Ciao ragazze! Eccomi di nuovo qui XD
È passato quasi un mese, lo so, è troppo
che non mi faccio sentire! Ultimamente sono parecchio impegnata, e con questo
caldo la voglia di stare al pc è davvero pochissima… mi sembra di fare una
sauna ogni volta @.@ quasi quasi preferivo il freddo anomalo di Maggio XD
Ma anche se ho poco tempo, come vedete
riesco a scrivere lo stesso XD e quindi, ecco il capitolo che stavate
aspettando :3
Abbiamo lasciato i nostri piccioncini dopo
che si sono finalmente dichiarati, e per di più sono stati interrotti dalla
piccola Allie proprio sul più bello delle ‘coccole’ XD che cosa succederà
adesso?
Noi ci sentiamo più tardi, alla fine del
capitolo ;) buona lettura!
Capitolo
21
«E poi?
E poi cos’è successo?»
«E poi
basta, la conversazione è finita lì.»
«Ma… ma
come?» mia madre sembrava davvero sconvolta, con le spalle basse e le labbra
incurvate verso il basso. «Finire una conversazione in quel modo? È assurdo!»
Già, lo
avevo pensato anche io… ma questo non glielo confessai e mi limitai a scrollare
le spalle. «Non è importante per adesso.»
«Ma che
sciocchezze dici, è importantissimo!»
mi rimproverò animatamente alzando le braccia verso l’alto, con tanto di
cucchiaione di legno sporco di sugo.
Sospirai,
sconsolata, sapendo che avrei dovuto sopportare lei e il suo strano
comportamento, per di più da sola, ancora per diverse ore.
Tornare
a Forks per le vacanze di Natale era stata davvero una buona idea: in questa
piccola cittadina il clima natalizio si sentiva molto di più, si respirava
addirittura. Cosa molto diversa rispetto alla città di Los Angeles, che mi
aveva adottata alcuni mesi prima. Gli addobbi, le decorazioni e le luci c’erano
anche lì, anche se lasciavano agli occhi non abituati una strana impressione. E
poi, a Los Angeles la neve non esisteva! Era bizzarro persino notare un finto
pupazzo di neve in bella mostra nel giardino di casa.
A
Forks, invece, la neve c’era eccome ed era anche molta, abbondante. Io ed
Allyson eravamo arrivate da neanche cinque giorni e ne avevamo vista scendere
un sacco. Stando ai meteorologi, quello era uno degli inverni più nevosi degli
ultimi anni.
Ma
nonostante il brutto tempo, avevamo comunque trascorso bene ed in completa
allegria i giorni di festa; la mamma aveva invitato una sua parente ad unirsi a
noi, zia Brunilde, e lei aveva trascorso la maggior parte del tempo a dare
consigli ad Allyson, consigli del genere “come non fidarsi degli uomini”. E mi
aveva sgridata e lanciato un sacco di occhiatacce quando aveva notato il
medaglione che mi aveva regalato Edward, e che da quando lo aveva fatto lo
portavo sempre al collo.
Edward…
Non lo
vedevo da qualche giorno, ovvero da quando aveva accompagnato me e mia figlia
all’aeroporto il giorno della nostra partenza per Forks. Mi aveva stretta forte
a se prima di lasciarmi andare, continuando a mormorare come in una litania che
mi amava e che mi avrebbe chiamato ogni giorno. Da quando me lo aveva
confessato non smetteva più di dirmi quelle due piccole parole magiche, e
neanche io ero da meno.
Ci
amavamo, e per la prima volta nella mia vita sentivo che tutto sarebbe andato
per il verso giusto.
Lo
pensava anche la mamma, solo che lei già voleva cominciare a cercare la data
giusta per il matrimonio. Stava già viaggiando a tremila chilometri orari con
il suo cervellino bacato, e si lamentava di continuo con me perché non avevo
portato anche Edward, il mio ‘fidanzato ufficiale’, a Forks.
Come
facevo a spiegarle che la sua fretta era troppo assurda e mi metteva ansia?
«Quando
ti ha telefonato l’ultima volta? Quando vi siete sentiti?» chiese riprendendo a
mescolare il sugo, che sobbolliva piano sul fornello.
«Mhm…
stamattina, credo.» borbottai in risposta.
«Stamattina?
Ma sono passate troppe ore! Richiamalo subito! Non far passare altro tempo,
Bella!» mi sgridò, e mescolò la salsa con così tanta energia da farla schizzare
sulle piastrelle chiare della cucina.
«Mamma!
Smettila, sei assurda!» la rimproverai e mi affrettai a pulire le gocce rosse
con un panno umido.
