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Autore: _twilight_loverr_    25/06/2013    1 recensioni
Come andrebbe la storia se Bella fosse il vampiro e Edward l'umano?
Questa è la mia versione e spero che vi piaccia!
Dal primo capitolo:
chiese il nuovo arrivato distraendomi dai miei pensieri.
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie, James/Victoria
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Twilight
Capitoli:
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Ciao di nuovo!! Sono molto veloce vero? Ihihih! Ho deciso di dividere tutti i capitoli in due perche sono troppo lunghi. Quindi qui c'è la seconda parte del secondo capitolo. Spero vi piaccia!
Zoe

Mr. Banner si avvicinò al nostro tavolo. Inspirai grata il soffio di aria fresca che portò con lui prima
che potesse mischiarsi al suo profumo.
“Scusi, Isabella,“ disse, guardando le nostre risposte, “perché non hai lasciato usare il microscopio anche al ragazzo Swan?“
“Edward,“ lo corressi di riflesso. “A dire la verità, è stato lui ad identificarne tre su cinque.“
I pensieri di Mr. Banner erano scettici quando si voltò a guardare il ragazzo. “Hai già fatto prima questo esperimento?“
Guardai, assorbita, mentre lui sorrideva, sembrando leggermente imbarazzato.
“Non con radici di cipolla.“
“Embrioni di coregone.“ indagò Mr. Banner.
“Si.“
Questo lo sorprese. L'esperienza di oggi era qualcosa che aveva preso da un corpo avanzato. Annuì
pensierosamente verso il ragazzo. “A Phoenix frequentavi le lezioni del programma avanzato?“
“Si.“
Era avanti allora, intelligente per un umano. Questo non mi sorprese.
“Bene,“ disse Mr. Banner, stringendo le labbra. “Penso sia il caso che voi due lavoriate assieme.“ Si girò e camminò via mormorando, “Così gli altri ragazzi avranno la possibilità di imparare qualcosa per loro stessi,“ sotto il suo respiro. Dubitai che il ragazzo avesse potuto sentirlo. Iniziò di nuovo ascarabocchiare anelli sulla sua cartella.
Due errori in meno di un'ora. Un infelice situazione dalla mia parte. Non avevo comunque idea di quello che il ragazzo pensasse di me, quanto si sentisse spaventato, quando sospettoso?, avevo bisogno di fare uno sforzo migliore per lasciarle una nuova impressione di me. Qualcosa per coprire i ricordi della mia ferocia durante l'ultimo incontro.
“Peccato per la neve, eh?“ dissi, ripetendo la breve chiacchierata su cui una dozzina di studenti avevano discusso oggi. Un noioso, tipico argomento di conversazione. Il tempo, sempre prudente.
Mi fissò con un evidente dubbio nei suoi occhi, una normale reazione alle mie parole banali. “Non
direi,“ disse, sorprendendomi di nuovo. Alzai sorpresa un sopracciglio.
Cercai di guidare la conversazione su sentieri comuni. Lei veniva da un posto più luminoso, più caldo, la sua pelle sembrava rifletterlo, nonostante la sua chiarezza, e il freddo doveva metterlo adisagio. Il mio tocco di ghiaccio sicuramente aveva...
“Il freddo non ti piace?“ chiesi, sicura di aver indovinato.
“Neanche l'umido,“ concordò.
“Per te dev'essere difficile vivere a Forks,“ Forse non saresti dovuto venire qui, avrei voluto
aggiungere. Forse sarebbe meglio se tornassi da dove sei venuto.
Non ero sicura di volerlo, comunque. Avrei per sempre ricordato l'odore del suo sangue, cosa garantiva che alla fine non l'avrei seguito? Inoltre, se fosse partito la sua mente sarebbe rimasta persempre un mistero. Un costante fastidioso rompicapo.
“Non lo immagini neppure,“ disse a bassa voce, ardendo per un momento.
La sue risposte non erano mai quello che mi aspettavo. Mi facevano desiderare di fare ancora più
domande.
