anche fatta sorridere con queste sue parole.
Io però non gliel’avrei data vinta.
«I miei occhi non sono di questo sciocco colore, i miei occhi sono perfetti.»
Lui si voltò a guardarmi quasi divertito dal mio commento, quasi come se si aspettasse che dicessi così. Beh, era ovvio!
Incrociai le braccia rabbrividendo ancora per il freddo, ma come mai nonostante il sole mi facesse quasi male agli occhi non riuscivo a sopportare la temperatura?!
«Fa f-freddo, M-Miles…» sussurrai dopo cinque minuti buoni di congelamento.
Lui però mi ignorò quasi non avesse sentito niente di ciò che gli avevo detto. Continuai a cercare di chiamarlo ma lui non si voltava e cominciavo seriamente a preoccuparmi. Perché mai faceva così? L’avevo forse offeso con quel mio commento?
Intanto credevo di andare in ipotermia, mentre il mio corpo si raffreddava sempre di più e gli spasmi e i brividi erano sempre più forti…

Mi svegliai di soprassalto, guardandomi intorno come se cercassi ancora la spiaggia e il mare all’orizzonte. C’era davvero freddo, era vero, ma il paesaggio non era esattamente lo stesso…
Il letto nella cella era terribile, quasi se mi fossi sdraiata su un blocco di ghiaccio, e le coperte erano ruvide e fastidiose. La mia sottile camicia bianca non riusciva a scaldarmi.
Dovevo aver sognato, si, dovevo aver rivisto un vecchio ricordo nella mia mente. Ma come mai proprio quello? Perché avevo sognato di nuovo lui?
Eppure c’erano cose molto più gravi che affollavano la mia mente or ora, come la morte di mia sorella e, soprattutto, la scomparsa di Annika. Oh, dove poteva essere la mia nipotina in quel momento? Dove?! E se quel mostro dell’assassino l’avesse vista e portata via? Cosa avrei fatto?
Quella bambina era una mia responsabilità, ora che Angelika non c’era più. Non aveva famiglia, le ero rimasta solo io…
Sospirai tristemente. Già. L’unica parente che le era rimasta in vita era una donna fredda e imperfetta che stava per essere condannata a morte per l’omicidio della sorella. Non ero esattamente un buon partito per lei al momento.
Alzai lo sguardo quando sentii la serratura della porta scattare mentre una guardia entrava nella stanza. Lo guardai tornando al mio solito atteggiamento superiore, non doveva mica pensare di potermi intimidire con quell’uniforme e quello sguardo da duro! Ero o non ero Franziska von Karma, il Genio?!
«Che cosa vuoi, sciocco agente? Non voglio essere disturbata.»
Lui mi guardò dondolandosi un po’, sicuramente innervosito dal mio tono. Lo osservai attentamente per cercare di ricordare se era mai stato un mio sottoposto, visto il suo comportamento. Ma aveva una faccia da idiota come tutti gli altri, come potevo ricordarmi di lui? Di sicuro mi conosceva per fama. Tutti i poliziotti sapevano chi ero: il loro peggiore incubo.
«Mi scusi procuratore, ma c’è una persona che vuole incontrarla» commentò quindi, con aria insicura.
Io lo guardai stupita. Strano, come mai a quest’ora consentivano ancora le visite? Credevo che ci fosse un certo regolamento per tutti gli stupidi civili che intendevano parlare con gli imputati… Ma certo! Se qualcuno era venuto adesso, sicuramente doveva essere un procuratore.
Avevo mandato Miles a occuparsi di Annika ancora da poco, quindi probabilmente non si trattava di lui, a meno che non l’avesse trovata subito. Era quello che speravo, ma non credevo fosse successo.
Quindi la possibilità era solo una: doveva trattarsi del procuratore che si era aggiudicato il mio caso. Chissà chi avrà avuto l’onore?
«Mi segua, per favore» disse ancora quello, moderando i termini che certamente con un altro “prigioniero” sarebbero stati diversi. Faceva bene a non permettersi certe confidenze con me, o appena fossi uscita l’avrei fatto licenziare. Beh, sempre che quello sciocco di herr Phoenix Wright fosse riuscito a scagionarmi dalle accuse.

