¤Capitolo
10¤
Per loro fortuna, Brandon non entrò
mai in coma e, dopo la lavanda gastrica cui fu sottoposto, venne condotto in
una stanza singola nel reparto di degenza postoperatoria.
Lì, Nickolas entrò per sincerarsi
delle condizioni del fratello, mentre Hannah e Phillip si sistemarono sulle
poltroncine nella sala d'attesa.
Rimasti soli, senza più il cuscinetto
creato inconsapevolmente dal fratello maggiore di Bran, i due giovani rimasero
in silenzio per più di mezz'ora, l’imbarazzo e la rabbia a farla da padroni.
Fu come una fucilata nel bel mezzo di
una notte silenziosa che la donna, infuriata e rammaricata, si scagliò contro l’amico
con la furia che le sprizzava dagli occhi.
“Sarebbe successo il finimondo se
avessi preso il tuo cellulare per avvertirmi?!” gli sibilò contro, cercando di
non alzare la voce. Dopotutto, erano in un ospedale.
“Avevo paura, Hannah, …non è che fossi
molto lucido” borbottò Phillip, tamburellando nervosamente le dita di una mano
sulla coscia abbracciata da jeans scuri.
“Per chiamare Nickolas, però, eri
abbastanza in te!” gli rinfacciò lei, snudando i denti e soffiando tra essi
come un gatto.
“E' suo fratello!” sbottò allora lui,
fissandola torvo in quelle profondità ghiacciate che tanto bene conosceva e
che, in quel momento, lo stavano fulminando senza scampo.
“Ed io la tua migliore amica!” ringhiò
Hannah, gli occhi ora colmi di lacrime rabbiose che, però, non avrebbe mai
versato. “Giurasti che, se avessi mai avuto bisogno di aiuto, mi avresti
chiamata... invece mi hai esclusa come sempre!”
“Non ti ho esclusa! Te l'avrei detto, honey,
ma...” esalò a quel punto l’uomo, contrito, afferrandola per le spalle per dare
maggiore enfasi alle sue parole.
“Non osare chiamarmi così, dopo che mi
hai trattata come se non fossi nulla, per te!” sbuffò la donna, divincolandosi
dalla sua stretta.
Phillip però mantenne la presa e,
reclinando appena il capo per non mostrare a Hannah le sue lacrime,
mormorò roco: “Sei come una sorella, per me, honey, non pensare mai il
contrario. Solo...”
“Solo, cosa?!”
“Non
volevo apparirti debole.”
Quell'ammissione la sconcertò,
congelando qualsiasi sua ribellione, qualsiasi sua eventuale risposta venefica.
Lasciando la presa su di lei, l’amico
si passò le mani sul volto dai lineamente tesi dall’ansia e aggiunse: “Come
avrei potuto offrirti il mio aiuto, in seguito, se tu mi avessi visto in preda
al panico totale, con le lacrime agli occhi e tremante come un pulcino appena
nato?”
Scuotendo il capo, Hannah gli posò
gentilmente una mano sulla coscia e, più calma, asserì: “Pensi che non avrei
capito? E' l'uomo che ami! Mi sarei stupita del contrario, Phill! Inoltre, non
devi mostrarti sempre saldo come una roccia. So che sei fatto di carne e sangue
come tutti, cosa credi?”
“Sono il tuo fratellone...” abbozzò un
sorriso lui, dandole un buffetto sulla guancia con fare esitante.
La donna allora gli sorrise
leggermente, la rabbia che lentamente andava scemando e, avvicinatasi per
dargli un bacio sulla guancia, sussurrò: “C'eri tu, dopo il tentato stupro,
c'eri tu, quando avevo gli incubi... c'eri tu, quando avevo paura. Tu mi
hai vista turbata, in lacrime, tremante e distrutta. Posso farlo anch'io per
te, Phill. Ricordalo.”
“Non ti deluderò più, honey, te
lo prometto” assentì lui, stringendola a sé per un attimo prima di darle un
leggero bacio sulle labbra. “Vado a vedere come sta Bran.”
“Salutalo da parte mia, se è sveglio” annuì
lei, rimanendo così sola nella sala d'aspetto.
Non amava litigare con Phillip, ma
quel silenzio l'aveva ferita.
L'essersi chiarita con lui, però, le
aveva fatto bene. Non voleva ci fossero incomprensioni tra loro.
“Hannah” mormorò alle sue spalle
Nickolas, facendola sobbalzare per la sorpresa.