“Ma allora, perché sei venuto qui?“ domandai, realizzando all'istante che il mio tono era stato troppo accusatorio, non abbastanza casuale per la conversazione. La domanda suonava scortese, indiscreta.
“E.. una storia complicata.“
Ammiccò con gli occhi aperti, lasciandoli in quel modo, e io da vicino scoppiai internamente dalla
curiosità, curiosità che bruciava tanto quanto la sete nella mia gola. In realtà, scoprii che era
leggermente più facile respirare; l'agonia era diventata molto più sopportabile grazie alla familiarità.
“Penso di poterla capire,“ insistetti. Forse la comune cortesia l'avrebbe fatto rispondere alle miedomande invece di chiederlo in modo scortese.
Fissò giù verso le sue mani. Questo mi rese impaziente; volevo mettere la mia mano sotto il suo mento e alzargli la testa così che avrei potuto leggergli lo sguardo. Ma sarebbe stato troppo folle, pericoloso, toccare di nuovo la sua pelle.
Alzò la testa all'improvviso. Era un sollievo poter di nuovo vedere le emozioni dentro i suoi occhi.
Parlò in fretta, incalzando le parole.
“Mia madre si è risposata.“
Ah, era umano abbastanza, facile da capire. La tristezza passava attraverso i suoi occhi chiari e lo fece corrugare.
“Non sembra così complicato,“ dissi. La mia voce era gentile senza che mi dovessi sforzare. La suatristezza mi faceva sentire stranamente indifesa, speranzosa che ci fosse qualcosa che potessi fare perfarlo sentire meglio. Uno strano impulso. “Quando è stato?“
“Settembre.“ inspirò pesantemente, non un sospiro silenzioso. Trattenni il respiro mentre il suo calore incontrava il mio viso.
“E lui non ti piace,“ indovinai, indagando su più informazioni.
“No, Phil è forte,“ disse, correggendo la mia congettura. C'era una traccia di sorriso vicino agliangoli delle sue labbra piene. “Forse troppo giovane, ma un bel tipo.“
Questo non calzava con lo scenario che avevo costruito nella mia mente.
“Perché non sei rimasto con loro?“ chiesi, la mio voce un po' troppo avida. Suonava come fossi curiosa.
Lo ero, certamente.
“Phil viaggia molto. Gioca a baseball. E' un professionista.“ Il sorriso diventò molto più pronunciato; la sua carriera lo divertiva.
Anch'io sorrisi, senza sceglierlo. Non stavo cercando di farlo sentire a sua agio. Il suo sorriso mifece voler sorridere in risposta, essere nel segreto.
“Lo conosco?“ corsi attraverso le liste di giocatori professionisti di baseball nella mia testa,pensando a quale Phil potesse essere il suo...
“Probabilmente no. Non è un bravo professionista.“ Un altro sorriso. “Solo serie minori. Cambia squadra di continuo.“
Le liste nella mi testa scomparirono immediatamente, e catalogai la lista delle possibilità in meno di
un secondo. Allo stesso tempo, stavo immaginando un nuovo scenario.
“E tua madre ti ha spedita qui per poterlo seguire,“ dissi.
Sembrava che riuscissi a tirare informazioni più con le congetture che con le domande. Funzionò di
nuovo. Il suo mento si sporse, e la sua espressione fu improvvisamente testarda.
“No, non è stata lei a spedirmi qui,“ disse, e la sua voce aveva un nuovo brusco nervosismo. La miacongettura l'aveva reso infelice, anche se non potevo capire come. “Sono stato io.“
Non riuscivo a capire il suo significato, o la causa della sua irritazione. Ero completamente persa.
Così rinunciai. Non c'era nessun senso in quel ragazzo. Non era come gli altri umani. Forse ilsilenzio dei suoi pensieri e il profumo del suo odore non erano le uniche cose insolite.
“Non capisco,“ ammisi, odiando cedere.
Sospirò, e mi fissò negli occhi più a lungo di quanto un umano riuscisse a fare.
“All'inizio è rimasta con me, ma lui le mancava,“ spiegò lentamente, il suo tono diventava piùsconsolato ad ogni parola. “Era infelice... perciò ho deciso di passare un po' di tempo in famiglia con Charlie.“
La piccola ruga tra i suoi occhi si approfondì.
