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Autore: Delilah Phoinix Blair    25/06/2013    15 recensioni
Due migliori amici.
Una proposta impulsiva.
Una notte di fuoco… No, un momento…
E se lei rifiutasse e addirittura decidesse di non rivolgergli più la parola?
E se lui fosse il tipico ragazzo donnaiolo, allergico anche alla sola idea di avere una ragazza fissa?
E se lei decidesse di buttarsi in un'altra relazione perchè lui è il tipico ragazzo perfetto ed è così che le cose devono andare?
Aggiungete un gruppo di “Disadattati” e due amiche adorabilmente appiccicose ed avrete un’accozzaglia di ormoni in subbuglio.
LA STORIA E' MOMENTANEAMENTE SOSPESA PERCHE' MI STO DEDICANDO ALL'ALTRA LONG CHE HO IN CORSO (che trovate sulla mia pagina) MA TROVERA' CERTAMENTE UNA CONCLUSIONE
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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“E alla fine non ha potuto fare a meno di arrivare. L’ultimo anno del liceo. La cosa strana è che si vive l’estate del quarto pensando che possa durare in eterno, invece tra divertimenti, risate e viaggi, inesorabilmente settembre inizia e ci si trova a dover affrontare il quinto anno. Quello che mi consola è che, frequentando un liceo scientifico, ho la scusa per proseguire gli studi ed immergermi nel mondo del lavoro un po’ più gradualmente di quanto debbano fare altri ragazzi che frequentano istituti tecnici. Certo c’è sempre il problema di doversi conquistare una borsa di studio, altrimenti l’università non la vedo nemmeno da lontano, ma sono fiduciosa. Un po’ me ne vergogno, ma sono molto più spaventata all’idea di rivederlo che a quella di affrontare di qui a nove mesi l’esame di stato. Durante le vacanze, nonostante abitiamo uno di fronte all’altra, ci siamo visti poco o niente per fortuna, ma in classe non ci saranno più impegni a tenerci lontani o a sviare l’attenzione e per quanto mi innervosisca credo che dovrò affrontarlo e non potrò nascondermi dietro gli amici. Comunque non voglio fasciarmi la testa prima di rompermela, può anche essere che sia troppo orgoglioso per curarsi di me e anche a costo di perdere la nostra amicizia, sarebbe davvero una benedizione.”
Era ancora immersa in queste riflessioni, ben sveglia ma ad occhi chiusi, quando il cellulare di sua sorella prese a squillare come un pazzo interrompendo il filo dei suoi problemi proprio nel momento cruciale: era giusto interrompere un’amicizia che durava ormai da anni solo per quello che era successo? Il verdetto era rimandato… ancora. Sperava solo di non diventare vecchia prima di arrivare ad una risposta degna di essere definita tale o addirittura di non dover lasciare “ai posteri l’ardua sentenza”.
«Dannazione Samanta! Quante volte devo dirti di spegnere quell’aggeggio la notte?!». D’accordo forse era un po’ dura con la sua sorellina di 15 anni visto che tre anni fa anche lei viveva praticamente in simbiosi con quell’apparecchio, ma, santo cielo, c’era un limite a tutto.
«Dai, Ronnie, lasciami in pace! Sono le sette comunque, hai dimenticato di impostare la sveglia, quindi tecnicamente è davvero una botta di culo che il mio telefono abbia suonato!» prima che Samanta avesse finito di parlare Veronica (anche detta Ronnie, soprannome che tra l’altro lei odiava e che tutti, proprio per questo, continuavano ad affibbiarle) si era già fiondata in bagno. Aveva venti minuti per farsi una doccia, vestirsi e truccarsi prima di perdere l’autobus che in quarantacinque minuti l’avrebbe portata a scuola. Fortuna aveva voluto che la sera prima, non riuscendo a prendere sonno, aveva già preparato i vestiti e la borsa per il giorno successivo, provocando il grande fastidio della sorella che non era riuscita a non esprimerlo a pieni polmoni.
Si stava appunto congratulando con se stessa, quando aveva notato il linguaggio di Sam e aveva deciso che cinque minuti di consigli da sorella maggiore non l’avrebbero uccisa, così rientrò in camera dal bagno, con ancora lo spazzolino in bocca e vestita solo per metà, ed iniziò la sua filippica.
