Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: E m m e _    26/06/2013    2 recensioni
Per secoli è stata tramandata l’esistenza di un’entità buona e di una malvagia.
Ed una volta era così:
Lucifero e Dio, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male.
Ma ora non più.
Eravamo abituati a parlare di Dio come una presenza buona, genuina.
I nostri genitori, i nostri amici, preti e suore
ce lo hanno presentato come la Salvezza.
Ma si sbagliavano, si sbagliavano tutti.
Perché è a causa sua che la più grande di tutte le guerre si è abbattuta sulle nostre terre, sulla nostra gente.
E sta cercando i suoi Angeli, tra noi, quelli che lo hanno tradito, che lo hanno oltraggiato nel nostro mondo…
E se anche tu pensavi che Dio ti avrebbe risparmiato, ti sbagliavi.
Ora né Dio né nessun altro potrà salvarci.
STORIA SCRITTA A DUE MANI DA MIRIANA (ME) E ANGELICA (ENGI)
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Ok, prima di leggere il capitolo volevo dirvi che io, alla fine, ho pianto mentre scrivevo, non è triste come quello di Engi (più o meno -ma lei è più brava ad emozionare la gente) quindi beh, spero vi piaccia, e se siete particolarmente sensibili i fazzoletti potrebbero servire :3
Un bacio, Miri <3


Capitolo 16 (MIRI)
Il respiro del passato.


Hariel

Brancolavo nel buio.
L’oscurità mi circondava, mi stringeva tra le sue esili braccia, mi cullava con sé come una mamma faceva con i propri bimbi quando erano irrequieti.
- Le origini della tua famiglia provengono dalla vecchia Europa.
La voce di Azazel ruppe il silenzio, mentre le mie unghie squarciavano il primo strato di pelle dei miei palmi.
- I Sangreal sono la tua famiglia… E’ il tuo vero nome.
Respirai piano, concentrandomi.
- Hariel Sangreal.
Liberai dal dolore le mie mani, e mi concentrai su tutto ciò che mi circondava, su tutto ciò che riuscivo a percepire con tutti i miei sensi, tranne la vista e il gusto.
Ciò che il mio udito riusciva a percepire era il silenzio, rotto ogni tanto dai respiri di Azazel, e da qualche sua parola in una lingua incomprensibile, il mio olfatto sentiva un forte odore di zolfo, mischiato a uno strano odore di ferro, mentre le mie dita percepivano solo i piccoli squarci che mi ero inflitta sui palmi, e il gelido pezzo di ferro sulla quale ero sdraiata.
- Che cosa vedi?
Mi concentrai, fin quando sulle mie palpebre chiuse non si disegnarono delle immagini, in movimento continuo, proprio come la scena di un film:
“La domestica chiamò la ragazza seduta sul letto che coccolava dolcemente la sua bambina.
Quest’ultima sonnecchiava tra le sue braccia, con un piccolo sorriso sulle labbra.
- Lasciala andare Sophia! Loro stanno arrivando!”

Il mio respiro si bloccò per un attimo, io avevo già visto quella donna…
Azazel mi afferrò una mano, e mi disse di calmarmi e rimanere concentrata.

- “ Magari potrebbero fare un’eccezione alla regola, non credi?
La donna alzò lo sguardo verso la domestica, senza aggiungere altro se non qualche lacrima.
- Spero che tu scherzi! Ti avevo avvertita, io! Voi non siete sposati, questa bambina è figlia del Demonio. Ormai non c’è nessuna speranza per lei!
Disse la domestica, senza pietà. Sophia si alzò, guardando il pargoletto che sonnecchiava nel suo dolce abbraccio.
- Cosa pensi che dovrei fare? Lasciarla morire qui? Così? Non dovrei dare importanza alla sua vita, come a ogni altra creatura di questo universo?”

- Oh, mio Dio, è orribile!
Gridai stringendomi di più alla piattaforma di ferro. Volevo scappare, andare via. Quelle strane immagini mi stavano distruggendo lentamente, come un fuoco che ardeva e che consumava, pian piano, ogni parte di me.
- No, non deconcentrarti, Hariel. Devi sapere, devi dirci dov’è lei.
Sentivo la voce di Azazel sempre più vicina, il suo respiro era una carezza dolce sulla pelle.
- Concentrati, bambina, concentrati…
Respirai, all’inizio molto lentamente, poi sempre più rapidamente, sentendo l’oscurità portarmi via con sé.
- Non lasciare che l’Oscurità prendi il sopravvento, vinci contro il Passato, Hariel.
E forse Azazel non lo sapeva, ma il Buio aveva già vinto…

