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Autore: Betta7    29/06/2013    5 recensioni
STORIA TEMPORANEAMENTE SOSPESA.
"Peccato che il detto ‘i soldi non fanno la felicità’ nel mio caso calzasse a pennello visto che la mia vera felicità mi stava trascinando nella villa dei miei sogni con il solo intento di venire a letto con me. "
Estratto dal 1° capitolo.
Per alcuni Amore non era una parola contemplabile nel loro rapporto, per altri erano solamente quello: puro amore.
Per loro due, infine, amore, sesso litigi, urla e schiaffi erano praticamente la stessa cosa solo che in mezzo, ovviamente, c'era un abisso.
Quanto ancora poteva resistere una situazione del genere tra loro?
Quanto ancora la loro relazione- se così poteva essere chiamata- avrebbe sopportato?
Una storia piena di ripicche e pungenti situazioni tra due ragazzi che, dopo secoli, non hanno ancora capito di essere l'uno lo specchio dell'altro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Coppie: Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Per chi stesse leggendo la storia adesso: voglio avvisarvi che il capitolo è stato modificato. Avevo pubblicato questo capitolo e il precedente, che è stato anche quello modificato, in terza persona senza prendere più il punto di vista di Sana. Ora, invece, ripropongo la prima persona perchè la preferisco.
Buona lettura :*
 

CAPITOLO 2.
UN NUOVO AMICO.
 
Fuka mi aveva sempre detto una cosa quando mi sentivo sola: la notte porta via il dolore. Bè, non era stato proprio così, il dolore non era stato portato via ne tantomeno si era affievolito. Probabilmente era stato solamente un po’ attutito dalla colazione che la mia migliore amica era venuta a prepararmi di prima mattina.
Non capivo davvero perché tutti si ostinassero a prepararmi da mangiare. Che c’è, credevano che non ne fossi capace? Comunque Fuka era lì da almeno un’oretta o giù di lì e l’unica cosa che aveva fatto era stato parlarmi di Takaishi e dei suoi progetti futuri. Io, d’altro canto, non ero proprio interessata a fantasticare sul futuro della mia amica perché avevo problemi ben maggiori: il mio futuro.
«Sana?!» mi chiamò Fuka mentre metteva lo zucchero nel latte. Diamine, io lo odiavo lo zucchero nel latte.
«Si Fuka, dimmi..»  risposi abbattuta.
«Ma mi stai ascoltando?» chiese spazientita.
«Si certo Fuka, stavi dicendo della madre di Takaishi che ti ha detto che sei una fallita..» risposi sicura.
Non avevo sentito una sola parola dell’ultimo quarto d’ora di discussione e avevo sparato l’ultima cosa che avevo ascoltato.
Lei mi fissò innervosita.
«Senti Fuka, non ho molta testa per parlare oggi..» avevo infine ammesso.
C’era stato un momento durante la notte in cui avevo creduto che quell’assurdo proposito di star lontana da Akito avrebbe dato i suoi frutti, che magicamente andando all’università avrei conosciuto qualcuno di particolarmente interessante da rimpiazzare, non totalmente questo è ovvio, la figura di quel cretino.
Ma in quel momento avevo visto il mio assurdo proposito crollarmi davanti gli occhi: non riuscivo neppure a seguire il discorso della mia migliore amica figuriamoci a vivere la vita di tutti i giorni.
Comunque erano ormai le nove e la mia lezione di psicologia cognitiva la aspettava, con tanto di mondo lì fuori. Congedai velocemente Fuka che intanto continuava ad urlarmi contro che pretendeva di sapere cosa fosse successo, e mi preparai per la giornata che mi aspettava: di certo non sarebbe stato Akito a rovinarmela.
 
*
Parcheggiai l’auto gialla- si, avevo un auto gialla- di fronte alla caffetteria dell’università e, guardando l’orologio, mi accorsi di essere tremendamente in ritardo. Maledetta Fuka, maledetto traffico, maledetto Hayama.
Ora, cosa c’entrasse Hayama in tutto quello non era molto chiaro, ma per qualsiasi sventura che capitava a Sana Kurata c’era sempre lo zampino di quel ragazzo. Presi il pc, la mia carpetta e la borsa e cominciai a correre nel parcheggio per raggiungere l’aula del professor Matsumori.
Hayama – certo, si trattava sempre di lui –  me ne aveva parlato molto bene raccontandomi anche una serie di battute che questo professore aveva fatto durante la lezione. Speravo che non si arrabbiasse per il mio ritardo e cercai di passare quanto più potevo inosservata ma la cosa mi risultò alquanto difficile tanto che, non appena misi piede in aula, ogni singolo alunno seduto ai tavoli si era girato a guardarmi e il professore mi aveva lanciato uno sguardo a dir poco raggelante.
