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Autore: The Archer    25/06/2013    2 recensioni
Il suo nome è Zael Astray ed è il cosiddetto cane da guardia del Re da ormai due anni. Le missioni affidategli dal sovrano non lo avevano mai messo sul serio alla prova: fino ad adesso. Durante i fatidici giorni prima del suo diciottesimo compleanno dovrà portare a termine una missione che cambierà non solo il suo destino ma anche quello dell'intero popolo di Andalahr.. l'incontro con una misteriosa ragazza lo porterà a lasciarsi alle spalle il proprio passato e ad andare incontro ad un futuro incerto e pieno di sofferenze. Il tempo scorre inesorabilmente, tutte le pedine sono al loro posto, una tragica storia sta per ripetersi: che la fine abbia inizio.
"Il mio cuore comincia a battere a mille. Come in trance poso la scatoletta sul davanzale della finestra accanto a noi e la stringo forte a me. La mia mente è come annebbiata e non capisco più niente. Un unico pensiero si fa strada nella mia testa e si impone su tutti gli altri: lei è qui con me, così vicina."
*Preso dal nono capitolo*
P.S. Fatemi sapere cosa ne pensate ^w^ grazie :3
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo dell'autrice:

Ed ecco a voi il modificato, nuovo capitolo :D
in esso si scoprirà qualcosa in più su di Zael e faranno la loro comparsa gli ultimi tre membri dell' "allegro gruppetto" ahahah chissà che combineranno stavolta.. beh per scoprirlo dovrete solo leggere! Spero che sia di vostro gradimento! :3 grazie, alla prossima e buona lettura! ^w^ 

 
CAPITOLO 3 NON DISPONIBILE!



 
Capitolo 2




 
Grida. Sento grida ovunque. L’odore del sangue, della paura e della morte mi riempie le narici. Borgild si aggrappa a me e comincia a piangere. Nostra madre corre subito verso di noi e ci abbraccia. Sono terrorizzato e il mio unico desiderio è di darmela a gambe levate, ma il pensiero di abbandonare mio fratello e mia madre mi tiene bloccato qui. In quanto figlio maschio più grande - anche se solo di un’ora - è mio dovere proteggerli ora che nostro padre non c’è più. È passato un anno dalla sua morte, ma io mi sento ancora colpevole per quello che gli è successo. Un soldato con un drago con le ali spiegate sull’armatura apre la porta. – Mia signora, sono entrati. Non riusciremo a trattenerli a lungo.
Mia madre trattiene un gemito e ci stringe forte a sé. Borgild comincia a piangere ancora più forte. Lo abbraccio a mia volta per tranquillizzarlo. – Troveremo un modo per uscire da questo pasticcio, vero mamma?
Non so se lo dico per rassicurare me o lui. Nostra madre annuisce e si rivolge nuovamente alla guardia. – Quanto tempo siete in grado di darci?
La guardia apre la bocca per risponderle, quando la punta di una spada fa capolino dal suo torace. Il soldato tossisce, sputandoci del sangue addosso, e fissa incredulo l’arma. Poi stramazza a terra, morto.
 
Mi sveglio gridando da quello che potrebbe sembrare un incubo, ma che in realtà non è altro che un ricordo. Mi asciugo il sudore dalla fronte giusto in tempo prima che la porta si apre. Tre guardie si catapultano all’interno della stanza, le armi in pugno, alla ricerca del nemico, ma quando vedono che la stanza è deserta a parte me e loro, rinfoderano le armi e mi guardano con aria interrogativa. Troppo scosso dal sogno e dalla loro improvvisa irruzione, fisso il vuoto incapace di proferire loro parola.
Una delle guardie mi scuote dai miei pensieri e mi riporta alla realtà. – Mio signore, è tutto a posto? Vi abbiamo sentito gridare e …
– Va tutto bene. Potete andare. – li liquido con un gesto della mano. Aspetto che escano prima di massaggiarmi le tempie doloranti, e di buttarmi con un sospiro sul letto.
 
