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Autore: Betta7    23/06/2013    6 recensioni
STORIA TEMPORANEAMENTE SOSPESA.
"Peccato che il detto ‘i soldi non fanno la felicità’ nel mio caso calzasse a pennello visto che la mia vera felicità mi stava trascinando nella villa dei miei sogni con il solo intento di venire a letto con me. "
Estratto dal 1° capitolo.
Per alcuni Amore non era una parola contemplabile nel loro rapporto, per altri erano solamente quello: puro amore.
Per loro due, infine, amore, sesso litigi, urla e schiaffi erano praticamente la stessa cosa solo che in mezzo, ovviamente, c'era un abisso.
Quanto ancora poteva resistere una situazione del genere tra loro?
Quanto ancora la loro relazione- se così poteva essere chiamata- avrebbe sopportato?
Una storia piena di ripicche e pungenti situazioni tra due ragazzi che, dopo secoli, non hanno ancora capito di essere l'uno lo specchio dell'altro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Coppie: Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1.
NESSUN VINCOLO.

 
Mi parlava come se sapesse tutto quello che i miei occhi volevano dirgli, come se la mia anima fosse a nudo davanti a lui. Che poi, in realtà, era veramente così: tra me e Akito Hayama era sempre stato così. Lui rimproverava il mio ritardo e io mi giustificavo inventando una scusa qualsiasi che ormai conosceva a memoria. Camminavamo per le strade di Tokyo in cerca del regalo di compleanno di Tsu ma grazie al suo spiccato senso dell’orrore non avevamo ancora trovato nulla.
La città d’inverno era ancora più pittoresca del solito, la neve imbiancava qualsiasi cosa ed era come trovarsi in un quadro di quegli artisti tristi e soli. E io mi sentivo come loro, probabilmente perché ancora, dopo secoli, non ero ancora riuscita a sbloccarmi davanti ad Hayama. Crescendo le cose tra di noi erano inevitabilmente cambiate: ogni tanto scappava qualche bacio, ogni tanto, diciamo pure spesso, anche una nottata d’amore ma mai niente di più perché parlare non era il nostro forte. Che poi, secondo me, non c’era nulla da dire, noi comunicavamo benissimo anche solo quando passavamo la notte insieme e ci guardavamo per ore. E’ che le parole però a volte sono di vitale importanza e tra noi forse erano davvero fondamentali perché sin dalle elementari non avevamo fatto altro che fuggire da questo sentimento così strano che ci univa, di cui tra l’altro non avevo ancora capito la natura, senza permettere all’altro di abbattere il muro costruito per evitare di soffrire.
I nostri amici non sapevano nulla di queste ‘scappatelle’ notturne, anzi avevano addirittura perso le speranze per me e per Akito, cosa che dentro anch’io avevo fatto. Che futuro poteva avere una storia del genere? Una storia dove nessuno dei due riesce a comunicare, dove l’unica cosa che cerca di farlo è il nostro corpo. Inutile dire che non si trattava di una storia puramente a scopo sessuale, anzi, per me era più amore che altro ma dall’esterno era così che poteva apparire e non era questo il modo in cui volevo stare con lui.
Continuavamo ad entrare in negozi in cui sapevamo benissimo non avremmo trovato nulla per Tsuyoshi solo per avere un po’ più di tempo per stare insieme ma erano già le sei e alle sette avevo un appuntamento con Naozumi a cui non potevo assolutamente mancare. In realtà non sapevo nemmeno se doverglielo dire o no, in fondo non avevamo nessun vincolo oltre a quello del letto.
