Anime & Manga > D.Gray Man
Segui la storia  |       
Autore: Momoko The Butterfly    26/06/2013    2 recensioni
Sono ormai passati cento anni dalla quasi distruzione del genere umano. Dopo un'estenuante battaglia tra bene e male, il mondo è caduto infine preda di tenebre fatte di solitudine e sofferenza; il Conte del Millennio regna baldanzoso su una terra devastata dalla fame e dalla morte, tartassata fin nel profondo dell'animo da eserciti di Akuma voraci e famelici. Ma l'umanità non demorde, per questo si nasconde dalla loro vista, fiduciosa di poter riassemblare i tasselli di una vita in frantumi. Leda e Alan, fratelli inseparabili, hanno perso ogni cosa. Eppure sembra che la sede Nord America possa davvero diventare la loro nuova casa, grazie a benevole persone che hanno saputo ridonare speranza ai loro cuori avviziti dal dolore.
Ma nulla andrà per il verso giusto. Quando la sede verrà messa sotto assedio, sarà tempo per loro di cominciare un viaggio fatto di rischi e incertezze alla ricerca di risposte. Ad accompagnarli, i paladini dell'Innocence, gli Esorcisti, e un sempre più enigmatico Tyki Mikk...
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bookman, Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Tyki Mikk, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 7: Sensazioni indescrivibili
 
 
Alan strinse con forza la mano di Tyki nella sua, distogliendo lo sguardo dalla sconfinata distesa di terra e crepacci grigio polvere della grande pianura. Qualcosa, in quel momento, non sapeva dire cosa, gli aveva bloccato per un attimo il respiro, che subito dopo aveva ripreso ad essere regolare.
Si era fermato, all’improvviso, e il suo braccio si era sollevato appena, prima di ricadere lungo il suo fianco, come senza vita.
Tyki si chinò su di lui, con sguardo serio. In quella posizione, con i ginocchi lontani dal terreno e le piante dei piedi piegate a metà, era alto come lui.
Alan si prese le mani, pasticciando con le proprie dita. Cercava di spiegare la sensazione che aveva appena avuto; come un presentimento, un sentore. Una strana stretta allo stomaco in conseguenza di un pensiero funesto: Leda. Era preoccupato come non mai per sua sorella.
- Tutto bene?
Tyki pareva preoccupato per lui.
- Sì… - rispose il bambino, con una nota di lamento nella voce – E’ solo che…
Fece una pausa. Ciò che avrebbe detto alle sue orecchie potevano benissimo sembrare un mare di preoccupazioni inutili, di sciocchezze.
Eppure, per qualche motivo, nascosto in fondo al suo animo, sentiva di doverlo dire, seppur con quel timore.
Perché capita spesso che ai bambini si creda poco, che si pensi che le loro siano solo favolette inventate. Gli adulti spesso non capiscono i loro sentimenti, le loro angosce, finiscono per sminuirle senza darci troppo peso. E senza che se ne rendano conto, un disastro si compie alle loro spalle. Ma i bambini, che camminano a metà tra un mondo utopico e irraggiungibile, e uno che spesso è troppo concreto, hanno forse uno dei doni più belli di tutti: quello di scorgere entrambe le facce della moneta, di vedere ciò che ad altri è precluso. E gli adulti, che ormai non ne hanno più le capacità, non riescono a capirlo.
Alan temeva questo: che Leda, da sola in una grotta, sarebbe stata esposta a pericoli. Ma lui, da solo non avrebbe potuto nulla. Per questo voleva tentare di dirlo a Tyki, sperando che lui potesse accogliere le sue preoccupazioni. Perché se lui non avrebbe potuto aiutare Leda, Tyki invece sì. Lo aveva già fatto, per questo aveva fiducia.
L’uomo era ancora chino davanti a lui, aspettando che terminasse la frase. Certo, rallentare il viaggio gli dava fastidio, ma il piccoletto era l’unica barriera che evitava a lui e a Leda di prendersi a botte. Non doveva torcergli neanche un capello, altrimenti la sorella si sarebbe certamente infuriata. Ma seppur lo trattasse coi guanti di gomma, sentiva che quel bambino aveva vissuto tante disgrazie, che ogni volta aveva saputo superare con determinazione, e per questo lo stava prendendo in simpatia.
- Che… - Alan deglutì, rimandando giù il groppo alla gola che gli era venuto - … Sono preoccupato per Leda.
Il volto di Tyki si scurì.
- In che senso? – chiese, perplesso, mentre un allarme, dapprima debole, cominciò presto a martellargli in testa.
 