Io e il mio fratellino gridiamo dallo spavento. Nostra madre ci stringe così forte contro il suo petto da toglierci quasi il respiro. Sulla soglia della porta si erge un uomo in una nera armatura, sporca qua e là di macchie rosse. La spada che tiene nella mano sinistra è grondante del sangue del soldato.
Nostra madre ci spinge dietro di sé e allarga le mani con fare protettivo. – Perché sei qui? Il tempo non è ancora scaduto!
– Sono stanco di aspettare. Lilith. Dammi quel che mi spetta. – la voce dell’uomo mi ricorda il ringhio dei lupi che ho incontrato nel bosco con mio padre durante la caccia.
Nostra madre fa qualche passo indietro e noi con lei.
Ho paura. Chi è quell’uomo? Cosa vuole da noi? Perché sta invadendo il nostro castello?
 – Ma sono ancora troppo piccoli! Ti prego concedimi un altro po’ di tempo! – nostra madre sembra sul punto di piangere. Voglio abbracciarla e dirle che andrà tutto bene, ma lei mi spinge nuovamente dietro.
– Sono?! Tu me ne avevi promesso uno! – l’uomo dall’armatura nera è infuriato. Con il dorso della mano colpisce nostra madre in faccia. Lei indietreggia barcollando.
Una forte rabbia mi cresce nel petto e opprime la paura. Con aria decisa estraggo il pugnale dalla cintura e mi piazzo a gambe divaricate davanti a mia madre. – Come hai osato ferire mia madre? Codardo! – mia madre sussurra il mio nome e mi ordina di nascondermi, ma non le do ascolto. Con i denti scoperti in un ringhio ferino alzo il pugnale verso l’uomo misterioso.
– Come prego? – chiede questo con scherno e con un colpo di spada mi fa volare l’arma dalle mani. Con un gridolino di stupore guardo il pugnale cadere a terra con un tintinnio. – Ripeti quello che hai detto. – mi esorta con voce tagliente.
– Come hai osato colpire mia madre? – la mia voce trema un po’ e non sono più sicuro come prima.
I miei occhi balenano verso il pugnale e mi preparo a lanciarmi per recuperarlo. L’uomo mi anticipa e mi punta la spada contro la gola. – Io oso eccome. E se non tieni a freno la tua lingua ti taglierò la gola prima che riuscirai a pronunciare un’unica sillaba.
Deglutisco e penso a un modo per sfuggire da questa situazione. – No, ti prego. Farò tutto ciò che vuoi, ma non fare del male al mio bambino! – dice supplicando mia madre.
L’uomo rimane impassibile di fronte alle sue suppliche e le risponde con voce fredda e crudele – Scegline uno da darmi senza fare troppe scenate.
Nostra madre scoppia in lacrime. – Non posso! Non sono ancora pronta per separarmi da uno di loro! Ti prego, abbi pietà!
Li guardo confuso. Di cosa stanno parlando? Che cos’è che mia madre deve dargli?
– Allora sei più inutile del previsto. Ti allevierò il dolore della separazione. – con un ghigno alza in aria la spada e la punta verso di lei.
– No … ti prego … – il volto di mia madre è rigato dalle lacrime. La spada si abbassa a velocità spaventosa. Mia madre continua a supplicarlo, gli chiede clemenza …
