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Autore: Sion    23/06/2013    3 recensioni
[DISCONTINUED] Elliot riceve diverse gomitate da Oz, che smania per illustrargli come farà breccia nel tenero cuore di Alice, ma Elliot è distratto.
«Molto bene, iniziamo. Aprite ‘Il Grande Gatsby’ a pagina uno. Baskerville uomo, leggi».
Il tizio apre la sacca e ne tira fuori una copia un po’ maltrattata del Grande Gatsby, si sistema un po’ più dritto sulla sedia, e poi, con voce espressiva e un po’ raschiante, inizia a leggere.
Elliot lo fissa. E non la smette per tutta la lezione.
( schoolverse, au, longfic. enjoy! )
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville, Oz Vessalius, Sharon Ransworth
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Titolo: Le proprietà della materia
Serie: Pandora Hearts
Rating: Verde (potrebbe alzarsi in seguito).
WARNINGS: ALTERNATIVE UNIVERSE! School!Verse.
Pairing: Tanti. Troppi.
Credits: Pandora Hearts appartiene a Jun Mochizuki; non è intesa violazione di copyright. L’Alternative Universe è banale e non credo sia da credits.
Capitolo: Parte I | Atto I: Malleabilità.
Note: In fondo!



Atto I: Malleabilità.




Non c’è nulla di più noioso di un ritorno a casa da soli, sostiene Oz. Perciò, puntualmente, si accoda ad Elliot – che invece preferisce di gran lunga mettere gli auricolari e camminare da solo. Alla – ragionevole – domanda ‘Ma tua sorella non aveva la macchina?’, Oz risponde, candidamente:
«Sì, ma preferisco tornare con te. Sei una compagnia più divertente».
Il che è un paradosso, considerato che, durante le passeggiate con Oz, Elliot mette su una smorfia irritata per tutto il percorso e cerca di rispondere il più seccamente possibile alle sue ciance a vanvera. Però considerando che Oz è perseverante, cosa che in generale è un pregio ma nel modo in cui è perseverante Oz risulta quasi odioso, Elliot non può fare altro che chinare la testa, borbottare qualche insulto a mezza voce e indossare un solo auricolare, in modo da, almeno, ascoltare solo la metà delle cretinate che Oz riesce a sparare nell’arco di venti minuti.
«Sono contento che ci siano degli studenti nuovi. Avevo bisogno di una ventata d’aria fresca!», cinguetta Oz, sistemando gli spallacci dello zaino e trotterellando accanto ad Elliot, cercando di stargli al passo.
«Io no».
«Come sei caustico! Potresti dargli una possibilità invece di bocciarli in tronco», mugugna Oz, infastidito ma non sorpreso dal rifiuto totale di Elliot per le novità. «A me sembrano persone a posto».
Elliot arriccia il naso e sistema meglio l’auricolare, tentando di concentrarsi solo sulla voce di Chris Martin che gli vocalizza nell’unico timpano cui è consentito ascoltare qualcosa di piacevole.
«A me sembrano un branco di rincretiniti. Specialmente il tizio».
Oz ghigna, dandogli una gomitata.
«Ammettilo, ti viene a noia solo perché ti tiene testa».
Elliot inarca le sopracciglia, preso in contropiede, liquidando poi la questione spinosa con un gesto stizzito delle spalle.
«In ogni caso», continua Oz, arricciando le labbra, «Dovremmo davvero pensare a cosa mettere su con il teatro quest’inverno».
L’altro alza gli occhi al cielo e si rassegna a togliere anche l’altro auricolare, riponendo il telefono e le cuffie nella tasca della giacca, sbuffando.
«Non è neanche iniziata la scuola e tu già pensi allo spettacolo? Non è un po’ presto? E poi, come al solito, faremo Shakespeare. Facciamo solo Shakespeare da tre anni», bercia Elliot, ma prima che Oz possa replicare con una risposta poco intelligente, vengono travolti da un paio di braccia sottili.
«Ciao, fessacchiotti!», cinguetta una voce femminile, con un tono talmente alto che sembra trapanare i timpani di entrambi. Non fanno in tempo a voltarsi, che la ragazza si è già staccata, e li fissa con un sorriso ferino.
«Charlotte», sbotta secco Elliot, le guance appena arrossate perché gli occhi si posano automaticamente sulle due prominenze che sembrano lottare contro la gravità e contro ogni legge della fisica che le tenga strette nella maglia aderente che Charlotte si è messa addosso. Charlotte frequenta l’ultimo anno da almeno due anni, e sembra si faccia bocciare quasi per sport, perché al terzo anno vinse il primo premio ad un concorso di calcolo, indice di una certa capacità logica. Come al solito, i suoi capelli sono tinti di una vivace tonalità di rosa, e gli occhi, di una sfumatura innaturalmente chiara di marrone che li fa sembrare rosati quasi come i capelli, sono puntati su di loro con divertimento.