- Forse non avremmo dovuto lasciarla sola…

 

 
Gelo.
Leda si sentiva le ossa congelate, dopo essere rimasta a marinare in mezzo all’acqua putrida per tutto quel tempo. Stesa a terra, tentava di strisciare in avanti aiutandosi con il bastone di legno che fino a poco prima gli era servito come torcia, e che ora era ormai un tocco annerito di cenere e bagnato fradicio, inutilizzabile.
Un altro sparo, alle sue spalle, e un eco lontano perso nel buio.
Digrignò i denti per il dolore. La ferita al fianco le stava portando via ogni energia, se non avesse avuto un colpo di fortuna dubitava che sarebbe riuscita a sopravvivere, questa volta.
Serrò i pugni, tentò ancora di sollevarsi. L’acqua si mosse sotto il suo corpo che cercava di staccarvisi, con ogni sforzo possibile.
Sfortunatamente però ricadde, e gli schizzi volarono ovunque. In quello stesso istante percepì un movimento, dietro di lei, e qualche capello le ricadde in avanti, come mosso da una forza invisibile e seguito immediatamente dopo da un boato.
Il suo assalitore stava aggiustando la mira, sebbene fossero entrambi immersi nel buio. Doveva come minimo avere un’abilità sovrumana per arrivare a tanto.
Leda maledì lui, sé stessa, e tutto il resto.
Ogni volta, ogni santissima volta che, dopo aver sputato sangue, patito le pene dell’inferno, tentava di costruirsi una vita, ecco che qualcuno gliela distruggeva.
Prima sua madre, poi Ted… per quanto ancora avrebbe dovuto soffrire. Per quanto, ancora?!
Per quanto avrebbe dovuto rendere triste Alan, impedirgli di giocare, ridere, sentirsi in pace…
Per quanto ancora… ?
Di sé stessa non le importava nulla, in fondo. Lei viveva per suo fratello, l’unica ancora rimasta cui le era concesso aggrapparsi. Non importava che lei si spezzasse la schiena per lavorare, o che conducesse una vita ignobile. L’unica cosa che le stava a cuore era Alan, e nulla avrebbe dovuto rompere la sua felicità. Almeno la sua… !
Stava ansimando, sentiva il sangue caldo bagnarle la pelle, in contrasto con la gelida acqua del canale. Le braccia, su cui stava facendo leva per muoversi, iniziarono a tremarle. A esse si aggiunsero poi le gambe, e infine tutto il corpo. Era sotto sforzo, temeva che, da un momento all’altro, potesse svenire; e morire.
Le lacrime le riempivano gli occhi, minacciando di sgorgare fuori impetuosamente. Leda tentò di trattenerle con tutta sé stessa, non poteva permetterselo; non in quella situazione. Mettersi a piangere, benché fosse una reazione naturale, non le sarebbe servito a nulla. Sarebbero stati i capricci di una bambina, che non voleva rassegnarsi all’ormai inevitabile fine. Rassegnarsi alla morte, a pensare che tutto si sarebbe trasformato in polvere, in nulla. Eppure era quella la sua vita, se così poteva chiamarsi. In realtà lei non aveva mai vissuto per sé stessa. Da quando il luogo che l’aveva vista nascere, muovere i primi passi, giocare e ridere, era stato inghiottito dalle fiamme, tutto quello che era rimasto del suo animo dilaniato dal dolore aveva pensato a prendersi cura dell’ultimo frammento di vita rimastole.
Alan era solo un bambino, allora, quindi era stata lei a tornare indietro, correndo tra gli alberi, dopo averlo messo al sicuro. Era stata lei a scoprire quel mucchio di macerie che pochi attimi prima era stata la sua casa; e poi quei resti. Quelli di un corpo carbonizzato, rosso di sangue, che vi giaceva sotto.
E tutt’attorno, l’ambiente bianco di cenere… Persino gli alberi verdi e rigogliosi, sembrano mani nere e spaventose, con chiome di fuoco, pronte ad afferrarla. Per nulla somiglianti agli accoglienti giganti dalle chiome rigogliose sotto ai quali aveva sempre giocato.
Decise che Alan non avrebbe mai visto quell’orribile spettacolo. Decise che non avrebbe dovuto mai più soffrire, e che sarebbe stata lei a portare il peso del segreto.
Ma ora quel peso la stava uccidendo.
 