Uno spruzzo di sangue mi colpisce il volto. Con un tonfo il corpo privo di vita di nostra madre cade a terra. La sua testa rotola verso di me e si ferma ai miei piedi. I suoi occhi sbarrati dal terrore mi fissano accusatori. Dalla sua bocca spalancata, esce un rivolo di sangue.
– No! – indietreggio spaventato e mi porto le mani sporche di sangue al viso. – No … mamma …
Le grida del mio fratellino giungono ovattate alle mie orecchie. – Perché l’hai fatto? – incredulo non riesco a staccare gli occhi da lei. Lacrime cominciano a rigarmi il volto, lavando via il sangue di nostra madre dalle mie guance. – Che cosa hai fatto?!
Accecato dall’ira, mi scaravento su di lui. Lo colpisco alle gambe, ma i miei pugni incontrano solo il freddo acciaio. Ben presto le mie mani sono scorticate e doloranti, ma continuo lo stesso ad attaccarlo. L’uomo mi lascia fare, fino a quando i suoi occhi non si posano su Borgild, che sta ancora piangendo. Qualcosa ha risvegliato il suo interesse. Incuriosito fa un passo in avanti e immerge il piede nella pozza di sangue.
Splash.
Borgild smette immediatamente di lamentarsi e lo guarda terrorizzato. Con le mani tremanti estrae il pugnale dalla sua cintura e lo punta contro il nemico. L’uomo ride e avanza verso di lui.
– Borgild scappa! – l’ira non è ancora placata, ma mi rendo conto che al momento devo mantenere una mente lucida, o a morire sarà anche mio fratello. – Scappa!
Borgild si alza in piedi e comincia a correre. L’uomo avanza lentamente verso di lui e in meno di sei grande falcate lo raggiungerà. Sembra quasi giocare con lui, come un gatto gioca con il topo prima di ucciderlo. Devo proteggere mio fratello a tutti i costi! Senza pensarci due volte mi butto a terra e afferro con dita tremanti il pugnale.
L’uomo è a soli tre passi da Borgild ..
Con il grido di battaglia che mi ha insegnato nostro padre mi scaravento su di lui e gli conficco l’arma nel piede. L’uomo non emette alcun grido di dolore. Mi scruta disinteressato come se davanti a lui ci fosse un ratto e non un bambino. Dopo aver lanciato uno sguardo fugace verso Borgild, ed essersi assicurato di poterlo raggiungere, mi tira un calcio così forte da buttarmi contro il muro a due metri di distanza. L’impatto mi priva di tutta l’aria ho nei polmoni. Boccheggiando cerco di recuperarla, ma non appena il mio petto si alza, un dolore allucinante mi fa sfuggire un gemito dalle labbra. L’uomo ride compiaciuto e allunga la sua grande mano sporca di sangue verso di me. Mi afferra per i capelli  e mi alza a forza, fino a quando siamo faccia a faccia. Urlo per il dolore all’attaccatura dei capelli e alle costole.
 – Mi divertirò moltissimo con voi due. – mi sussurra nell’orecchio.
Con un ghigno malefico mi lascia andare. Mentre cado, sbatto la testa contro qualcosa di appuntito e una miriade di stelle mi compare davanti agli occhi. Sto per morire. Madre, sto arrivando … con un sorriso sulle labbra chiudo gli occhi e aspetto che la morte mi colga.
 
