“Per sempre”.
Mai locuzione fu più
abusata; la storia, i libri e i ricordi sono pieni di amori eterni, di amicizie
imperiture, di promesse impegnative.
Quasi in ogni caso di quel
“per sempre” rimane un pugno di istanti, destinati a perdersi nel rimorso e
nell’egoista quotidianità.
A ben guardare, però, ci
sono delle eccezioni. Giuramenti inaspettatamente sinceri che emergono vivi
dalle rapide della vita.
Casi rari, certo, ma
preziosi, anche se vanno cercati sotto la cenere e il dolore.
La storia di Nigel e Alasdair inizia tra due
vagoni dell’Espresso di Hogwarts.
Avete letto bene: proprio
in quella scomoda intercapedine che unisce due carrozze.
L’orologio
del binario 9 e ¾ scandì
pesantemente il momento della partenza; dalla scintillante locomotiva rossa si
levò uno sbuffo di vapore, accompagnato da un fischio appena sufficiente a
sovrastare il caos della banchina.
“Nigel,
amore”, strillò una donna con le guance rosse e un fazzoletto in mano,
“ricordati quello che ti ho detto: sii educato,
studia, non prendere freddo, mangia, se c’è qualcosa che non va…”
Il resto si perse nella
calca.
Nigel tirò un sospiro di sollievo, benedicendo la fretta
e la gente che lo spingeva per farlo salire a bordo.
Voleva un gran bene a sua
madre –che costituiva gran parte della famiglia, visto che papà non si era mai
fatto vivo- ma era una donna dannatamente ingombrante;
ora, poi, che il suo unico figlio partiva alla volta di Hogwarts
probabilmente la sindrome del nido vuoto l’avrebbe resa ancora più assillante.
Sì, perché Nigel Donovan, undici anni ancora
da compiere, era un mago. O almeno sperava di diventarlo, visto che fino a quel
momento era riuscito a combinare poco, se si esclude aver trasformato una tazza
da tè in un rospo sotto il naso di una spocchiosa prozia (cosa che gli era
valsa un mese di punizione nonostante avesse giurato di non averlo fatto
apposta) e aver fatto spostare una sedia da sotto il sedere di un prete senza
toccarla… lo schiaffo di sua madre era stato un piccolo prezzo da pagare per
vedere quel vecchio lagnoso finire a gambe all’aria!
Comunque, quei due piccoli
incidenti erano stati sufficienti a garantirgli una bella lettera di ammissione
a Hogwarts, con somma gioia di mamma, strega anche
lei. E ora, con il cuore in gola per l’emozione e le braccia sovraccariche di
bagagli, Nigel era sul treno che lo portava verso una
nuova vita.
Ancora stentava a
crederci! Era come un sogno, un bellissimo sogno che…
“Levati di torno, nano!”
grugnì un enorme ragazzo brufoloso con una cravatta rossa e dorata, schiacciando
Nigel contro la parete.
“Io… scusa, scusa, mi
sposto… ecco…”
Fu una manovra complicata.
Nigel era basso, vergognosamente basso. Il viso tondo
e il taglio a scodella dei capelli biondastri non aiutavano a renderlo più
simile a uno studente, piuttosto che a un bambino delle elementari.
Basso, dicevamo, e carico
di un baule più grande e pesante di lui, e di una gabbia con un esagitato
allocco grigio, la cui principale occupazione era perdere piume e cercare di
beccare attraverso le sbarre gli ignari passeggeri.
Dal basso del suo metro e
trenta, Nigel aveva una visuale meravigliosa dei
gomiti dei passanti, che a quanto pare avevano la
brutta abitudine di impattargli contro la testa.
“No ma figurati eh, non
preoccuparti, non mi sono fatto male…” continuava a ripetere con genuina
cordialità. Nessuno gli prestava la minima attenzione.
Nigel sbuffò. Era sull’Espresso da un quarto d’ora e
aveva fatto mezzo passo; trascorrere le prossime sei ore con la faccia
compressa contro un finestrino non gli sembrava un’ottima idea, così stabilì di
spostarsi ancora, alla ricerca di un posto a sedere.
Scoprì ben presto che, se
gli studenti di Hogwarts erano mille, i posti negli
scompartimenti erano novecentonovantanove. Quello in piedi era riservato a lui.
Dopo interminabili minuti
di “scusa”, “permesso”, “dovrei passare”, di colpi in testa, strigliate da
parte di studenti più grandi e caos primordiale, Nigel
raggiunse uno scompartimento.
Un miraggio!
Scivolò avanti di un
passo, si infilò malamente la gabbia di Vortigern l’allocco sotto braccio ed appoggiò la mano
contro lo stipite della porta aperta, affacciandovisi.
“Ciao! Mi chiamo Nigel Donovan e mi chiedevo se potevo sedermi…”
Slam!
Un nerboruto Serpeverde, intento a parlare con due graziose coetanee, si
alzò senza nemmeno guardare chi gli stesse parlando
dal corridoio e chiuse la porta con un gesto rapido.
Solo dei buoni riflessi
salvarono le dita di Nigel da un trauma prematuro.