Alcune
volte, quando ero a casa con la mamma, mi sembrava di essere l’unica persona adulta
presente, oltre a papà, ed era come se avessi due bimbe piccole di cui
occuparmi. Una naturalmente era Allie, l’altra invece era Renèe. Si comportava
davvero da bambina capricciosa, alle volte.
«Non
sono assurda!»
«Sì che
lo sei! Non voglio disturbare Edward ogni cinque minuti, e chiamarlo due volte
al giorno mi sembra anche troppo.» le spiegai, e le rubai di mano il cucchiaio
per assaggiare il sugo. Storsi le labbra. «Uhm, è troppo salato! Ma quanto sale
ci hai messo?»
«Io?
Una volta sola! O forse erano due? Oh!» esclamò, sospirando in maniera
esagerata qualche istante dopo mentre si passava stancamente le mani sul viso.
«Vedi? Questo è perché mi preoccupo per te!» aggiunse, quasi teatralmente.
Inarcai
le sopracciglia: mia madre sarebbe potuta diventare una brava attrice, peccato
che si esibiva in questo modo solo quando le andava e le piaceva. «Non ci
casco, mamma.»
«Uffa!»
esclamò di nuovo, ma poi scoppiò a ridere e mi abbracciò, poggiando le labbra
sulla mia testa. «Ah, la mia piccola Bella, che non è più tanto piccola ormai…»
la sentii borbottare.
«Da
cosa hai capito che non sono più una bambina?» scherzai, voltandomi per
osservarla meglio. Doveva essersi persa qualche pezzo della mia vita per
strada, assolutamente. Da quel che ricordavo io, avevo sentito di essere
diventata completamente adulta quando avevo scoperto di essere incinta di
Allyson.
Beh,
forse anche prima, quando decisi, stupidamente, che sarebbe stato interessante
avere delle relazioni di solo sesso all’università.
Arrossii,
inevitabilmente, quando ci pensai.
«Mah,
da un pezzo… ma una madre fa sempre finta che i suoi figli siano ancora dei
bambini, anche quando hanno trent’anni suonati e prole al seguito.» disse.
«Ma io
non ho trent’anni!» ribattei, piccata. Non dimostravo ancora quell’età, e poi
avevo compiuto ventitré anni solo da pochi mesi!
«Lo so,
ma hai già la prole! Ed io continuo a vederti ancora con i codini ai capelli…»
Arricciai
il naso, al pensiero. «Quei codini erano orrendi.»
«Ma no,
che dici! Eri una bambina così carina quando li portavi!»
«Erano
orrendi, punto e basta!» mi divincolai dal suo abbraccio ridendo, e le
restituii il cucchiaio. «Do una sistemata ai giochi di Allie in salotto.» la
avvertii.
«Va
bene tesoro, io cerco di non far bruciare il sugo.»
Scuotendo
la testa, uscii dalla cucina e andai dritta verso il piccolo salotto di casa,
che era diventato ancora più piccolo a causa dei vari giochi che avevamo deciso
di lasciare a Forks e che in quel momento lo riempivano. Allyson non mi
ascoltava mai, quando le dicevo che dopo aver utilizzato un determinato oggetto
doveva rimetterlo al suo posto. Ed ecco, quindi, il risultato della sua
svogliatezza di bambina: il caos.
C’erano
bambole, bamboline, peluche e accessori vari sparsi in ogni angolo, persino
sulla poltrona preferita di papà, per sua grande gioia. Per fortuna non era in
casa, altrimenti si sarebbe disperato per tutto quel casino che c’era dentro
casa.
Quella
mattina aveva deciso di portare la bambina con se alla centrale di polizia, ed
Allie era così contenta all’idea di fare l’assistente poliziotta che non ero riuscita
a dirle di no. Sapevo che non sarebbe potuto accaderle nulla: Forks era una
città piccola, molto piccola, e il crimine era quasi inesistente. I casi più
gravi che avevano avuto erano stati dei furti al supermercato.
Ripeto:
il crimine era quasi inesistente.
Sarebbero
dovuti arrivare per l’ora di pranzo, e mancava poco più di un’ora al loro
ritorno. Avevo tutto il tempo a disposizione per sistemare i giochi all’interno
delle varie ceste, e mia madre aveva a sua volta un sacco di tempo per non
bruciare il nostro pranzo.
Quando
ci si impegnava, faceva un sacco di disastri in cucina.
Il
campanello di casa suonò quando io avevo già riempito una cesta ed ero a metà
della seconda. Lanciai uno sguardo alla vecchia pendola della nonna, notando
che erano appena le dodici e un quarto e che, quindi, non potevano essere papà
e Allyson le persone alla porta.
