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Autore: _proudtoloveyou    28/06/2013    0 recensioni
Nate è un ragazzo qualunque che odia la scuola e che è convinto da sempre di essere come tutti gli altri, ma scoprirà ben presto che quello che gli ha riservato la vita è ben altro. Farà di tutto per affrontarlo, e per trarne felicità, perché lui è il ragazzo sorridente che tutti si incanterebbero a guardare, perché lui è il ragazzo dall'animo tenero che tutti sognano, perché lui è Nate, è insostituibile, e nessun altro riuscirebbe a superarlo.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le giornate dopo l'arrivo della madre di Brendon trascorsero lentamente, quasi come quando metti a rallentatore una canzone sul computer per sentirne il suono di ogni singola nota. Solo che stavolta era stato diverso, le giornate non avevano fatto altro che scandire l'agonia e il dolore che continuavano a lacerarmi il cuore nello stesso modo in cui una lametta lacera la pelle. I medici erano insicuri su tutto, un giorno ti dicevano che andava meglio, e il giorno dopo un camion di fango veniva scaricato addosso a te, perché in quelle situazioni non facevi altro che affondare nelle sabbie mobili. Era come un campo minato la situazione che vivevo, potevo metterci tutta l'attenzione che volevo ad attraversarlo, ma non avrei mai potuto sapere dove fossero nascoste le bombe, e una di quelle da un momento all'altro poteva farmi saltare in aria tutti i progetti, e farmi ricadere nelle tenebre.
 
Anche quella mattina andammo a far visita a Brendon in ospedale, anzi, trascorremmo la giornata lì, come sempre negli ultimi tempi. Saltavo il college, sì, ma che me ne facevo del college se non avrei riavuto lui? La mia vita non avrebbe avuto più un senso, sarei stato lì, come appeso ad un filo, aspettando che qualcuno lo tagliasse per smettere di esistere pure io. Avrei pregato Dio di farmelo raggiungere al più presto, avrei tentato di fare pazzie, se non mi avessero fermato. Brendon era la ragione della mia vita, la ragione per il quale ancora stringevo i denti ed andavo avanti, perché con lui era stato così, mi aveva sempre insegnato a tener duro fino alla fine, perché anche quando tutto sembra perduto, c'è sempre una speranza. Anche se avevamo la stessa età, io l'avevo sempre considerato il mio fratello maggiore, il fratello che non avevo mai avuto. Ero figlio unico, se proprio volete saperlo, mia madre non si era mai più risposata dopo il divorzio con mio padre, aveva sempre pensato che una vita con un altro uomo avrebbe potuto far soffrire me, e pure lei, di nuovo. Per quanto le interessasse ne aveva già passate abbastanza, e aveva deciso di smettere di soffrire, ma non avrebbe mai deciso di smettere di occuparsi di suo figlio, perché anche se io gli ricordavo mio padre, l'uomo che lei odiava dal profondo del cuore, ero pur sempre suo figlio, ero un pezzo della sua vita, e mi voleva un bene dell'anima. Sapete, non gliel'ho mai detto, ma credo che di madri come lei ne esistano poche a questo mondo. Ripensando a Brendon, capii quanto tutto era cambiato negli ultimi tempi, lui non era più il mio migliore amico, o il mio fratello mancato, lui adesso era il mio ragazzo, ed io non abitavo più con la donna più importante della mia vita, inutile dire chi è. Mi sentivo cresciuto, ero più maturo, ma allora perché avevo ancora paura di affrontare le vette alte, temendo di cadere?
 
La mia mente smise di viaggiare attraverso i più oscuri pensieri un attimo dopo, fui riportato alla realtà dalla voce della madre di Brendon.
«Nate, mi stai ascoltando?» chiese curiosa.
«Scusi, signora, devo ammettere di no.»
«A cosa pensavi?» continuò curiosa più di prima.
«A nulla, fantasticavo.»
«Sicuro?»
«Beh, non proprio, pensavo a Brendon.» ammisi abbassando lo sguardo.
«Capisco.» si limitò a dire sospirando.
 
