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Autore: KrisJay    22/06/2013    7 recensioni
Bella Swan si è appena trasferita a Los Angeles con la sua figlioletta Allyson. Sta per cominciare una nuova vita lì, cercando di dimenticare il passato che le ha regalato qualche delusione e anche qualche dispiacere. Ci riuscirà, grazie anche all'affetto della sua famiglia, dei nuovi e vecchi amici che la circondano e, naturalmente, grazie ad un nuovo amore che la conquisterà quando meno se lo aspetta...
"«Oh, interessante!» quello, era un modo carino di dire “Non me ne frega niente di ciò che c’è scritto lì sopra, anche se tu me lo stai dicendo ugualmente.”
«Sì, molto interessante… ma non interessante quanto te, Isabella.» il dottor Cullen posò di nuovo la cartella sul tavolo e posò gli occhi su di me, guardandomi intensamente.
Oh, merda.
Ci stava provando con me dopo neanche cinque ore che ci eravamo conosciuti… era la prima volta in assoluto che mi accadeva una cosa simile!
«Eh… Dottor Cullen…»
«Ti prego, Isabella, chiamami Edward.»
«Edward,» dissi, accontentandolo, «non so… che stai facendo?»
«Sto cercando di conoscerti meglio, Isabella. Sai, non mi dispiacerebbe affatto sapere qualcosa in più su di te… in tutti i sensi.» sorrise sghembo, facendomi rabbrividire.
Dio mio, che persona sfacciata!"
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Solo il tempo... - Capitolo21

Ciao ragazze! Eccomi di nuovo qui XD
È passato quasi un mese, lo so, è troppo che non mi faccio sentire! Ultimamente sono parecchio impegnata, e con questo caldo la voglia di stare al pc è davvero pochissima… mi sembra di fare una sauna ogni volta @.@ quasi quasi preferivo il freddo anomalo di Maggio XD
Ma anche se ho poco tempo, come vedete riesco a scrivere lo stesso XD e quindi, ecco il capitolo che stavate aspettando :3
Abbiamo lasciato i nostri piccioncini dopo che si sono finalmente dichiarati, e per di più sono stati interrotti dalla piccola Allie proprio sul più bello delle ‘coccole’ XD che cosa succederà adesso?
Noi ci sentiamo più tardi, alla fine del capitolo ;) buona lettura!

 
 
 