“Ma ora sei infelice tu,“ mormorai. Non riuscivo a smettere di dire le mie ipotesi ad alta voce,sperando di imparare dalle sua reazioni. Questa volta, comunque, non sembrò contraddirmi.
“E...?“ chiese, come se non fosse un aspetto da essere considerato.
Continuai a fissarlo negli occhi, avvertendo che avevo finalmente colto il primo vero barlume della sua anima. Vidi in quella parola dove collocava se stessa tra le sue priorità. A differenza di molti umani, i suoi bisogni erano in fondo alla lista.
Era altruista.
Mentre capivo questo, il mistero della persona che si nascondeva dentro questa mente silenziosa iniziò a diventare un po' meno fitto.
“Non mi sembra giusto,“ dissi. Alzai le spalle, cercando di sembrare indifferente, cercando dinascondere l'intensità della mia curiosità.
Lui rise, ma non sembrava un suono divertito. “Non te l'hanno ancora detto? La vita non è giusta.“
Volevo ridere delle sue parole, nonostante anch'io non mi sentissi molto divertita. Ne sapevo un bel po' a proposito dell'ingiustizia della vita. “Penso di averla già sentita.“
Mi fissò, sembrando di nuovo confuso. I suoi occhi sfuggirono via, e poi ritornarono nei miei.
“E questo è tutto,“ mi disse.
Ma non ero pronta a lasciare che questa conversazione finisse. La piccola V tra i suoi occhi, un residuo del suo dolore, mi disturbava. Volevo appianarla con le mie dita. Ma, ovviamente, non potevo toccarlo.
Era rischioso per certi versi.
“Dai buona mostra di te,“ parlavo lentamente, ancora considerando le prossime ipotesi. “Ma sono pronta a scommettere che soffri molto più di quanto dai a vedere.“
Fece una smorfia, i suoi occhi accigliati e la sua bocca girata in un broncio, e guardò di frontel'aula. Non gli piaceva quando indovinavo. Non era uno martire, non voleva mettere in mostra il suodolore.
“Mi sbaglio?“
Si tirò leggermente indietro, ma per il resto finse di non avermi sentito.
Mi fece sorridere. “Io credo di no.“
“Perché ti dovrebbe interessare?“ domandò, distogliendo lo sguardo.
“Questa è una domanda molto sensata,“ ammisi, molto più a me stessa che per rispondere a lui.
Il suo acume era migliore del mio, aveva visto al cuore delle cose mentre io annaspavo attorno ai bordi, cercando ciecamente indizi. I dettagli della sua vita umana non avrebbero dovutoimportarmi. Era sbagliato per me preoccuparmi di cosa pensava. Oltre a proteggere la mia famiglia dal sospetto, i pensieri umani erano insignificanti.
Non ero abituata ad essere la meno intuitiva della coppia. Confidavo nel mio senso extra un po' troppo, non ero chiaramente percettiva come avevo creduto.
Il ragazzo sospirò e guardò torvo di fronte l'aula. Qualcosa a proposito della sua espressione frustrata era divertente. Nessuno era stato più in pericolo a causa mia di questo piccolo ragazzo, al momento avrei potuto, distratta dal mio ridicolo interesse nella conversazione, inspirare attraverso il naso e attaccarlo prima che qualcuno avesse potuto fermarmi, e lui era irritato perché non avevo risposto alla sua domanda.
“Ti do fastidio?“ chiesi, sorridendo all'assurdità della cosa.
Mi lanciò un'occhiata veloce, e poi i suoi occhi sembrarono essere intrappolati dal mio sguardo.
“Non esattamente,“ mi disse. “Sono io stesso a darmi fastidio. Il mio volto è così facile da leggere... mia madre dice sempre che sono un libro aperto.“
Si accigliò, stizzito.
Lo fissai meravigliata. La ragione per cui era infelice era perché pensava che potessi capirlo troppo facilmente. Bizzarro. Non mi ero mai sforzata così tanto di capire qualcuno in vita mia, o piuttosto esistenza, vita era a mala pena una parola giusta. Sinceramente non avevo una vita.