«Sono
già tornati?» gridò la mamma dalla cucina.
«Non
penso, è presto!» risposi, e dopo aver gettato distrattamente uno spelacchiato
leone di peluche nella cesta andai alla porta.
Quando
la aprii, restai per alcuni secondi spiazzata vedendo di chi si trattava.
Socchiusi la bocca senza riuscire a dire nulla, e portai una mano a stringere
il piccolo cuore che avevo al collo. Non sapevo bene per quale motivo lo feci,
ma fu impossibile bloccare il movimento del mio braccio.
Una
donna alta e dai capelli biondi, lunghi fino alle spalle, mi osservava con
occhi lucidi e sorrideva mestamente, stringendo tra le mani i manici di una
borsa e di una busta enorme. Fece un passo in avanti e, dopo aver allargato un
po’ il sorriso, parlò. «Ciao, bambina.»
Sentendo
la sua voce mi riscossi dal torpore che mi aveva invasa, e mi allungai verso di
lei per abbracciarla. Erano passati così tanti mesi dall’ultima volta che
l’avevo vista, che ero stata con lei, e che avevo sentito il suo profumo. Chanel n°5, impossibile sbagliarsi.
Era il
suo profumo preferito, al quale non poteva proprio fare a meno.
«Martha.»
dissi in un soffio, sentendo che lei ricambiava il mio abbraccio.
Martha
Stewart, la madre di James, la mia ex suocera, sedeva sul piccolo divano del
salotto e stringeva tra le mani una tazza di caffè. Mamma le sedeva accanto e
la osservava in modo curioso, ma che a tratti sfociava nel morboso, stile
serial killer. Io, invece, le osservavo entrambe stando seduta sulla poltrona
di papà, ma in quel momento avevo deciso che era la mia.
Non
vedevo Martha dal giorno in cui avevano chiuso la sentenza del divorzio, ovvero
da undici mesi e qualche giorno, e ogni singolo giorno di quei lunghi mesi
sembrava impresso sui tratti del suo viso.
Era più
scavato, segnato dalle rughe e dalla stanchezza, e le borse sotto agli occhi erano
evidenti e marcate, segno che il correttore non doveva aver funzionato bene
come al solito. Gli occhi azzurri, identici per forma e per colore a quelli di
suo figlio, erano tristi. Martha era sempre stata una bella donna, anche adesso
che aveva raggiunto i cinquant’anni di età, ma d’un tratto sembrava diventata
più vecchia e spenta.
L’ultimo
anno per lei doveva essere stato pesante, molto più di quanto avessi
immaginato.
«Martha,
va tutto bene?» le chiesi, senza smettere di osservarla.
Il suo
viso scattò in alto, incrociando il mio, e annuì cercando di sorridere. «Sì,
sì, va tutto bene. Sono solo… un po’ stanca.» rispose, facendo scorrere la
punta del dito sul bordo della tazza.
«Dovresti
riposare un po’ di più, cara.» le consigliò mamma, carezzandole gentilmente una
spalla.
«Lo so,
ma non è semplice. Sai, con due lavori…»
«Due
lavori?» chiesi, colta alla sprovvista. Non ero a conoscenza di quel
particolare.
Martha
sorrise mestamente, stringendosi nelle spalle. «Ho dovuto cercarne un altro,
Bella. Il mio stipendio non bastava più, e… e la clinica costa molto, ci sono
sempre così tante spese…»
«Scusatemi
tanto, ma devo andare a controllare il pranzo prima che si bruci tutto! Mi
trovate di là, se avete bisogno di qualcosa.» esclamò mia madre, alzandosi in
piedi e sparendo in cucina nel giro di pochi secondi. La brevissima occhiata
che mi rivolse prima di andare via, mi fece capire che voleva lasciarmi da sola
con Martha.
Beh, in
effetti non era una brutta idea… non la vedevo da così tanto tempo, e parlarle
e cercare di capire da lei come fosse trascorso quell’ultimo anno mi sembrava
giusto. In quel momento rimpiansi di aver tagliato i rapporti con lei, e non
riuscivo a ricordare il motivo preciso per cui lo avevo fatto.
«Io non
sapevo nulla di questo.» mormorai, avvicinandomi a lei e sedendomi al posto che
prima aveva occupato mia madre. «E la mamma non mi ha mai detto niente quando
le telefonavo…»
«Sicuramente
lo ha fatto perché non voleva farti preoccupare, e in parte perché neanche io
volevo che lo sapessi. Da sola, a Los Angeles, avevi tantissime cose a cui
pensare e di certo non ti servivano anche i miei problemi.» mi sorrise ancora e
mi strinse leggermente una mano.