Solo il tempo

 
Capitolo 21
«E poi? E poi cos’è successo?»
«E poi basta, la conversazione è finita lì.»
«Ma… ma come?» mia madre sembrava davvero sconvolta, con le spalle basse e le labbra incurvate verso il basso. «Finire una conversazione in quel modo? È assurdo!»
Già, lo avevo pensato anche io… ma questo non glielo confessai e mi limitai a scrollare le spalle. «Non è importante per adesso.»
«Ma che sciocchezze dici, è importantissimo!» mi rimproverò animatamente alzando le braccia verso l’alto, con tanto di cucchiaione di legno sporco di sugo.
Sospirai, sconsolata, sapendo che avrei dovuto sopportare lei e il suo strano comportamento, per di più da sola, ancora per diverse ore.
Tornare a Forks per le vacanze di Natale era stata davvero una buona idea: in questa piccola cittadina il clima natalizio si sentiva molto di più, si respirava addirittura. Cosa molto diversa rispetto alla città di Los Angeles, che mi aveva adottata alcuni mesi prima. Gli addobbi, le decorazioni e le luci c’erano anche lì, anche se lasciavano agli occhi non abituati una strana impressione. E poi, a Los Angeles la neve non esisteva! Era bizzarro persino notare un finto pupazzo di neve in bella mostra nel giardino di casa.
A Forks, invece, la neve c’era eccome ed era anche molta, abbondante. Io ed Allyson eravamo arrivate da neanche cinque giorni e ne avevamo vista scendere un sacco. Stando ai meteorologi, quello era uno degli inverni più nevosi degli ultimi anni.
Ma nonostante il brutto tempo, avevamo comunque trascorso bene ed in completa allegria i giorni di festa; la mamma aveva invitato una sua parente ad unirsi a noi, zia Brunilde, e lei aveva trascorso la maggior parte del tempo a dare consigli ad Allyson, consigli del genere “come non fidarsi degli uomini”. E mi aveva sgridata e lanciato un sacco di occhiatacce quando aveva notato il medaglione che mi aveva regalato Edward, e che da quando lo aveva fatto lo portavo sempre al collo.
Edward…
Non lo vedevo da qualche giorno, ovvero da quando aveva accompagnato me e mia figlia all’aeroporto il giorno della nostra partenza per Forks. Mi aveva stretta forte a se prima di lasciarmi andare, continuando a mormorare come in una litania che mi amava e che mi avrebbe chiamato ogni giorno. Da quando me lo aveva confessato non smetteva più di dirmi quelle due piccole parole magiche, e neanche io ero da meno.
Ci amavamo, e per la prima volta nella mia vita sentivo che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Lo pensava anche la mamma, solo che lei già voleva cominciare a cercare la data giusta per il matrimonio. Stava già viaggiando a tremila chilometri orari con il suo cervellino bacato, e si lamentava di continuo con me perché non avevo portato anche Edward, il mio ‘fidanzato ufficiale’, a Forks.
Come facevo a spiegarle che la sua fretta era troppo assurda e mi metteva ansia?
«Quando ti ha telefonato l’ultima volta? Quando vi siete sentiti?» chiese riprendendo a mescolare il sugo, che sobbolliva piano sul fornello.
«Mhm… stamattina, credo.» borbottai in risposta.
«Stamattina? Ma sono passate troppe ore! Richiamalo subito! Non far passare altro tempo, Bella!» mi sgridò, e mescolò la salsa con così tanta energia da farla schizzare sulle piastrelle chiare della cucina.
«Mamma! Smettila, sei assurda!» la rimproverai e mi affrettai a pulire le gocce rosse con un panno umido.
Alcune volte, quando ero a casa con la mamma, mi sembrava di essere l’unica persona adulta presente, oltre a papà, ed era come se avessi due bimbe piccole di cui occuparmi. Una naturalmente era Allie, l’altra invece era Renèe. Si comportava davvero da bambina capricciosa, alle volte.
«Non sono assurda!»
«Sì che lo sei! Non voglio disturbare Edward ogni cinque minuti, e chiamarlo due volte al giorno mi sembra anche troppo.» le spiegai, e le rubai di mano il cucchiaio per assaggiare il sugo. Storsi le labbra. «Uhm, è troppo salato! Ma quanto sale ci hai messo?»
«Io? Una volta sola! O forse erano due? Oh!» esclamò, sospirando in maniera esagerata qualche istante dopo mentre si passava stancamente le mani sul viso. «Vedi? Questo è perché mi preoccupo per te!» aggiunse, quasi teatralmente.
Inarcai le sopracciglia: mia madre sarebbe potuta diventare una brava attrice, peccato che si esibiva in questo modo solo quando le andava e le piaceva. «Non ci casco, mamma.»