«Ho saputo che avete conosciuto i miei numerosi cugini», celia, posando una mano su un fianco e ammirandosi le unghie dell’altra, smaltate di verde smeraldo. Quando vede che né Elliot né Oz sembrano dare segni di vita sbuffa, e con un gesto annoiato della mano elenca: «Le sorelle Dolly e il topo di biblioteca». Alza gli occhi al cielo in risposta al verso d’intendimento che emette Oz e inarca le sopracciglia a quello irritato di Elliot.
«Effettivamente c’è una certa somiglianza», ammette Oz, esaminando il viso di Lottie con occhio critico.
«No. Loro vengono dalla parte sbagliata della famiglia», smentisce l’altra, arricciando le labbra. «Specialmente il piccoletto. Comunque siete dei tardoni, sapete? Non è difficile fare il collegamento, non ci sono molti Baskerville in circolazione», aggiunge, ammiccando appena.
«Comunque sia, grazie per l’informazione, ci vediamo», taglia corto Elliot, voltandosi prima ancora che Lottie possa replicare in maniera acida e camminando velocemente verso il semaforo, suo malgrado rosso. Oz lo segue a ruota, e così fa Lottie, che, per tutta risposta al suo astio proverbiale nei suoi confronti – come anche nei confronti di metà della popolazione femminile di Cambridge – lo prende a braccetto, sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
«Dicevi, Lottie? Quindi sono tuoi cugini?», riprende Oz, ben contento di acquisire informazioni importanti sui nuovi arrivati – e in particolare, su Alice.
«Esatto. Mia madre è cugina di Levi, il padre delle sorelle Dolly, mentre la madre del sorcio era in qualche modo imparentata con Lacie, la moglie di Levi, perciò ha preso il loro cognome», spiega, con diligenza. «Non ho idea di quale fosse quello effettivo. Comunque, pare che abbiano ricevuto parecchi inviti da Cambridge per fare una ricerca su... non ne ho idea, ha a che fare con l’elettrochimica o qualcosa del genere. Gli zii sono ricercatori».
«Sì, sì, questo lo sapevamo», mugugna Elliot, ben poco contento di questa conversazione, che si trascina dall’altra parte della strada, con Lottie che gli trotterella al seguito mentre chiacchiera amabilmente con Oz.
«Adesso vivono proprio di fronte al The Old Spring».
Un mattone in testa avrebbe stordito di meno Elliot. Alza gli occhi dall’asfalto e guarda Oz, che nel frattempo ha messo su un’espressione estatica.
«Vivono a meno di un isolato da te!»
Oz lo pronuncia in tono gioioso, mentre Elliot lo sussurra con aria abbattuta. Non solo sarà costretto a sorbirsi le ciarle di Oz per la strada, adesso, ma anche quelle di questi tre tizi inutili. Perché conosce Oz da abbastanza tempo da poter prevedere due cose: prima cosa, che li inviterà puntualmente a tornare a casa con loro per poi accollarli ad Elliot; seconda cosa, che si pianterà a casa propria – con grande disappunto dei propri genitori – pur di attaccarsi alla finestra e sperare di vedere passare Alice.
«Ma davvero?», celia Lottie, sibillina.
«Sì, lui abita sulla Chesterton, non lo-»
Oz si interrompe, perché Elliot gli tira un calcio sugli stinchi, le guance rosse. Lottie ride, sguaiata, balbettando qualcosa come «Abita sulla Chesterton? Pensavo che i tuoi fossero ricchi sfondati, Nightray!»
Elliot lancia un’occhiata di fuoco ad Oz - che, per una volta, abbassa gli occhi e arrossisce di vergogna – e poi raddrizza le spalle, quasi allungandosi per superare Charlotte.
«Non sono affari che ti riguardano, Charlotte. Ora, se non ti dispiace, gradirei andare a casa».
Non li aspetta, non si ferma, e non sta a sentire né le risate sguaiate di Charlotte, né i deboli richiami di Oz. Non appena il semaforo scatta al verde, inizia a camminare a grandi falcate verso Chesterton Road, le spalle un po’ più curve e il viso un po’ meno altezzoso.


«Hey, Elliot?»
Elliot alza gli occhi dallo spartito che sta esaminando, spostandoli sul viso di sua sorella, Vanessa, che fa capolino dalla porta, quasi chiedendo il permesso di entrare. Strano, considerato che Vanessa entra ed esce dalla sua stanza senza neanche salutarlo – e se prova a rimproverarla per ‘violazione della privacy’, generalmente lei lo picchia.
«Che c’è?»
Sua sorella si fa avanti, chiudendosi la porta alle spalle e sedendosi accanto a lui, al pianoforte.
«Disturbo?»