Ricambiai
la stretta, abbassando lo sguardo. «Come sta James? So che sta cercando di
liberarsi della droga, ma… ma come sta veramente?» domandai, esprimendo a voce
uno dei pensieri che più mi assillava.
Gli
occhi di Martha si inumidirono subito, e un nuovo e leggero sorriso le increspò
le labbra. «Sta bene, sta davvero molto bene. Ormai è completamente fuori dal
giro e potrebbe uscire dalla clinica tra poche settimane… Victoria, una delle psicologhe
che lo segue, me ne ha dato la conferma. Se lo vedessi adesso, Bella, non lo
riconosceresti! È una persona completamente nuova e piena di vita!»
«Non
sai quanto mi fa piacere saperlo!» mormorai, stringendomi a lei. Sentivo gli
occhi pungere, ma sperai di non mettermi a piangere da un momento all’altro.
«James se lo merita, è un ragazzo così buono…»
«Sì,
peccato che la droga me lo stava quasi per portare via…» la voce di Martha si
ruppe sull’ultima parte della frase, e fu costretta a smettere di parlare per
calmarsi. Si schiarì la gola.
«Ma
adesso sta bene, non serve ripensare a quel… momento, non serve.» cercai di
tranquillizzarla, e sperai di esserci riuscita.
«È
vero, adesso è tutto passato.» Martha si strofinò gli occhi, piano, prendendo
un bel respiro prima di riabbassare le mani e di voltarsi verso di me. «Sai, ho
come l’impressione che tra James e Victoria ci sia del… del tenero.»
Sgranai
gli occhi, non aspettandomi davvero di sapere una cosa simile, ma contenta che
fossimo passate ad un argomento più leggero e così bello. «Davvero?»
«Sì!
Vedi, i pazienti possono ricevere solo una visita al mese, e quasi ogni volta
che andavo a trovare James, con lui c’era anche la sua psicologa, Victoria per
l’appunto. All’inizio erano più distanti, ma adesso… sono più coinvolti e
complici, e più di una volta li ho visti prendersi per mano, anche se solo per
pochi secondi. Sono molto curiosa di sapere se si vedranno ancora, anche quando
James uscirà dalla clinica.»
«Se si
vogliono bene sì, non è proprio da escludere!» ridacchiai, stringendo le labbra
tra di loro. «Sono davvero contenta di saperlo.»
«Mi fa
piacere, tesoro.» Martha, scuotendo piano la testa, fissò per qualche istante
la parete del salotto e poi tornò a guardarmi con un sorriso rilassato sulle
labbra. «Ma adesso raccontami qualcosa di te e sulla tua nuova vita a Los
Angeles! E Allyson, a lei piace vivere lì?»
«Moltissimo,
sai com’è fatta lei no? Portala in un posto nuovo e vedrai che non vorrà più
andare via!» mi misi a ridere. «Ha cominciato la scuola materna e ha anche
alcuni nuovi amici, ed è la solita guastafeste. In quello non è proprio
cambiata, posso assicurartelo…»
«Oddio,
non vedo l’ora di rivederla! Le ho portato anche un regalino… Babbo Natale lo
ha lasciato sotto il mio albero, ha pensato a lei.» e mi fece l’occhiolino,
ridacchiando. «E… invece, che mi dici del tuo Edward? È un bravo ragazzo, sì?»
Un
verso indecente uscì dalle mie labbra, provocando una nuova risata alla mia
vicina di divano. Martha aveva completamente cambiato umore da quando era
arrivata, ed era bello sapere che il merito era stato anche un po’ mio… e di
quelle notizie date a bruciapelo. «Sai di Edward?» squittii, quasi.
«Sai
com’è fatta tua madre, non può tenersi dentro nulla. Deve subito raccontarlo a
qualsiasi persona che incontra… allora? Che mi dici di lui? Sono proprio curiosa
di sapere tutto dalla diretta interessata!»
Arrossii,
inevitabilmente. «Eh… sono sicura che sai già tutto, ma comunque… è un chirurgo
ortopedico, ha trent’anni, ci siamo conosciuti durante il mio primo giorno di
lavoro in ospedale…» non potei fare a meno di alzare gli occhi al cielo e di
ripensare a quel giorno, e alle avance sfacciate che mi aveva regalato.
Quanto
lo avevo odiato in quei primi giorni! E invece adesso lo amavo. Che strano, eh?
«Ed è
bello?»