Perché non mi aveva chiesto a cosa pensassi? Forse temeva pensassi al peggio, e aveva paura di farmi del male cercando di farmi ricordare nuovamente. Ma non era così, avevo immaginato una vita felice insieme a Brendon, perché era così che avremmo dovuto essere io e lui, felici, avremmo dovuto sentirci sopra le nuvole ogni volta che avremmo sorriso. Avremmo dovuto toccare il cielo con un dito ogni volta che ci saremmo stretti la mano. Avremmo dovuto far piovere ogni volta che ci saremmo baciati, così che tutto fosse più romantico, come nei film. L'avrei sposato, se fosse stato necessario, e se avrebbe voluto, perché anche se io una vita insieme a lui me l'ero immaginata, se l'aveva fatto pure lui o meno non potevo saperlo. Avrei aspettato di saperlo, e quando sarebbe arrivato il momento della proposta avrei sperato in un "sì", perché infondo era quello che volevo, prendermi cura di lui in ogni momento, e restargli accanto nel bene e nel male, era ciò che significava il matrimonio, no?
 
Mi allontanai dalla madre di Brendon e mi avvicinai alla macchinetta delle bevande, tirai fuori una moneta e la inserii nell'apposita fessura, guardandola mi fermai a pensare a quanto fossero fatte con cura quelle monete, a quanto fossero raffinate, a quanto tempo avevano impiegato a farla, a quanto avevano lavorato duro per fabbricarne migliaia, ma alla fine c'erano riusciti. Era quello che avrei fatto, mi sarei impeganto, e avrei lavorato duro, mi sarei preso cura di Brendon, e di sua madre, fino alla fine. Scelsi un caffè, a me non piaceva, ma forse a lei avrebbe fatto piacere.
 
Un bicchiere corse giù dalla macchinetta, e il caffè iniziò a scendere, il suono così dolce e quasi silenzioso delle gocce che si toccavano con le altre mi fecero pensare a quanto fosse stato bello sfiorare dolcemente il corpo di Brendon, restando silenziosi l'un l'altro, lasciando sprofondare ognuno i propri occhi in quelli dell'altro. Ed eccomi di nuovo a fantasticare su Brendon, ogni cosa mi porta a lui, ogni singolo oggetto, ogni singolo suono, ogni singolo rumore, ero completamente dipendente da lui.
 
Il suono della macchinetta che mi indicava di ritirare la bevanda mi fece ritornare nuovamente sul pianeta terra. Presi il bicchiere e mi incamminai verso la signora Carter, sì, era quello il cognome di suo marito. Sentivo i suoi occhi puntati su di me, aveva uno sguardo così pesante che quasi mi perforava.
 
«Tenga, questo è per lei.» sussurrai una volta giunto vicino a lei ed essermici seduto accanto, mentre le porgevo il caffè.
«Ti ringrazio, Nate, sei così gentile.» ammise.
«Dai su, non dica così, sa che tengo a lei, e voglio che resti in salute. Ho deciso che mi prenderò cura di lei, so che potrei essere il suo bambino, ma facciamo così, stavolta diventa lei una bambina, e proverò a fare io il grande e a farla sentire protetta.»
 
A quelle parole, gli occhi della signora Carter divvenero lucidi, non rispose, semplicemente mi sorrise, come al solito, io capii tutto. Aveva doti straordinarie quella donna, riusciva a parlare attraverso gli sguardi, era felice, per una volta da quando suo figlio era in quelle condizioni, l'avevo resa felice. Ci ero riuscito, mi stavo prendendo cura di lei, mi sentivo più grande, adesso. Avrei potuto scalare la cima più alta di questo mondo, senza cadere, perché avevo qualcosa in più ora, avevo la certezza di aver reso felice qualcuno, e quel qualcuno era proprio colei che ne aveva più bisogno, era la madre del mio ragazzo, ed io non avrei smesso di provare a farla sorridere, mai.

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