Non conoscevo per nulla bene la donna che c’era oltre il vetro. I suoi piccoli occhiali da vista mi ricordavano vagamente frau Adrian Andrews – a proposito, mi ero detta che l’avrei chiamata quando fossi stata in città, e me n’ero dimenticata! – e il suo sguardo sembrava intelligente a differenza di quello di suo padre.
Conoscevo herr Winston Payne, il procuratore più sciocco della procura: anche se veniva assegnato ai casi palesemente già vinti era capace di farsi battere anche da avvocati difensori davvero novellini. Eppure sapevo davvero poco di sua figlia Katherine, che a quanto pare era riuscita a diventare procuratore capo e a farsi assegnare il mio caso, anche se ancora era un pubblico ministero da poco.
«Frau Katherine Payne, non credevo proprio che sarebbe stata lei a farmi una visita questa sera.»
Il suo sorriso falso rispose al mio mentre si aggiustava meglio gli occhiali sul naso e mi guardava attraverso le lenti.
«E invece sono proprio io ad avere quest’onore, Franziska von Karma. Dovrebbe esserne felice. Grazie a me il suo processo sarà rapido e indolore, come la sua condanna» rise soavemente, quasi stessimo parlando del più e del meno e non della mia imminente morte.
Bene, avevo appena deciso che quella donna mi era davvero antipatica, il che non capitava spesso. Credevo che tutti gli americani fossero sciocchi, ma lei li batteva davvero per moltissimi punti. In quel momento desideravo davvero avere la mia frusta per poterle dare una lezione con i fiocchi… ma a quanto pare era l’arma del delitto e non potevo proprio riaverla indietro. Forse non l’avrei mai rivista, la mia cara frusta.
Mi morsi il labbro cercando di rimanere in silenzio e non dire niente che avrebbe potuto essere usato contro di me al processo. Katherine sarebbe stata capace di tutto, ne ero certa.
«Cosa c’è? Non ha niente da replicare? Davvero sta ammettendo di aver ucciso lei sua sorella…?» domandò, scostandosi i capelli bruni da una spalla con un gesto e facendo tintinnare gli orecchini. Oh si, mi dava proprio sui nervi…
«Non ho mai detto una cosa del genere. Io non ho ucciso Angelika» commentai nervosamente. Non riuscivo quasi a pronunciare i nome di mia sorella, ero ancora profondamente turbata dalla sua morte. E quel procuratore novellino si permetteva di supporre che io l’avevo uccisa? Come poteva farmi una cosa del genere?!
«Ma certo. Tutti i criminali dicono così, mia cara…» sussurrò lei, quasi a volermi dare il consiglio di ammettere ciò che non avevo fatto.
Per poco non persi la calma. Io non ero mai stata una persona paziente e lei mi stava davvero facendo arrabbiare. Sapevo perfettamente che non era il caso di fare una scenata, avrei solo aggravato la mia posizione, ma lei mi stava davvero portando al limite!
Cercai di trattenere qualsiasi sfogo di rabbia torcendomi le mani e fissandola con uno sguardo malevolo. Se gli sguardi potessero uccidere saresti già morta e io sarei davvero un’assassina, cara Katherine!
Attese qualche minuto, guardandomi con un’espressione decisa in volto, ma io non cedetti e lasciai correre.
Dovette arrendersi dopo un po’, perché disse: «Bene, se non hai intenzione di dirmi nulla credo di avere impegni più importanti. Ci rivediamo in tribunale, von Karma.»
Poi si dileguò. Non che io avessi cambiato idea, non avrei parlato proprio di nulla con lei. D’altronde era inutile: per esperienza personale sapevo che i procuratori avrebbero fatto di tutto per mettermi in prigione. Anch’io l’avrei fatto, purtroppo.
Tutta questa storia mi aveva davvero fatto riflettere molto sul vero scopo dei pubblici ministeri… forse non era giusto fare ciò che facevo? Forse dovevo indagare più a fondo sugli imputati prima di etichettarli come criminali.
Mi ero sempre detta che la polizia non avrebbe mai sbagliato, che il mio compito era soltanto ottenere un verdetto di colpevolezza su una persona che quasi certamente era un assassino. Eppure… se non fosse così? Se la polizia avesse arrestato la persona sbagliata, come nel mio caso?
Avevo forse condannato qualche innocente?
Non sapevo nemmeno perché pensavo a quelle cose. No, non dovevo pensarci affatto.
La perfezione non accetta scuse. Qui non si tratta di scoprire se una persona era colpevole o innocente, il compito di un procuratore era quello di avere il proprio verdetto a favore.
Si, dovevo convincermi di tutto ciò.

