Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: SoltantoUnaFenice    22/06/2013    2 recensioni
Touma aveva una busta in fondo al cassetto del comodino. Era una busta di carta gialla, un po' ruvida, e conteneva qualche decina di fotografie. Per prenderla bisognava spostare un po' di cose – la scatola che conteneva l'orologio di suo padre, un blister di compresse per il mal di testa, un quadernetto nero tutto sgualcito e anche due o tre caramelle mezze sciolte che avevano troppi anni per essere ancora commestibili. - ma non era importante, perchè non gli capitava di tirarla fuori molto spesso.
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Zio Shu, tu sei più vecchio della mamma?”
“Sì, Tamaki. Ho tre anni in più.”
La bambina, in ginocchio sulla sedia e con i gomiti puntati sul tavolo, scrutò Shu con aria critica.
“E allora perchè sembri più giovane?”
Il samurai deglutì, in difficoltà.
“Ehm... perchè sono un tipo atletico?”
“Tamaki, lascia stare lo zio!”
“Ma mamma, che ho fatto di male?!”
“Niente, ma ora vai a cercare tuo cugino e andate a giocare fuori, che noi abbiamo da fare!”
La bambina si avviò, visibilmente insoddisfatta, non prima di averlo squadrato di nuovo da capo a piedi.
Shu si gettò all'indietro sullo schienale, sospirando rumorosamente.
“Questi bambini di oggi sono davvero impertinenti!”
“Ah, certo. Tu invece eri un agnellino, no?”
“Che c'entro io?!”
“Tu c'entri sempre, Shu!”
“Ah, sì?”
“Sì – fece pragmatica la sorella, sedendoglisi di fronte – primo, perché sei tu che hai viziato così Tamaki. Le hai sempre lasciato fare qualsiasi cosa!”
“Beh, questo solo perché è la mia nipotina preferita!” Sorrise Shu. Il padre di Tamaki lavorava in un'altra città, e così lei e la madre passavano molto tempo nella casa dei nonni. Tra tutti i suoi numerosi nipoti, lei era stata la prima, e anche quella con cui aveva trascorso più tempo.
“Secondo, perché tu sei il fratello maggiore – e qui gli strizzò l'occhio – e quindi la colpa di qualsiasi cosa è sempre la tua!!”
“Ah, beh, certo...”
Rinfi rise, poi si fece seria. “Senti Shu... - Si allungò attraverso il tavolo per toccargli una mano. - quando sei con Tamaki, con gli altri bambini... e anche quando stavamo tutti insieme, da piccoli. Ho sempre pensato che fossi nato per avere una famiglia numerosa, pensavo che saresti stato il primo di noi a sfornare figli in grandi quantità, e invece...”
“Rinfi, io ho una famiglia numerosa. Anche troppo...”
“Shu, sai benissimo cosa voglio dire. Una famiglia tua, con una moglie, dei figli...”
“Ne abbiamo già parlato, lo sai che non è possibile.”
Rinfi sospirò. Shu era sempre gentile con lei, la sapeva capire così bene. Per tutta la loro infanzia tra loro c'erano stata un'intesa ed una confidenza complete. Ma poi lui aveva trovato quell'armatura, aveva cominciato a passare tanto tempo fuori casa... ed ogni volta che tornava era un po' più stanco. Un po' più vecchio. C'era una parte di suo fratello che adesso non le era più accessibile, e col tempo quella parte era diventata sempre più grande.
“Tutto quello che so, è che tu non mi vuoi spiegare il perché.”
Shu si mosse sulla sedia, a disagio. Un tempo sarebbe scattato in piedi urlando che lei non poteva capire. Ora si sentiva solo un po' triste. Molto tempo prima si era creata una barriera tra lui e il resto del mondo. Ad eccezione dei suoi Nakama, solo sua madre riusciva a capire almeno un po', anche se lui non le aveva spiegato mai nulla.
“E' un discorso complicato, e alla fine diresti sicuramente che non ha senso.”
“Shu, io non capisco molto di quello che fai quando non sei con noi, però... un giorno mi hai detto che tu sei come la terra. E la terra, non è fatta per essere fertile e dare vita a mille cose nuove?”
“Lo è, Rinfi. Ma la terra in me è stata fecondata dal seme di un albero molto grande e prezioso. Sotto di esso non può nascere nient'altro, perché prosciuga tutto ciò che la terra può offrire.”
“Non sembra una cosa bella, però.”
“A volte lo è. A volte no.” e detto questo si alzò, dandole un bacio sulla guancia.
Apprezzava quello che lei stava cercando di fare. Ma non poteva capire fino in fondo. Quel seme che era stato piantato dentro di sé ed era cresciuto fino a quel punto, era fatto di guerra, sacrificio, paura... ma anche amore, condivisione, fiducia... e la possibilità concreta di fare qualcosa di buono. Il prezzo di tutto questo era una vita che correva parallela al mondo, senza poterlo intersecare davvero. Non esisteva una donna che avrebbe potuto condividere quella vita con lui. E come avrebbe potuto combattere per gli altri, sapendo che la sua discendenza sarebbe stato un bersaglio fin troppo facile per chiunque avesse voluto piegarlo? No, tutti loro avevano compreso da tempo tutto questo, anche se nessun altro poteva farlo.