«Uffa!» esclamò di nuovo, ma poi scoppiò a ridere e mi abbracciò, poggiando le labbra sulla mia testa. «Ah, la mia piccola Bella, che non è più tanto piccola ormai…» la sentii borbottare.
«Da cosa hai capito che non sono più una bambina?» scherzai, voltandomi per osservarla meglio. Doveva essersi persa qualche pezzo della mia vita per strada, assolutamente. Da quel che ricordavo io, avevo sentito di essere diventata completamente adulta quando avevo scoperto di essere incinta di Allyson.
Beh, forse anche prima, quando decisi, stupidamente, che sarebbe stato interessante avere delle relazioni di solo sesso all’università.
Arrossii, inevitabilmente, quando ci pensai.
«Mah, da un pezzo… ma una madre fa sempre finta che i suoi figli siano ancora dei bambini, anche quando hanno trent’anni suonati e prole al seguito.» disse.
«Ma io non ho trent’anni!» ribattei, piccata. Non dimostravo ancora quell’età, e poi avevo compiuto ventitré anni solo da pochi mesi!
«Lo so, ma hai già la prole! Ed io continuo a vederti ancora con i codini ai capelli…»
Arricciai il naso, al pensiero. «Quei codini erano orrendi.»
«Ma no, che dici! Eri una bambina così carina quando li portavi!»
«Erano orrendi, punto e basta!» mi divincolai dal suo abbraccio ridendo, e le restituii il cucchiaio. «Do una sistemata ai giochi di Allie in salotto.» la avvertii.
«Va bene tesoro, io cerco di non far bruciare il sugo.»
Scuotendo la testa, uscii dalla cucina e andai dritta verso il piccolo salotto di casa, che era diventato ancora più piccolo a causa dei vari giochi che avevamo deciso di lasciare a Forks e che in quel momento lo riempivano. Allyson non mi ascoltava mai, quando le dicevo che dopo aver utilizzato un determinato oggetto doveva rimetterlo al suo posto. Ed ecco, quindi, il risultato della sua svogliatezza di bambina: il caos.
C’erano bambole, bamboline, peluche e accessori vari sparsi in ogni angolo, persino sulla poltrona preferita di papà, per sua grande gioia. Per fortuna non era in casa, altrimenti si sarebbe disperato per tutto quel casino che c’era dentro casa.
Quella mattina aveva deciso di portare la bambina con se alla centrale di polizia, ed Allie era così contenta all’idea di fare l’assistente poliziotta che non ero riuscita a dirle di no. Sapevo che non sarebbe potuto accaderle nulla: Forks era una città piccola, molto piccola, e il crimine era quasi inesistente. I casi più gravi che avevano avuto erano stati dei furti al supermercato.
Ripeto: il crimine era quasi inesistente.
Sarebbero dovuti arrivare per l’ora di pranzo, e mancava poco più di un’ora al loro ritorno. Avevo tutto il tempo a disposizione per sistemare i giochi all’interno delle varie ceste, e mia madre aveva a sua volta un sacco di tempo per non bruciare il nostro pranzo.
Quando ci si impegnava, faceva un sacco di disastri in cucina.
Il campanello di casa suonò quando io avevo già riempito una cesta ed ero a metà della seconda. Lanciai uno sguardo alla vecchia pendola della nonna, notando che erano appena le dodici e un quarto e che, quindi, non potevano essere papà e Allyson le persone alla porta.
«Sono già tornati?» gridò la mamma dalla cucina.
«Non penso, è presto!» risposi, e dopo aver gettato distrattamente uno spelacchiato leone di peluche nella cesta andai alla porta.
Quando la aprii, restai per alcuni secondi spiazzata vedendo di chi si trattava. Socchiusi la bocca senza riuscire a dire nulla, e portai una mano a stringere il piccolo cuore che avevo al collo. Non sapevo bene per quale motivo lo feci, ma fu impossibile bloccare il movimento del mio braccio.
Una donna alta e dai capelli biondi, lunghi fino alle spalle, mi osservava con occhi lucidi e sorrideva mestamente, stringendo tra le mani i manici di una borsa e di una busta enorme. Fece un passo in avanti e, dopo aver allargato un po’ il sorriso, parlò. «Ciao, bambina.»
Sentendo la sua voce mi riscossi dal torpore che mi aveva invasa, e mi allungai verso di lei per abbracciarla. Erano passati così tanti mesi dall’ultima volta che l’avevo vista, che ero stata con lei, e che avevo sentito il suo profumo. Chanel n°5, impossibile sbagliarsi.
Era il suo profumo preferito, al quale non poteva proprio fare a meno.
«Martha.» dissi in un soffio, sentendo che lei ricambiava il mio abbraccio.
 