“Al contrario,“ dissi in disaccordo, sentendomi stranamente cauta, come se qui ci fosse qualche pericolo nascosto che avevo fallito a notare. Ero improvvisamente tesa, la premonizione mi rendeva ansiosa. “Per me tu sei molto difficile da leggere.“
“Devi essere una brava lettorice, allora“ indovinò, facendo di nuovo un'ipotesi giusta.
“Di solito sì,“ concordai.
Gli sorrisi apertamente allora, lasciando che le mie labbra esponessero le fila luccicanti, di denti aguzzi come rasoi dietro di esse.
Fu una cosa stupida da fare, ma ero improvvisamente, inaspettatamente disperata nel dare al ragazzo una sorta di avvertimento. Il suo corpo era più vicino a me di prima, si era mosso involontariamente nel corso della conversazione. Tutti i piccoli segni e gli indizi che erano sufficienti a spaventare l'intera umanità sembravano non funzionare su di lui. Perché non si era rannicchiato lontano da me nel terrore? Di sicuro aveva visto abbastanza del mio lato oscuro da capire il pericolo, intuitiva come sembrava.
Non vidi se il mio avvertimento aveva avuto effetto. Mr. Banner ci chiamò all'attenzione proprio allora, e lui si girò. Sembrava un po' sollevato per l'interruzione, forse aveva involontariamente capito.
Sperai di si.
Riconobbi che il fascino stava crescendo dentro di me, anche se cercavo di coprirlo. Non potevo permettermi di trovare Edward Swan interessante. O piuttosto, lui non poteva permetterselo. Ero già ansiosa per avere un altra possibilità di parlarle. Volevo sapere molto più a proposito di sua madre, della sua vita prima che arrivasse qui, del suo rapporto con il padre. Tutti i dettagli insignificanti che avrebbero riempito il suo carattere. Ma ogni secondo che passavo con lui era un errore, un rischio che non avrebbe dovuto correre.
Senza pensarci, agitò i suoi capelli proprio nel momento in cui concessi a me stessa un altro respiro. Una particolare concentrazione del suo odore mi colpì il fondo della gola.
Era come il primo giorno, come una palla distruttiva. Il dolore della bruciante secchezza mi rendeva confusa. Dovetti afferrare di nuovo il tavolo per mantenermi salda al mio posto. Questa volta avevo leggermente più controllo. Non ruppi niente, almeno. Il mostro ringhiò dentro di me, ma non prese piacere dal mio dolore. Era legato troppo stretto. Per il momento.
Smisi si respirare, e mi allontanai il più possibile dal ragazzo.
No, non potevo permettermi di trovarlo affascinante. Più interesse l'avrei trovato, più probabilmente il mostro l'avrebbe ucciso. Avevo già fatto due errori minori oggi. Ma se avessi commesso il terzo, che non era così minore?
Appena sentii la campanella suonare, scappai dalla classe, probabilmente distruggendo qualsiasi impressione di educazione che avevo quasi costruito nel corso dell'ora. Di nuovo, annaspai fuori all'aria pulita e umida come fosse un essenza curativa. Mi sbrigai a mettere più distanza possibile tra me e il ragazzo.
Emmett mi aspettava fuori la lezione di Spagnolo. Lesse la mia feroce espressione per un momento.
Come è andata?, pensò cauto.
“Nessuno è morto,“ mormorai.
Penso che sia già qualcosa. Quando ho visto Alice uscire via alla fine, ho pensato...
Mentre camminavamo a lezione, vidi i ricordi di qualche minuto fa, attraverso la porta aperta della sua ultima lezione: Alice camminava mostrando i denti e con il viso bianco attraverso il terreno verso il palazzo di scienze. Sentii ricordare l'urgenza di alzarsi e unirsi a lei, e poi la decisione di restare. Se Alice avesse avuto bisogno del suo aiuto, avrebbe chiesto...