«Hey, che ne hai fatto di mia sorella?», chiede Elliot, scioccato, ritraendosi fulmineamente con una debole risata quando Vanessa fa per tirargli un pugno dritto in mezzo agli occhi.
«La prossima volta non sarò altrettanto gentile, Elly».
«Sai che non-»
«Sì, so che non devo chiamarti Elly, ma continuerò a farlo a prescindere, perciò puoi risparmiarti la predica», lo interrompe Vanessa, alzando gli occhi verso il soffitto, annoiata. Si mette più comoda sul seggiolino e arriccia le labbra, per poi voltarsi a guardarlo.
«Va tutto bene, fratellino?», chiede, premendo un tasto a caso del pianoforte e facendo risuonare un mi minore. «Sei stato poco lamentoso a tavola, e c’erano i cavoli. Di solito quando ci sono i cavoli combini il finimondo».
Elliot inarca le sopracciglia e posa gli spartiti sul leggio del pianoforte, voltandosi a guardarla e scandendo lentamente, «Sei davvero venuta a chiedermi perché non ho fatto casino per i cavoli?»
Vanessa gli pesta un piede ed Elliot sobbalza, mugugnando un ‘E questo per che cos’era?’ in un falsetto da ragazzina. Lei si imbroncia e inizia ad squadrare gli spartiti quasi con astio, ed Elliot non ha nessun dubbio che, se davvero lo volesse, Vanessa, con quello sguardo, potrebbe farli incendiare.
«No, sono venuta a chiederti se è successo qualcosa a scuola. Hai una faccia un po’ sbattuta, di solito stai ore a lamentarti del figlio dei Vessalius».
Un sorriso minuscolo appare per un secondo ai lati della bocca di Elliot, per poi scomparire, sostituito da uno sbuffo.
«Oggi non mi ha dato particolarmente fastidio. E comunque non è successo nulla a scuola, a parte tre studenti nuovi», borbotta Elliot, ricordando la faccia saccente di Leo Baskerville e i visi identici di Alice ed Alyss Baskerville.
«Sei sicuro? Ti vedo strano».
«Non trattarmi come un bambino, Nessa. Non è successo nulla, stai tranquilla», sbotta lui, quasi strappandole di mano gli spartiti.
Vanessa lo guarda dritto negli occhi, e gli rivolge quello sguardo quasi materno che gli fa salire il sangue al cervello, perché detesta quando sua sorella lo tratta come un marmocchio di sei anni, e, in quest’ultimo periodo, lo fa abbastanza spesso.
«Sei assolutamente-»
«Diavolo, Vanessa, sì! Ma che diavolo ti prende?»
Vanessa abbassa lo sguardo e si mordicchia le labbra, per poi rispondere, senza guardarlo più, «Ernest mi ha detto che Charlotte Baskerville gli ha inviato un messaggio abbastanza derisorio sul fatto che viviamo sulla Chesterton. Tu ne sai qualcosa?»
Per un momento Elliot arrossisce appena al ricordo dell’aria divertita che ha assunto Charlotte qualche ora prima nel venire a conoscenza del quartiere in cui vive, ma recupera quasi subito la sua compostezza, e, tornando a fissare gli spartiti, mente. «No, niente. Deve avermi visto tornare a casa oggi. Non è che io possa nascondermi sempre.»
Vanessa ridacchia, alzandosi in piedi e scompigliandogli i capelli biondi. «Quanto sei stupido, Elly. Quando fai così sembri Ernest».
«Che sembra papà».
«Appunto».
Entrambi ridono, e per un momento Elliot non si sente più oppresso dal fatto che suo padre sta perdendo tutti i suoi soci e che sua madre sia diventata praticamente schiava degli antidepressivi. Lui e sua sorella stanno ridendo, e magari la loro famiglia non è così disastrata come pensa.
La famiglia Nightray possedeva una delle più importanti case farmaceutiche di tutta l’Inghilterra, fino a qualche mese prima. Poi un tale Isla Yura era entrato a far parte del consiglio direttivo, e aveva iniziato a fare pressioni perché si affiliassero con una casa farmaceutica semisconosciuta che, a suo dire, era davvero promettente e aveva brevettato da poco alcuni vaccini straordinari. Si scoprì che questi straordinari vaccini erano droghe sintetiche vendute sottobanco nelle filiali periferiche della casa rappresentata da Yura, e ovviamente, pur non essendo direttamente coinvolta, la Nightray Pharmaceuticals ne era uscita danneggiata. Niente più soci, niente più finanziamenti, la pressione finanziaria al suo massimo storico, tutti fattori di perdita che avevano costretto la famiglia di Bernard Nightray a trasferirsi in un quartiere di Cambridge conosciuto più che altro per le villette a schiera dall’aria economica. Bérenice Nightray entrò in depressione dal momento in cui mise piede nella nuova, piccola dimora, mentre Bernard Nightray divenne sempre più assente.