«A proposcito di queshto…» ma la sorella non la fece finire.
«Io non l’ho toccato il tuo telefono, giuro! Non è colpa mia se la sveglia non ha suonato. Ti sarai dimenticata.» a questo punto Veronica decise di ignorare la pressante sensazione che l’altra avesse decisamente la coda di paglia e rimase per un momento a guardarla mentre se ne stava rossa in viso seduta sul letto, prima di tornare rapidamente in bagno per sciacquarsi la bocca e proseguire il suo discorso.
«Non ho idea di cosa tu stia parlando, ma lasciamo perdere.» pose fine al nervosismo dell’altra con queste poche parole e, con uno sguardo da “sei davvero una pessima bugiarda e forse tutto sommato meglio così”, riprese. «Alla tua età le dicevo anche io le parolacce ok? Ma vedi di evitare a casa perché la prima volta che ne ho detta una davanti alla mamma mi ha messo in punizione per una settimana, è molto esigente su questo, chiaro?» a Samanta quasi brillavano gli occhi dalla contentezza di essere stata messa in guardia da una simile possibilità e si gettò tra le braccia della sorella riempiendola di baci ed elogiando la sua bontà. 
Veronica si liberò a fatica dalla morsa dello scricciolo, poi tornò in bagno e finì di prepararsi.
Si prese un momento per guardarsi allo specchio prima di uscire. Non si sentiva molto diversa dall’anno precedente: stessi capelli biondi e mossi, stesse lentiggini, stessi occhi azzurri, stesso fisico magro ma piatto sul petto, insomma era sempre la stessa Veronica… solo che ora era una diplomanda.
Resasi conto del terribile ritardo, andò in sala e, dato un bacio a sua madre ed urlato un «mi raccomando Sam» alla sorella, uscì, per accorgersi che pioveva e che non aveva il tempo di tornare dentro a prendere l’ombrello se non voleva perdere l’autobus. Così, armatasi di coraggio e (fortunatamente) almeno del cappuccio, si diresse a passo svelto alla fermata per cercare rifugio sotto la pensilina.
Detestava la pioggia.
Vedendo che non c’era nessuna faccia assonnata ad attendere l’autobus capì di averlo perso e si rassegnò ad aspettare quello successivo.
Arrivare tardi proprio il primo giorno di scuola non era un ottimo bigliettino da visita nel caso si fosse ritrovata qualche professore nuovo ad attenderla, ma l’unica consolazione era quella di sapere chi incolpare per quel ritardo: Sam non l’avrebbe passata liscia. Non solo non doveva prendere l’auto la mattina perché la sua scuola era di strada per il lavoro della mamma, ma ora iniziava anche a boicottarla! Sicuramente era stata lei a disattivare per sbaglio la sveglia la sera precedente.
Cercando di regolarizzare il respiro si accorse che, a causa della fretta, aveva completamente dimenticato che, prima che succedesse tutto quello che era successo, tra quelle facce assonnate c’era anche lui, ma che quell’anno le sarebbe stata risparmiata la pena di fare la strada insieme dato che i suoi gli avevano regalato la macchina per la sua promozione a scuola senza debiti. Ovviamente però, come sempre succede, non c’è mai fine al peggio e, mentre sperava ardentemente con tutta se stessa che alla prima ora di quel primo giorno di scuola non avessero lezione con qualche professore nuovo con cui fare una pessima figura, una macchina uscita dalla stradina di casa sua accostò davanti alla fermata dell’autobus ed una voce la richiamò dal finestrino aperto dalla parte del passeggero.
«Com’è che Miss Precisina-so-tutto-io è in ritardo?» la canzonò lui prima ancora che lei, immersa com’era nei pensieri si accorgesse della sua presenza. Quella voce, la sua voce, la costrinse a portare lo sguardo su di lui e, con una smorfia che non era riuscita a trattenere molto bene, a rispondere quasi ringhiando.