“Ok, lo prendo per un no…”
guaì, tergendosi la fronte sudata con la manica. “Andiamo, Vortigern,
c’è un intero treno che ci aspetta!”
I tentativi seguenti
furono persino peggiori.
“Ciao, posso sedermi?”
“Ovviamente no”, fu la
risposta di un gruppo di ragazze non molto più vecchie di lui, intente a cicalecciare e a
sbirciare i passanti.
Poi fu il turno di uno
scompartimento pieno di un denso fumo giallastro e del rumore di un conato; Nigel passò oltre, incappando nella strega che spingeva il
carrello con i dolci e dedicandosi ad una contorta manovra per riuscire a
passare, cosa che causò una mezza crisi isterica alla povera donna. Alla fine
le comprò anche un pacchetto di Api Frizzole per
placare il proprio senso di colpa.
Un vagone dopo l’altro,
comunque, Nigel si trovò fagocitato dal treno. Dopo
un’ora di fatiche estenuanti ancora non era riuscito a sedersi: era stanco,
sudato e demotivato, Vortigern berciava senza posa e per giunta tutti i passeggeri del treno
sembravano trovare Nigel interessante quanto un
balano attaccato alla chiglia di una barca.
E così finì che il solo
posto che gli permettesse, se non di star comodo, quantomeno di non essere
calpestato fosse il passaggio tra due vagoni. Proprio quel posto in cui di
solito è vietato stare.
Nigel scaraventò il baule a terra con un grugnito offeso
e vi si lasciò cadere sopra, poggiando la gabbia dell’allocco sulle proprie
ginocchia.
“Iniziamo male”, mugugnò,
guardando gli occhi gialli e severi di Vortigern.
“Non sarà facile farmi degli amici, hai visto come mi guardano tutti male? Meno male che ho te…”
Così dicendo avvicinò un
dito alle sbarre. Vortigern schioccò il becco e
scattò in avanti, colpendo la mano del padrone.
“Ahio!”
gemette Nigel, lasciando cadere la gabbia e
reggendosi il dito offeso. “Bell’amico che sei… e poi
dicono che tra un bambino e il suo animaletto si instaura un rapporto speciale…
sei una fregatura, ecco cosa sei!”
Abbattuto appoggiò i
gomiti alle ginocchia, sostenendo la testa tonda che gli sembrava sempre troppo
pesante.
C’era un chiasso infernale
su quel treno; gli ansiti della locomotiva erano piuttosto vicini, e ad essi si sommavano gli schiamazzi degli studenti e le
sporadiche piccole esplosioni.
Ben presto quel rumore di
fondo divenne quasi abituale per le orecchie di Nigel,
che, stanco, non vi fece quasi più caso.
Dopo nemmeno mezz’ora però
una nuova voce si fece strada in quel rumore, sempre più vicina.
“Va bene, va bene, me ne
vado! Però lasciatemi pass… ecco, così. Non c’è bisogno di essere maleducati,
cavoli! Non è colpa mia se… oh, andate a quel paese!”
Nigel girò di poco la testa, vagamente interessato.
Dal muro di corpi emerse
un gatto tigrato con in bocca un pezzo di stoffa nera;
dopo poco, alle sue spalle si fece avanti anche quello che poteva esserne il
proprietario, visto che reggeva una gabbietta aperta e vuota.
“Per la barba di Merlino”,
sbuffò il ragazzino, scostandosi dalla fronte un ricciolo scuro. Nigel alzò lo sguardo e lo fissò mentre
questi si chinava a raccogliere il gatto.
“Etta, non devi farti le
unghie sugli abiti degli altri. Sono stufo di ripetertelo… ora non abbiamo un
posto a sedere, grazie a te!”
“Scusa”, accennò Nigel speranzoso. “Se vuoi qui c’è posto… lo so, non è il
massimo, ma non sapendo dove andare mi sono trovato qui…”
Il nuovo arrivato inclinò
il capo. Aveva occhi e capelli scuri e un’espressione gentile.
“Dici davvero?”
Nigel si concesse un ampio sorriso ed annuì.
“Ok, allora arrivo
subito!”
Dopo cinque minuti nello
spazio tra i due vagoni c’erano stipati due bauli, un allocco, una gatta e due
ragazzini.
“Grazie, non sapevo
proprio dove andare…”
“Figurati, anzi sono
contento di avere qualcuno con cui parlare! Sai, è la prima volta che vado ad Hogwarts… mi chiamo Nigel, Nigel Donovan”.
“Piacere!” rispose
l’altro, stringendo la mano che Nigel gli porgeva. “
Sono Alasdair McLean”.
“Alasdair?
Che razza di nome è?”
“Famiglia scozzese,
tradizioni e cose simili. Chiamami Al, preferisco,
anche se i miei genitori si arrabbiano sempre per questo”.
“Sei anche tu al primo
anno?”
“Già. E anche io non
conosco ancora nessuno…”
“Be’”,
disse Nigel sorridendo ancora di più e lasciando che
sulle guance paffute sbucassero due fossette, “ora conosci me!”
Alasdair sorrise. Quel viaggio scomodo forse non sarebbe
stato tanto male…