Chiusi i miei occhi in orrore e disgusto mentre crollavo al mio posto. “Non mi ero resa conto che si era avvicinata. Non pensavo che avrei... Non ho visto che era così pericoloso,“ sussurrai,
Non lo era, mi rassicurò. Nessuno è morto, giusto?
“Giusto.“ dissi attraverso i miei denti. “Non questa volta.“
Forse diventerà più facile.
“Certo.“
O, forse lo ucciderai. Alzò le spalle. Non saresti la primo a farlo. Nessuno ti giudicherà troppo duramente. Qualche volta una persona ha un odore troppo buono. Sono impressionato che tu abbia resistito così a lungo.
“Non mi stai aiutando, Emmett.“
Ero disgustata dall'accettare l'idea che avrei ucciso il ragazzo, che questo fosse inevitabile. Era colpa sua se aveva un odore così buono?
Sai quando è capitato a me..., ricordò, portandomi dietro con lui di circa mezzo secolo, in una strada di paese al tramonto, dove una donna di mezz'età stava sistemando le lenzuola umide su un filo tra due alberi di mele. L'odore delle mele era pesante nell'aria, il raccolto era finito e i frutti respinti erano dispersi sul terreno, le ammaccature sulla loro buccia disperdeva la loro fragranza in dense nuvole. Un campo di fieno appena falciato faceva da sfondo alla scena, in armonia. Lui camminava per la strada, del tutto dimentico della donna, a fare una commissione per Rosalie. Il cielo era porpora al di sopra, l'arancio sopra gli alberi occidentali. Avrebbe continuato a girovagare per il sentiero e non ci sarebbe stata ragione di ricordare quella sera, ad eccezzione dell'improvvisa brezza notturna che soffiò le bianche lenzuola come una vela e sventolò l'odore della donna sul viso di Emmett.
“Ah,“ mi lamentai calma. Come se la mia sete non fosse abbastanza.
Lo so. Non ho resistito un mezzo secondo. Non ho neanche pensato a resistere.
I suoi ricordi diventarono troppo espliciti per me da sopportare.
Saltai i piedi, i denti tanto bloccati da tagliare l'acciaio.
“Esta bien, Isabella?“ chiese Senora Goff, trasalendo al mio movimento improvviso. Potevo vedere il mio volto nella sua mente, e seppi che sembravo lontana dallo stare bene.
“Me perdona,“ mormorai, mentre mi dirigevo verso la porta.
“Emmett, por favor, puedas tu ayuda a tu hermano?“ chiese, indicandomi in modo indifeso mentre correvo fuori la porta.
“Certo,“ lo sentii dire. E poi era proprio dietro di me.
Mi seguì verso la parte più lontana dell'edificio, dove mi afferrò e mise la sua mano sulla mia spalla.
Spostai la sua mano via con inutile forza. Avrebbe mandato in frantumi le ossa di una mano umano e anche quelle attaccate al braccio.
“Scusa, Bella.“
“Lo so.“ Attirai aria con tre ansimi, cercando di pulire la mia testa e i miei polmoni.
“E' così brutto?“ chiese, cercando di non pensare all'odore e al sapore del ricordo mentre chiedeva, senza avere successo.
“Peggio, Emmett, peggio.“
Fu silenzioso per un momento.
Forse...
“No, non migliorerà se non lo supero. Vai in classe, Emmett. Voglio stare da sola.“
Si girò senza una parola o pensiero e camminò via velocemente. Avrebbe detto alla professoressa di Spagnolo che ero malata, o infossata, o una vampira pericolosamente fuori controllo. Importavano davvero le sue scuse? Forse non sarei tornata. Forse dovevo partire.
Andai di nuovo alla mia macchina, ad aspettare che finisse la scuola. Nascosta. Di nuovo.
Avrei dovuto passare il tempo a prendere decisioni o a cercare di sostenere le mie scelte, ma come un tossico, mi ritrovai a cercare attraverso le chiacchiere dei pensieri che provenivano dall'edificio della scuola. Le voci familiari spiccavano, ma non ero interessata ad ascoltare le visioni di Alice o le lamentele di Rosalie. Trovai Mike facilmente, ma il ragazzo non era con lui, così continuai a cercare. I pensieri di Jessica Stanley catturarono la mia attenzione, e alla fine lo localizzai, in palestra con lei. Era infelice perché oggi avevo parlato con lui durante biologia. Stavo vagliando le sue risposte quando aveva tirato fuori l'argomento...