“Nickolas! Da dove sei passato? Non ti
ho visto arrivare” esalò lei nel volgere lo sguardo alle sue spalle, una mano
premuta sul cuore, che stava tamburellando frenetico.
Il giovane era in piedi dietro di lei,
l'aria stanca e un principio di barba chiara sul viso abbronzato. Gli occhi,
però, più di qualsiasi altra cosa, dichiaravano quanto fosse stato vicino a
crollare.
Null’altro pareva smentire l’apparente
calma dell’uomo. Le mani erano stese lungo i fianchi, le spalle erano diritte,
nonostante tutto … ma gli occhi! Dio, parevano aver visto l’Inferno!
E forse era davvero così.
Vedere il fratello in quello stato
doveva averlo toccato nel profondo, pur se non pareva avere intenzione di crollare
dinanzi a lei.
Accomodandosi stancamente accanto alla
sua segretaria, un bicchiere di caffè in una mano mentre l’altra, a momenti
alterni, si stringeva a pugno per poi rilassarsi, Nickolas mormorò roco: “Ho
fatto il giro attraverso il reparto. E' ad anello. Stavo cercando il
distributore automatico.”
Sembrava desiderare ben altro, oltre
al caffè che trangugiò con mano leggermente tremante, e Hannah non poté che
comprenderlo appieno. Eventi simili avrebbero sbriciolato i nervi anche a
Maciste.
Quel che però sorprese Hannah, e la
confuse, fu notare il suo comportamento sfuggente, quasi contrito. Cos’altro
era successo? Brandon aveva forse saputo della sua presenza, e aveva litigato
con Nickolas?
Hannah si impensierì immediatamente,
non volendo di certo causare guai al suo titolare, e gli domandò premurosa:
“Brandon non sta bene? E' peggiorato? O ti ha detto qualcosa per via della mia
presenza qui?”
“Eh? No, no. Sta dormendo, ora.” Nick
scosse il capo, la fissò con aria ancor più angosciata e tornò a reclinare
colpevole il viso.
“E allora cosa succede?” gli domandò
lei, sinceramente confusa.
“Mi faccio schifo, ecco cosa.”
Hannah sbatté furiosamente le
palpebre, prima di sbottare. “Ma che cavolo dici?”
Affrontandola finalmente con lo
sguardo, sempre più contrito e pensoso, l’uomo esalò: “Sono stato un idiota,
con te. Ho agito in maniera meschina, e davvero tu non ne avevi alcun bisogno!”
Accigliandosi immediatamente, Hannah
gli domandò senza tanti giri di parole: “Ci hai sentiti?”
Lui si limitò ad annuire, affranto, e
mormorò: “Ti ho praticamente infastidito dal primo giorno in cui hai messo
piede in ditta, mentre avrei dovuto tenere un comportamento meno impertinente
con te. Dopo l'incidente con Perkins, avrei dovuto capire che qualcosa non
andava, invece mi sono limitato a prendere per buono il tuo sorriso, senza
minimamente badare a come stessi veramente. E tu, invece, non mi hai mai
detto nulla, ti sei limitata a sopportarmi, non ti sei mai lagnata, e ora salvi
mio fratello e la nostra azienda da uno scandalo orrendo solo perché te l'ho
chiesto. Non me lo merito, ecco.”
Sbuffando sonoramente, e cogliendo
pienamente di sorpresa il suo datore di lavoro, Hannah si limitò a dire:
“Nickolas, non è che potessi scrivere sul curriculum 'salve, sono Hannah Elinor
Fielding, e il mio ex collega di lavoro ha cercato di stuprarmi'. Capisci bene
che non ha senso, vero?”
“Sul... lavoro?” biascicò inorridito
Nickolas, sgranando gli occhi fin quasi a farsi male. “Dio... peggio ancora!”
“Ma perché voi maschi passate dalla
spavalderia all'autocommiserazione senza passaggi intermedi? Prima Phill, e ora
tu!” si inalberò allora la donna, fissandolo truce. “Per voi è solo bianco o
nero?”
Scostandosi per inginocchiarsi dinanzi
a lui quando lo vide scuotere rabbiosamente il capo, Hannah si arrischiò a
poggiare le mani sulle ginocchia di Nickolas che, basito, la osservò come un
cucciolo smarrito.
Più gentilmente, lei asserì: “Non
posso lasciare che un episodio simile mi condizioni la vita. Sono stata sciocca
a credere che Horace potesse essermi amico. Mi sono sbagliata, su di lui, e lui
ha preso la mia spontaneità per un invito ad alzare le mani. Cosa più sbagliata
non poteva immaginare, ovviamente.”