Qualcuno mi scuote ripetutamente e mi libera dalle grinfie dell’incubo. Più volte ho rivisto l’episodio dell’attacco al Castello di Eriolem, nelle ultime notti insonni e tormentate da incubi come questo. Purtroppo però non sono stato sempre così fortunato come oggi: la maggior parte delle volte non c’è nessuno a svegliarmi e a distogliermi da quel tormento.
– State piangendo, mio signore. – dice con voce impassibile e distaccata il mio salvatore.
Mi porto frettolosamente le mani al viso e con stupore lo trovo bagnato. Mi asciugo con il dorso della mano le lacrime e mi rivolgo con aria ostile al mio salvatore. Occhi verdi ricambiano freddi il mio sguardo. Sono i capelli fulvi e le lentiggini a farmi capire di chi si tratta: Xavor.
– Che ci fai qua? – gli chiedo seccato, nel tentativo di distogliere la sua attenzione dalle mie guance ancora umide per il pianto.
– Vi ho sentito gridare dei nomi e urlare come se qualcuno vi stesse torturando. – risponde questo con una lieve nota di preoccupazione nella sua voce.
La mia mano afferra il pugnale che tengo sotto il cuscino e glielo punta alla gola. Con fare minaccioso mi avvicino a lui. – Che cosa hai sentito? – devo saperlo e costringerlo a dimenticare tutto. Un uomo che vive nel passato è un uomo fragile e facile da distruggere. Non posso permettere che i miei nemici lo scoprano. E per nemici intendo tutti coloro che potrebbero trarre giovamento dalla mia morte, ovvero tutti i proprietari di piccole terre che desiderano arricchirsi. Eriolem è una grande e florida città, dove i mercanti vanno e vengono a loro piacimento; un vero e proprio gioiello, insomma. Credo che sia stato anche per questo che ben otto anni fa hanno attaccato la città e massacrato tutti all’infuori di me. Mi sembra quasi di sentire le grida dei moribondi nelle mie orecchie …
Xavor sembra sconcertato e deglutisce più volte, senza distogliere lo sguardo dalla lama che potrebbe porre fine alla sua vita in meno di un secondo. – Che cosa hai sentito?! – gli chiedo un’altra volta, ringhiandogli quasi contro.
– A parte le urla ho sentito solo un nome: Borgild. Niente di più. – un lampo di disappunto gli illumina gli occhi e non appena comincio a chiedermi cosa lo abbia provocato, scompare.
– Dimentica tutto. – gli ordino. Sa già troppo. Basta sapere il nome di mio fratello per capire di cosa stavo sognando. E non posso permettere che qualcuno lo sappia. Gli premo con forza il pugnale sul collo e un rivolo di sangue gli scende lungo la gola. Xavor annuisce subito, spaventato dalla mia insistenza. – Lo prometto. – dice con voce tremante.
Soddisfatto, allontano il pugnale da lui. – Bravo. E adesso vattene e di’ al cuoco di preparare il pranzo: ho fame.
Xavor annuisce e in meno di dieci secondi non è più nella stanza.
Con stupore mi rendo conto di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Butto fuori l’aria e assumo una postura più rilassata. Sospiro. Posso solo sperare che mantenga la sua parola o sarò costretto a prendere provvedimenti. Ogni signore con un briciolo di cervello sa che la sua reputazione è tutto. Riposo il pugnale al suo posto e mi libero dal groviglio di coperte in cui mi ritrovo intrappolato. Strascicando i piedi mi avvicino allo specchio e prendo la spazzola dalla mensola. Con aria assonnata mi pettino i capelli, imprecando a ogni nodo. Vinta la battaglia contro i nodi, osservo frastornato il mio riflesso: con irritazione noto che come al solito i miei capelli sono ritti da tutte le parti, come se fossi appena uscito da un’impetuosa tempesta. Li maledico sottovoce e cerco di sistemarli in modo decente. Tempo perso: dopo cinque minuti sono esattamente come prima. Frustrato, fisso lo specchio: due occhi blu mare ricambiano, cupi, il mio sguardo. Sbuffo stizzito e prendo la giacca appoggiata sulla sedia lì vicino. Mentre la indosso qualcosa di piccolo cade dalla tasca: la lettera. Me n’ero completamente dimenticato.
Mentre apro la busta mi siedo sulla sedia. – Zael Astray, ho un nuovo compito per voi: vicino alla città portuale di Uriam, è stata avvistata una persona che cercavo da tempo. Trovatela, scoprite dove si trovano i suoi amici ribelli e portatela al mio cospetto, dove verrà giustiziata per tradimento. Vi affido quindici dei miei migliori soldati, che vi aspetteranno davanti alle mura di Uriam. Il loro capo, Falgor, vi suggerirà la vostra prossima mossa. – non mi piace per niente l’idea di farmi dire da qualcun altro cosa devo fare: posso farlo benissimo da solo. Peccato che il Re non lo capisca … - Spero che riuscirete a soddisfare le mie aspettative. Questa volta non ammetto fallimenti. Firmato: Bilgrod Tarsay – chiaro, coinciso e autoritario: tipico.
Le lettere del Re che ho ricevuto fin’ora sono tutte così. Mi piacerebbe molto incontrarlo perché lavorare per una persona che non ho mai visto è un po’ inquietante. Vi sono molte storie sul suo conto: di come si sia distinto tra gli altri soldati del Re in battaglia, di come sia diventato il suo consigliere più fidato, e di come, infine, sia salito al trono uccidendo il vecchio Re e la sua famiglia, lasciandosi sfuggire solo la figlia di dieci anni. Sono passati ormai sette anni da allora, e della principessa Elie non vi è notizia. Molti dicono che sia morta per le ferite, altri che sia ancora viva e che stia organizzando una rivolta per riprendersi ciò che le appartiene di diritto. A me invece piace pensare che sia sopravvissuta e che adesso stia conducendo una bella vita assieme alla sua nuova famiglia.
Per quanto mi duole farlo, devo ammettere che il Re sa il fatto suo e che la sua astuzia è quasi paragonabile alla mia.
 