«Buongiorno anche a te, Lorenzo.» iniziò allora, per poi aggiungere, quasi a giustificarsi, «Sam ha disattivato la sveglia usando il mio telefono ieri sera e mi sono svegliata tardi.» distogliendo lo sguardo da lui e puntandolo sulla strada come a voler controllare che non stesse arrivando l’autobus, pur sapendo che ne sarebbe passato parecchio di tempo prima che ciò accadesse.
Purtroppo però ne era più che consapevole anche lui, date tutte le volte che aveva fatto tardi per rimanere al letto a dormire e lei lo aveva aspettato per poi entrare alla seconda ora dopo un caffè insieme nel bar fuori scuola. Infatti mentre lei non gli prestava attenzione lui si era sporto sul sedile del passeggero per aprire la porta e, una volta tornato al suo posto, disse «Dai sali, ti accompagno io.»
«Ma non se ne parla proprio!» esclamò subito lei, forse con più enfasi di quanta ne sarebbe stata necessaria, incrociando le braccia al petto e guardandolo come se fosse un alieno su un disco volante e non Lorenzo sulla sua macchina.
Detestava la pioggia.
Appena si riprese divenne rosa in viso come le succedeva in qualunque occasione anche solo leggermente diversa dalla norma e, abbassati gli occhi al suolo, riprese a parlare con più calma. «Non ce n’è bisogno, posso aspettare l’auto, non c’è problema, grazie lo stesso.» alla fine di questa seconda, e più soddisfacente, risposta rialzò gli occhi e, vedendo che non dava l’impressione di volersene andare, lo salutò e tornò a scrutare la strada.
Detestava la pioggia.
«Ronnie dai sali…» provò di nuovo lui, con il solo risultato di spazientirla.
«Ho detto di no, te ne vai a scuola per favore?» lo interruppe lei di nuovo brusca ma questa volta senza dare cenni di cedimento.
Detestava la pioggia.
«Santo cielo Veronica sono io! Lorenzo, ricordi? Sali su questa fottuta macchina così possiamo andare a scuola, sta piovendo a dirotto. Di cosa hai paura, Cristo?! Non ti mangio mica!» era stata la sua risposta, data stringendo convulsamente le mani sul volante.
A quel punto, vedendo che lui iniziava ad arrabbiarsi e non sembrava affatto intenzionato ad andarsene e lasciarla in pace, entrò in quella “fottuta macchina” e si mise la cintura volgendo il viso ostinatamente verso il finestrino.
Detestava la pioggia.
«Visto non è stato difficile mi sembra, giusto qualche passo ma te la sei cavata bene.» la prese in giro di nuovo lui con quel suo solito modo di fare. Vedendo però che non otteneva risposta, si decise a mettere in moto  sospirando un «d’accordo, faremo a modo tuo.».
Il resto del viaggio si svolse in religioso silenzio e così a Veronica non rimase altro che riflettere. Nemmeno lui era molto cambiato nell’arco dell’estate: stessi capelli castano chiaro perennemente spettinati, stessi occhi di quello strano grigio, stessa altezza non indifferente… il tutto un po’ più abbronzato e, a quanto sembrava, leggermente più palestrato.
“Lorenzo che fa palestra? Questa poi!” si rirtrovò a pensare ben sapendo che il ragazzo preferiva di gran lunga una corsa all’allenamento in palestra anche se questa non gli permetteva di sviluppare molto la muscolatura nella parte alta del corpo. Parte che ora, anche attraverso la stoffa della maglietta, sembrava molto sviluppata. Si accorse che lo stava fissando quando, ad un semaforo, sentì che anche lo sguardo di lui si posava su di lei, forse stava controllando anche lui cosa fosse cambiato in lei. Si concentrò allora di nuovo su ciò che si poteva osservare dal finestrino e la sua mente andò automaticamente all’ultima volta che si erano visti, proprio in quella macchina.
 
Era la sera dell’uscita dei quadri ed avevano organizzato un’uscita di classe chi per festeggiare la buona riuscita dell’anno scolastico e chi per divertirsi un’ultima sera prima di dover mettere al corrente i genitori delle materie che avrebbe riportato a settembre e Lorenzo, che aveva appena ricevuto la macchina nuova, si era offerto di portarla e riportarla visto che abitavano uno di fronte all’altra. Era stata una serata davvero fantastica: non erano una classe particolarmente unita, anzi c’erano diverse inimicizie celate dietro sorrisi e complimenti (soprattutto tra le ragazze) ma a parte questi teatrini di squisita recitazione, quando erano tutti insieme alla fine si divertivano.