«Lei è Sana Kurata, non è così?».
Io annuii timorosa. Odiavo stare al centro dell’attenzione nonostante fossi un’attrice. La mia carriera ormai era diventata più un passatempo che altro, ogni tanto qualche regista malinconico mi scritturava per qualche film e per una manciata di mesi il mio successo tornava alle stelle. Poi, di nuovo, non si sentiva parlare di me per un po’. Quello era un periodo del genere, era un po’ che non lavoravo e non avevo assolutamente intenzione di farlo per il momento.
«Complimenti signorina Kurata, anche all’università vuole fare la star. Vada a sedersi con gli altri e, per cortesia, la prossima volta cerchi di essere più puntuale.» Si fermò per sedersi dietro l’enorme cattedra di legno per poi continuare: “ Non mi piacciono le persone ritardatarie.”.
Io non dissi nulla, mi limitai a fare ciò che il professore mi aveva ordinato senza battere ciglio. Quell’uomo mi ricordava molto Sengoku – maledetto – e probabilmente questo influì sul fatto che non appena presi la penna notai che la mano destra non rispondeva più ai miei comandi tremando in una maniera incontrollata.
Comunque la lezione non sembrava affatto interessante e il professore non era da meno. Parlava da una buona mezz’ora di una comunicazione non verbale di cui io, in realtà, non avevo capito molto.
Per me comunicare significava mettere tutte le carte in tavola e discutere fino allo sfinimento, con migliaia di parole magari sprecate ma dette. Il professore invece si ostinava a dire che c’erano altri mille modi di comunicare, ad esempio con il linguaggio del corpo.
«.. Se una persona vi lascia ma cala gli occhi, allora soffre» Aveva detto.
Akito aveva abbassato lo sguardo.
Ma no, no e ancora no. Non poteva essere.
Eppure negli anni, conoscendo a fondo Akito Hayama, avevo capito che era davvero così: c’erano altri modi di dire le cose e lui era maestro in questo. Per esempio Hayama quando doveva dire che adorava una cosa si limitava a dire non mi dispiace. Akito era un tipo da fatti, non da parole. Io, invece, tutto il contrario.
«Signorina Kurata..».
Ma come potevo capire ciò che Akito voleva dirmi se lui non faceva nulla per farsi comprendere?
«Signorina Kurata..»
Quel ragazzo era un cretino.
«Signorina Kurata..»
Volevo uscire da quella sala, mi sentivo soffocare dal nervoso.
“SIGNORINA KURATA!!!”.
La voce del professore risuonò in tutta l’aula e mi sentii scuotere da un brivido per tutta la schiena.
«Mi dica professore!» risposi prontamente uscendo dallo stato di trance nel quale mi trovavo pochi secondi prima.
«Le mie lezioni sono una cosa seria, e se lei è venuta qui per risolvere i suoi problemi amorosi su un certo..». Prese il mio quaderno e lesse ciò che avevo scritto. «.. Akito, allora la pregherei di raccogliere le sue cose e andarsene. Non ho bisogno di una star da quattro soldi che fa finta di ascoltarmi.». Mi sorrise e scese le scale velocemente per tornare al suo posto.
 Avrei voluto sprofondare ma d’altronde ero un’attrice internazionale, perché mi facevo trattare così?!
«Senta professor Matsimuro o come diavolo si chiama, non ho ostentato io il fatto di essere un’attrice. Penso che qualsiasi studentessa potrebbe arrivare in ritardo, non crede? E comunque la mia vita privata non la riguarda e io, a lezione, faccio ciò che mi pare! Non mi pare di averla disturbata.».
Mi fermai per prendere fiato e poi cominciai a chiudere il quadernetto e riporre la penna nella borsa con l’intento di andarmene. Quel professore era un idiota e io non sarei rimasta lì un minuto di più.
«.. e comunque lo sa che potrei denunciarla per violazione della privacy? Ma vada a studiare un po’ di umanità caro professore. Arrivederci a tutti.».
Mi chiusi la porta alle spalle e dall’interno dell’aula si sentì un boato di ragazzi che ridevano e commentavano l’accaduto.
Corsi fuori per recuperare la mia auto e andarmene da quell’inferno.
Seduta in macchina, nel totale silenzio di una giornata di febbraio, ogni emozione provata nelle ultime 48 ore risalì prepotentemente verso il mio cuore. Mi sentivo umiliata, nonostante mi fossi difesa, nonostante non avessi calato la testa davanti a quel prepotente. Mi sentivo debole.
Quasi involontariamente le lacrime mi rigarono il viso ma dovetti mandarle via in fretta perché un ragazzo stava bussando al mio finestrino. A causa della controluce non vidi chi era ma aprii ugualmente lo sportello per scendere dall’auto.
Mi trovai davanti un ragazzo bruno con gli occhi neri, non era giapponese.