***

 
Martha Stewart, la madre di James, la mia ex suocera, sedeva sul piccolo divano del salotto e stringeva tra le mani una tazza di caffè. Mamma le sedeva accanto e la osservava in modo curioso, ma che a tratti sfociava nel morboso, stile serial killer. Io, invece, le osservavo entrambe stando seduta sulla poltrona di papà, ma in quel momento avevo deciso che era la mia.
Non vedevo Martha dal giorno in cui avevano chiuso la sentenza del divorzio, ovvero da undici mesi e qualche giorno, e ogni singolo giorno di quei lunghi mesi sembrava impresso sui tratti del suo viso.
Era più scavato, segnato dalle rughe e dalla stanchezza, e le borse sotto agli occhi erano evidenti e marcate, segno che il correttore non doveva aver funzionato bene come al solito. Gli occhi azzurri, identici per forma e per colore a quelli di suo figlio, erano tristi. Martha era sempre stata una bella donna, anche adesso che aveva raggiunto i cinquant’anni di età, ma d’un tratto sembrava diventata più vecchia e spenta.
L’ultimo anno per lei doveva essere stato pesante, molto più di quanto avessi immaginato.
«Martha, va tutto bene?» le chiesi, senza smettere di osservarla.
Il suo viso scattò in alto, incrociando il mio, e annuì cercando di sorridere. «Sì, sì, va tutto bene. Sono solo… un po’ stanca.» rispose, facendo scorrere la punta del dito sul bordo della tazza.
«Dovresti riposare un po’ di più, cara.» le consigliò mamma, carezzandole gentilmente una spalla.
«Lo so, ma non è semplice. Sai, con due lavori…»
«Due lavori?» chiesi, colta alla sprovvista. Non ero a conoscenza di quel particolare.
Martha sorrise mestamente, stringendosi nelle spalle. «Ho dovuto cercarne un altro, Bella. Il mio stipendio non bastava più, e… e la clinica costa molto, ci sono sempre così tante spese…»
«Scusatemi tanto, ma devo andare a controllare il pranzo prima che si bruci tutto! Mi trovate di là, se avete bisogno di qualcosa.» esclamò mia madre, alzandosi in piedi e sparendo in cucina nel giro di pochi secondi. La brevissima occhiata che mi rivolse prima di andare via, mi fece capire che voleva lasciarmi da sola con Martha.
Beh, in effetti non era una brutta idea… non la vedevo da così tanto tempo, e parlarle e cercare di capire da lei come fosse trascorso quell’ultimo anno mi sembrava giusto. In quel momento rimpiansi di aver tagliato i rapporti con lei, e non riuscivo a ricordare il motivo preciso per cui lo avevo fatto.
«Io non sapevo nulla di questo.» mormorai, avvicinandomi a lei e sedendomi al posto che prima aveva occupato mia madre. «E la mamma non mi ha mai detto niente quando le telefonavo…»
«Sicuramente lo ha fatto perché non voleva farti preoccupare, e in parte perché neanche io volevo che lo sapessi. Da sola, a Los Angeles, avevi tantissime cose a cui pensare e di certo non ti servivano anche i miei problemi.» mi sorrise ancora e mi strinse leggermente una mano.
Ricambiai la stretta, abbassando lo sguardo. «Come sta James? So che sta cercando di liberarsi della droga, ma… ma come sta veramente?» domandai, esprimendo a voce uno dei pensieri che più mi assillava.
Gli occhi di Martha si inumidirono subito, e un nuovo e leggero sorriso le increspò le labbra. «Sta bene, sta davvero molto bene. Ormai è completamente fuori dal giro e potrebbe uscire dalla clinica tra poche settimane… Victoria, una delle psicologhe che lo segue, me ne ha dato la conferma. Se lo vedessi adesso, Bella, non lo riconosceresti! È una persona completamente nuova e piena di vita!»
«Non sai quanto mi fa piacere saperlo!» mormorai, stringendomi a lei. Sentivo gli occhi pungere, ma sperai di non mettermi a piangere da un momento all’altro. «James se lo merita, è un ragazzo così buono…»
«Sì, peccato che la droga me lo stava quasi per portare via…» la voce di Martha si ruppe sull’ultima parte della frase, e fu costretta a smettere di parlare per calmarsi. Si schiarì la gola.
«Ma adesso sta bene, non serve ripensare a quel… momento, non serve.» cercai di tranquillizzarla, e sperai di esserci riuscita.
«È vero, adesso è tutto passato.» Martha si strofinò gli occhi, piano, prendendo un bel respiro prima di riabbassare le mani e di voltarsi verso di me. «Sai, ho come l’impressione che tra James e Victoria ci sia del… del tenero.»