“Il vento batteva contro il mio corpo, in ogni angolo; l’aria gelida proveniva da tutti gli angoli, senza però spostarmi, come se il mio corpo non esistesse affatto.
- C’è una famiglia verso la ventisettesima strada, loro potrebbero aiutarti.
Guardai avanti a me; attraverso una finestra riuscivo a vedere la scena.
Sophia guardò la sua creaturina, stesa sul letto, che sbuffava nel sonno.
- Ma se dovessero scoprirti, TU SCAPPA. O questo diventerà l’Inferno, Sophia.
La donna si voltò verso la domestica, poi annuì lentamente.
- Ed ora va!
La domestica prese la bimba e gliela portò correndo. Quando la piccola fu tra le braccia della sua mamma, la donna spinse le due verso la finestra socchiusa.
- Mi dispiace non potervi lasciare uscire dalla porta, ma se vi vedessero sarebbe la fine.
Sophia aprì la finestra e guardò avanti a sé. Per un attimo ebbi l’impressione che stesse guardando proprio me, ma mi resi conto di essermi sbagliata solo quando il suo sguardo guardò verso il basso.
Immediatamente seguii i suoi occhi, e mi sentii sprofondare.
Sotto i miei piedi non vi era nulla, nessun appoggio, né piattaforme, solo aria e almeno una ventina di metri tra me e la strada.
- Ehi, che cosa vuoi fare?
La donna mise un piede sul cornicione, poi l’altro, e respirò con forza, stringendo la bambina contro il proprio petto. E poi allungò la gamba verso il vuoto.
- No! NO!
Scattai in avanti, ma lei cadde, senza controllo. Sbarrai gli occhi, gridando.
E poi il bianco…”

- Che cosa vedi?
Il mio cuore batteva a mille nel petto, il respiro però era calmo e controllato.
- Bianco.
Stesi le braccia lungo i fianchi, riuscivo quasi a sentire ancora un leggero vento sfiorarmi i capelli.
- E poi?
Inizialmente non risposi, era tutto così monotono, fin quando una piccola particella di rosso non colpì lo schermo bianco davanti alle mie palpebre, scandendo pian piano delle figure lunghe e sottili: piume.
- Sono ali.
Un grido mi scosse, ma non aprii gli occhi. Sentii un gemito, un lamento, e poi un pianto di bambino. Respirai con più intensità, e strinsi gli occhi.
Pian piano il rosso invase ogni cosa, silenziosamente, mentre delle figure iniziavano a prendere vita nel racconto muto che si svolgeva nelle mie palpebre.
E poi apparve la strada, grigia e solitaria, mentre una grande abbondanza di macchine faceva avanti e indietro per la città. E poi una fila di grandi abitazioni…
Le scartai tutte, una alla volta, fin quando poi non mi fermai davanti alla grande casa dalle pareti lisce e di colore chiaro.
- È casa mia.