“Hayama muoviamoci, non ho tempo da perdere con te oggi.” Dissi tutto d’un fiato cercando di scappare il più velocemente possibile da quella situazione. Lui non capiva e io non sapevo spiegare, che coppia.
“Di solito ti piace perdere tempo con me Kurata.”. Parlò fissandomi negli occhi, come se volesse persuadermi a fare ciò che voleva e il più delle volte, con questa tecnica, ci riusciva. Non sapevo davvero come dirgli di no e questo mi infastidiva non poco.
Sbuffai, innervosita e arrabbiata.
“Cos’hai da fare spallucce Kurata?”. Il suo atteggiamento mi infastidiva, sembrava non curarsi assolutamente né di me né di se stesso.
“Ho che ti odio.” . Analizzai a fondo le parole che avevo appena pronunciato contro quel burbero di Hayama pensando che, in realtà, non lo odiavo affatto. E odiavo non odiarlo. Lo odiavo.
“L’odio è un bel sentimento, sai? A un passo da..” e si bloccò non terminando la frase che sapeva anche lui lo avrebbe incasinato.
Si limitò a mandarmi un’occhiataccia delle sue per poi continuare a camminare sotto la neve.
Il resto del pomeriggio passò così, tra litigi e inutili discussioni su argomenti che dividevano totalmente le nostre idee ma questa non era di certo una novità.
Alla fine a Tsuyoshi avevamo comprato un maglioncino a scacchi che Akito detestava ma che al nostro amico sarebbe piaciuto un sacco.
Nevicava ancora, sembrava quasi che la stessa città ci invitasse a starcene in casa al caldo invece di andare in giro ma Akito, ovviamente ribelle, aveva considerato quell’ipotesi solo come dopo serata visto che comunque era sabato e non avremmo avuto lezione all’università il giorno dopo.
Io avevo mandato una mail a Naozumi avvertendolo che non sarei potuta andare all’appuntamento e che ci saremmo visti un’altra volta. Lui mi aveva risposto abbattuto ma, in tutta sincerità, preferivo passare la serata con Hayama che con lui.
Eravamo seduti sotto il ‘nostro’ gazebo, cosa lo rendesse nostro mi era ancora sconosciuto ma quel posto aveva ospitato tanti di quei bei momenti tra me e lui che infondo qualcosa di nostro c’era sul serio.
Mangiavamo sushi, perché se si passa una serata con Akito è quella l’unica alternativa, stando in silenzio.
Io stringevo la busta del regalo di Tsuyoshi tra le mani riflettendo sul fatto che lo avevamo comprato come se fossimo stati una coppia, cosa che in realtà non eravamo affatto, non ai miei occhi almeno.
Lui invece continuava a mangiare e a fissare per terra come se aspettasse una mia parola che, ovviamente, non sarebbe arrivata considerando anche il fatto che stavo congelando.
Parlò lui per primo.
“Il gatto ti ha mangiato la lingua?” chiese mordendo un altro rotolo di sushi. Non sapevo cosa rispondergli, qualsiasi cosa avessi detto avrei rischiato di ferirlo o, ancora peggio, di perderlo che era l’ultima cosa che volevo.
Ma se per averlo il prezzo da pagare era la mia dignità allora forse non ero più disposta a sopportare quella situazione. Se davvero mi avesse amata come tutti credevano e come io stessa mi illudevo di credere allora avrebbe capito.
“No Hayama sono solo pensierosa..”.
Quelle furono le uniche parole che riuscì a pronunciare perché d’un tratto i suoi occhi cominciarono a fissarmi.
“Quando tu pensi c’è da preoccuparsi.”. Posò il pacchetto col sushi e si avvicinò a me continuando a mantenere il contatto visivo cercando anche di incrociare il mio sguardo, cosa che io gli rendevo difficile perché non riuscivo ad alzare il viso, figuriamoci a guardarlo negli occhi.