Sgranai gli occhi, non aspettandomi davvero di sapere una cosa simile, ma contenta che fossimo passate ad un argomento più leggero e così bello. «Davvero?»
«Sì! Vedi, i pazienti possono ricevere solo una visita al mese, e quasi ogni volta che andavo a trovare James, con lui c’era anche la sua psicologa, Victoria per l’appunto. All’inizio erano più distanti, ma adesso… sono più coinvolti e complici, e più di una volta li ho visti prendersi per mano, anche se solo per pochi secondi. Sono molto curiosa di sapere se si vedranno ancora, anche quando James uscirà dalla clinica.»
«Se si vogliono bene sì, non è proprio da escludere!» ridacchiai, stringendo le labbra tra di loro. «Sono davvero contenta di saperlo.»
«Mi fa piacere, tesoro.» Martha, scuotendo piano la testa, fissò per qualche istante la parete del salotto e poi tornò a guardarmi con un sorriso rilassato sulle labbra. «Ma adesso raccontami qualcosa di te e sulla tua nuova vita a Los Angeles! E Allyson, a lei piace vivere lì?»
«Moltissimo, sai com’è fatta lei no? Portala in un posto nuovo e vedrai che non vorrà più andare via!» mi misi a ridere. «Ha cominciato la scuola materna e ha anche alcuni nuovi amici, ed è la solita guastafeste. In quello non è proprio cambiata, posso assicurartelo…»
«Oddio, non vedo l’ora di rivederla! Le ho portato anche un regalino… Babbo Natale lo ha lasciato sotto il mio albero, ha pensato a lei.» e mi fece l’occhiolino, ridacchiando. «E… invece, che mi dici del tuo Edward? È un bravo ragazzo, sì?»
Un verso indecente uscì dalle mie labbra, provocando una nuova risata alla mia vicina di divano. Martha aveva completamente cambiato umore da quando era arrivata, ed era bello sapere che il merito era stato anche un po’ mio… e di quelle notizie date a bruciapelo. «Sai di Edward?» squittii, quasi.
«Sai com’è fatta tua madre, non può tenersi dentro nulla. Deve subito raccontarlo a qualsiasi persona che incontra… allora? Che mi dici di lui? Sono proprio curiosa di sapere tutto dalla diretta interessata!»
Arrossii, inevitabilmente. «Eh… sono sicura che sai già tutto, ma comunque… è un chirurgo ortopedico, ha trent’anni, ci siamo conosciuti durante il mio primo giorno di lavoro in ospedale…» non potei fare a meno di alzare gli occhi al cielo e di ripensare a quel giorno, e alle avance sfacciate che mi aveva regalato.
Quanto lo avevo odiato in quei primi giorni! E invece adesso lo amavo. Che strano, eh?
«Ed è bello?»
«Molto, è molto bello. Aspetta…» riuscii a recuperare il cellulare dalla tasca dei pantaloni e feci illuminare lo schermo, così da poterle far vedere la foto che da qualche giorno utilizzavo come sfondo. Erano Edward e Allyson che si abbracciavano, sorridenti, il giorno dopo che avevamo trascorso insieme la notte da lui, e indossavano ancora il pigiama.
«Accidenti, se è bello! E quegli occhi…» Martha sembrava smarrita, mentre fissava la foto e la studiava.
Sorrisi. «Dal vivo sono ancora più belli.»
«Non lo metto in dubbio! E guarda Allie, com’è contenta!»
«Gli vuole molto bene, hanno legato così tanto…» sospirai, involontariamente. «Edward non si è tirato indietro quando ha saputo che avevo una figlia, ha voluto conoscermi lo stesso e frequentarmi… sono pochissimi gli uomini che farebbero la stessa cosa che ha fatto lui.»
«Oggi come oggi è vero, sono davvero pochi…» Martha mi diede ragione, sospirando e sollevando gli occhi dallo schermo del cellulare per guardarmi con un bel sorriso sincero sulle labbra. «Quello te lo ha regalato lui, vero? Il ciondolo…» aggiunse, abbassando lo sguardo sul mio collo.
Come avevo fatto anche prima, strinsi nella mano il piccolo medaglione come per proteggerlo, solo che stavolta non avevo nessuna intenzione di proteggere nulla. Volevo solo sentire la presenza del cuoricino d’argento, in qualche modo era come se avessi Edward accanto, anche se non era proprio così.
«Me l’ha dato qualche giorno fa…» mormorai poco dopo, rispondendole e liberando di nuovo il ciondolo una volta che ebbi abbassato la mano. «Però non me lo sarei mai aspettato, a dire la verità!»
«Non sai quanto mi rende felice sapere tutte queste cose, tesoro!» esclamò Martha, prendendo le mie mani tra le sue e stringendole forte. «Dopo tutto quello che è successo hai ritrovato la serenità e la felicità che ti meriti, ci speravo davvero tanto.»