Con le sue ultime forze tentò invano di alzarsi.
Perché? Perché sebbene avesse accettato la morte, ancora il suo corpo, il suo inconscio, la portavano a resistere fino all’ultimo?
Forse, tutto sommato, non lo voleva davvero… Forse non era per suo fratello che lei voleva vivere. Morire per lui… lasciarlo da solo…
No, forse lei voleva solo continuare a stargli accanto, senza mai abbandonarlo a sé stesso. Proteggerlo, ma poter continuare a camminare al suo fianco.
Ecco quello che voleva! Se si fosse lasciata andare al destino, lui sarebbe stato triste, molto triste. Non poteva permetterlo. Lei stessa gli avrebbe fatto del male se si fosse comportata da pappamolle.
Doveva reagire. Lottare, con le unghie e coi denti, fino all’ultimo. Come aveva sempre fatto. Come avrebbe fatto la vera Leda.
Lasciarsi alle spalle il dolore. Fregarsene del mondo. Piantare i piedi a terra e gridare il proprio diritto alla vita.
Le sue gambe, seppur tremolanti, riuscirono a drizzarsi. Si poggiò contro la parete, ansimando. Lo sguardo luccicava di rabbia, determinazione e volontà, nel buio.
Strinse i pugni, serrò i denti, resistendo così al dolore, cercando di non pensarci. Alle sue spalle dei passi infrangevano l’acqua, facendosi sempre più  vicini. E gli spari divennero più frequenti. Un proiettile le sfiorò la spalla. Leda ringhiò di dolore, deglutendo a vuoto e mandando giù un grido che sicuramente l’avrebbe fatta scoprire.
Anche se non ne fosse uscita viva, da quello schifoso canale puzzolente, voleva provarci. Provarci, con tutta sé stessa, fino a che il suo cuore non avesse emesso l’ultimo cruciale battito.
Portò in avanti il piede, riuscì a fare un passo. Un solo e unico passo, che da solò significò molto più di quanto in realtà Leda avesse mai sperato. Un passo verso l’uscita; un passo verso la salvezza.
I suoi muscoli erano testi, in costante agitazione. Lo sguardo era appannato – non che servisse molto – e la fronte e le guance erano bollenti.
Ce la poteva fare. Un altro sforzo, e sarebbe stata salva. Sì, ci sarebbe riuscita… !
 
 
Poi tutto crollò.
Le sue gambe cedettero.
Il suo corpo si afflosciò a terra, privo di vita; il suo respiro, sempre più debole, sempre più difficoltoso.
E la consapevolezza della fine si fece strada in lei. Nel momento in cui i suoi vacui occhi di liquirizia, tenuti aperti da quel filo sottilissimo di forza di volontà,  cominciarono a chiudersi, lentamente.
 
Almeno ci aveva provato, pensò.
E Alan… Oh, se sarebbe stato triste. Già poteva immaginarselo, piangere per lei…
Sulle sue guance pallide si fecero strada le lacrime. Silenziose, come portatrici del rimpianto e di tutte quelle parole e quei pensieri che avrebbe voluto dire. Ma che ora, non avrebbe più potuto lasciare a nessuno.
Le sue pupille ora brillavano appena, ridotte a due sottili fessure. L’ultima stilla di vita che rimaneva in lei. Una stilla che, nel suo ultimo momento di luce, parve risplendere con l’intensità di mille soli.
Era il suo spirito, che gridava, fiero e coraggioso e che, anche nell’inevitabilità della morte, riusciva a trovare la forza per abbandonare il mondo con dignità e sprezzante temerarietà.
 
Un piccolo, leggero sorriso si fece strada sul suo volto sporco, bagnato dalle lacrime e dal sangue. C’era qualcosa, in quel ghigno, che mostrava sfacciato un senso dell’ironia incredibile.
 
Ora quel dannato damerino da strapazzo ne dirà di tutti i colori.. me lo…  sen…
 
E i suoi occhi si chiusero.
 
Un silenzio tombale avvolse la grotta. Leda era ormai diventata parte dell’oscurità.
Il suo breve respiro, appena udibile, era come il ticchettio di un orologio. Presto la sua ora sarebbe scoccata, con lo scadere del tempo. A breve il suo cuore si sarebbe fermato per sempre.
Bagnata, ferita, non le restava che aspettare che qualche angelica entità la prendesse gentilmente per mano e con delicatezza scostasse il suo spirito dal corpo, per condurlo verso un luogo di pace. La prima, vera pace, dopo tanto tempo. Gli dispiacque solo che Alan avrebbe dovuto convivere con il dolore della sua scomparsa per il resto della sua vita.
Ma ormai, di tempo per pensarci ce n’era rimasto poco…
Quel che era stato era stato.
Stop.
Fine dei giochi.
 
Ed ecco che dal nulla emerse un rumore.
Uno scroscio d’acqua, uno scalpiccio. Un passo.
Solo dopo qualche secondo se ne udì un altro. Come se la seconda persona in quel canale volesse avvicinarsi con cautela, per accertarsi di qualcosa.
Ma certo, per accertarsi che Leda fosse morta.
L’intensità con la quale i suoi piedi si mossero sull’acqua divenne sempre maggiore, fino a che non andarono a passo si marcia, fieri e soddisfatti di aver abbattuto la propria preda.
Un paio di gambe si affiancarono così alla figura della ragazza svenuta. Essendo al buio non si vedevano, ma la loro inquietante presenza era percepibile, come quella vaga di uno spirito che influisce sui viventi, raggelandoli nelle vene.
Persino la temperatura di quell’ambiente sembrava fosse calata vertiginosamente. Forse era proprio uno spettro quello che si era affiancato a Leda. Uno spettro che ora le avrebbe dato il colpo di grazia.
Un clangore metallico e la bocca di una pistola si poggiò sulla sua fronte pallida, madida di sudore.
Poi, una voce, celata dal buio. Quella dell’assalitore.
 