E per uno per cui l’onore di famiglia è importante quasi quanto la propria vita, se non di più, vedersi deriso per il quartiere in cui vive è un colpo basso all’orgoglio.
«Comunque, a parte questo...», svia Vanessa, riprendendosi dall’accesso di risa. «Hai trovato qualche giovane damigella in difficoltà su cui fare colpo, quest’anno? È un peccato vedere come ti sprechi», continua, tirandogli appena una ciocca di capelli.
«Non ti bastano le giovani damigelle che rimorchia Ernest? Fa per due», borbotta Elliot, agitandosi sullo sgabello per liberarsi dalla presa della sorella.
«Non rimorchia damigelle, rimorchia spazzatura. E comunque, dovresti davvero trovarti una ragazza». Vanessa scrolla le spalle, allontanandosi verso la porta e rivolgendogli un sorriso smagliante. «Magari ti placherebbe un po’ l’ondata di ormoni e saresti meno primadonna».
Prima che Elliot possa ribattere, Vanessa esce dalla stanza con una risata sommessa. Abbassa gli occhi, e sorride appena. Poi, con un sospiro, riprende la penna in mano, e scribacchia un paio di note sullo spartito, cercando di non pensare né Charlotte Baskerville, né agli occhi vacui di sua madre che lo osservano dall’altra parte del tavolo, intimandogli debolmente di mangiare i suoi cavoli.

«Ada, fermati!»
Ada inchioda proprio al limitare dell’incrocio, allarmata, guardando nella direzione in cui suo fratello si sta sporgendo, cercando di scorgere cosa Oz abbia visto di tanto straordinario da farla fermare praticamente a due secondi da un probabile incidente mortale.
«Che è successo, Oz? Sei impazzito?», pigola, e si porta una mano al petto, giusto per assicurarsi che il cuore sia ancora lì e non sia schizzato fuori, vista la velocità a cui sta battendo.
«Aspetta un attimo, accosta!», continua Oz, in tono urgente, ed Ada esegue gli ordini, ancora troppo scossa per mettere su una debole protesta – che Oz non ascolterebbe comunque, visto che sembra totalmente assorbito da qualcosa sul marciapiede.
Suo fratello scende, e, lasciando la portiera aperta, schizza proprio davanti all’entrata di un forno lì davanti. Ada si sporge, cercando di capire con chi stia parlando, ma la folla di passanti le impedisce di capirlo.
«Alice?», chiama Oz, speranzoso.
E, gioia cadimi addosso, è proprio Alice la ragazzina che sta sostando davanti alla vetrina del forno, le mani premute contro il vetro e il naso spiaccicato contro quello che sembra un waffle particolarmente attraente. Di malavoglia, Alice alza gli occhi, incontrando lo sguardo acceso e gioioso di Oz.
«Che vuoi, cretinetto? Sono impegnata», sbotta, ritornando a cercare di diventare un tutt’uno con la vetrina del negozio.
«Sei da sola?»
Alice scuote il capo– per quanto può, effettivamente, visto che l’attrito col vetro le sta deformando la faccia – ed indica, senza alzare gli occhi, un punto all’interno del forno. Oz aguzza lo sguardo, cercando qualcuno di familiare, e, bam, trova ben tre persone familiari, assieme ad altre due che invece non riconosce affatto. Individua la forma longilinea di Alyss, tutta bianca in mezzo a quella calca di persone, e i capelli innaturalmente arruffati di Leo, che sembra essere impegnato in un’accesa discussione con un uomo alto, e visibilmente più vecchio, coi capelli chiari quasi quanto quelli di Alyss e gli occhi violetti. La discussione viene fermata da una donna, che, con grande stupore di Oz, sembra essere la versione adulta di Alice, con un viso elegante e un paio di occhi che fulminano l’uomo coi capelli bianchi. A darle man forte, arriva il suo nuovo professore di storia, Oswald Baskerville.
«Quelli sono tutti i tuoi parenti?», chiede Oz stupito, tornando a voltarsi verso Alice e staccandosi dal vetro, cui si è attaccato per esaminare un po’ più chiaramente la famiglia.
«No, ne abbiamo altri, ma vivo con tutti loro».
Oz ride, incredulo, immaginando tutte quelle sei persone, insieme in una casa minuscola – come sono le villette a schiera che si susseguono davanti all’Old Spring. «Stai scherzando».
«No. Ma è una sistemazione provvisoria, fino a quando zio Oswald non si trasferirà altrove».
«E’ tuo zio?»
Alice alza gli occhi al cielo e si rimette dritta, elencando: «Oswald è il fratello di Lacie, mia madre, e quello lì coi capelli bianchi è Levi, mio padre. Gli altri li conosci».
«E sei anche cugina di Lottie?»