Vedere la mia ex suocera così felice e tranquilla, mentre le raccontavo la svolta che da qualche mese aveva avuto la mia vita, mi scatenò dentro al petto una strana sensazione. Non credevo che avrebbe avuto una reazione simile, non dopo quello che era accaduto con suo figlio e che stava ancora accadendo. Pensavo che… che provasse del rancore verso di me, per aver abbandonato James in quel modo, e per aver portato via da lui sua figlia…
«Io credevo che tu eri arrabbiata con me…» le confessai, incapace di tenermi dentro quel pensiero che mi accompagnava da ormai troppi mesi. Quelle parole furono accompagnate anche da un tremito delle labbra e delle mani, e sicuramente Martha se ne accorse perché cominciò a carezzarmele per farmi tornare di nuovo tranquilla.
«No, non dirlo assolutamente. Nessuno era arrabbiato con te quando hai deciso di andare via. Ti hanno compresa tutti, anche James. E c’era Allyson, non potevi farle vivere tutti quei momenti difficili… ti sei comportata da brava madre responsabile, e nessuno poteva ribattere a questo.» mi sorrise calorosamente, e poi mi abbracciò.
Stretta al suo corpo caldo e materno mi rilassai completamente. Tutti i dubbi ed i pensieri che avevo, e che mi avevano accompagnata fino a Los Angeles, si erano dissipati come per magia grazie alle sue parole. Nessuno mi odiava per quello che era successo e per quello che avevo deciso di fare, ero stata compresa.
Il peso che sentivo al petto si stava pian piano sciogliendo.
Quel nostro momento, così intimo, venne interrotto dalla porta di casa che veniva spalancata con gran fracasso e dalle urla divertite di Allyson rivolte al nonno. Sentendola, mi staccai da Martha e mi misi in piedi, asciugando quelle piccole lacrime che nel frattempo erano riuscite a scendere.
«Vado a prendere la piccina.» dissi ridendo, per poi scappare via verso la cucina, sicura che avrei trovato tutti lì riuniti.
E infatti quando entrai trovai papà che assaggiava poco convinto il sugo della mamma, e la mamma che cercava di togliere gli strati di cappotto e sciarpa che la bambina indossava. Sembrava più paffutella del solito, con la sciarpa di lana che le copriva quasi per metà il viso.
«Hey Allie, vieni di là con me? C’è una sorpresa!» esclamai, andando in soccorso di mia madre e aiutandola a liberare la bambina.
I suoi occhi, sempre attenti, si fissarono su di me con curiosità. «Che sorpresa, mamma?» domandò subito, infatti.
«Non te lo posso dire, altrimenti che sorpresa sarebbe?»
«È un cane? O un gatto? O tutti e due?» continuò a chiedermi, anche dopo che le ebbi tolto il cappellino di lana e che l’avevo presa in braccio per portarla con me. Curiosa com’era, non avrebbe smesso fino a quando non le avrei rivelato di che si trattava… o finché non avrebbe visto il tutto con i suoi occhi.
«Mah, chissà, può darsi di sì.» non dovevo darle quelle false speranze, perché era alquanto improbabile che le avrei regalato un cucciolo da tenere in casa. Un animale aveva bisogno di spazio, e il nostro appartamento di Los Angeles era troppo piccolo… ma se le andava bene, avremmo potuto prendere un pesce rosso.
«Chiudi gli occhi e non aprirli fino a quando non te lo dico io, okay?» aggiunsi, uscendo dalla cucina.
Allyson lo fece subito, arricciando anche le labbra, ma siccome non mi fidavo molto di lei glieli coprii con una mano. Una volta arrivata di nuovo in salotto, dove Martha si trovava ancora seduta sul divano e sorrideva vedendomi che ero tornata con la sua nipotina, mi sedetti accanto a lei e le baciai la guanciotta prima di liberarle gli occhi. «Aprili!» sussurrai.
Allie aprì gli occhi e li sgranò nel giro di un nano secondo non appena si accorse che accanto a noi c’era sua nonna. «Nonna Martaaaaa!» urlò subito, allungando le braccia per far sì che lei la prendesse in braccio.
«Piccolina di nonna! Fatti vedere, ma guarda quanto sei cresciuta…» la voce emozionata di Martha tremava, ed i suoi occhi erano diventati d’un tratto lucidi mentre stringeva il corpo di Allie in un abbraccio e le baciava il viso.
Rischiavo di mettermi a piangere anche io vedendole, e cercai in tutti i modi di evitarlo, ma era davvero difficile. Mi abbracciai la vita con un braccio e mi coprii le labbra con una mano, trattenendo l’ondata di commozione.
 