«Molto,
è molto bello. Aspetta…» riuscii a recuperare il cellulare dalla tasca dei
pantaloni e feci illuminare lo schermo, così da poterle far vedere la foto che
da qualche giorno utilizzavo come sfondo. Erano Edward e Allyson che si
abbracciavano, sorridenti, il giorno dopo che avevamo trascorso insieme la
notte da lui, e indossavano ancora il pigiama.
«Accidenti,
se è bello! E quegli occhi…» Martha sembrava smarrita, mentre fissava la foto e
la studiava.
Sorrisi.
«Dal vivo sono ancora più belli.»
«Non lo
metto in dubbio! E guarda Allie, com’è contenta!»
«Gli
vuole molto bene, hanno legato così tanto…» sospirai, involontariamente.
«Edward non si è tirato indietro quando ha saputo che avevo una figlia, ha
voluto conoscermi lo stesso e frequentarmi… sono pochissimi gli uomini che
farebbero la stessa cosa che ha fatto lui.»
«Oggi
come oggi è vero, sono davvero pochi…» Martha mi diede ragione, sospirando e
sollevando gli occhi dallo schermo del cellulare per guardarmi con un bel
sorriso sincero sulle labbra. «Quello te lo ha regalato lui, vero? Il
ciondolo…» aggiunse, abbassando lo sguardo sul mio collo.
Come
avevo fatto anche prima, strinsi nella mano il piccolo medaglione come per
proteggerlo, solo che stavolta non avevo nessuna intenzione di proteggere
nulla. Volevo solo sentire la presenza del cuoricino d’argento, in qualche modo
era come se avessi Edward accanto, anche se non era proprio così.
«Me
l’ha dato qualche giorno fa…» mormorai poco dopo, rispondendole e liberando di
nuovo il ciondolo una volta che ebbi abbassato la mano. «Però non me lo sarei
mai aspettato, a dire la verità!»
«Non
sai quanto mi rende felice sapere tutte queste cose, tesoro!» esclamò Martha,
prendendo le mie mani tra le sue e stringendole forte. «Dopo tutto quello che è
successo hai ritrovato la serenità e la felicità che ti meriti, ci speravo
davvero tanto.»
Vedere
la mia ex suocera così felice e tranquilla, mentre le raccontavo la svolta che
da qualche mese aveva avuto la mia vita, mi scatenò dentro al petto una strana
sensazione. Non credevo che avrebbe avuto una reazione simile, non dopo quello
che era accaduto con suo figlio e che stava ancora accadendo. Pensavo che… che
provasse del rancore verso di me, per aver abbandonato James in quel modo, e
per aver portato via da lui sua figlia…
«Io
credevo che tu eri arrabbiata con me…» le confessai, incapace di tenermi dentro
quel pensiero che mi accompagnava da ormai troppi mesi. Quelle parole furono accompagnate
anche da un tremito delle labbra e delle mani, e sicuramente Martha se ne
accorse perché cominciò a carezzarmele per farmi tornare di nuovo tranquilla.
«No,
non dirlo assolutamente. Nessuno era arrabbiato con te quando hai deciso di
andare via. Ti hanno compresa tutti, anche James. E c’era Allyson, non potevi
farle vivere tutti quei momenti difficili… ti sei comportata da brava madre
responsabile, e nessuno poteva ribattere a questo.» mi sorrise calorosamente, e
poi mi abbracciò.
Stretta
al suo corpo caldo e materno mi rilassai completamente. Tutti i dubbi ed i
pensieri che avevo, e che mi avevano accompagnata fino a Los Angeles, si erano
dissipati come per magia grazie alle sue parole. Nessuno mi odiava per quello
che era successo e per quello che avevo deciso di fare, ero stata compresa.
Il peso
che sentivo al petto si stava pian piano sciogliendo.
Quel
nostro momento, così intimo, venne interrotto dalla porta di casa che veniva
spalancata con gran fracasso e dalle urla divertite di Allyson rivolte al
nonno. Sentendola, mi staccai da Martha e mi misi in piedi, asciugando quelle
piccole lacrime che nel frattempo erano riuscite a scendere.
«Vado a
prendere la piccina.» dissi ridendo, per poi scappare via verso la cucina,
sicura che avrei trovato tutti lì riuniti.
E
infatti quando entrai trovai papà che assaggiava poco convinto il sugo della
mamma, e la mamma che cercava di togliere gli strati di cappotto e sciarpa che
la bambina indossava. Sembrava più paffutella del solito, con la sciarpa di
lana che le copriva quasi per metà il viso.
«Hey
Allie, vieni di là con me? C’è una sorpresa!» esclamai, andando in soccorso di
mia madre e aiutandola a liberare la bambina.