- Dormi pure…
 
Aveva un che si estasiato, di compiaciuto. Sembrava che quelle parole le avesse covate a lungo, come se avesse mediato a lungo su cosa dire e come dirlo. E il tono che usò fu.. raggelante. Una promessa di morte. Un inquietante invito a esalare l’ultimo respiro.
Il suo dito cominciò a fare presa sul grilletto.
Un sol colpo e…
 
… sarebbe morta.
Incredibile… cosa potesse fare un solo essere come lui, con in mano una pistola.
Era quindi quella la sensazione che provava Dio, quanto impunemente si appropriava delle vite degli innocenti?
 
La cosa lo eccitava come non mai…
 
Con quel potere, persino lui si sarebbe potuto definire un Dio. Un dio che concede la misericordia, ma che è il primo a calare la scure. Vendicatore, malvagio.
Il Demonio.
Be’, anche quello era un Dio, a modo suo!
 
- Buonanotte. . . Es… !
 
Dal fondo del condotto  accadde però qualcosa. Ci fu un lampo di luce, fugace, fulmineo, che in meno di un secondo si tramutò in una lunga scia rosso fuoco la quale, scostando l’aria al suo passaggio con incredibile velocità, si diresse verso l’assalitore.
Questo non ebbe il tempo di evitarla, né di chiedersi cosa fosse.
Venne travolto in pieno.
Il suo corpo venne lacerato da quel raggio che, con l’intensità di una potente fiammata, gli bruciò lentamente i vestiti e la pelle. Cominciò a gridare istericamente di dolore, mentre veniva trascinato violentemente indietro di metri e metri, fino a ridursi a un sottile puntino in un frangente non precisato dell’oscurità.
E quell’urlo echeggiò sinistro e rabbioso per tutto il canale, affievolendosi pian piano, come se il buio si fosse impossessato anche dei suoni.
 
In quello stesso istante un altro rumore di passi si fece udire dalla parte opposta. Lo stesso scalpiccio sull’acqua, solo con il doppio della foga. Il rumore era troppo grande per capire se fossero una o più persone. Quel che, a giudicare dall’assordante sciabordio era deducibile, era solo che chiunque avesse sparato quel raggio stava correndo verso Leda.
E proprio davanti a lei si fermò. Quel breve lampo di luce gli aveva dato la possibilità di intravederla, stesa nell’acqua putrida, ad aspettare placida e silenziosa la morte.
Due braccia forti sollevarono il suo corpo pallido e debole, staccandola dall’acqua che lottò fino all’ultimo per non lasciarla. Quasi vi fosse un’energia, in quel liquido oleoso e puzzolente, che volesse trascinarla verso l’abisso; e le mani del salvatore fossero un’essenza divina che le concedeva la salvezza.
 
Leda non vide nulla, indifferente a qualsiasi cosa succedesse attorno a lei. Il suo volto pallido segnato dalla fatica era un messaggio più che chiaro. Chiunque fosse stato a trarla in salvo, ora doveva sbrigarsi.
Ma sembrò che l’avesse capito, perché con un’altra corsa sfrenata sull’acqua tornò indietro, verso una fonte di luce poco distante.
E nel mentre ne veniva illuminato, scoprendo man mano la sua figura; e un mare di capelli rossi…
 

 
Leda rimase priva di sensi per il resto di quel giorno, e per i successivi due.
Gli orribili eventi subiti parvero ripercuotersi persino in sogno, per un’orribile volontà della sua mente agitata.
Le immagini erano sempre le stesse; le sensazioni pure.
C’era sempre lei, davanti a una fontana zampillante acqua fresca. Lei si avvicinava, perché?
Be’, sarebbe un po’ come chiedersi perché ci si guardi davanti allo specchio ogni volta che vi passiamo accanto, anche se solo per brevi attimi: non c’è una necessità particolare che ci spinga a farlo, semplicemente è il nostro istinto. Ciò che, dalla parte più profonda di noi, ci porta a compiere azioni che riteniamo inspiegabili, ma che in ogni singolo istante trovano la loro conferma. Invisibili e fondamentali.
Spesso però nei sogni la loro importanza è fatale. Può condurci tra le fauci di un mostro, o farci cadere da un burrone.
In quei casi non è la volontà che ci guida, bensì quello che noi chiamiamo subconscio. Ma se pure il subconscio è una parte di noi, allora qualsiasi azione noi compiamo deriva da una, comunque sempre presente, volontà. A volte è più radicata in noi, impossibile da individuare, altre ci appare chiara in ogni sua intenzione solo dopo, quando ce ne domandiamo il perché.
E forse ci si lascia guidare verso il pericolo perché la nostra volontà, nel modo più radicale e disperato possibile, vuole mandarci un messaggio, vuole comunicare con noi in qualche modo perché normalmente non le daremmo ascolto.
Per questo il susseguirsi della stessa scena per la seconda volta costrinse Leda a pensare più profondamente a quanto sognato. C’era forse qualcosa, in quel gesto, in quella decisione presa da lei a sua insaputa, che recava un qualche arcano?
Poteva significare molte cose. Troppe, forse. Ma l’averla rivissuta sottolineava ulteriormente la sua importanza.
E dopo essersi specchiata, aveva visto nuovamente lo stesso angioletto di pietra fissarla in modo ambiguo; e poi, trasformarsi in un orribile mostro e aggredirla.
Che messaggio poteva mai esserci in quella scena?
 