Quando arrivo alla Sala dei Banchetti loro sono già lì: Alastar mi guarda truce, sicuramente ancora arrabbiato con me, Dragmahr sembra invece immerso nei suoi pensieri mentre fissa con aria afflitta il boccale di birra vuoto. Mi siedo al mio posto a capotavola. Mi guardo in giro. Bene, mancano solo …
La porta della Sala viene aperta con foga e questa sbatte con un tonfo sordo contro la parete.
 
– Galvyn, Thoin, Rotmir! Pensavo quasi che non ci avreste degnati con la vostra presenza! – dico sarcastico.
Sir Galvyn, il “capo” del gruppetto, ricambia il mio “saluto” con una smorfia e va a sedersi di fronte a me, seguito a ruota dai suoi compagni che si posizionano alla sua destra. I suoi occhi grigi mi scrutano ostili mentre si gira una ciocca di capelli mori attorno al dito.
Non ho mai avuto molta simpatia per Galvyn e sicuramente il suo comportamento non mi rende più facile accettare la sua presenza.
Mi mordo il labbro per fermare le acide parole che stavano per uscirmi dalla bocca.
Thoin, un uomo burbero e di poche parole fissa con desiderio il tozzo di pane che si trova in un cesto di legno al centro del tavolo. Mi sembra quasi di sentire il suo stomaco brontolare.
Un sorriso si fa breccia nella mia faccia annoiata. Sento Rotmir sogghignare e il mio volto torna immediatamente serio, mentre fingo di soffiarmi il naso per nascondere il rossore che mi colorisce le guance. Il ghigno di Rotmir si fa ancora più largo quando lo nota. Gli lancio un’occhiata velenosa e batto due volte le mani. Cinque cameriere entrano immediatamente nella stanza, portando numerose pietanze profumate: funghi blu, stufato di agnello, cosce di pollo e molto di più. Storco il naso quando mi mettono davanti un piatto pieno di lumache.
Non appena le cameriere finiscono di posare piatti sul tavolo stracolmi di cibo, Galvyn prende d’assalto le cosce di pollo e ne addenta con gusto una, mentre ne tiene un’altra nella mano destra. Grasso gli cola lungo il mento e sporca la tovaglia dorata. Furioso e in parte disgustato  distolgo lo sguardo.
I miei occhi si posano su Alastar che sta soffiando sulla zuppa di cavolo per raffreddarla un po’. L’odore acerbo della zappa mi fa salire il vomito: non mi sono mai piaciute particolarmente le verdure. Preferisco mille volte la carne grossa e succulenta. Allungo la mano verso una coscia di pollo dall’aspetto invitante, ma Galvyn la prende prima di me. Quando i miei occhi incontrano quelli di lui e vedo lo scherno e la soddisfazione che rispecchiano, mi viene una gran voglia di prenderlo a calci. Istintivamente porto la mano alla cintura dove tengo il mio pugnale da lancio. Galvyn lo nota e afferra la sua spada. Rotmir mi ringhia contro. Thoin distoglie lo sguardo dal pane che non si era ancora deciso di toccare e ci fissa sbalorditi. Alastar blocca il cucchiaio a mezz’aria e ci lancia occhiate sconcertate, troppo stupito per fare qualcosa.
A prendere in mano la situazione è Dragmahr, che pone il suo boccale di birra tra un furioso me, un ringhiante Rotmir e un divertito Galvyn. – Brindiamo, amici, per festeggiare la qui presente signora … hic! Che ci ha concesso una tale stupefacente visione di pura bellezza!  – dice Dragmahr con la voce un’ottava più alta del solito, rivolgendosi a una cameriera. Questa impallidisce per poi diventare dello stesso colore delle tende color porpora alle sue spalle. Dragmahr barcolla leggermente quando fa un passo verso di lei. Un gridolino spaventato si libera dalle labbra della donna, che indietreggia velocemente. Alastar scuote la testa e sembra quasi vergognarsi per il comportamento inopportuno di Dragmahr. Quest’ultimo d’altro canto sembrava soddisfatto del suo brindisi.
Trattengo una risata e poso una mano sulla sua spalla. – Ben fatto. Bellissimo brindisi. – gli dico con un sorriso.
Il sorriso sulla faccia di Dragmahr diventa ancora più largo e, dopo un mio cenno del capo, si siede docilmente al suo posto tutto raggiante. Alzo a mia volta il boccale e rivolgo uno sguardo compassionevole e quasi di scusa alla serva che ci scruta guardinga. – A lei!
Gli altri seguono il mio esempio e gridano in coro – A lei!
La tensione di poco fa sembra essersi sciolta del tutto. Soddisfatto mi guardo intorno: tutti hanno ricominciato a mangiare e parlare allegramente tra loro. Quando il mio sguardo si posa su Dragmahr questo mi fa l’occhiolino come per dirmi: ‘Hai visto?’, poi rivolge nuovamente l’attenzione alla sua amata birra.
 