“Io, però, avrei dovuto...” iniziò a
replicare lui.
Hannah lo azzittì poggiando un dito sulle
sue labbra e, scuotendo il capo, aggiunse: “Ho capito quasi subito che non eri
come lui. Ti piace scherzare, a volte ci sei andato giù un po' pesante, ma
penso di aver compreso perché lo facevi. In fondo, ti trovavi gioco forza in
quella situazione, e hai reagito prendendotela con l’unica persona contro cui
potessi rivoltarti.”
“Avrei dovuto discuterne con mia
madre, non prendermela con te per una cosa che ha orchestrato lei!” sbottò
contrariato l’uomo, dandosi mentalmente dell’idiota.
“Vero, ma spesso e volentieri non ci
si riesce. Credimi, ho fatto lo stesso errore con mia madre per anni,
scaricandole addosso un sacco di colpe che, in fondo, non erano solo sue” gli
confidò lei, un sorrisino derisorio stampato sul bel viso.
Nickolas allora abbozzò un sorriso in
risposta e la donna, annuendo compiaciuta, terminò di dire: “Sapevo che non mi
avresti mai toccata con un dito, nonostante mi punzecchiassi in continuazione.
Pensi che non sappia riconoscere la differenza? Hai occhi buoni, Nickolas, perciò
non tormentarti inutilmente.”
“Lo spero! Io non toccherei mai una
donna contro la sua volontà” precisò l’uomo con una certa veemenza.
Hannah si trovò a ridacchiare e,
ammiccando, celiò: “Certo, non ne hai bisogno! Ti saltano tutte addosso.”
“Quasi
tutte” ci tenne a dire Nickolas, allungandole una mano per aiutarla a
rialzarsi.
Lei la accettò e, suo malgrado, l'uomo
si ritrovò innanzi allo spettacolo offerto da quelle lunghissime gambe glabre e
chiare.
Quando lei si rimise a sedere al suo
fianco, Nickolas non poté fare a meno di chiederle con ironia: “Ma quanto è
lungo il tuo femore?”
Ridacchiando nell'osservare le sue
gambe nude e messe in evidenza dai calzoncini cortissimi, asserì: “Abbastanza.
Deve reggere un metro e ottantatré di segretaria.”
Il magnate ridacchiò nell'annuire e,
ammiccando, dichiarò: “Il più disponibile metro e ottantatré che io conosca. In
senso buono, ovvio.”
“Grazie” ghignò lei, scrollando le
spalle.
Più seriamente, Nickolas mormorò: “Non
eri obbligata ad aiutarmi, esulava completamente dai tuoi compiti, invece ti
sei catapultata qui per essermi di conforto, quando avresti potuto
semplicemente dirmi che non era affar tuo tirare fuori dai guai mio fratello.
Te ne sono grato.”
Hannah si lappò le labbra pensosa,
valutando attentamente cosa dire e come dirlo e Nick, silenzioso al suo fianco,
attese pazientemente che lei rispondesse alla sua affermazione.
Quando infine lei parlò, lo fece con
voce profonda, sentita. “Sarà anche un difetto, forse, ma quando lavoro per
qualcuno, lo faccio con la testa e con il cuore. Certo, questo può farti
correre il rischio di ricoprirti di profonde cicatrici, ma può anche darti
enormi soddisfazioni a livello umano. Penso che un lavoro non debba limitarsi
alla mera enumerazione di un elenco infinito di doveri. Per questo, quando mi
hai chiamata, sono venuta. Mi ha fatto piacere sapere che ti fidavi abbastanza
di me da chiedere il mio aiuto per una questione così delicata.”
L’uomo scrollò una spalla, ammettendo
senza remore: “Non fatico a pensare a te come a una persona che ne sa una più
del diavolo. E non mi sono sbagliato, in effetti.”
Hannah ridacchiò a quel commento. Sì,
in effetti, aveva toccato tante persone, nel corso degli anni, e tutte le erano
rimaste accanto per affetto sincero, non per mero interesse.
Poteva ben immaginare che Nickolas,
nella sua posizione, potesse contare su ben pochi amici fidati e questo, suo
malgrado, la intristì.
Doveva essere una vita di solitudine,
la sua, nonostante tutte le donne che poteva avere e gli uomini con cui poteva
parlare e discorrere.