Alice annuisce, arricciando il naso, e prima che possa fare qualche commento acido su Charlotte Baskerville la campanella del negozio suona, e l’allegra famigliola spunta sulla soglia. Levi e Leo hanno due musi talmente lunghi da toccare terra, Lacie sembra straordinariamente irritata e Alyss e Oswald completamente apatici alla scena.
Lacie, però, nel vedere Oz accanto ad Alice, si rischiara, facendo risplendere un sorriso a trentadue denti.
«Oh, ciao», cinguetta, porgendogli la mano, e guardando Alice come per dirle ‘Non mi avevi detto che avevi fatto amicizia’. «Io sono la mamma di Alice, Lacie. Tu devi essere un suo compagno di scuola».
Oz si riprende dallo sbandamento provocato dal sorriso di Lacie e le stringe debolmente la mano, con un’espressione beota. «Sì, piacere mio, sono Oz».
Levi abbassa gli occhi su di lui, esaminandolo con occhio clinico.
«Oz come?».
«Oz Vessalius».
Oswald e Levi si scambiano uno sguardo che Oz non riesce ad interpretare, mentre Alice bercia «Mamma! Che hai comprato?»
«E’ il nipote di Jack Vessalius, quindi?», chiede Levi, ma non ad Oz, bensì ad Oswald. Questi lo fissa per qualche secondo con uno sguardo che fa rabbrividire Oz, e poi annuisce.
«Sì, Jack me ne ha parlato oggi, a scuola, ma non ho ancora avuto il piacere di conoscerlo di persona».
Poi Oswald sorride, ed Oz capisce da dove si può evincere che sono tutti imparentati: hanno un sorriso che scalda e raggela insieme. Levi, invece, non sorride, ma si limita a continuare a fissarlo come se sia una cavia da laboratorio che non reagisce agli stimoli come dovrebbe.
«Ehm...», mugugna Oz, a disagio, ma viene distratto dal clacson di Ada, che lo richiama. Sospira quasi di sollievo, e indica la macchina di sua sorella, che lo guarda attraverso il finestrino, vagamente impaziente. «Mia sorella mi sta aspettando, dovrei andare...»
«Oh, certo, capisco», replica Lacie, con voce di velluto. «Sono felice che mia figlia abbia fatto qualche nuova conoscenza».
«In realtà, lo conosciamo anche noi, zia», interviene Leo, con una smorfia. Lacie gli scompiglia i capelli e ride, come se abbia appena fatto una battuta estremamente divertente.
«Certo, certo. In ogni caso, spero che tu voglia accettare un tè, prima o poi», continua lei, mentre Alice alza gli occhi al cielo, esclamando un ‘Mammaaa!’ lamentoso.
«Con piacere!», sorride Oz, per poi guardare Alice. «Allora ci vediamo domani a scuola. È stato un onore!»
Il clacson di Ada strombazza di nuovo, ed Oz si slancia verso la macchina, continuando a salutare con la mano come un idiota fino a quando non chiude lo sportello.
«Chi erano? Faremo tardi!». Il tono di Ada è urgente, e poi aggiunge: «Metti la cintura, per favore».
Oz la guarda, come inebetito, e allaccia la cintura, tornando poi a fissare i sei Baskerville che si allontanano, in un chiacchiericcio animato.
«I Baskerville. Comunque andiamo, siamo in ritardo!»

«E quindi vivono tutti in una casa più piccola della mia?», chiede Elliot, affogando una patatina in un lago di ketchup e poi sgranocchiandola con un rumore sordo. «Wow. E dire che sono ricercatori famosi».
Oz alza gli occhi dal suo hamburger, borbottando un «Ah, sì?»
Elliot annuisce, allungandosi verso Oz con aria vagamente cospiratoria e sussurrando, «Ho chiesto a mio fratello, Claude. Ha fatto un paio di domande nell’Università, e mi ha detto che un suo amico gli ha detto che il suo professore gli ha detto che sono venuti qui per studiare le proprietà elettrochimiche della materia esposta all’energia pura».
Oz gli ride clamorosamente in faccia, sputacchiando briciole di hamburger sul piatto. «E tu ci credi? Tra l’altro, non mi sembra una cosa tanto losca».
Le orecchie di Elliot si arrossano per l’irritazione, e ritorna dritto come un fuso, sorseggiando silenziosamente il suo frullato. «Sì, ci credo, e la cosa diventa losca quando, negli archivi di mio padre, ho trovato un fascicolo sui Baskerville. Era ben nascosto, quindi immagino che non volesse che finisse in mani poco affidabili».
Stavolta Oz diventa più serio, e mentre si gratta la guancia chiede, «E cosa c’era scritto?»
Elliot tace per qualche secondo, fissando Oz intensamente, e l’altro si agita, incuriosito e sulle spine. Poi, dopo aver bevuto un altro sorso di frullato, Elliot posa con lentezza il bicchiere sul tavolo e risponde, in tono solenne, «Non ne ho idea. Mio padre stava per scoprirmi ed ho dovuto mettere tutto in ordine».