 

“Domattina esponi un avviso per gli allievi, mi raccomando. Scrivi che il Dojo resterà chiuso fino a giovedì.”
“Certo.”
“E non lasciare che i bambini di Yayoi entrino nel Dojo.”
“Certo, Seiji. E ti prometto che anche Kuni-chan non verrà.”
“Tuo figlio è un bambino rispettoso, lui può entrare.”
“Seiji, se nostra sorella ci sentisse, penserebbe che consideri i suoi figli delle pesti!”
“Sono bambini, e sono vivaci... sai bene che voglio loro un gran bene.”
“Ma Kuni-chan è il tuo preferito.”
“Non è vero... è solo che, beh, vedo qualcosa in lui. Qualcosa che mi ricorda me stesso alla sua età. Vorrei poter essere per Kuniyaki quello che è stato per me il nonno.”
Si fermò a pensare. La sua infanzia non era stata facile. Non brutta, non arida. Ma sicuramente non facile. Il suo carattere ribelle aveva messo a prova la pazienza di suo nonno, ma lui non aveva mollato, e gli aveva insegnato tutto quello che poteva. Per Seiji era stato un dono impagabile.
Agli occhi di un altro bambino le attenzioni rigide e imperterrite del nonno sarebbero potute sembrare quasi una persecuzione. Per lui, che desiderava essere migliore non sapeva come riuscirci, che troppe volte aveva sentito dire: “Ci rinuncio, Seiji, sei davvero impossibile!”, erano solo la dimostrazione che suo nonno lo amava così tanto da non abbandonarlo a se stesso.
Si riscosse da quei pensieri.
Anche la sorella era evidentemente persa nei propri ricordi. Seiji estrasse dalla tasca un foglietto diligentemente piegato in quattro e glielo porse.
“Se aveste bisogno di qualsiasi cosa, puoi trovarmi a questo numero. E' il telefono di casa di Touma, dovrei essere lì entro l'ora di cena.”
“Seiji, se tu ti decidessi a comprarti un cellulare, non dovresti spargere qua e là foglietti...”
“Lo sai, non li sopporto quegli affari. Sono...”
“...troppo rumorosi e troppo invadenti, lo so. - Lo interruppe la sorella. – Me lo hai detto un milione di volte. Per fortuna il tuo amico Shin è stato così gentile da lasciarmi il numero del suo, l'ultima volta che è stato qui.”
Seiji sorrise.
“Non disturbarlo se non è necessario, però. Solo se è una cosa urgente e non ci hai trovato a casa, d'accordo? Shin è troppo disponibile, e non voglio che abbia fastidi per causa mia.”
“Lo so, non preoccuparti. Tu, piuttosto. Cerca di sfruttare questo viaggio per rilassarti un po', d'accordo? Stai diventando un'inquietante incrocio tra un monaco e la signorina Yamashita, e questa cosa mi mette i brividi!”
Paragonarlo ad una acida zitella vecchio stampo che li aveva terrorizzati da bambini... Seiji fu indeciso se sorridere o arrabbiarsi. Si limitò a posare un bacio sulla guancia della sorella, raccogliere il proprio bagaglio ed uscire. Era una bellissima alba, bianca e rosata. La strada era silenziosa, solamente il canto di alcuni uccelli arrivava dal giardino dei vicini.
Il resto della sua famiglia stava ancora dormendo, avrebbe pensato la sorella a salutarli da parte sua. Lo aspettavano molte ore di treno, durante le quali di certo avrebbe finito con l'immergersi nei ricordi accumulati in tutti quegli anni. Gli succedeva ogni volta che partiva per incontrare i propri Nakama. Il viaggio gli richiamava alla mente tutti gli altri viaggi che aveva fatto per raggiungerli, e ripensando a ciò che era stato, pregustava l'istante in sarebbe stato di nuovo con loro...