“Che succede Kurata?” chiese con fare premuroso. Sembrava sinceramente preoccupato per me ma c’era comunque qualcosa che mi bloccava, quel qualcosa che non avevo potuto raccontare a nessuno visto che la nostra era una ‘relazione’ segreta.
Per caso, o forse no, una mattina lo avevo sentito litigare con Natsumi per me. Io ero nella sua camera dopo una delle nostre notti, stranamente capitata a casa di lui, e Akito si giustificava con la sorella dicendo che quel tipo di relazione a lui andava benissimo e altrettanto a me. Le aveva anche detto che io ero solo una come tante e non l’amore della sua vita come invece asseriva insistentemente Natsumi.
Quel giorno mi sentì morire in meno di dieci secondi, sapevo di non essere una delle tante per lui ma perché nascondersi in quel modo? Non pretendevo di certo una dichiarazione d’amore, ero abbastanza cresciuta per certe cose, ma avrei preferito che mi venisse portato un po’ più di rispetto.
Intanto Hayama attendeva una mia risposta ma io mi limitai a sorridergli sviando l’argomento.
Lui ricominciò a mangiare e, quando si spazzolò completamente fino all’ultimo rotolo di sushi, ci alzammo per dirigerci a casa mia.
Abitavo da sola da quando avevamo finito il liceo due anni prima.
Avevo comprato una meravigliosa villetta in periferia ed era la casa che avevo sempre sognato: mattoni rossi, un grande terrazzo sopra i due piani della casa e infine una piscina larga almeno tre metri circondata da un giardino in cui avevo fatto piantare fiori di campo.
Non ero una persona superficiale ma dovevo ammettere che senza la mia fortuna da attrice non avrei mai potuto realizzare quel sogno.
Peccato che il detto ‘i soldi non fanno la felicità’ nel mio caso calzasse a pennello visto che la mia vera felicità mi stava trascinando nella villa dei miei sogni con il solo intento di venire a letto con me.
Appena varcata la soglia di casa Akito mi aveva afferrato per i fianchi e mi aveva baciato con foga.
Io lo amavo, era inutile negarlo o sottrarmi a ciò che anch’io desideravo che accadesse; avrei solo voluto che fosse diverso, che fosse dettato dall’amore anche da parte sua e non solo perché io ero disponibile e carina.
In meno di due minuti mi ritrovai nuda nel bel mezzo del salotto di casa mia con lui davanti che, invece, era ancora completamente vestito.
“Così non vale..” sussurrai con la voce rotta dall’eccitazione cominciando così a spogliarlo. In pochissimo tempo anche lui fu nudo come me e, prendendomi in braccio si diresse verso la camera da letto.
Conosceva ormai a memoria persino il numero di gradini da fare per tutte le notti che avevamo passato lì, in quel modo. Salì le scale ad occhi chiusi mentre le nostre bocche non si staccavano l’una dall’altra e, allo stesso modo, aprì la porta.
Stranamente quella sera si era accontentato del letto, di solito sceglieva dei posti veramente scomodi: il tavolo della cucina, il pavimento del salotto o, addirittura, il terrazzo. A volte pensavo che avesse fatto qualche scommessa con i suoi amici del tipo ‘I luoghi più strani in cui hai fatto sesso’.
Mi adagiò sul letto continuando a baciarmi e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento era che lo desideravo più di ogni altra cosa al mondo, che lo volevo in me e nient’altro.
Potevo percepire anche il suo desiderio, non solo per ciò che era evidente guardando in basso, ma anche dai suoi occhi che mi guardavano infuocati.
Noi eravamo questo: un fuoco ardente che potrebbe, però, distruggere tutto.
I nostri corpi bruciavano insieme e, insieme, raggiungemmo l’apice di tutto: amore, desiderio, lussuria, felicità. L’apice e basta.
 