***

 
Quel giorno Martha si fermò a pranzo da noi, anche perché non avrebbe mai potuto vincere contro le nostre insistenze. Eravamo quattro contro uno, ed era impossibile farci cambiare idea. E poi, quello era un ottimo modo per far sì che passasse qualche altra ora insieme a sua nipote.
Non si vedevano da troppo tempo e la bambina aveva davvero un sacco di cose da raccontarle: della casa nuova, dei suoi nuovi amici, della scuola, dei nuovi zii che aveva acquisito – e che in verità erano i miei amici… e aveva anche un sacco di cose da raccontarle su di Edward.
Martha aveva scoperto più cose su di lui grazie alla lingua lunga di sua nipote piuttosto che da quella biforcuta di mia madre. Io non sarei mai riuscita a dirle tutto quello che Allyson le diceva, riservata com’ero, ed era anche imbarazzante sentirle.
Insomma, io non avrei mai confessato ai miei genitori e a Martha che, spesso e volentieri, io e Edward dormivamo insieme – anche se era una cosa scontata e mia madre già ne era al corrente, credo. Quando Allie lo accennò, tutta presa dal discorso e dal nuovo gioco che aveva ricevuto in regalo poco prima, il viso di mio padre si fece rosso tutto d’un tratto e rischiò di rovesciare sul tappeto buono della mamma la birra che stringeva in una mano. Anche io arrossii, ma di vergogna più che altro.
Avrei dovuto scambiare quattro paroline con la piccola chiacchierona più avanti.
Ma a parte questo, andò tutto bene. Trascorrere del tempo insieme e scoprire che quasi nulla era cambiato, nonostante la brutta avventura che avevamo affrontato tempo prima, era stata davvero una bella sorpresa.
E per di più, papà e Martha erano sempre i soliti tifosi accaniti di football, che supportavano squadre diverse e che, quindi, nel giro di pochi minuti dopo l’inizio di una partita avevano già cominciato ad insultarsi e a dirsene di cotte e di crude.
Roba per niente adatta a una bambina piccola, così dopo aver alzato gli occhi al cielo per quella seccatura me la caricai di peso e la portai via dal salotto, decidendo che era arrivato il momento di farle fare il riposino pomeridiano.
«Mamma, ma io voglio stare con il nonno e le nonne!» urlò subito lei, contrariata, cominciando a scalciare con le gambe. Fortuna che non riusciva a colpire nulla… a parte il mio braccio.
«Lo so che vuoi stare con loro, ma sono quasi le tre. È ora di dormire un po’, che dici?» le feci notare, entrando in camera mia.
Quella stanza era rimasta esattamente come l’avevo lasciata io diversi mesi prima: c’erano sempre le stesse mensole, la stessa libreria, la stessa scrivania e il solito letto in legno scuro, con tanto di trapunta che risaliva ai tempi del liceo. Mamma non aveva toccato nulla, e se c’era stato qualche cambiamento era perché avevo portato via alcune cose che mi sarebbero servite nella mia nuova casa…
Ma per il resto, quella era ancora la mia cameretta da adolescente.
«Dico che non voglio dormire! Andiamo di sotto, per favore mamma!» si lamentò di nuovo e cercò di svignarsela non appena la deposi sul letto. Ma io ero più veloce di lei, e la riacchiappai subito stringendola forte.
«Allie, non fare storie! Stiamo un po’ qui insieme, eh? Ci mettiamo a leggere una bella storia di principi e principesse…»
«La Bella e la Bestia?» propose, calmandosi subito non appena pronunciai le paroline magiche: le favole la conquistavano sempre, non c’era proprio nulla da fare!
«Sì, la Bella e la Bestia, proprio quella! Allora, dove ho messo il libro? Vediamo un po’…»
Nel giro di una ventina di minuti, dopo che avevo finito di leggerle la prima storia e dopo che fummo passate a leggere ‘Cenerentola’, Allyson si addormentò con la testa poggiata sulla mia spalla. Cercava sempre di fare la bambina grande e di saltare il momento del riposino, ma spesso e volentieri era il sonno a vincere contro di lei. Una volta diventata più grande, però, sarebbe stata tutta un'altra storia.
La lasciai sotto alle coperte e, lasciando la porta della camera socchiusa, tornai dagli altri in salotto. Gli animi si erano calmati un po’ visto che la partita era entrata nell’intervallo, ma papà e Martha si guardavano ancora in modo arcigno… chissà quante se ne erano dette!
«Ah tesoro, eccoti qui! Lo vuoi un caffè? È ancora caldo!» mamma scattò in piedi e mi indicò con la mano il vassoio con il caffè e i dolcetti che aveva poggiato sul tavolino, a poca distanza da dove mi trovavo. Sembrava anche sollevata per il mio ritorno: sicuramente lo era perché così non doveva stare da sola a sopportare i due tifosi.
«Perché no? Grazie.» cercando di sembrare tranquilla, e di non ridere per le facce buffe che avevano gli altri due, presi una tazza di caffè e poi mi sedetti sul pavimento. Non c’era quasi più posto per sedersi lì, e poi era una mia abitudine di quando ero piccola stare sul pavimento. Mamma mi sgridava sempre, ma a me piaceva un sacco.
«Allyson dorme?» domandò papà, e il suo sembrò più un mugugno che altro.
«Sì, ma secondo me tra un oretta si sveglierà…»
«Eh, oggi non vale proprio la pena di dormire! Ma almeno un po’ di sonno se lo sta godendo.» osservò mia madre, annuendo alle sue stesse parole.