Ryo entrò nello studio del padre, al piano superiore della villetta in cui era cresciuto. Lo vide seduto al computer, mentre riordinava le foto scattate durante l'ultima spedizione scientifica. Aveva percorso una vasta zona dell'Africa nord orientale, con una equipe che stava preparando un documentario sulla Rift Valley.
Le foto ritraevano alcuni profondi crepacci ricoperti di vegetazione. Alcune cascate erano talmente alte da dare la vertigine, ed il paesaggio variava in maniera brusca da una foto all'altra, pur essendo state scattate a pochi km di distanza. Il samurai si avvicinò alle spalle del padre, e si fermò ad osservare le foto, con una mano sullo schienale della sedia.
“Sono davvero molto belle.”
“Grazie. Per il mio ultimo viaggio ho voluto fare qualcosa di speciale...”
“Ultimo?” Ryo provò subito una leggera inquietudine.
“Ryo, quest'anno compio sessantotto anni, lo sai?”
Il ragazzo sussultò. Sapeva che il padre sarebbe invecchiato, e sapeva che non avrebbe girato il mondo per sempre. Soltanto, non si era reso conto che quel momento fosse arrivato.
“Comincio a sentire troppa fatica durante questi viaggi. Non me li godo più nemmeno come un tempo, ormai è tempo che io smetta.”
“Ma... sarai felice?”
“Beh, non significa che mi chiuderò in questa villetta fino al mio ultimo respiro! Girerò un po' il Giappone, farò qualche foto da queste parti... Quello che voglio dire, Ryo, è che non ti lascerò più solo così a lungo.”
Ryo lo guardò senza sapere cosa dire. Quella conversazione stava prendendo una piega inaspettata.
“Lo so che detto da me sembra sbagliato. Voglio dire... ti ho lasciato solo così tante volte per via del mio lavoro... anche quando eri solo un ragazzino e forse ti ho caricato di una responsabilità così grande. Ma non avevo paura, allora. Sapevo che eri un bambino speciale, ho sempre avuto la sensazione che tu fossi al sicuro, anche senza di me. - Fece una pausa. Forse si aspettava che Ryo dicesse qualcosa, ma il Samurai era troppo confuso per replicare. – Ma ultimamente... beh, negli ultimi anni io speravo... non so, ogni volta che tornavo credevo che sarebbe cambiato qualcosa, ma la verità, Ryo, è che mi sembri sempre più solo. Sempre più diverso da tutti gli altri, da tutto il resto del mondo...”
Ryo si animò. “Papà, io non sono solo. E lo so che sono... beh, diverso. Voglio dire, mi basta guardarmi allo specchio, no?”
E non era solo l'aspetto esteriore, questa innaturale giovinezza fisica che strideva così forte a confronto di tutto il resto che invece invecchiava e scompariva. La differenza maggiore – e questo Ryo lo sapeva, lo leggeva uguale negli occhi dei propri Nakama – era la sua età interiore. Se le Yoroi avevano rallentato, forse fermato, il loro invecchiamento fisico, avevano accelerato quello interiore. Era come se la sua anima dovesse sostenere due corpi: quello fisico e quello dell'armatura. E per farlo, bruciava al doppio della velocità.
“Lo so, mi hai spiegato qualcosa. Non credo di poter capire fino in fondo, però...”
Fu interrotto dal suono del cellulare di Ryo, che lo estrasse dalla tasca posteriore dei jeans, fermandosi un istante ad osservare la scritta che lampeggiava sul display.
“Touma?”
Ascoltò per qualche istante, approfittandone per allontanarsi dal padre e cominciare a scendere le scale. Era il suo modo per dire che la loro conversazione, per quanto lo riguardava, era finita. Amava suo padre, ma quel tipo di discorsi non portavano a nulla, se non al risultato di farlo sentire ancora più stanco e solo.
Dopo qualche minuto si affacciò di nuovo dal pianerottolo delle scale.
“Papà, vado ad Hirakata per qualche giorno. Parto subito, ci vediamo quando torno!”
“Una fuga in grande stile, eh? - Mormorò il padre, più che altro a sé stesso. Poi, alzando la voce per farsi sentire – Non credere di sfuggirmi, Ryo! Quando torni parliamo, ok?”
“D'accordo...” Era già sulla soglia, ma si pentì. Torno su, abbracciò velocemente il padre e uscì di casa.
C'era sicuramente un treno che lo avrebbe portato a destinazione prima di sera.
Se non c'erano ritardi, quella sera avrebbero cenato tutti assieme. Touma aveva l'abitudine di avvertire ognuno di loro in modo che avessero modo di arrivare più o meno nello stesso momento, e visto che lui era quello che poteva partire con meno preavviso degli altri, di certo era l'ultimo che si era preoccupato di chiamare.