Il viaggio di ritorno si era svolto tra le risate e le canzoni alla radio cantate a tutto volume (ebbene si, lei era un po’ alticcia) e Lorenzo si era appena fermato davanti al portone di lei a destra e quello di lui a sinistra ed aveva spento la macchina. Veronica stava cercando la borsa sul sedile posteriore quando lui aveva parlato.
«Sali da me.» aveva detto. Niente di più e niente di meno. E lei pensava (sperava?) davvero che stesse scherzando.
«Lore ma cosa stai dicendo?» la sua domanda si era persa in una risata nervosa perché lui, dall’espressione che aveva, sembrava serio.
«I miei sono partiti per la settimana, lo sai.» aveva continuato lui, sempre serio e sempre senza guardarla. Poi però si era voltato verso di lei e lei aveva capito. Non stava scherzando. «Sarebbe solo per una notte.» le veniva da vomitare. «Poi tornerebbe tutto come prima.» non sapeva se per l’alcol o per quello che lui le stava proponendo. «E' molto tempo che volevo chiedertelo, Ronnie.» ma non aveva bevuto tanto da dover vomitare. «Passa la notte con me.» e al suono di quelle parole capì che a farle venire il vomito era l’idea che il suo migliore amico le stesse chiedendo di fare sesso con lui, che la stesse trattando come trattava tutte quelle puttanelle che si portava al letto nel finesettimana. Così si era girata e, dopo aver aperto la portiera, senza dire una parola e non troppo ferma sulle gambe, aveva percorso lo spazio che la separava dal portone del suo condominio più velocemente possibile, ignorando i richiami del ragazzo.
 
Da quel momento la sua amicizia con Lorenzo era rimasta sospesa sull’orlo del cesso e lei ancora non sapeva bene cosa farne, se darle una spintarella e farcela finire definitivamente o cercare di salvare il salvabile ed interpretare le parole dell’amico come il risultato dell’euforia di quel giorno. Era quello l’astruso dilemma che la attanagliava non solo da quella mattina, ma dalla sera stessa in cui era successo il fatto. I due si erano tacitamente accordati per ignorarsi per tutta l’estate ed il progetto era andato in porto, portandoli ad incontrarsi solo quella stessa mattina.
Mentre lei si dibatteva tra queste due opzioni arrivarono a scuola, così dovette rimandare i suoi dubbi all’inizio della lezione. Stava per ringraziarlo di averla accompagnata e poi scappare via quando si accorse che lui era già uscito dall’abitacolo e si stava dirigendo verso i suoi amici e lei era ancora li, con la bocca aperta in un «grazie».
In quel momento si rese conto che non aveva più il beneficio di poter scegliere che fine avrebbe fatto la loro amicizia, perché lui, prendendo atto del suo comportamento di quella mattina, aveva già deciso per entrambi e forse, ma se ne rese conto solo allora, quella soluzione non le andava troppo a genio. Ma ormai la scatoletta con dentro la loro amicizia non si vedeva più sull’orlo del cesso, e se lei l’aveva spinta dentro con la sua acidità, lui aveva tirato lo sciacquone con la sua freddezza.
Almeno aveva smesso di piovere.
Detestava la pioggia.
 
 

Eccomi qui!! Spero davvero che questo primo capitolo vi sia piaciuto! Sono una lettrice qui su EFP da anni ormai ma non avevo mai preso la decisione definitiva di scrivere qualcosa e beh... Alla fine ce l'ho fatta! Vi chiedo di commentare, positivamente o negativamente, questo primo capitolo perchè per me sarebbe una cosa davvero preziosa.
Pubblicherò il prossimo capitolo (che è già pronto per metà) al massimo tra dieci giorni ma, se questo capitolo dovesse essere letto (come spero) mi impegnerò per postare anche prima!
Un bacione!

  
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