I suoi
occhi, sempre attenti, si fissarono su di me con curiosità. «Che sorpresa,
mamma?» domandò subito, infatti.
«Non te
lo posso dire, altrimenti che sorpresa sarebbe?»
«È un
cane? O un gatto? O tutti e due?» continuò a chiedermi, anche dopo che le ebbi
tolto il cappellino di lana e che l’avevo presa in braccio per portarla con me.
Curiosa com’era, non avrebbe smesso fino a quando non le avrei rivelato di che
si trattava… o finché non avrebbe visto il tutto con i suoi occhi.
«Mah,
chissà, può darsi di sì.» non dovevo darle quelle false speranze, perché era
alquanto improbabile che le avrei regalato un cucciolo da tenere in casa. Un
animale aveva bisogno di spazio, e il nostro appartamento di Los Angeles era
troppo piccolo… ma se le andava bene, avremmo potuto prendere un pesce rosso.
«Chiudi
gli occhi e non aprirli fino a quando non te lo dico io, okay?» aggiunsi,
uscendo dalla cucina.
Allyson
lo fece subito, arricciando anche le labbra, ma siccome non mi fidavo molto di
lei glieli coprii con una mano. Una volta arrivata di nuovo in salotto, dove
Martha si trovava ancora seduta sul divano e sorrideva vedendomi che ero
tornata con la sua nipotina, mi sedetti accanto a lei e le baciai la guanciotta
prima di liberarle gli occhi. «Aprili!» sussurrai.
Allie
aprì gli occhi e li sgranò nel giro di un nano secondo non appena si accorse
che accanto a noi c’era sua nonna. «Nonna Martaaaaa!» urlò subito, allungando
le braccia per far sì che lei la prendesse in braccio.
«Piccolina
di nonna! Fatti vedere, ma guarda quanto sei cresciuta…» la voce emozionata di
Martha tremava, ed i suoi occhi erano diventati d’un tratto lucidi mentre
stringeva il corpo di Allie in un abbraccio e le baciava il viso.
Rischiavo
di mettermi a piangere anche io vedendole, e cercai in tutti i modi di
evitarlo, ma era davvero difficile. Mi abbracciai la vita con un braccio e mi
coprii le labbra con una mano, trattenendo l’ondata di commozione.
Quel
giorno Martha si fermò a pranzo da noi, anche perché non avrebbe mai potuto
vincere contro le nostre insistenze. Eravamo quattro contro uno, ed era
impossibile farci cambiare idea. E poi, quello era un ottimo modo per far sì
che passasse qualche altra ora insieme a sua nipote.
Non si
vedevano da troppo tempo e la bambina aveva davvero un sacco di cose da
raccontarle: della casa nuova, dei suoi nuovi amici, della scuola, dei nuovi
zii che aveva acquisito – e che in verità erano i miei amici… e aveva anche un
sacco di cose da raccontarle su di Edward.
Martha
aveva scoperto più cose su di lui grazie alla lingua lunga di sua nipote
piuttosto che da quella biforcuta di mia madre. Io non sarei mai riuscita a
dirle tutto quello che Allyson le diceva, riservata com’ero, ed era anche
imbarazzante sentirle.
Insomma,
io non avrei mai confessato ai miei genitori e a Martha che, spesso e
volentieri, io e Edward dormivamo insieme – anche se era una cosa scontata e
mia madre già ne era al corrente, credo. Quando Allie lo accennò, tutta presa
dal discorso e dal nuovo gioco che aveva ricevuto in regalo poco prima, il viso
di mio padre si fece rosso tutto d’un tratto e rischiò di rovesciare sul
tappeto buono della mamma la birra che stringeva in una mano. Anche io
arrossii, ma di vergogna più che altro.
Avrei dovuto
scambiare quattro paroline con la piccola chiacchierona più avanti.
Ma a
parte questo, andò tutto bene. Trascorrere del tempo insieme e scoprire che
quasi nulla era cambiato, nonostante la brutta avventura che avevamo affrontato
tempo prima, era stata davvero una bella sorpresa.
E per
di più, papà e Martha erano sempre i soliti tifosi accaniti di football, che
supportavano squadre diverse e che, quindi, nel giro di pochi minuti dopo
l’inizio di una partita avevano già cominciato ad insultarsi e a dirsene di
cotte e di crude.
Roba
per niente adatta a una bambina piccola, così dopo aver alzato gli occhi al
cielo per quella seccatura me la caricai di peso e la portai via dal salotto,
decidendo che era arrivato il momento di farle fare il riposino pomeridiano.
