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Autore: enemyarrives    24/06/2013    8 recensioni
Fino a che punto un vuoto può essere riempito, o una ferita rimarginata? E un cuore spezzato può essere riparato tanto facilmente? I ricordi torneranno sempre a tormentarci ed i protagonisti di questa storia lo sanno bene.
“E’ possibile sentirsi soli, in un posto pieno di gente? Credo proprio di sì, perché era così che mi sentivo costantemente. Non avevo più nessuno, nemmeno una famiglia. Avevo persino dimenticato cosa volesse dire averne una ed era tutta colpa mia, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro." (Dal capitolo 8.)
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi qui, con la prima long che scrivo. Inizialmente, ero un po' incerta e non sapevo se pubblicarla, per via degli argomenti delicati di cui, a volte, scrivo. Ma poi ho pensato che è una storia diversa dalle altre, scava nel passato dei Leto. Ovviamente nulla di quello che scrivo è successo davvero, ma, per alcune cose, mi sono basata sulle informazioni reali che avevo su di loro. Vi lascio alla lettura, spero con tutto il cuore che vi piacerà. Farò del mio meglio.
                                                                           Martina.
 
POV Constance.
Non credo ci sia nulla di più rilassante del mare in inverno. Non ci va quasi nessuno e, infatti, c’è un grande silenzio, è tutto calmo e tranquillo. Io amo andarci e, spesso, ci passo del tempo per leggere e pensare, è un ottimo posto per riflettere e stare soli.
Quel giorno arrivai nel mio solito pezzetto di spiaggia e mi sedetti sull’asciugamano verde. Sospirai guardando il mare; nonostante fosse un po’ agitato, mi trasmetteva tranquillità.
Chiusi gli occhi e respirai a pieni polmoni, sentendo l’odore della salsedine penetrarmi nel naso e mi godetti la leggera brezza che mi accarezzava il viso. Dopo essermi rilassata abbastanza, riaprii gli occhi e presi il libro dalla borsa. Esitai, osservando il colore giallognolo della copertina, poi lo aprii, trovando scritte quelle parole che mi facevano stringere il cuore ogni volta che le leggevo:
“Alla mia amata lettrice.
Questo è il mio libro preferito, volevo che lo avessi tu. Leggilo, te ne prego, è molto importante per me.
Tuo, E.”*

Faceva male, era come se mi avessero conficcato un coltello nel petto e avessi una ferita che non si sarebbe mai rimarginata. Erano passati soltanto due mesi da quando era andato via e soffrivo, ogni giorno. Mi aveva lasciata improvvisamente, con un misero bigliettino in cui diceva di essersi innamorato di un’altra donna. Buffo, no? Dai tutto per una persona e poi questa ti lascia sola, per un motivo senza senso. Si era comportato come un vigliacco, era scappato alla prima difficoltà e non sarebbe più tornato.
Lacrime di dolore e delusione iniziarono a scorrermi sulle guance. Era così che mi sentivo, delusa e sola, a soli diciotto anni e con due bambini piccoli a cui badare. Mi portai una mano alla bocca per non singhiozzare e, quando sentii una mano sulla mia spalla, mi girai vedendo la mia migliore amica, che mi guardava dispiaciuta. Sospirai scuotendo il capo.
“Non ce la faccio, Mary, soffro troppo e non posso sopportarlo.”
“Invece devi farcela, per te, ma anche per Shannon e Jared, hanno bisogno della loro mamma.”
Mi sorrise rassicurante ed io esitai.
Soffrivo tanto, era vero, ma amavo i miei bambini più della mia stessa vita e non li avrei mai abbandonati.
Mi alzai in piedi, facendomi forza, e mi asciugai le lacrime.
“Hai ragione, loro hanno bisogno di me. Adesso andiamo.”
La presi sottobraccio e ci incamminammo verso casa.