“Pensi sia il caso di chiamare i tuoi
genitori? Se vuoi, lo faccio io” si offrì Hannah, avendo notato solo in quel
momento la loro totale mancanza.
Nickolas allora scosse il capo e,
mestamente, esalò: “E' meglio di no.”
“D'accordo” si limitò a dire lei,
senza chiedere altro.
Lui, però, non fu di quello stesso
avviso e, rigirandosi il bicchiere di carta tra le mani come a volerle tenere
impegnate in qualcosa, ammise: “Non sto scusando Bran, perché è stato un
idiota, ma... penso c'entri mia madre.”
“Non accetta il fatto che lui sia omosessuale?”
gli domandò il più gentilmente possibile Hannah.
“Non conosco quello che si sono detti,
ma so che è un argomento tabù per Bran, e mamma non si è mai dichiarata molto
propensa ad essere generosa con chi lo fosse.” Il solo dirlo fece rabbrividire
Nickolas, e per più di un motivo.
Non sapeva quanto fosse moralmente
corretto parlare a quel modo della madre di fronte a una dipendente,
dipingendola come una donna fredda e insensibile. Ma era pur vero che Isabel Van
Berger non aveva mai amato sentir parlare di certi argomenti, ivi compreso
l'omosessualità, e poi...
Beh, di certo, lui era proprio
l’ultimo ad avere il desiderio di difenderla.
Per quanto lo riguardava, aveva i suoi
motivi per non stimarla. Ottimi motivi, ma questo non voleva dire
spiattellare tutto in faccia a una loro stipendiata, per quanto Hannah si fosse
già ampiamente dimostrata una persona di fiducia.
Non era ancora pronto a confessioni così
personali.
La donna poggiò comprensiva una mano
sulla spalla di Nickolas e, con un mezzo sorriso, gli confidò: “Fin da piccola,
sono sempre stata alta e magra come un grissino, ben poco attraente, lo
ammetto. Mamma odiava dover aver a che fare con le mie lamentele, sul perché
lei mi ‘avesse fatta così’. Per anni
si è lagnata di me e delle burle che i miei compagni di scuola mi
affibbiavano... e a cui io rispondevo
facendo a botte.”
A quell'accenno, Nick ridacchiò e
Hannah, proseguendo, disse sommessamente: “Quando ho iniziato pallavolo, lei mi
ha osteggiata dicendo che avrei perso tempo e miei voti sarebbero scesi. Io
allora le dimostrai che, non solo sarei andata comunque bene a scuola, ma che i
miei problemi comportamentali sarebbero spariti. Sei mesi dopo, ero una delle
allieve più ben viste a scuola, e con ottimi voti.”
“Cosa può fare la celebrità...” chiosò
Nickolas, comprendendo bene cosa volesse dire.
“Già. Chi un tempo mi aveva odiato, in
seguito mi seguì come un cagnolino ammaestrato, e solo perché ero brava in
campo e aiutavo a far vincere la nostra squadra. Io ne ero disgustata, ma tutta
quella notorietà parve piacere a mia madre perché, a conti fatti, non tornavo
più a casa coperta di lividi o con dei richiami del preside, così la accettai
come una cosa buona. Questo servì a riavvicinarci poiché, dopo la fuga di mio
padre da un giorno all’altro, ci eravamo parecchio allontanate. Continuò così
fino all'università, più o meno... poi venne l'infortunio e allora...” Scrollò
le spalle, e lasciò che l'argomento si chiudesse lì.
“Tua madre si lagna ancora di te?” le
domandò a quel punto Nickolas, sinceramente curioso.
“No, ma dice che avrei dovuto fare la
modella, visto il modo in cui sono … cresciuta.”
Nel dirlo, si indicò con entrambe le mani e l’uomo assentì con un risolino.
Come darle torto, del resto?
Anche un cieco si sarebbe reso conto
che era una bella ragazza.
“Mi disse che il mio fissarmi su un
lavoro amministrativo era un autentico spreco di talento” ridacchiò Hannah, con
un tono agrodolce nella voce.
In fondo, sapeva che la madre voleva
solo il meglio per lei, anche se a volte le loro idee non collimavano affatto. Era
sempre e solo stato il padre a non
occuparsi mai di lei.
Non poteva prendersela con la madre
perché la pensavano diversamente, ormai l’aveva capito, anche se a volte era
difficile mettere in pratica quel pensiero.