Oz mette su un’espressione delusa, ma prima che possa replicare, Elliot continua: «Però era nell’archivio dedicato alla Fianna Pharmaceuticals. Questi Baskerville hanno qualcosa a che fare con Isla Yura».
L’altro ci mette qualche secondo a collegare la Fianna, Isla Yura, i Baskerville e i Nightray, e comprende il motivo della somma irritazione di Elliot. «Credi che abbiano a che fare con quel fattaccio? A me sono sembrate persone così perbene», protesta, imbronciandosi, quasi deluso dalle sue scarse doti di investigatore.
«Potranno anche essere perbene, ma ci hanno quasi mandati in bancarotta», sibila Elliot.
Il cellulare di Oz vibra sul tavolo, ed il suono di notifica lo avverte di un messaggio in arrivo. Il viso di Oz si illumina non appena lo legge, e cinguetta ad Elliot, «Stanno arrivando Sharon, Alice e Leo!»
«Tu sei un cretino. Dì che ce ne stiamo andando!», sbotta, cercando di afferrare il telefono per prendere il controllo della scomoda situazione.
C’è una breve lotta per il possesso del cellulare, ma viene vinta da Oz, che, con poca onestà, tira un calcio sui piedi di Elliot, che lascia andare le sue mani con un lamento.
Il debole «Ma allora sei stronzo» lamentoso di Elliot viene sovrastato dal festoso «Inviato! Stanno arrivando!» di Oz.
«Ti ho appena detto che questi qui hanno rischiato di mandarmi a mendicare per strada e li inviti a mangiare con noi? Cos’hai che non va nel cervello?», sbotta Elliot, con una smorfia addolorata, chinandosi per massaggiare i piedi offesi.
Oz alza gli occhi al cielo, rubando una patatina dal piatto di Elliot mentre è distratto, mormorando «Lo sai che i genitori non sono come i figli».
Elliot arriccia il naso, borbottando «Il tuo caso è diverso. Tuo padre non ci ha mandati sul lastrico, ci ha solo fatto perdere una causa da niente».
«Una causa da niente che vi è costata due milioni e mezzo di indennizzo».
«Se non la pianti ti prendo a pugni in faccia, Vessalius. Uomo avvisato...».
Oz mette su la propria migliore espressione da cane bastonato, e supplica «Ti prego, Elliot, ti prego ti prego ti prego! Magari ti piaceranno! Sii più malleabile!»
«Che scocciatura. E va bene, come ti pare». Elliot si allunga sul sedile del tavolo, cercando di non ascoltare il grugnito di vittoria di Oz.
Nel momento in cui si arrende, dalla porta del bar fa capolino Sharon Rainsworth, che sonda con lo sguardo la sala e sorride quando incontra la faccia scura di Elliot e il viso festante di Oz. Al seguito, entrano Leo e poi Alice, che stanno parlottando tra di loro in tono sommesso. Attraversano la stanza, e Sharon, con uno slancio, si siede accanto ad Elliot.
«Ciao, ragazzi!»
Oz, cavallerescamente, si alza, facendo passare Leo, che si siede proprio di fronte ad Elliot, ed Alice, piazzandosi al suo fianco.
«Ciao», esclama Alice, lanciando la borsa nel posto vuoto accanto a Sharon.
«Hey». Il saluto di Leo è meno entusiastico, e, rivolgendosi ad Elliot, aggiunge, «Ciao, faccia di culo».
Elliot avvampa, e stringe le labbra in una linea sottile, lanciandogli uno sguardo di fuoco. «Cerchi rogna, Baskerville?»
«Assolutamente no, Nightray. Però è innegabile che tu abbia una faccia di culo. Tra l’altro, sei sporco di ketchup». Si indica la guancia, ed Elliot si affretta a sfregarsi nel punto indicato, togliendo di mezzo l’imbarazzante macchia rossa.
«Allora, ragazzi, vi siete ambientati?»
Alice scrolla le spalle, mentre Leo risponde un secco «Cambridge è meno movimentata di New York. Tanto meglio».
«Li ho portati i giardini», interviene Sharon, con un sorriso educato. «Poi abbiamo fatto un po’ di spesa in libreria».
«Oh, cosa avete comprato?», chiede Oz, con eccessivo interesse.
«Alice non ha comprato nulla perché mangerebbe il libro, e non nel modo convenzionale», replica Leo, «Io ho comprato il nono volume di Holy Knight».
Alice risponde alla provocazione con una scrollata di spalle disinteressata, ma Elliot sembra improvvisamente attento.
«Leggi Holy Knight?»
Leo lo guarda quasi stupito. «E tu sai leggere?»
«Guarda che ti spacco-»
«Sì, sì, mi spacchi la faccia. Comunque, leggo Holy Knight da parecchio tempo».
