Climbing Up The Walls.
Poi uno scoppio, un tremendo scoppio. Un tremendamente bello scoppio. Lo scoppio iniziō ad ondeggiare nellaria anchesso, ma pių soavemente che sensualmente, in modo che non si confondesse con la melodia delle mitraglie; pių ordinatamente che serratamente, in modo da non essere risucchiato dal ritmo delle esplosioni. Nobuhiko desiderō intensamente che le urla cessassero, che i pianti scemassero, che le lacrime non creassero pių la terribile pioggia nera di paura che regnava in quel momento su quella che era stata la sua amata, razionale Yokohama. Ma capė presto che quel desiderio di gioia convenzionale era irrealizzabile per delle regole di bellezza, una bellezza nascosta, mai vista prima; capė che quel momento di luciditā, di ragione, era fuori posto, non aveva sistemazione in quella profonda costellazione di pennellate progettate senza riga, senza compasso; solo ad acquerelli.
Pensō, rinchiuso lė, in un bunker, in un cubo di sei muri decorati con quelle rose di sangue allucinogeno, di essere in Paradiso; ma quando quelle stesse pennellate iniziarono ad allinearsi in inquietanti geometrie davanti ai suoi occhi, geometrie in cui la melodia delle mitraglie non era pių sensuale ma disordinata, in cui il ritmo non era pių ovattato ma rimbombante, in cui quel meraviglioso scoppio era radioattivo e pungente, non pių soave, capė grazie a quel bruciante senso di stortezza e dolore, di essere vicino a Dio, vicino ai cancelli del Paradiso. Sentė che da quei cancelli stava scivolando, lungo quelle stesse pareti del bunker, e si sentė annaspare, nel tentativo di arrampicarsi, di restare aggrappato ai muri. Capė, quindi, che stava scivolando verso lInferno.
Nobuhiko ebbe una fitta al petto; vide le nubi, quelle nubi una volta bianche e soavi ma ora ingrigite, diradarsi; vide i muri cosė come li avrebbe visti prima e come li avrebbe voluti vedere unultima volta, e pensō di essere salvo, finalmente: vivo. Vide che le nubi erano scomparse.
Poi non vide pių nulla.