Pericolo.
Mistero.
L’incertezza che porta a non prender nulla per scontato.
La prima volta che aveva avuto quell’incubo era stato nel condotto fognario della sede Nord America. Era appena fuggita dalla sua nuova casa, aveva perso le persone più care a lei e… aveva incontrato Tyki.
E ancora adesso, nella sua mente lui rimaneva l’arcano più grande da sciogliere. Chi fosse veramente, quali fossero le sue reali intenzioni.. ogni cosa era ombra davanti a lei. Ed era frustrante non riuscire a vedere nessuna luce in mezzo.
Si era ripromessa di chiedergli informazioni, ma aveva l’impressione che lui non le avrebbe cedute tanto facilmente. Leda era però una ragazza forte, non si sarebbe lasciata certo abbattere da un rifiuto.
Era ancora tutto da vedere.
E forse, anche Tyki centrava qualcosa con ciò che stava cercando lei…
 
 
 
Verso il tramonto del terzo giorno, finalmente cominciò a riaprire gli occhi.
La prima cosa che la investì violenta fu… la luce.
Una fastidiosa luce prodotta da una lampadina che dondolava sul soffitto facendo ballare le ombre nella stanza, tenuta a mezz’aria da una sottile corda di cavi.
Sbatté le palpebre confusa, abituandosi a poco a poco a quel nuovo ambiente che, di certo, non era il paradiso. Perché il paradiso non sarebbe mai odorato di pesce. Né di mare.
Comunque, per lei era già un bel passo avanti. Almeno non si trovava più in quel condotto puzzolente…
 
Un momento!
 
Se non si trovava più nelle fogne, allora dove diamine era finita?
 
Gli occhi si spalancarono di colpo, mossi dalla sorpresa, e la ragazza si tirò su a sedere con incredibile velocità. E a quel punto la sua testa cozzò violentemente contro la base del letto sopra al suo. La botta fu tale che ricadde con altrettanta rapidità sul cuscino, massaggiandosi dolorante la fronte lievemente arrossata.
 
- Ahi ahi ahi… - mugugnò appena, strofinando come mai prima d’ora la parte lesa, sperando che il dolore passasse in fretta.
Ne aveva abbastanza di patire ogni volta. Sembrava fosse lei il bersaglio prediletto della sfortuna.
 
- Strana come sempre.. – pronunciò una voce che sentì molto vicina a lei.
Riaprì nuovamente gli occhi, che nel tentare di placare il dolore aveva chiuso fino quasi a strizzarli, e si guardò attorno con quel cipiglio impigrito nello sguardo.
La stanza nella quale si trovava era piccola, modesta. Lei non l’avrebbe certo definita tale, in circostanze normali, ma la guerra aveva portato via come un vento impetuoso gran parte delle ricchezze a molte persone. E esse erano state così costrette a vivere in povertà.
Nonostante tutto, quello pareva quasi essere una sottospecie di sgabuzzino, solo, appena più luminoso.
Le metalliche pareti grigio topo erano monotone, e prive di motivi o quadri che le abbellissero si ripetevano per tutti e quattro i lati della stanza. Finestrelle di forma circolare si trovavano su due dei muri: una sulla porta, e l’altra dalla parte opposta. Oltre questa non si vedevano altro che nuvole biancastre, portatrici di pioggia, opportunamente tinte di miele qui e là. Doveva essere per forza il tramonto a dare quella particolare colorazione ai cirri.
E per il resto, la stanza appariva normale in tutto e per tutto: vi erano presenti un piccolo scrittoio di legno scuro, forse noce, con un comodino accanto della medesima fattura. Leda era stesa su di un letto a castello semplice, scarno, fatto di uno scheletro di metallo vecchio e un cuscino e una coperta bianche.
Subito dopo il letto, vide una seggiola, e su di essa…
 
- Tyki – concluse a voce alta il suo veloce sopralluogo mentale.
 
Era seduto vicino a lei, lo sguardo penetrante che, nonostante la stesse fissando, sembrava come perso nel vuoto. Fu allora che la ragazza ebbe la possibilità di vederlo meglio. Con tutta la confusione della fuga, e la mancanza di luce nel condotto, non aveva mai visto il suo viso alla luce…
E pensò che il suo aspetto era infinitamente più misterioso dei suoi atteggiamenti. Pelle bronzea, occhi scuri, simili a pozze profonde di tenebra, nelle quali chiunque, anche il più temerario, si sarebbe perso. I capelli gli ricadevano scomposti sulla spalla, raccolti in una frettolosa coda cadente. E non indossava più alcun mantello, ma una camicia con il colletto ampio che lasciava intravedere il collo e il petto. Sembrava un uomo trasandato, eppure, in un certo senso, attento alla cura dei dettagli. Ma forse, non troppo infondo.
 