In realtà non l'ho mai vista parlare con qualcuno con più di una parola. Certamente avrà deciso di trovare Edward interessante. Non mi piace come lo guarda. Ma lui non sembra molto emozionato da lei. Cosa ha detto? 'Chissà cosa gli era preso lunedì scorso.' Qualcosa del genere. Non sembrava che se ne preoccupasse. Non deve essere stata chissà quale conversazione...
Stava dissuadendo se stessa dal pessimismo, entusiasta dall'idea che Edward non fosse interessato in uno scambio con me. Questo mi irritò molto più di quanto era accettabile, così smisi di ascoltarla.
Misi nello stereo un Cd di musica violenta, e alzai il volume per togliere le altre voci. Dovevo concentrarmi molto sulla musica per trattenermi dallo scivolare di nuovo nei pensieri di Jessica Stanley, per spiare quell'insospettabile ragazzo...
Imbrogliai un po' di volte, mentre l'ora si avvicinava. Senza spiare, cercavo di convincermi. Mi stavo solo preparando. Volevo sapere esattamente quando avrebbe lasciato la palestra, quando sarebbe stato nel parcheggio. Non volevo che mi prendesse di sorpresa.
Mentre gli studenti iniziarono la fila fuori dalla palestra, uscii dalla mia macchina, non sicura del perché. La pioggia era leggera, la ignorai mentre lentamente mi inzuppava i capelli.
Volevo che mi vedesse qui? Speravo che sarebbe venuto a parlarmi? Cosa stavo facendo?
Non mi mossi, sebbene stessi cercando di convincere me stessa a ritornare in macchina, sapendo che il mio comportamento era riprovevole. Incrocia le braccia sul petto e respirai leggermente mentre lo guardavo camminare verso di me, gli angoli della sua bocca piegati all'ingiù. Non mi guardò. Un paio di volte fissò su verso le nuvole con una smorfia, come se lo stessero offendendo.
Ero delusa quando raggiunse la sua macchina prima che mi superasse. Avrebbe parlato con me? Avrei parlato con lui?
S'infilò dentro un pick up Chevy rosso stinto, un rottame che era più vecchio di suo padre. Lo osservai accendere il motore, che rimbombò più forte di qualsiasi altro veicolo nel parcheggio, e poi tendere le mani verso le ventole di riscaldamento. Il freddo lo metteva a disagio, non gli piaceva. Si pettinò i folti capelli con le dita, spingendo le ciocche attraverso il flusso di aria calda come se stesse cercando di asciugarli. Immaginai che odore avesse la cabina del pick up, e poi velocemente scacciai via il pensiero.
Si guardò attorno mentre si preparava a uscire, e finalmente guardò nella mia direzione. Mi fissò di rimando per mezzo secondo, e poi potei leggere nei suoi occhi la sorpresa prima che distogliesse lo sguardo e strattonasse il pick up a marcia indietro. E allora si fermò di nuovo con uno stridio, il retro del pick up aveva mancato un incidente con Erin Teague per pochi centimetri.
Fissò nello specchietto retrovisore, la sua bocca aperta mortificata. Quando un altra macchina la passò, controllò due volte dagli specchietti e poi si mosse fuori dal parcheggio così attentamente da farmi sorridere. Era come se pensasse di essere pericoloso nel suo pick up decrepito.
Il pensiero che Edward Swan potesse essere pericoloso per qualcuno, non importava cosa stesse guidando, mi fece ridere mentre il ragazzo mi superava fissando diritto.

Ci leggiamo di nuovo! Spero vi sia piaciuto e come promesso ecco il sito del mio blog:
https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=4852809240084565629#pages/postNum=0
V
i avverto che fà un pò schifo ma siate buoni! E' il primo blog che ho! E questa è la mia prima fiction!
Ci leggiamo presto e RECENSITE IN TANTISSIME!!
Zoe

  
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