 

Shin si sistemò meglio sul sedile, dopo aver riposto il bento nel borsone. Aveva pranzato, aveva controllato che sul cellulare non ci fossero messaggi, e si era alzato per fare quattro passi lungo la carrozza del treno, che per fortuna era quasi vuota. Lo aspettavano almeno altre tre ore di viaggio, ed era impaziente di arrivare. Ricontrollò per l'ennesima volta il biglietto del treno, poi si fermò a guardare il pacchettino blu e verde che conteneva il regalo per Touma. Ovviamente si trattava di un libro. Tutti loro, tutti gli anni, regalavano a Touma per il compleanno un libro. Era un po' uno scherzo ed un po' una sorta di tradizione tutta loro, e aveva l'innegabile vantaggio che era quasi impossibile che il destinatario non apprezzasse il regalo. Quando si trattava di letture, il Samurai del Cielo era praticamente onnivoro, purchè fosse un testo con un minimo di qualità di scrittura e non trattasse di cucina.
Oltre al libro, (questa volta Shin aveva scelto un testo sull'influenza della cultura giapponese nelle arti pittoriche europee di inizio Novecento), c'erano anche quattro segnalibri di carta ripiegata, uno per ogni libro che Touma avrebbe ricevuto quel giorno. Li aveva comprati da una signora anziana che viveva nella sua stessa via, e integrava la magra pensione vendendo oggettini in carta o stoffa fatti da lei. Aveva ricevuto una educazione tradizionale, le classiche arti femminili giapponesi, e componeva anche Ikebana talmente poetici ed eleganti che Shin ne comprava uno per la madre ed uno per la sorella ad ogni compleanno. In realtà comprava da lei ogni volta che ne aveva l'occasione, perchè sapeva che senza quelle piccole entrate e quelle piccole soddisfazioni, quella signora dall'età indecifrabile e dal sorriso gentile avrebbe avuto ben poco di cui vivere.
Ogni volta che Shin andava a scegliere qualcosa da lei, entrambi iniziavano un balletto delle parti un po' ridicolo, tutto volto a fingere che si trattasse di una visita di cortesia.
Il samurai aveva intuito fin da subito che la signora era un po' umiliata dall'essere costretta a vendere le sue piccole creazioni, e così si affacciava per un saluto. Lei lo invitava a prendere il tè, e mentre lei preparava, lui si guardava intorno, chiedendo notizie su cosa avesse creato di nuovo in quei giorni. Quando individuava quello che avrebbe fatto al caso suo, cominciava a decantarne le lodi, e chiedeva se poteva averlo, insistendo per poterle ripagare almeno il materiale. Visto che lei affermava ogni volta di non ricordare quanto aveva speso, Shin faceva un calcolo su quanto potesse costare la carta o la stoffa, triplicava la cifra e per sicurezza aggiungeva un altro 20%. Le lasciava i soldi sul mobile, senza dir niente, e poi si godeva il tè e la conversazione.
Lei gli raccontava del suo passato, e si interessava sempre a lui, ma con molta discrezione. All'inizio Shin aveva raccontato della madre, della sorella e dei nipoti. Del lavoro nel laboratorio di famiglia e di quello alla riserva marina.
Poi un giorno, quasi senza accorgersene, aveva cominciato a parlarle delle armature. Delle battaglie, dei suoi Nakama. Nemmeno alla sua famiglia aveva mai spiegato davvero come stavano le cose, ma quella volta non era riuscito a fermarsi.
L'acqua è così: una volta aperta una fessura, non vi è più modo di controllarla.
Appena Shin si era reso conto di cosa aveva fatto, si era bloccato, una mano sulla bocca e la convinzione di aver appena commesso un errore immane.
La vecchia signora lo aveva guardato con gli occhi lucidi, come se stesse pensando: povero ragazzo, sembrava così gentile e invece è un po' tocco...
E invece gli aveva preso la mano e aveva detto soltanto: “Grazie, sapevo che sei una persona che fa cose speciali, e sono contenta di averti conosciuto. - Poi era diventata più allegra, quasi maliziosa – Prima che io muoia, un giorno mi mostrerai la tua armatura?”
Lui l'aveva abbracciata, facendola arrossire, e le aveva promesso di sì.
Ripose il pacchettino nella borsa, cercando di capire quanta strada mancasse ancora. Sospirò. Doveva essere paziente, tra poco avrebbe abbracciato tutti i suoi Nakama, ancora una volta.

 

 

 
  
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