«Wow!», esclama Oz, alzando un braccio per chiamare la cameriera. «A quanto pare abbiamo parecchie cose in comune. Io ed Elliot seguiamo quella saga dalla prima ristampa!»
La cameriera si avvicina al tavolo masticando una gomma con aria annoiata, e prende le ordinazioni di Alice, Leo e Sharon con una flemma che sembra quasi inumana. L’ordinazione di Alice la stupisce abbastanza, e provoca diversi versi stupiti tra i commensali.
«Come diavolo fai a ingurgitare tutta quella roba?», chiede Elliot, sbalordito.
«Due doppi cheeseburger, una porzione di patatine King Size ed un frullato al triplo cioccolato», elenca Oz, con ammirazione. «Ti tieni in forma!»
«Non è niente, non ho molta fame», commenta Alice, con una scrollata di spalle.
«E’ un caso clinico di ipertiroidismo», aggiunge Leo, che invece ha ordinato solo una porzione di patatine, esattamente come Elliot. «Non fateci caso».
Ci sono ancora un paio di commenti sulla dimensione dello stomaco di Alice, ma Sharon vi pone fine con un leggero schiarirsi della gola, mentre si mette ben dritta, intrecciando le dita sul tavolo.
«Che attività extra avete scelto?».
«Io ho deciso di provare il corso di cucina», esclama Alice, entusiasta. «Almeno mia madre la smetterà di lamentarsi del fatto che mangio senza preparare mai niente.
«Musica e teatro».
La risposta di Leo provoca un vago disagio in Oz, che sonda la reazione di Elliot. Le materie extra vengono scelte con grande cura dai vari compagni, perché incrociare conoscenze scomode anche al di fuori dall’orario obbligatorio spesso provoca risse e scontri che portano alla chiusura senza appello dell’attività – successe un paio d’anni prima, a causa di Ernest, il fratello maggiore di Elliot, che era al suo ultimo anno e non sopportava di dover dividere il seggiolino del pianoforte con Jean Aberdeen, una tale che aveva definito ‘un’incompetente provinciale’.
«Perfetto», borbotta Elliot, ripulendo la chiazza di ketchup con l’ultima patatina rimasta.
«Oh, per l’amor del cielo, non dirmi che--» Inizia Leo, in tono abbattuto, e continua con un tagliente «Fantastico, non sto nella pelle» in risposta al ‘sì’ sussurrato di Oz. Alice, nel frattempo, sembra completamente immune alla discussione, visto che trangugia il secondo cheesburger senza sforzo, coronando il silenzio imbarazzante che segue con un rutto tanto forte da far tremare i vetri.
«Beh, vorrà dire che dovrò tenervi d’occhio io, a teatro», sibila Sharon, che sta torturando il piede di Elliot col tacco della scarpa, costringendolo a non emettere suono per protestare. Leo le rivolge uno sguardo indecifrabile – indecifrabile soprattutto perché effettivamente non gli si vedono gli occhi, e commenta «Io so controllarmi».
«No, non è vero, l’ultima volta che ti sei arrabbiato mi hai quasi staccato la testa», bercia Alice, lanciandogli uno sguardo astioso.
«Mi stavi disturbando».
«E ti sembra una ragione valida per minacciarmi con un coltello?»
Elliot alza gli occhi al cielo. «Fantastico, uno psicopatico. Ti prego, dimmi che suoni il contrabbasso o qualcosa del genere».
Leo scuote la testa. «Suono il pianoforte, cretinetti».
«Bene. Benissimo. Vado ad impiccarmi con una corda elettrificata, se non vi dispiace», mugola Elliot, lasciandosi cadere sullo schienale con un lamento.
«Che, il tizio suona il piano?», chiede Leo, rivolgendosi a Sharon ed Oz.
«E’ al decimo anno di conservatorio», risponde Sharon, in tono cauto.
Leo arriccia il naso ed imita la sua nemesi, lasciandosi cadere sullo schienale e ammutolendo.
La conversazione cambia direzione e inizia a vertere sui capelli di Alice, acconciati in due trecce morbide, lasciando Sharon e Oz liberi di complimentare la ragazza e di riempire il silenzio imbarazzante formatosi tra Elliot e Leo, che continuano a guardarsi di sottecchi con occhi che promettono schermaglia.
Elliot continua a pensare a quanto enorme sarà la scocciatura di dover dividere il pianoforte con questo tizio, e cerca di convincersi che forse Oz ha ragione e i genitori non sono come i figli. Ma questo non gli impedisce di avere profonda antipatia per Leo di per sé, perché Lacie e Levi Baskerville non sono suoi genitori, e perciò dev’essere odioso per sua propria natura. Sbuffa, e incrocia le braccia al petto, ascoltando la frivola chiacchierata tra Alice ed Oz, e lancia uno sguardo nella loro direzione, notando come il braccio di Oz sia scivolato lentamente dietro alle spalle di Alice e come questa non stia protestando come ha già fatto al mattino, ma stia sopportando la sua presenza con un viso un po’ meno annoiato di prima. Ma all’ennesima adulazione, Elliot ne ha piene le scatole, e dopo aver dato un rapido sguardo all’orologio si alza in piedi.