«Mamma,
ma io voglio stare con il nonno e le nonne!» urlò subito lei, contrariata,
cominciando a scalciare con le gambe. Fortuna che non riusciva a colpire nulla…
a parte il mio braccio.
«Lo so
che vuoi stare con loro, ma sono quasi le tre. È ora di dormire un po’, che
dici?» le feci notare, entrando in camera mia.
Quella
stanza era rimasta esattamente come l’avevo lasciata io diversi mesi prima:
c’erano sempre le stesse mensole, la stessa libreria, la stessa scrivania e il
solito letto in legno scuro, con tanto di trapunta che risaliva ai tempi del
liceo. Mamma non aveva toccato nulla, e se c’era stato qualche cambiamento era
perché avevo portato via alcune cose che mi sarebbero servite nella mia nuova
casa…
Ma per
il resto, quella era ancora la mia cameretta da adolescente.
«Dico
che non voglio dormire! Andiamo di sotto, per favore mamma!» si lamentò di
nuovo e cercò di svignarsela non appena la deposi sul letto. Ma io ero più
veloce di lei, e la riacchiappai subito stringendola forte.
«Allie,
non fare storie! Stiamo un po’ qui insieme, eh? Ci mettiamo a leggere una bella
storia di principi e principesse…»
«La
Bella e la Bestia?» propose, calmandosi subito non appena pronunciai le
paroline magiche: le favole la conquistavano sempre, non c’era proprio nulla da
fare!
«Sì, la
Bella e la Bestia, proprio quella! Allora, dove ho messo il libro? Vediamo un
po’…»
Nel
giro di una ventina di minuti, dopo che avevo finito di leggerle la prima
storia e dopo che fummo passate a leggere ‘Cenerentola’, Allyson si addormentò
con la testa poggiata sulla mia spalla. Cercava sempre di fare la bambina
grande e di saltare il momento del riposino, ma spesso e volentieri era il
sonno a vincere contro di lei. Una volta diventata più grande, però, sarebbe
stata tutta un'altra storia.
La
lasciai sotto alle coperte e, lasciando la porta della camera socchiusa, tornai
dagli altri in salotto. Gli animi si erano calmati un po’ visto che la partita
era entrata nell’intervallo, ma papà e Martha si guardavano ancora in modo
arcigno… chissà quante se ne erano dette!
«Ah
tesoro, eccoti qui! Lo vuoi un caffè? È ancora caldo!» mamma scattò in piedi e
mi indicò con la mano il vassoio con il caffè e i dolcetti che aveva poggiato
sul tavolino, a poca distanza da dove mi trovavo. Sembrava anche sollevata per
il mio ritorno: sicuramente lo era perché così non doveva stare da sola a
sopportare i due tifosi.
«Perché
no? Grazie.» cercando di sembrare tranquilla, e di non ridere per le facce
buffe che avevano gli altri due, presi una tazza di caffè e poi mi sedetti sul
pavimento. Non c’era quasi più posto per sedersi lì, e poi era una mia
abitudine di quando ero piccola stare sul pavimento. Mamma mi sgridava sempre,
ma a me piaceva un sacco.
«Allyson
dorme?» domandò papà, e il suo sembrò più un mugugno che altro.
«Sì, ma
secondo me tra un oretta si sveglierà…»
«Eh,
oggi non vale proprio la pena di dormire! Ma almeno un po’ di sonno se lo sta
godendo.» osservò mia madre, annuendo alle sue stesse parole.
«C’è un
lato positivo in questo: se dorme poco adesso, stasera si addormenterà presto…»
«…e si
sveglierà alle cinque domani mattina! Come l’altro giorno, eh Charlie? Non è
venuta a tirarti i baffi alle cinque di mattina?»
Martha
si mise a ridere con gusto sentendo mia madre. «Volevo guardare la scena, che
cavolo!» esclamò, continuando a ridere.
Papà
cominciò a brontolare tra sé, cosa che mi fece ridacchiare, ma non riuscii a
sentire quello che diceva anche perché il suo brontolio venne attutito dal
suono del telefono, che cominciò a squillare.
Mamma
andò a rispondere, correndo e ripetendo ad alta voce “Vado io, vado io, vado
io!”
«Ma che
succede oggi in questa casa? Sembrate tutti pazzi!» papà sembrava sconvolto.
«Pazzi?
A me sembra tutto normale, invece…» dissi prima di bere un altro po’ di caffè:
era davvero tutto normale, e poi ero abituata alla pazzia della mia famiglia.
«Bella?»
mi voltai, sentendo che mia madre mi stava chiamando. Se ne stava sulla soglia
del salotto e agitava il telefono nella mano, preoccupata. «È l’ospedale, per
te. Vogliono parlarti.»