– Partiremo domani all’alba. Ci sono obbiezioni? – chiedo con aria annoiata dopo aver letto ad alta voce il contenuto della lettera. Do loro tre secondi di tempo per elaborare la notizia. – Bene! Visto che nessuno ha qualcosa da ridire … – poso il fazzoletto che ho usato per pulirmi la bocca e mi alzo velocemente in piedi.
 – Perché tanta fretta? – Rotmir ferma la mia fuga. Gli lancio uno sguardo severo che lui ricambia, ostile come sempre.
Tutto nel suo aspetto - la sua bassa statura, il piccolo naso, la pallida carnagione, gli occhi a mandorla neri e i capelli corvini come i miei - mi fa credere che lui non sia originario di Andalahr, bensì di quel lontano paese  in Oriente, di cui tutti parlano, ma in cui solo pochi osano avventurarsi. A parte lui, ho visto solo due persone con i suoi tratti: il mio maestro e sua figlia, Yuki. Raccontavano spesso del loro paese natale, Nihon. Secondo le loro storie, le donne portano sempre i sandali con le calze e si mangia solo con due sottili bastoncini di legno chiamati bacchette. Ho provato più e più volte a usarle, ma con discreto successo: la carne cadeva appena la sollevavo dal piatto e riuscivo a prendere solo due chicchi di riso alla volta. Yuki mi aveva sempre preso in giro per questo.
Yuki … l’immagine di lei sorridente in uno splendido kimono - così si chiamano gli abiti che indossano le donne di Nihon - con un motivo di fiori mi balena nella mente.
Scuoto leggermente la testa per liberarmi dai ricordi.
– Pensavo di prendere a colpi di spade un manichino prima che cominci a fare buio. – ammetto poi con un ghigno divertito. – Ma forse potrò usare te come manichino.
Gli occhi neri di Rotmir si illuminano. – Non vi conviene sfidarmi, mio signore. Potreste avere una brutta sorpresa.
Il mio sguardo diventa freddo, la mia voce piatta e gelida. – Anche tu potresti.
 
Siamo nel giardino. Lì dove ho creato il mio campo d’addestramento. In mezzo all’erba, agli alberi, ci sono tre manichini e tre bersagli fissi – posizionati in differenti distanze – e tre bersagli in movimento attaccati ai rami degli alberi. Seduti all’ombra di una quercia poco lontano vi sono Alastar, Dragmahr, Galvyn e Thoin.
Rotmir è davanti a me con la spada sfoderata e mi sorride spavaldo. Io non sarei tanto sicuro di vincere, mio caro, penso mentre estraggo Balthorn dal fodero.
Alla vista della mia spada sottile ed esile Rotmir scoppia in una fragorosa risata. – Vuoi combattere con questa? Con quel giocattolo?
Gli sorrido e cerco di mantenere una mente lucida. Si vede lontano un miglio che sta cercando di stuzzicarmi. – Che c’è? Hai paura di perdere? – gli grido di rimando. Noto un guizzo di rabbia nei suoi occhi neri. Soddisfatto continuo. – la tua rozza spada non può niente contro Balthorn! Dovresti vergognarti di impugnare una tanto inutile e brutta arma: è più adatta per farci girare su un maiale allo spiedo che per il combattimento.
– Tu dici? – chiede Rotmir a denti stretti.
– Io dico! Ma se non mi credi, perché non vieni a verificare tu stesso? O hai paura di entrare nel raggio d’azione della mia Katana? – scacco matto: il punto debole di un guerriero è il suo senso dell’onore.
Rotmir si lancia contro di me con un grido, la faccia deformata dalla rabbia, la spada alta per colpirmi alla testa. Agilmente faccio un passo di lato e l’arma di Rotmir mi sfreccia accanto con un sibilo. Quest’ultimo si gira verso di me, pronto a caricare di nuovo. – Oh no. Io non mi muoverei se fossi in te.
Rotmir mi guarda confuso e si ferma un attimo a pensare, poi decide di non darmi ascolto e alza nuovamente la spada per l’attacco, ma non appena la sua gamba sinistra, dopo un passo tocca terra, cede e Rotmir cade a terra urlando dal dolore. – Io ti ho detto di non muoverti. – faccio spallucce e gli punto Balthorn alla gola. – Sei morto.
Rotmir mi ringhia contro. – Che cosa mi hai fatto, mostro?
Rido divertito. – Niente di particolare, nullità. – scandisco l’ultima parola per renderla il più offensiva possibile. – Ho solo colpito con il pomo del mio giocattolo il nervo tibiale della tua gamba sinistra. Non potrai appoggiarla, ma, per tua fortuna, dopo tre ore potrai di nuovo usarla normalmente, o quasi.
Rotmir borbotta qualcosa che sembra un insulto. – Come prego? – gli chiedo avvicinando il mio orecchio alla sua bocca.
 – Va’ al diavolo. – risponde questo con un sibilo.
Il mio sguardo balena verso Alastar che sta correndo verso di noi, seguito a ruota dagli altri. Sorrido. – Se mi mostri la strada potrei farci un pensierino. 
  
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