Ma Leda non si fece certo ammaliare da quei particolari, anzi, prese molto male l’aggettivo con il quale l’aveva definita, tant’è che, nonostante non sapesse dove si trovasse e fosse ferita, gli rispose a tono. Nulla poteva fermare una Leda arrabbiata.
 
- Taci, damerino da strapazzo! Proprio tu mi giudichi?
 
Quando c’era da adirarsi, non si faceva nessuno scrupolo. Era lei dopotutto che doveva parlare, farsi sentire, e restare in silenzio non le sarebbe servito a nulla.
Tuttavia non era quello il momento migliore per scatenarsi.
Anche se bastava la sola faccia di Tyki a mandarla in paranoia, le domane furono più veloci della rabbia e la sommersero come un mare d’acqua che le entrò nei polmoni, impedendole di respirare per qualche misero attimo.
Il cuore iniziò a battere più forte, temette che potesse persino schizzar via dal petto da un momento all’altro.
E il suo primo pensiero fu..
 
- Alan?
 
Si era calmata improvvisamente, ogni altro pensiero era stato cancellato.
Come sotto ipnosi, ora l’unica cosa che le interessava era suo fratello.
Il tono era grave, serio, preoccupato.
Aveva paura che gli fosse accaduto qualcosa. La sola eventualità di ciò bastò per metterla in agitazione.
 
Fortunatamente, Tyki stroncò sul nascere ogni tormento, con voce calma e ponderata; e per certi versi, anche priva di interesse alcuno.
 
- E’ a posto. E’ sul ponte che si rilassa.
 
Un sospiro di sollievo; poi silenzio.
Leda era infinitamente contenta di sapere che Alan stesse bene. E al contempo fu grata a Tyki per essersi preso cura di lui.
Ma… qualcosa in ciò che disse la insospettì.
 
- Ponte? – domandò, interdetta.
 
In effetti, le pareva strano. Sin da quando aveva aperto gli occhi, le era sembrato di provare uno strano senso di confusione. Come se stesse vivendo ancora uno dei suoi sogni, a metà tra realtà e fantasia. E il modo con cui le immagini durante il sonno si muovevano, in modo così caotico, le fece tornare in mente le onde del mare.
E le finestre. La loro curiosa forma non era certo consona a una stanza di una casa;  o di una locanda; o di un qualsiasi altro edificio sulla terra che avesse mai visto.
Ma anche solo pensare a dove potesse realmente trovarsi, il cuore le si fermò di botto.
 
No.
Impossibile..
Se le sue supposizioni erano esatte, loro…
 
- Sì, ponte. Ci troviamo su una nave.
 
Fu un attimo.
Leda scattò, issandosi sul letto, scoprendosi alla velocità della luce e fiondandosi sulla porta, aprendola e fuggendo fuori.
 
Tyki rimase bloccato, sorpreso, scioccato. Persino spaventato, in un certo senso, dalla reazione della ragazza.
La sua testa si voltò in modo lento e meccanico verso la porta spalancata, con qualche capello fuori posto per lo sconcerto. Tornò a fissare il letto; poi ancora la porta.
Realizzò così che Leda era davvero corsa fuori dalla cabina, nel modo con cui l’aveva vista. Non era un sogno. Era accaduto veramente.
E si chiese se quella ragazzina fosse anche solo un po’ normale.
Con cautela si alzò, temendo che potesse accadere qualcosa di simile da un momento all’altro, ma il silenzio tombale che improvvisamente era calato nella stanza lo convinse completamente.
Con calma uscì dalla stanza, guardandosi attorno nel caso in cui avesse scorto la pazza girovagare per i corridoi. Per fortuna – o purtroppo? – non c’era, così si decise a percorrere la via di sinistra, per dirigersi verso il ponte e sperare di trovarla.
Quella barchetta era piccola, in confronto a molte altre, quindi non fu un particolare problema trovare la strada giusta.
Sbucò così sul ponte di poppa, e squadrando la zona riuscì a trovare Leda.
Era appoggiata alla ringhiera sul bordo, sporta sul mare. Per fortuna che le fasciature le coprivano il seno, altrimenti avrebbe girato mezza nuda.
Tyki sospirò, portandosi accanto a lei.
Fu allora che la vide più pallida del solito e… quello agli angoli della bocca era vomito?
Non riuscì a non ridere si sottecchi, mentre da una tasca dei pantaloni tirava fuori una sigaretta, che si accese subito dopo.
Così, tra una boccata e l’altra, sogghignò maligno in direzione della ragazza.
 
- Ma dai, soffri il mal di mare… - la canzonò, con voce volutamente sorpresa. Ma era solo un modo in più per prenderla in giro.
 
Leda ansimò rabbiosa, voltandosi verso di lui con uno sguardo che avrebbe fatto cadere i capelli anche all’uomo più cazzuto.
 