«L’ospedale?»
confusa, mi alzai in piedi e la raggiunsi. Che volevano da me? Sapevano che non
mi trovavo a Los Angeles e che avevo preso dei giorni di ferie per trascorrere
le feste insieme alla mia famiglia… che si fossero sbagliati? Mi sembrava così
strano.
«Che vuole da te Evelyn?» bisbigliò mia
madre non appena le fui accanto.
«Evelyn?»
più confusa di prima, scrutai il volto teso di mia madre: non conoscevo nessuna
infermiera Evelyn che lavorava insieme a me. Ma ce n’era una che lavorava
all’ospedale di Forks, la conoscevo da tempo visto che, spesso e volentieri, mi
aveva ricucita quando mi facevo male da bambina. Aggrottando le sopracciglia,
presi il telefono dalle sue mani e lo accostai all’orecchio. «Pronto?»
«Bella, cara! Che piacere sentirti di nuovo!
Come va la vita a Los Angeles? Ho saputo che ti sei trasferita lì…» una
voce alta e squillante mi trafisse il timpano.
«Evelyn,
ciao! Va tutto bene, sì.» dissi, ignorando gli strani gesti che mi stava
rivolgendo mia madre. Notai che papà e Martha mi stavano osservando e che si
erano avvicinati come per capire qualcosa.
Eh,
anche io volevo capirci qualcosa.
«Bene, davvero molto bene! Cavolo, sembra
ieri che venivi qui perché avevi bisogno di medicazioni… e guarda adesso! Sei
un infermiera e abiti lontano!» continuò, facendomi un po’ innervosire.
Se mi
aveva chiamato per fare quattro chiacchiere e per spettegolare su di me, beh,
aveva sicuramente scelto il momento sbagliato. «Già, Evelyn, sì… senti, dovevi
dirmi qualcosa?» chiesi. Sarei sicuramente sembrata sgarbata, ma davvero non mi
andava di parlare della mia vita al telefono, come se fossi un gossip
succulento.
«Oh, sì! Me ne stavo dimenticando! Ascolta,
tesoro, è arrivato qui da poco un bel ragazzotto che dice di essere il tuo
fidanzato… ma non è che volevi tenercelo nascosto, eh, birichina?» disse,
sempre ridendo.
«Cosa?»
domandai, presa alla sprovvista. «Il… il mio fidanzato? Forse ti stai
sbagliando, Evelyn…»
Sì,
sicuramente si stava sbagliando. Il mio fidanzato, se potevo davvero chiamarlo
in quel modo, si trovava a migliaia di chilometri di distanza da me e molto
probabilmente stava lavorando. E poi, come faceva a sapere, lei, che io avevo
un fidanzato?
La
lingua lunga di mia madre aveva raggiunto anche lei, che era una delle
pettegole più incallite di tutta Forks?
«No no, non mi sto sbagliando!» la sentivo
frugare con diversi fogli, mentre parlava.
«Hanno portato al pronto soccorso un
ragazzo con i capelli rossi e gli occhi verdi, dice di essere il tuo fidanzato
e che si chiama Edward Cullen. Ha detto anche che dovevamo avvertirti per farti
sapere che lui si trova qui… e, beh, visto che sei l’unica Isabella Swan che
abita a Forks e che conosco, non potevi che essere tu.»
Ero
sconvolta. Edward si trovava veramente a Forks, quando io non ne sapevo
assolutamente nulla, e per di più era in ospedale… era impossibile! Che cazzo
ci faceva in ospedale? Non riuscivo proprio a crederci. «Edward è in ospedale?»
chiesi.
Evelyn
sbuffò, come scocciata. «Sì, cara, è qui.
Credo che faresti meglio a venire, e in fretta anche.»
_____________
OMG, Edward è in ospedale! Come ci è
finito? O___O
State tranquille, posso assicurarvi che non
è nulla di grave, come vedrete nel prossimo capitolo u.u vi prego, smettetela
di scrocchiarvi le nocche delle mani! X’D
No, sul serio, ho già tutto in testa e
potete stare tranquille sul fatto che non ho deciso di ammazzare il nostro
principe azzurro. Ci sono, più o meno, altri 15 capitoli prima della fine della
storia e lui sarà presente in tutti, quindi niente paura XD
E poi sapete che a me piace creare piccole
tragedie che si risolvono in poco tempo, no? Non sono così cattiva e perfida
come pensate U_u
Ma se volete insultarmi lo stesso, potete
farlo qui su EFP altrimenti venite a trovarmi sul mio gruppo Facebook: non vedo
l’ora di leggere le vostre maledizioni XD