V
Quinto, al seguito di Severa, percorse con
eccitazione le brulicanti strade che popolavano Vienne. Le persone andavano e
venivano senza sosta, portando con sé quella sensazione di freneticità seconda
solo a quella dell'Urbe. Nonostante fosse piccola, Vienne contava almeno
duemila anime; una volta giunti in prossimità dei quartieri popolari era
possibile sentire il brulichio delle persone affaccendate nel proprio lavoro.
Raggiunta la piazza principale Severa si fermò, così fece Quinto a sua volta,
avendo tempo a sufficienza per guardare in alto e ammirare con orgoglio la
grande statua d'oro raffigurante una creatura celestiale: questa portava la
toga e pareva suonasse l'arpa, reggendosi in perfetto equilibrio con un solo
piede sul pilastro marmoreo che la sosteneva.
Quinto fu strattonato bruscamente dalla
madre, che lo costrinse a voltarsi e a seguirla fin oltre la piazza, situata
poco prima del fiume, là dove era più facile trovare mercanzie esotiche
importate da Roma e non solo. Tra i vari banchi c'era un enorme vespaio di persone
che qua e là comperavano oggetti particolari delle popolazioni assoggettate a
Roma come bracciali, anelli, tessuti, così come armi e armature. Quinto non era
molto interessato a questi generi di merce tipo i bracciali d'osso, tuttavia
non avrebbe negato di non desiderare avere un'armatura e una spada nuova.
Poco più in fondo, verso le porte della
città, c'erano i mangones, ovvero i mercanti di schiavi,
intenti ad attirare con ogni mezzo chiunque capitasse a tiro. Uno di questi
intercettò lo sguardo di Severa che annuì e le venne incontro.
«Buongiorno mia signora, come posso
servirla? Abbiamo dei pezzi rari e deliziosi che le potrebbero farle veramente
comodo» disse affabile il mercante, prima di mostrare quella che era la sua
fila di schiavi, chi grossi, chi minuti, chi magri, chi così stupidi da non poter
evidentemente eseguire nessun tipo di ordine se non quello di azzuffarsi con
qualcuno.
Il mango se la cavava
bene a parole; a suo dire ognuno dei suoi schiavi erano perfetti e capaci di
fare qualunque cosa. «Lo vede questo? Mi creda mia signora, è un vero stallone,
in grado di tenerla sveglia la notte fino all'alba!»
Severa studiò a lungo lo schiavo possente,
la barba incolta e mal rasata. Allungò le mani e ne tastò i testicoli, grossi e
duri come rocce. Per quanto ne apprezzasse ogni parte Severa fece un cenno di
diniego, cancellando il sorriso soddisfatto del mercante di schiavi.
Quinto nel frattempo si era allontanato di
poco, incuriosito dalle schiave in vendita da altri mangones.
In particolar modo una brunetta dalla pelle scura con i capelli lisci e spettinati.
Quando il mango se ne accorse strizzò l'occhio al ragazzo
e spogliò la schiava fino alla vita, mostrandone i seni grossi e morbidi che
penzolavano a ogni respiro.
«Mi spiace tesoro, non è ancora il momento
per certe cose» disse sua madre, accortosi che il figlio stava letteralmente
impazzendo di gioia per quella ragazza mora.
«Ma mamma... sei stata tu a dirmi che era
necessario che io avessi uno schiavo tutto mio.»
«Appunto, ho già acquistato il tuo nuovo
schiavo, a te basta scegliergli un nome»
Quinto rimase a bocca aperta; la madre ne
aveva già acquistato uno al posto suo. Alla faccia dell'indipendenza! Severa
aveva fatto praticamente tutto da sola.
«Mostramelo per favore» chiese rassegnato
alla madre.
«È qui vicino a me... fatti avanti, su!»
ordinò al giovane che aveva scelto per il figlio.
Questo era alto e magro come Quinto, forse
di qualche anno poco più grande, ma per il resto erano completamente diversi.
Quinto era moro e aveva una carnagione olivastra tipica dei romani, lo schiavo
invece aveva tratti decisamente nordici: pelle chiara, occhi azzurri e lunghi capelli
biondi spuntati e sciupati dalla sporcizia.
Il ragazzo fisso le catene che lo schiavo
portava alle mani e ai piedi, poi lo studiò a lungo, e si accorse di perdersi
così facilmente in quegli occhi azzurro cielo. Gli si avvicinò, gli ripulì la
faccia dallo sporco nero ormai incrostato sul suo viso e gli sorrise. Non aveva
la più pallida idea del perché ma quel giovane gli procurava la stessa
sensazione che solo una bella ragazza poteva fornirgli.
«Mi piace» disse rivolto alla madre. Gli
piaceva davvero, prova che una piccola piega si stava rendendo visibile nella
zona sud dell’ombelico.
Questa annuì e sorrise a sua volta.
«Da oggi ti chiamerai Trebonio» disse
Quinto, sfoggiando un sorriso tenero e affettuoso al suo nuovo schiavo.
Lo schiavo ricambiò con un lieve sorriso e
annuì, affascinato a sua volta dal suo nuovo signorino.