 

*

 

L’odore di bacon che si era propagato per tutta la stanza mi aiutò a svegliarmi del tutto. Spesso Akito deliziava le mie mattine post-nostra notte con una colazione all’americana, memore del periodo che aveva passato lì, e a me non dispiaceva affatto farmi viziare quando potevo.
Mi avvolsi nel lenzuolo verde del mio letto e scesi le scale di corsa. Ero affamata.
I dubbi del giorno prima sembravano spariti dopo quella notte ma sapevo già che non sarebbe durato a lungo.
“Buongiorno Kurata!” disse porgendomi un piatto di frittelle, due uova, due wurstel arrostiti e il bacon di cui avevo sentito l’odore.
“… e buongiorno anche alle mucche!” rise indicando il lenzuolo.
Sorrisi anch’io, ogni tanto riusciva anche a divertirmi.
“Ieri non le avevo notate assolutamente!” ammise con un sorriso ammiccante.
Ridacchiai.
“Come mai così poca attenzione signor Hayama?” lo provocai.
“Ero impegnato a notare qualcos’altro!” mi rispose sorridendo lui.
Morsi la frittella mentre lui era intento a pulire a destra e a manca e dovetti ammettere, con rammarico, che Hayama se la cavava piuttosto bene ai fornelli a differenza mia che non distinguevo una pirofila da una padella. Ancora peggio ero tormentata dalla differenza tra una pentola e una padella. Cosa c’era di tanto diverso poi non riuscivo proprio a capirlo.
Vederlo sotto quei panni – uomo tuttofare – mi faceva veramente morire dal ridere.
“Ti manca il grembiule e poi sei tale e quale alla signora Shimura!” lo canzonai divertita.
Di tutta risposta ricevetti una delle sue occhiate raggelanti e due secondi dopo lo vidi andare verso il salotto a recuperare i suoi vestiti.
Aveva già fatto la doccia infatti sentivo quando mi passava accanto odore di muschio bianco, il bagnoschiuma che avevo comprato appositamente per lui.
“Adesso vado Kurata, in caso passo più tardi!” gli sentì urlare dal salotto.
Tutti i pensieri della sera prima erano appena tornati ad assillarmi grazie ad otto squallide parole.
“Hayama!” gridai dalla cucina sperando che non se ne fosse già andato.
“Eh? Che c’è Kurata?” chiese lui percorrendo il corridoio. Potevo sentire ogni singolo passo sul pavimento e ogni volta che le sue scarpe toccavano terra il mio cuore perdeva un battito.
Rimasi in silenzio aspettando di vederlo spuntare dalla porta della cucina e davvero stavolta non sapevo che piega avrebbero preso le cose. Piuttosto mi riservavo di non pensare troppo al futuro perché vista la situazione lui non ci sarebbe stato.
“Kurata andiamo, mi farai arrivare in ritardo!” incalzò lui col suo sguardo interrogativo.
Eccoti accontentato Hayama.
“Forse è meglio che la chiudiamo qui.”
Pronunciai quelle parole mentre l’unico rumore di sottofondo era quello incessante di un clacson.
“Credo di non aver capito bene Kurata.” Mi rispose cercando, ovviamente, di sviare l’argomento.
“Hai capito benissimo.”
Mi spostai una ciocca di capelli e cercai di alzare lentamente lo sguardo.
Il divano; la lampada; la sua tracolla; .. i suoi occhi.
Quelle due pietre color ambra mi stavano quasi trapanando il petto.
“Mi stai.. mi stai scaricando?”. Sorrise, il suo solito ghigno nervoso.
Cosa ci trovava da ridere non riuscivo proprio a capirlo.
Sbottai. Mi sembrava veramente ridicola quella situazione: noi non eravamo nulla, io non stavo scaricando nessuno perché non eravamo legati da nessun vincolo amoroso.
“Noi non siamo mai stati insieme. La nostra relazione è solo sesso, no?!”.
Ogni parola che dicevo mi tornava indietro come un boomerang, morivo pensando che non l’avrei più visto ma questa era la decisione giusta da prendere.
Per ben cinque mesi avevo cercato di convincere me stessa che era il tipo di rapporto perfetto per me e Hayama, quel rapporto in cui non c’è bisogno di parole né di dimostrazioni. Ma io ero stanca di nascondermi, da cosa poi non riuscivo ancora a capirlo, ed ero stanca di non dire nulla ai miei amici quando per me il mio amore era la cosa che più volevo condividere con qualcuno.
Ero stanca. Questo, però, non sembrava turbare affatto la psiche di Akito.
La mia, al contrario, era a pezzi e io non potevo più permettermi di star male, ne andava della mia salute e, ancor  più della mia carriera.
“Non sai che dire?!” esordì io vedendo che non contestava a nessuna delle cose che gli avevo detto.
“Ce l’ho io qualcosa da dirti allora! Tu .. tu sei..”.
Le parole mi si bloccavano in gola, non riuscivo ad insultarlo né ad abbracciarlo. Ogni singola parte del mio corpo era paralizzata guardando i suoi occhi e avvertendo, sebbene nascosto, il dolore che gli stavo procurando.
Che credeva, che non facesse male anche a me? Non potevo comunque tirarmi indietro ormai.
“Lascia stare Kurata, ho capito.”. Girò i tacchi e, dopo aver percorso il lungo corridoio, uscì dalla porta principale.
Il tonfo si udì anche dal piano di sopra dove intanto ero corsa per gettarmi sul letto in lacrime.
 

 
Eccomi qui con il primo vero capitolo della storia!!
Spero che il primo capitolo non vi abbia deluso a confronto del prologo. Ora però dovrete aspettare un po' prima del secondo perchè è ancora in fase di stesura. Spero di farcela entro la prossima settimana comunque!
Grazie alle tre che hanno recensito il prologo, in particolare grazie a Dalmata che mi è fedele dalla mia prima storia!! :)
Un bacino!! :*
Akura.
   
 
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