«Sono le dieci, è il caso che andiamo».
Oz lo guarda con sguardo implorante, mentre Alice protesta «No, è presto, non ho voglia di tornare a casa».
Sharon lo guarda e poi guarda Alice, quasi scusandosi per il suo chiaro rifiuto di alzarsi. Elliot si chiede se Sharon Rainsworth non sia diventata improvvisamente lesbica per colpa di Alice Baskerville.
«Io rimango qui», afferma Oz, seguito a ruota da Sharon. «Anche io, vorrei riaccompagnare a casa Alice, non vorrei che questo qui la molestasse».
Oz fa una faccia quasi oltraggiata, ma Sharon si sporge e gli scompiglia i capelli, ridacchiando.
Straordinariamente, è Leo ad alzarsi.
«Io invece me ne vado. Vorrei iniziare a leggere Holy Knight».
Oz, con sguardo mefistofelico, si allunga verso Leo, toccandogli un braccio per attirare la sua attenzione.
«Se non sai bene la strada, Elliot può accompagnarti, abitate nello stesso quartiere, praticamente».
Lo sguardo che Elliot lancia a Oz promette tutte le torture umanamente immaginabili. Però Leo esamina Elliot, e raccoglie la busta della libreria. «Sì, forse è il caso. Lui sembra minaccioso, al massimo cercheranno di picchiare lui e io potrò defilarmi».
«A meno che l’aggressore non sia io, idiota», ipotizza Elliot, ma Leo non sembra dargli ascolto, perché si volta con un ‘Ciao’ e si avvia verso la porta. «Aspetta, Baskerville!»
Elliot raccoglie la sua giacca, e si slancia dietro di lui, senza osservare la stessa cortesia nei confronti di Sharon, Alice e Oz, perché si allontana senza salutare. Si scontra con l’aria fresca fuori dal locale, e si guarda intorno per individuare Leo, che è già a metà strada verso l’incrocio, e cammina velocemente per raggiungerlo.
«Se devo accompagnarti è il caso che tu mi aspetti, non credi?»
Leo alza gli occhi al cielo, attraversando la strada senza neanche guardare a destra e a sinistra. Elliot fa un verso stupito, e dopo essersi assicurato che la strada sia sgombra lo rincorre, afferrandogli una manica della camicia.
«Mi stai ascoltando?»
«Sì, ti ascolto, ma sei noioso e perciò non ti rispondo. So cavarmela da solo».
Elliot aggrotta le sopracciglia.
«Allora perché dovrei accompagnarti?»
Leo lo guarda di sottecchi, ed Elliot riesce a cogliere uno sprazzo dell’immagine dei suoi occhi, grandi e scuri, attraverso le lenti e la coltre di capelli neri che gli copre il viso, e ne rimane quasi spiazzato, perché sembrano rilucere di luce propria, tanto sono brillanti.
«Perché mi fai ridere con le tue ciance, perciò accorci la strada. Se proprio devo andare a casa, almeno il tragitto lo faccio divertendomi, non credi?»
Elliot, in tutta franchezza, non sa come rispondergli. Però Leo gli fa un sorriso che non è saccente, e non è neanche derisorio. È solo un sorriso. E in qualche modo, lo imbarazza.
«Andiamo, cretinetti, la strada è lunga e tu hai tante stronzate da sparare».
Elliot fa per protestare, ma Leo gli afferra il bavero della giacca e inizia a trascinarlo, provocando una reazione scomposta di imprecazioni a cui risponde con una risata cristallina. Ed Elliot deve ammettere che forse Oz ha ragione, effettivamente. Che forse dovrebbe essere un po’ più malleabile. Dopotutto, la risata di Leo non è neanche tanto male.


Note:
Dopo quasi un mese, arriva il capitolo. Non odiatemi, ma sono lentissima ad aggiornare, e scrivo tutto nel rush del momento, perciò tra un capitolo e l’altro passano settimane, visto che anche tra una botta d’ispirazione e l’altra passano settimane. Tra l’altro ho iniziato a vedere Doctor Who e mi ha, come dire, un po’ distratta. /nasconde mole di fazzoletti imbevuti di lacrime e dolore.
In ogni caso, vorrei ringraziare calorosamente chi ha inserito la storia tra i seguiti, i preferiti e chi ha recensito. Mi rendete felicissima! Risponderò presto a tutte le recensioni, non temete, non vi abbandono ;v; Grazie ancora! E spero che il capitolo sia piaciuto. <33 A presto (spero)!
A.


  
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