“Ammettiamolo, non sono trasparente
come certe modelle di oggi! Non credo avrei avuto molta fortuna, in quel campo”
soggiunse poi la giovane, ridacchiando.
“Dovrei controllare più a fondo ma, da
quel che vedo, hai curve nei punti giusti e gambe che manderebbero al
manicomio. Sì, sei troppo sexy per fare la modella. Le modelle, per contro,
sono secche come acciughe e per niente attraenti” ironizzò il magnate,
fissandola con occhi maliziosi.
La donna cercò di non ridere, ce la
mise davvero tutta, ma fallì miseramente e Nickolas, unendosi a lei, le batté
una mano sulla spalla celiando: “Abbiamo i genitori che ci meritiamo, si vede.”
“No, è che non ce li possiamo
scegliere. Gli amici sì, invece” replicò lei, asciugandosi una lacrima di
ilarità.
“Già, gli amici ce li possiamo
scegliere” assentì più seriamente l’uomo, prima di domandarle: “Posso
considerarti mia amica, allora?”
Hannah comprese subito che, pur se espressa
con tono apparentemente leggero, quella domanda era estremamente seria perciò,
annuendo dopo un attimo, levò una mano verso di lui e asserì: “Amici.”
Nickolas gliela strinse, apprezzando
la sua forza e, al tempo stesso, la morbidezza di quella pelle d'alabastro e,
con un mezzo sorriso, dichiarò: “Sei la seconda donna che ho per amica, sai?”
“E' un club esclusivo” ghignò la giovane,
ammiccando al suo indirizzo.
“Non so se sia esclusivo o meno, ma
non ho mai trovato altre persone che potessi chiamare 'amiche', e
immaginerai il perché” ammise con mestizia Nickolas.
Nel ritirare la mano per infilarla con
l'altra in mezzo alle cosce, Hannah lo fissò dubbiosa, chiedendogli: “Non sono
esperta di queste cose, ma immagino che l'avere tante donne ti abbia... assuefatto…”
“Elegante, come spiegazione” ridacchiò
lui, passandosi una mano sul viso stanco ma ora più rilassato. “Sì, Hannah...
sono assuefatto e drogato al tempo stesso e, ammettiamolo, è un gran casino, se
ci pensi bene.”
“Ti servirà un sacco di energia, per
accontentarle tutte” chiosò serafica la donna, cercando suo malgrado di non
dare troppo peso a quelle confessioni.
Perché voleva sapere così tanto, di
lui? Perché stava ficcanasando a quel modo!?
Nickolas si coprì il viso con le mani,
ridacchiando sommessamente e, nell'annuire, esalò: “Molta energia.”
“Povero, povero Nickolas. Divorato dal
suo stesso...” iniziò col dire Hannah, azzittita subito dalla mano dell'uomo
poggiata sulla sua bocca e che, a occhi sgranati, la fissò in quelle pozze di
ghiaccio liquido e brillante che lo stavano guardando con ironia.
“Non avresti detto davvero quello che
penso, vero?” esalò lui, al limite di un altro scoppio di risa.
Scostando quella mano forte e calda con
la propria, lei mugugnò maliziosamente: “Stavo solo dicendo 'desiderio'.”
“Bugiarda” ghignò Nickolas, vedendola
ridacchiare.
“Non potrai mai saperlo” dichiarò lei,
prima di lasciarsi andare ad uno sbadiglio incontrollato.
Il magnate allora la fissò dolcemente
e, sorridendole benevolo, le consigliò: “Vai a casa. Sono già le due di notte e
Stark si preoccuperà per te, se non ti vede tornare.”
Hannah si limitò a scuotere il capo e,
con molta semplicità, intrecciò caviglie e braccia per poi lasciarsi scivolare
un po' sulla poltroncina. Poggiata la testa sullo schienale imbottito, chiuse
gli occhi e mormorò: “Chiamami, se succede qualcosa.”
“Lo farò” assentì lui, continuando a
studiarne il viso eburneo e privo di difetti.
Sarebbe stata una modella strepitosa
ma… no, davvero preferiva di gran lunga averla conosciuta così.
Probabilmente, se Hannah fosse entrata
nel suo mondo in altro modo, lui non avrebbe avuto l’opportunità di scoprire
tanto di lei.
Non avrebbe avuto l’opportunità di
scoprire quanto fosse stimolante averla accanto, quanto la sua sola presenza
potesse chetarne lo spirito e, al tempo stesso, rinvigorirlo.
No, la preferiva di gran lunga come sua segretaria.