Passò qualche ora quando fui nuovamente svegliata dalla guardia carceraria. Guardai quell’uomo in cagnesco, per fargli capire che stava davvero rischiando molto disturbandomi di nuovo nel giro di poche ore.
«Mi s-scusi, signorina von Karma… C’è una visita per lei.» disse un po’ nervoso e senza il coraggio di guardarmi negli occhi. Doveva essere davvero un novellino per comportarsi così. Non sapeva che se fossi stata una vera criminale avrei tramortito un deboluccio come lui in un attimo e sarei fuggita via dalla cella? Aveva addirittura lasciato la porta spalancata ed effettivamente era molto attraente.
«Un’altra visita?! Dica al procuratore Payne che non ho ancora intenzione di ascoltare…» stavo cominciando, quando una voce lontana mi interruppe e attirò la mia attenzione.
«Mr. Edgeworth, wo Tante Franziska ist? [Dov’è zia Franziska?]» chiese una vocina che avevo sentito pochissimo ma che avevo subito riconosciuto. Un perfetto accento tedesco e una voce melodiosa, non poteva essere che la mia nipotina!
«Demnächst, Annika. Wir müssen einfach hier warten. [Arriverà fra poco, Annika. Dobbiamo solo aspettarla qui.]» rispose una voce maschile che riconoscevo altrettanto bene.
Miles l’aveva trovata! Per un momento il mio cuore aveva mancato un battito e mi ero resa conto di essere così orgogliosa di lui…!
Ma cacciai subito via il pensiero. Come avevo solo potuto pensare una cosa del genere riguardo quello sciocco del mio fratellino? Non mi ero dimenticata di quanto lo odiavo per avermi sempre messa in ombra davanti a mio padre, non me ne sarei mai dimenticata.
Ma non mi ero scordata di Annika e ora volevo vederla subito! Volevo sapere cosa le era successo e soprattutto volevo assicurarmi che sapesse della morte di sua madre. Non volevo pensare a cosa sarebbe successo se fosse stato mio compito dirglielo, l’idea mi faceva rabbrividire.
«Che stai aspettando, stupido agente?! Portami a vedere i miei visitatori!» ringhiai nervosa al poliziotto che ancora tremava come una foglia in un angolo. Ah, quanto adoravo essere temuta persino dalle mie stesse guardie!
Quello mi scortò poi fino alla sala visite, davanti a quel vetro che mi separava da tutto e tutti.
«Tante Franziska! Sie sind hier! [Zia Franziska! Sei qui!]» sembrò quasi trillare la voce di Annika mentre tentava di sporgersi il più possibile per avvicinarsi al vetro che ci divideva.
Presi un sospiro e tentai di assumere un’espressione tranquilla mentre mi avvicinavo a mia volta al vetro e mi accomodavo lentamente sulla sedia che mi era stata fornita dalla guardia, che dopo cinque secondi di silenzio guardai in cagnesco.
«Adesso puoi lasciarci soli, sciocco agente. La tua presenza non è più richiesta.»
Feci un gesto con la mano, come mi ero abituata a interloquire con Pess quando non volevo essere disturbata, cioè sempre. Via, sciò, lasciami in pace. Non ho alcun bisogno di una scorta. Odiavo essere considerata pericolosa. Anzi no, in realtà di solito adoravo incutere terrore, ma questo non era il caso.
Lui si mosse a disagio sul posto, tentando di rispondere.
«Ma ecco… veramente il procuratore Payne mi ha espressamente chiesto di non perderla di vis…» la sua frase fu interrotta da un mio sonoro schiaffo sulla guancia, che diventò subito rossa per l’impatto.
Sentii le risatine di Annika e quasi mi sembrò di sentire anche il sorriso divertito di Miles sulla pelle mentre rimproveravo la guardia in modo davvero minaccioso.
«Dica al suo caro procuratore che non ho bisogno di essere tenuta sotto controllo da nessuno e che appena uscirò di qui – perché io ne uscirò, ne sono sicura – farò tutto ciò che è in mio potere per…» rimasi a metà e mi zittii. Forse non avrei dovuto comportarmi così. Anzi, di certo non avrebbe giovato alla mia condizione. In effetti mi mancava solo l’aggravante per aggressione a pubblico ufficiale… e poi la piccola Annika mi stava guardando e proprio non era la parte di me che volevo mostrarle.
Cercai di essere delicata.
«Ci lasci in pace, agente.» Sbuffai. Okay, essere delicata non è proprio il mio forte.
Quello però, sembrò capire l’antifona e schizzò via spaventato. Chissà, forse era un amico di herr Sciattone e sapeva di non potersi fidare di questa mia improvvisa quasi gentilezza… o forse mi riteneva un’assassina pazza?
Mettendo da parte questi pensieri inutili per quando sarei stata sola in cella, rivolsi di nuovo l’attenzione ai miei visitatori.
La bambina sembrava essersi divertita grazie alla piccola scenetta tra me e quell’agente inutile e, insicura che potessi sentire quello che voleva dirmi oltre quel vetro, si era praticamente arrampicata sopra herr Miles Edgeworth e si sporgeva a più non posso verso il vetro, quasi toccandolo con il naso. Era una scena piuttosto divertente, considerato il piccolo cucciolo tra le sue braccia che si dimenava scodinzolando esattamente sulla faccia del suddetto procuratore. Lui non sembrava molto contento della situazione.