«C’è un lato positivo in questo: se dorme poco adesso, stasera si addormenterà presto…»
«…e si sveglierà alle cinque domani mattina! Come l’altro giorno, eh Charlie? Non è venuta a tirarti i baffi alle cinque di mattina?»
Martha si mise a ridere con gusto sentendo mia madre. «Volevo guardare la scena, che cavolo!» esclamò, continuando a ridere.
Papà cominciò a brontolare tra sé, cosa che mi fece ridacchiare, ma non riuscii a sentire quello che diceva anche perché il suo brontolio venne attutito dal suono del telefono, che cominciò a squillare.
Mamma andò a rispondere, correndo e ripetendo ad alta voce “Vado io, vado io, vado io!”
«Ma che succede oggi in questa casa? Sembrate tutti pazzi!» papà sembrava sconvolto.
«Pazzi? A me sembra tutto normale, invece…» dissi prima di bere un altro po’ di caffè: era davvero tutto normale, e poi ero abituata alla pazzia della mia famiglia.
«Bella?» mi voltai, sentendo che mia madre mi stava chiamando. Se ne stava sulla soglia del salotto e agitava il telefono nella mano, preoccupata. «È l’ospedale, per te. Vogliono parlarti.»
«L’ospedale?» confusa, mi alzai in piedi e la raggiunsi. Che volevano da me? Sapevano che non mi trovavo a Los Angeles e che avevo preso dei giorni di ferie per trascorrere le feste insieme alla mia famiglia… che si fossero sbagliati? Mi sembrava così strano.
«Che vuole da te Evelyn?» bisbigliò mia madre non appena le fui accanto.
«Evelyn?» più confusa di prima, scrutai il volto teso di mia madre: non conoscevo nessuna infermiera Evelyn che lavorava insieme a me. Ma ce n’era una che lavorava all’ospedale di Forks, la conoscevo da tempo visto che, spesso e volentieri, mi aveva ricucita quando mi facevo male da bambina. Aggrottando le sopracciglia, presi il telefono dalle sue mani e lo accostai all’orecchio. «Pronto?»
«Bella, cara! Che piacere sentirti di nuovo! Come va la vita a Los Angeles? Ho saputo che ti sei trasferita lì…» una voce alta e squillante mi trafisse il timpano.
«Evelyn, ciao! Va tutto bene, sì.» dissi, ignorando gli strani gesti che mi stava rivolgendo mia madre. Notai che papà e Martha mi stavano osservando e che si erano avvicinati come per capire qualcosa.
Eh, anche io volevo capirci qualcosa.
«Bene, davvero molto bene! Cavolo, sembra ieri che venivi qui perché avevi bisogno di medicazioni… e guarda adesso! Sei un infermiera e abiti lontano!» continuò, facendomi un po’ innervosire.
Se mi aveva chiamato per fare quattro chiacchiere e per spettegolare su di me, beh, aveva sicuramente scelto il momento sbagliato. «Già, Evelyn, sì… senti, dovevi dirmi qualcosa?» chiesi. Sarei sicuramente sembrata sgarbata, ma davvero non mi andava di parlare della mia vita al telefono, come se fossi un gossip succulento.
«Oh, sì! Me ne stavo dimenticando! Ascolta, tesoro, è arrivato qui da poco un bel ragazzotto che dice di essere il tuo fidanzato… ma non è che volevi tenercelo nascosto, eh, birichina?» disse, sempre ridendo.
«Cosa?» domandai, presa alla sprovvista. «Il… il mio fidanzato? Forse ti stai sbagliando, Evelyn…»
Sì, sicuramente si stava sbagliando. Il mio fidanzato, se potevo davvero chiamarlo in quel modo, si trovava a migliaia di chilometri di distanza da me e molto probabilmente stava lavorando. E poi, come faceva a sapere, lei, che io avevo un fidanzato?
La lingua lunga di mia madre aveva raggiunto anche lei, che era una delle pettegole più incallite di tutta Forks?
«No no, non mi sto sbagliando!» la sentivo frugare con diversi fogli, mentre parlava. «Hanno portato al pronto soccorso un ragazzo con i capelli rossi e gli occhi verdi, dice di essere il tuo fidanzato e che si chiama Edward Cullen. Ha detto anche che dovevamo avvertirti per farti sapere che lui si trova qui… e, beh, visto che sei l’unica Isabella Swan che abita a Forks e che conosco, non potevi che essere tu.»
Ero sconvolta. Edward si trovava veramente a Forks, quando io non ne sapevo assolutamente nulla, e per di più era in ospedale… era impossibile! Che cazzo ci faceva in ospedale? Non riuscivo proprio a crederci. «Edward è in ospedale?» chiesi.
Evelyn sbuffò, come scocciata. «Sì, cara, è qui. Credo che faresti meglio a venire, e in fretta anche.»

 
 
 
 
 

_____________

OMG, Edward è in ospedale! Come ci è finito? O___O
State tranquille, posso assicurarvi che non è nulla di grave, come vedrete nel prossimo capitolo u.u vi prego, smettetela di scrocchiarvi le nocche delle mani! X’D
No, sul serio, ho già tutto in testa e potete stare tranquille sul fatto che non ho deciso di ammazzare il nostro principe azzurro. Ci sono, più o meno, altri 15 capitoli prima della fine della storia e lui sarà presente in tutti, quindi niente paura XD
E poi sapete che a me piace creare piccole tragedie che si risolvono in poco tempo, no? Non sono così cattiva e perfida come pensate U_u
Ma se volete insultarmi lo stesso, potete farlo qui su EFP altrimenti venite a trovarmi sul mio gruppo Facebook: non vedo l’ora di leggere le vostre maledizioni XD

Ci sentiamo alla prossima puntata, spero che arrivi presto presto ^-^ bacioni a tutte voi! *Smuack!*
   
 
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