- Chiudi il becco – gli sibilò, telegrafica e chiara. E questo bastò per far tacere l’uomo, che sperò di non ricevere qualche altro pugno in faccia. Aveva già parlato troppo.
 
Leda soffriva il mal di mare sin da quando era piccola, e ancora doveva trovare il modo per resistere al fastidioso moto delle onde, che a solo immaginarsele le veniva la nausea.
Un altro conato la costrinse a chinarsi nuovamente sulla ringhiera, e Tyki distolse lo sguardo, puntandolo sul mare calmo e blu luccicante di tramonto davanti a lui.
La sua sigaretta passò da una mano all’altra, e sul palmo di questa vi appoggiò il mento, stanco.
 
- Comunque – disse, dopo un interminabile attimo di silenzio, durante il quale Leda rimesse anima e chissà cos’altro – Sei stata fortunata, tu.
 
- Che? – biascicò la ragazza, col viso che rapidamente passava dal bianco cadaverico al verdognolo marcio.
 
- Quel marmocchio ha insistito perché tornassimo indietro. Aveva paura per te – rivelò Tyki, come se adesso si aspettasse un qualche tipo di ringraziamento da parte sua. In effetti, era stato lui a decidere di tornare indietro, ascoltando le parole del bambino. Per quel che gli riguardava, sarebbe anche potuto andare avanti senza problemi. Ma la determinazione di Alan era riuscita a convincerlo. E meno male. Senza Leda, lui…
 
- Mh – fu tutto ciò che seppe rispondere Leda. La sua mente stava già viaggiando altrove, immaginando Alan nel disperato tentativo di aiutarla. E lei che, nel frattempo, aspettava bella e buona la morte.
A ripensarci, si sentì parecchio stupida per non aver provato a reagire. La sua era stata una fuga, una dannatissima fuga da ogni sentimento che avesse potuto colpirla. Aveva liquidato i propri sentimenti, per evitare di pensarci. Per evitare di essere triste a sua volta…
Ma doveva prenderla come una lezione da imparare quella. Il fatto che fosse viva, nonostante non sapesse ancora come e perché, era una giustificazione assai valida affinché lei maturasse quella parte di sé che le impediva di darsi un qualsiasi tipo di valenza.
A metterci le apparenze e gli atteggiamenti da dura non ci voleva nulla, ma nel più estremo dei casi quel lato del suo carattere veniva annientato completamente. E l’unica cosa che poteva fare era.. niente.
Assolutamente nulla. Diventare come aria, invisibile, chiudere gli occhi, aspettare che il peggio passi.
Ma non sarebbe passato.
Il male avrebbe continuato ad aleggiarle attorno fino a quando lei non si fosse decisa a reagire sul serio.
Ecco su cosa doveva lavorare. Smettere di fregarsene letteralmente di ogni cosa, di sminuire la sua esistenza perché dedicata a quella di Alan.
Reagire, lottare.
Come avrebbe fatto la Leda non contaminata dal dolore e dalla tragedia…
 
- Su questa nave mercantile c’erano delle persone come te, e prima che salpassero abbiamo chiesto loro una mano – tornò a spiegare Tyki, disinteressato, soffiando via una nuvola di fumo biancastro dalle labbra.
 
Leda si risollevò dai suoi pensieri, voltandosi verso di lui con sguardo perplesso.
 
- Come me in che senso? – domandò, con voce nasale, sicuramente a causa del continuo ribollire nel suo stomaco, che la portò così ancora a chinarsi per vomitare.
 
Tyki si vide parecchio scocciato, mentre la guardava a metà tra il disgustato e il compassionevole. Una ragazza del genere, messa K.O da un banale problema di stomaco come quello!
Ma la sua attenzione venne fortunatamente sviata verso un rumore di passi, che rapidamente si fece sempre più cadenzato e forte.
Si voltò, abbassando immediatamente lo sguardo e rabbuiandosi.
 
- In quel senso – pronunciò con voce quasi tombale verso la ragazza, la quale si pulì la bocca in malo modo con un braccio e si guardò attorno.
 
Vide arrivare verso di loro due persone, la cui differenza di altezza fu la prima cosa che notò con curiosità. Difatti, uno era parecchio alto, decisamente giovane, mentre l’altro basso e minuto.
Eppure sembravano quasi… armonizzarsi tra loro.
I tratti di loro più distintivi erano molteplici, e Leda non stette a catalogarli uno per uno. Non poteva, impegnata com’era ad impedire che il suo stomaco le facesse rigettare lo spirito.
Il più alto era certamente il più bizzarro: pelle chiara, occhi, o meglio, occhio verde smeraldo e un mare di capelli rossi sparati in aria da una fascia per capelli. L’occhio destro era perennemente nascosto da una benda. Eppure il ragazzo camminava spavaldo, allegro ed espansivo.
Il più basso, invece, aveva tutta l’aria di essere molto vecchio. Grosse occhiaie – o forse trucco? – gli circondavano gli occhi, dandogli una gran dose di mistero in più. La testa era completamente pelata e lucida, eccezion fatta per un ciuffo di capelli bianchi che, dal centro, si sollevava sfidando qualsiasi forza di gravità. Il suo sguardo era severo e placido al tempo stesso.
Strani, senza dubbio. Leda pensò che con tutta probabilità dovevano essere stranieri – ma molto – perché facce come le loro non le aveva mai viste. Non fu difficile immaginare perché si trovassero su di un mercantile, benché non sapesse ancora dove fosse diretto. Ma non riuscì minimamente a indovinare il tipo di correlazione che ci fosse tra lei e loro. Che cosa potevano mai avere in comune?
 