«Gute Tante! Mom sagte immer zu Agenten als Narren zu behandeln. [Brava zia! La mamma diceva sempre di trattare così gli agenti sciocchi.]» rise la bambina, provocando gli abbai divertiti del suo cucciolo e la conseguente irritazione di Miles. Quella Mädchen mi piaceva sempre di più.
Feci un sorriso compiaciuto alla mia nipotina appena prima che il mio fratellino cercasse aiuto.
«Franziska, dille qualcosa per favore!» La sua voce sembrava supplicarmi.
Mi morsi il labbro per un attimo quasi a non volerlo aiutare… ma mi resi conto che gli dovevo già molto per aver ritrovato Annika e proprio non se lo meritava.
« Annika! Es ist riskant, so nah an der fragilen Glas. [è rischioso stare così vicina a quel vetro fragile.]» commentai, in tono non troppo severo in realtà ma che la fece subito zittire e mettere seduta dritta e ferma. Fui stupita di questo suo comportamento, e un po’ rattristata a dire il vero. Non volevo che avesse paura di me, che temesse le mie reazioni come quelle di Angelika. Per questo mi avvicinai al vetro e poggiando una mano su di esso leggermente, continuai con un sorriso « Ich bin wirklich glücklich, dich zu sehen. [Sono davvero felice di vederti.]»
Lei sembrò davvero felice di questa mia espressione d’affetto perché sorrise dolcemente e rimase in silenzio ad accarezzare Phoenix. Miles invece mi guardò e con un mezzo sorriso commentò «Sembra che tu ti sia ripresa un po’.»
«Grazie per averla ritrovata Miles. Mi costa dirlo ma… sono in debito con te.» Cambiai subito argomento. Preferivo di gran lunga ammettere di dovergli qualcosa che parlare della mia situazione emotiva attuale. Potevo sembrare quasi normale, grazie alla maschera che avevo imparato a costruirmi intorno, ma in realtà dentro ero spezzata: avevo perso nel giro di pochi giorni mio padre e mia sorella. Nessuno dei due mi voleva bene o mi conosceva davvero, ma per qualche strano motivo per me rimanevano importanti. Credevo che fosse proprio la delusione a ferirmi, il fatto che fino alla fine della loro vita non avessero fatto niente per rendermi felici.
Rabbrividii e mi strinsi quasi a volermi consolare e riscaldare da sola, avevo già detto che faceva piuttosto freddo lì dentro?
Lui sembrò accorgersi di questo mio gesto, ma non disse nulla. Era sempre stato un tipo molto riservato, e non avrebbe mai preteso che gli dicessi qualcosa.
Cambiò a sua volta argomento.
«A quanto pare il procuratore Payne è già venuto a farti visita…» disse con un’occhiata incerta. A quanto riuscivo a capire dal suo tono, neanche lui sapeva molto di questo procuratore, né si fidava di lei. Non era esattamente un buon segno.
«Già, ha cercato di minacciarmi. Come se si potesse minacciare la grande Franziska von Karma!» Sbuffai, incrociando le braccia. Cercavo di dimostrarmi forte, come al solito, ma in realtà qualcosa mi faceva tremare. E se nessuno accettasse di difendermi? E se fossi condannata a morte, da innocente?
Credo che stavolta le mie emozioni furono tanto vivide da non poter essere represse, perché notai subito lo sguardo preoccupato di Miles. Incrociai il suo e per un attimo rimanemmo in silenzio a scrutarci.
Annika ci guardava dal basso un po’ indecisa se intervenire sul nostro silenzio, ma non fece nulla, mentre il piccolo Phoenix correva qua e là per il centro di detenzione.
Passò poco tempo, nel quale i nostri occhi sembrarono condividere tutti i pensieri e tutti i dubbi che ci affliggevano, poi lui poggiò una mano sul vetro, come avevo fatto il poco prima e facendomi arrossire per via del ricordo di quando le nostre mani si erano toccate attraverso il vetro, e disse semplicemente: «Uscirai di qui, Frannie, te lo prometto.»


Angolo dell'Autrice: 
Okay, faccio pena. Da quant'è che non aggiorno? Neanche lo so più e non ho nessun modo per giustificarmi... tranne che ho studiato, tanto. 
Penso che non esisteranno nemmeno più i miei lettori, mi avrete abbandonato :'( 
Ma grazie a Seris, che mi ha tenerosamente inviato una bella recensione, ho deciso di aggiornare. Non vi prometto niente sulla prossima data di pubblicazione ma proverò ad essere veloce... non ho mai voluto abbandonare questa storia :3 
Beh basta, non so che altro dire, tranne che se ancora qualche anima pia vuole commentare... lo sapete quanto piacere mi fa sentirvi! :D

Un bacio, Kirlia <3

P.S.: Nel prossimo capitolo forse si saprà qualcosa in più sul caso... dai che siete interessati! ^_^
   
 
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