Due anni dopo...
“Buongiorno, signora. Benvenuta al St. Patrick.”**
Una donna sulla trentina, con una divisa scura, venne ad accogliermi all’entrata. Doveva essere la direttrice dell’orfanotrofio. Mi sorrise cortesemente ed io mi guardai intorno.
Ero sempre più convinta di star facendo una pazzia, ma in fondo ero sicura che non me ne sarei pentita.
La donna mi guardò lievemente confusa, interrompendo i miei pensieri.
“Tutto a posto signora?”
“Sì, mi scusi.”
Le sorrisi sommessamente e lei ricambiò.
“Venga da questa parte.”
La seguii e mi portò in un cortile con un giardino, pieno di bambini che giocavano e ridevano.
“Questi bambini hanno tutti meno di cinque anni” mi spiegò la direttrice “molti hanno avuto dei gravi problemi, sono quelli che hanno maggiormente bisogno di aiuto.”
Li guardai uno ad uno, con il cuore in gola e mi sfuggì un sorriso triste. Chissà cosa avevano passato, i genitori li avevano abbandonati oppure erano morti. Mi vennero subito in mente Jared e Shannon, per fortuna con loro c’ero stata io, non li avevo lasciati soli e mai lo avrei fatto.
Li stavo ancora osservando, quando la mia attenzione venne attirata da una bambina molto piccola che se ne stava in disparte, da sola. Era rannicchiata in un angolo, con i boccoli castani che le ricadevano sul visino paffuto e gli occhioni scuri fissi nel vuoto. Dondolava sul posto e muoveva piano le labbra schiuse, come se stesse canticchiando.
La direttrice, che era accanto a me, fece un lieve sorriso, capendo chi stavo guardando.
“Lei si chiama Claire, è una bambina problematica, non parla molto e se ne sta sempre isolata. Non sappiamo da dove venga, né chi siano i suoi genitori. L’abbiamo trovata poco tempo fa fuori dalla porta dell’orfanotrofio, tutta sola e al freddo..ha soltanto due anni.”
Rabbrividii a quelle parole e guardai la piccola, aveva l’aria molto triste, anche se probabilmente non ricordava nemmeno chi fossero i suoi genitori.
“Ed io potrei..prenderla in affido?”
Domandai alla direttrice, guardandola speranzosa. Avevo deciso, volevo che Claire avesse una vera famiglia, che non si sentisse più sola. Sarebbe cresciuta bene con me ed i bambini, io avrei fatto del mio meglio.
“Sì, signora, ma ci sono varie pratiche da sbrigare e servono molti soldi..”
“Non importa” la interruppi “le darò tutti i soldi necessari, in quanto alle pratiche non deve preoccuparsi, una mia cara amica è un avvocato e potrei chiedere aiuto a lei.”
La donna mi guardò, stringendosi nelle spalle.
“Va bene, come vuole.”
Detto questo si allontanò ed io mi avvicinai lentamente alla bambina, inginocchiandomi poi di fronte a lei.
“Ciao, Claire..”
Le feci un lieve sorriso e lei mi guardò con gli occhioni spalancati, un po’ impauriti.
“Sta’ tranquilla, non voglio farti del male.”
Cercai di rassicurarla e vidi che si addolcì un poco.
“Perché sei qui tutta sola? Non ti piacciono gli altri bambini?”
Lei abbassò lo sguardo e scosse piano il capo, facendo un piccolo broncio.
Sorrisi dolcemente e le feci una leggera carezza sui capelli.
“Hai paura piccola, vero?”
La bambina si rannicchiò, non dicendo ancora nulla, ed io sospirai alzandomi.
“Va bene, allora ci vediamo un altro giorno. Ciao tesoro.”
Le diedi un ultimo sguardo, uscendo poi dall’edificio.
Non mi importava quanti soldi avrei dato e nemmeno quante pratiche avrei dovuto sbrigare. Volevo che quella bambina capisse cosa volesse dire avere una famiglia. 


*Non ci sono informazioni sul nome del padre di Jared e Shannon, quindi è l'iniziale di un nome inventato.
**Non c'è nessun orfanotrofio che si chiami St. Patrick a Bossier City, è inventato anche questo.
   
 
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