- Vi siete ripresa, signorina? – chiese il tappetto anziano. La sua voce profonda e saggia si sposava perfettamente con l’aspetto misterioso. Era stato incredibilmente gentile, cosa che stupì molto la ragazza. Non le capitava spesso che le persone le si rivolgessero a quel modo.
Lentamente annuì, rapida dall’ipnotico movimento dei capelli del vecchio, che ondeggiavano col vento. Questo probabilmente lo notò, e si fece scuro in volto all’istante.
 
Fu allora che intervenne il rosso spilungone. Decisamente era meno serioso del compagno, perché prese la mano di Leda e la guardò come se fosse stata la cosa più bella del mondo. Escludendo l’odore di vomito e sporco, l’aria da zombie e il brutto carattere, ovviamente.
 
- Strike! – esclamò, tutto d’un tratto, e Leda divenne talmente rossa in viso che… le venne un altro conato.
E il ragazzo ci rimase parecchio male, vedendo la donna per la quale aveva una cotta da almeno cinque secondi vomitare non addosso a lui, ma oltre la ringhiera. Aveva almeno avuto la premura di non farlo sui suoi vestiti.
Lentamente le lasciò la mano, con l’aria di chi sa di aver sbagliato qualcosa, ma ricevette immediatamente un calcio sulla testa dal vecchio.
Cadde poi a terra e lì rimase, agonizzante, mentre il compagno di faceva avanti con evidente imbarazzo.
 
- Vi chiedo scusa per il mio discepolo, signorina. Purtroppo è ancora immaturo e sconsiderato.
 
Leda riuscì a reggersi in piedi senza barcollare. Sentiva che la nausea stava passando, ma sapeva anche che la cosa non sarebbe durata a lungo. Era la calma prima di una nuova, devastante tempesta.
 
- Si figuri – pronunciò con voce sforzata, in realtà non avrebbe voluto nemmeno aprire bocca, per ovvi motivi. Ma quei due sembrano in vena di conversazioni. Purtroppo.
Tanto valeva informarsi almeno sui loro nomi, così poi li avrebbe ringraziati e, se tutto fosse andato bene, avrebbe passato il viaggio a vomitare senza troppe scocciature. Quando stava male, Leda odiava qualsiasi tipo di contatto umano. Le faceva trovare la sua condizione ancora più repellente.
 
- Siete mercanti? – domandò, cercando con lo sguardo una cassa, una panca, o qualsiasi altro appoggio sul quale sedersi. Si era appena resa conto di non riuscire più a reggersi sulle sue gambe.
Il vecchio le sorrise, ma solo per un breve attimo. Poi tornò serio.
 
- Non siamo mercanti – spiegò, come se il solo pensare di essere scambiati per tali gli provocasse un certo fastidio – Siamo semplici viaggiatori.
 
- Io mi chiamo Lavi! – intervenne il rosso, rialzatosi da terra, mostrando tutti e trentadue i propri denti in un allegro sorriso.
Leda si sentì messa in soggezione, non aveva famigliarità con quel tipo di atteggiamento, tanto che non seppe come comportarsi.
Tutte quelle attenzioni, all’improvviso… erano così… strane, che..
 
- Signorina! Che vi prende?!
 
Ma ormai era tardi. Leda era di nuovo caduta in un sonno profondo.




♣ Angolo di Momoko 

Ed ecco che Lady War resuscita così dalla polvere! *°*
Scusate tanto per avervi fatto attendere più di un mese, ma davvero non ce la facevo più, tra una verifica e l'altra, non ho veramente avuto il tempo di scrivere! E la cosa mi ha abbattuta come non mai!
Ma ora sono tornata *ride maligna* e non me ne andrò più! (o almeno, fino a che non comincierà di nuovo la scuola çAç)
Sfrutterò l'estate per aggiornare con più velocità, e metterò anche più cura nei capitoli. Spero di non deludervi :3
Finalmente in questo capitolo Leda e combriccola sono riusciti a fuggire da quella fogna, e sono finiti in un luogo totalmente diverso. Sono comparsi Lavi e Bookman, ma qui la loro apparizione non viene messa troppo in risalto. Lo sarà nel prossimo, dove vedrete spiegate pian piano un paio di cosette^^
Nella speranza che anche questa schifezzuola vi sia piaciuta, mi dileguo *^*

A prestoooo,

Momoko <3
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > D.Gray Man / Vai alla pagina dell'autore: Momoko The Butterfly