“Sophia sentiva i loro passi, lo sapevo, ma imperterrita continuava a correre, trascinandomi con sé come un’ombra. Bussò alla porta più e più volte, ma non aspettò risposta per entrare in casa e correre verso la camera da letto. Lo stretto corridoio buio provocò in me uno strano senso di dolore quando, come un fulmine di ricordi, mi ritrovai a dover affrontare precipitosamente la realtà di qualche ora prima: le pareti squarciate, tinte del sangue della mia famiglia.
Ancora una volta mi ritrovai a gemere, fuori da quella che, diciassette anni dopo sarebbe divenuta la mia stanza.
- NO!
Un grido mi riportò nella mia nuova realtà, facendomi sussultare.
Corsi all’interno della stanza dove Sophia, piangendo, stringeva il corpo insanguinato e senza vita di una donna sulla cinquantina.
- No!
Sophia la strattonò, la mosse con violenza, portando le mani sul suo petto, per rianimarla.
E poi un suono, un lamento, un pianto leggero che non rese né me né Sophia tristi, semmai il contrario. Un respiro di sollievo allietò l’animo della madre che, abbassandosi sotto il letto, riuscì a tirar fuori una parte di culla dove, ben coperta, la bimba mi guardava con i suoi lucenti occhi azzurri. Sì, ne ero certa: la bambina che Azazel voleva che io trovassi, mi guardava, in qualche modo mi percepiva.
- Che cosa c’è, mmh? Che cosa vedi?
Sophia si voltò, afferrando la bimba in braccio che, sbrodolando sulla giacca verde della mamma, mi indicava con il dito cicciotto, guardando fisso nei miei occhi.
Nella mia mente realizzavo solo il colore turchese ed immensamente calmo dei suoi occhi.
E poi il nero. Invase ogni cosa, a partire dalle sue pupille fino a tutto il resto, ingoiando con sé ogni cosa. L’oscurità mi scosse, vibrando tutt’intorno. Il buio, il vento, il gelo. I borbottii sommessi del vento portavano con sé la puzza di cibo, di plastica e di abbandonato.
Un odore che conoscevo benissimo e che riempiva le narici con violenza, che mi riportava in un luogo che ricordavo ma che, per tutta la vita, avevo provato a dimenticare inconsciamente.
Battei le ciglia e mi ritrovai nella strada buia di fianco a casa mia.
Una strada senza via d’uscita. L’odore dei rifiuti mi stordiva per quanto penetrante.
Sophia correva, rapida come il vento, reggendo il fagotto bianco tra le braccia. Quando mi passò davanti notai la V rovesciata disegnata sulla giacca dal sangue di un’emorragia mai curata. E poi la persi di vista. Ma dov’era? Cos’era successo?
Degli uomini mi raggiunsero, e uno di loro si fece avanti, snudando la pistola.
- Ehi! No! NO!
Gridai, ma lui non mi sentì.
- Mi dispiace, angioletto.
E il proiettile partì, lasciando nell’aria il mio grido disperato e il suono dello sparo che bucava l’aria. Passò contro il mio corpo evanescente e lo trapassò, senza alcun dolore.
E un gemito.
Mi voltai, terrorizzata.
Sophia indietreggiò, le mani vuote; la bambina non c’era, era scomparsa.
La giacca verde si tinse di un rosso acceso, violento.
- NO!
Sophia cadde a terra, pesantemente, scivolando con la schiena contro la parete. Una morte lenta e dolorosa, era questo che le attendeva? No, non potevo permetterlo, non potevo lasciarla morire.
Non lei, non ora.
Dovevo concentrarmi, dovevo salvarla.
Mi inginocchiai di fianco a lei, tentando si spostare la giacca per controllare la gravità della ferita, ma le mie mani trasparenti la oltrepassarono, facendomi gemere dall’angoscia.
Dovevo concentrarmi, concentrarmi, concentrarmi!
- Devo essere davvero morta allora… Già vedo gli Angeli!
Sussultai quando sentii la sua voce, così vicina, così vera e reale.
- Io non sono un Angelo, e tu non stai morendo.
Sussurrai e, per la prima volta, lei si voltò a guardarmi dritto negli occhi, facendomi sussultare ancora una volta. Mi vedeva, mi aveva sentito!
- Adesso apri la giacca, vediamo un po’.
Sophia seguì il mio comando e la sbottonò, senza aggiungere altro. La maglia era intrisa di sangue, il quale continuava a inumidire il tessuto una volta compatto.
Mi scappò un gridolino e mi tappai immediatamente la bocca con la mano.
- Non ti preoccupare, so che cosa succederà adesso… La Luce Bianca, un Coro di Angeli, no? Tutta apparenza e poi mi lanceranno di Sotto.
Sentii le lacrime bagnarmi gli occhi mentre, con un gesto rapido, la ricoprivo con la sua giacca verde.
- Tu non morirai… Tu…
Mi stesi al suo fianco ed avvertii il suo profumo di rose misto a quello del suo sangue.
- Invece sì, ma va bene. Lei sarà salva.
Accertatosi che gli uomini fossero scomparsi, si voltò verso i secchi dell’immondizia più in profondità.
- Brava piccola.
Sospirò leggermente, socchiudendo gli occhi. Strinsi gli occhi per non piangere ancora.
- Fidati, lei te ne sarà grata.
Dopo averlo detto, la guardai e lei mi sorrise.
- La bambina è stata data in affidamento, sono stata costretta a distruggere la nostra famiglia e gliene ho procurata una nuova. Ed ora anche questa l’ha abbandonata. Non credo che mi vorrà mai bene, e non so se mi amerà mai come potrebbe mai con una qualsiasi altra mamma che la terrà in braccio.
Chiusi gli occhi e, per la prima volta, le strinsi la mano.
- Le dirai che l’ho amata tanto?
Sophia singhiozzò ed io strinsi gli occhi, sentendo le palpebre inumidirsi.
- Lei lo sa già.
Riuscii a gemere, per sentire poi la sua mano stringermi con ancora più intensità.
- Glielo dirai?
Annuii lentamente, sentendo la sua mano farsi sempre più fredda e pallida.
- Canta per lei, Sophia, lei ti sentirà. E si ricorderà di quanto l’hai amata.
Sussurrai e lei iniziò a canticchiare una vecchia ninna nanna. E poi il silenzio.
- Lo ricorderà.
Aprii gli occhi, sentendoli bruciare per lo sforzo.
- Lei ti ama, Sophia.
La guardai, ma lei non mi rispose. Le presi entrambe le mani e me le posai sul viso, leggermente, sentendo la sua pelle inumidirsi delle mie lacrime.
- Io ti amo, mamma!
Scoppiai in lacrime e gemetti, piegandomi su me stessa.
Dopo qualche minuto ritrovai la calma, silenziosa ed assassina.
Lasciai le sue mani, e gliele posizionai sul petto, una sopra l’altra.
La guardai un’ultima volta, alzandomi da terra. Mi allontanai lentamente, in lacrime che, senza smettere, continuavano a rigarmi il viso. Il mio passo era leggero, silenzioso.
E poi presi a correre, raggiungendo il fagotto bianco tra le buste nere.
Era come se fossi riuscita ad avvertirla, lì, solo per un attimo.
Sapevo che c’era, che era salva.
La bimba mi sorrise, allungando le braccia verso di me.
- Ciao Hariel.
Gemetti ponendole il mignolo della mia mano destra. Lei rise e batté le ciglia scure e lunghe.
- Sono Hariel.”
   
 
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