Si presentò sorridendo. «Piacere, io sono Marco.».
Non era giapponese ma parlava la lingua in maniera perfetta. Io, educatamente, gli porsi la mano e, nonostante le lacrime, sorrisi al ragazzo.
«Piacere mio, Sana.».
«Si, so benissimo chi sei!» rispose lui continuando a tenermi la mano e a guardarmi negli occhi.
«Bene, se sai chi sono saprai anche che per il mio lavoro mi servono entrambe le mani quindi, ti prego, la lasci?» scherzai.
Cercai di essere il più amichevole possibile anche se ancora non riuscivo a capire il motivo di quell’inseguimento fino alla mia auto. Forse avevo già visto quel ragazzo da qualche parte all’università perché degli occhi del genere non si dimenticano di certo facilmente.
«Dimmi.. Marco, cosa vuoi, un autografo?» chiesi ridendo. Non era la prima volta che un fan mi riconosceva per strada e mi chiedeva di firmargli un autografo quindi non mi sembrò tanto strana come domanda.
A lui invece suonò quasi come un insulto e mi rispose prontamente che non era di un autografo che aveva bisogno.
«E allora dimmi, cosa posso fare per te?» chiesi indispettita.
In meno di cinque minuti quel ragazzo era riuscito ad irritarmi un po’ come faceva.. Hayama.
Certo, e ti pareva che non l’avrei paragonato a quello.
«Ho sentito quello che hai detto al professor Matsumori, sei stata veramente una grande!» esordì il ragazzo continuando a fissarmi insistentemente.
Se c’era una cosa che odiavo era la gente che si ostinava a guardarmi come se fossi stata un fenomeno da baraccone uscito dal circo. Ma quel ragazzo era troppo gentile per essere trattato male solo perché era una giornata storta.
Comunque, Marco si rese conto di aver detto una stupidaggine e, quasi a volersi giustificare, mi disse che voleva solamente conoscerla.
«.. si insomma, tu sei Sana Kurata!» disse per motivare il suo gesto.
Era dolce, sul serio, niente a che vedere con quel cretino.
«Quindi.. posso offrirti un caffè?». Spostò la tracolla dalla spalla destra a quella sinistra e, imbarazzato, controllò alcuni libri all’interno della borsa, probabilmente solo per distogliere lo sguardo.
«Non bevo caffè, macchia i denti.» Risposi involontariamente acida. Credevo che quel momento non sarebbe mai arrivato, si insomma il momento in cui avrei dovuto frequentare altri ragazzi che non fossero Hayama.
Per anni avevo rifiutato ogni tipo di appuntamento galante, avevo mandato a fanculo si e no cinquecentosessanta volte Naozumi e altrettante volte avevo evitato di conoscere gente nuova che potesse minimamente interessarmi solo perché in ogni caso ci sarebbe stato Akito che mi bastava e che, forse, era pure troppo.
Ora come ora Akito era solamente il ragazzo con cui avevo scopato la notte precedente e, per la prima volta dopo un anno, non mi sentii in colpa per aver detto quella parola.
Insomma come altro poteva essere definita, se non scopare, ciò che avevamo fatto in quegli ultimi mesi?
Io aveva sempre creduto che fare l’amore fosse qualcosa di unico e che l’avrei fatto solamente con la persona che amavo veramente, ovvero Akito. Era stato così in realtà e, sin dalla prima volta che eravamo stati insieme, io avevo sentito che con Akito era tutta un’altra cosa, che con lui era tutto diverso.
Mi era capitato una volta, dopo una colossale sbronza, di andare a letto con Naozumi e quando Akito l’era venuto a sapere non mi aveva parlato per un mese. Gelosia, avevo pensato io in precedenza ma dopo, riflettendo, avevo compreso che si trattava solamente di possessione, di diritto.
Facendo comunque il confronto avevo capito che Kamura non era nemmeno comparabile con Akito; non per bravura, ne per qualsiasi altra cosa fisica che qualcuno avrebbe potuto pensare ma solamente perché ero io ad essere diversa con Hayama.
Ritornai alla realtà dopo pochi secondi sfoderando uno dei miei sorrisi mozzafiato e rispondendo così alla domanda del brunetto che mi ritrovavo di fronte.
«.. però se tu bevi il caffè e io ordino un thè, possiamo parlarne!».
Marco sorrise e alzò gli occhi come per ringraziare Dio e questo mi fece ridere; non credevo a ciò che stavo facendo. Insomma, stavo concedendo un appuntamento – perché di quello si trattava – ad un perfetto sconosciuto che mi aveva inseguita per il parcheggio dell’università. Dovevo essere impazzita ma quella sensazione mi piaceva, era come sentirsi di nuovo viva, di nuovo indipendente, di nuovo donna.
 
*
La caffetteria, vicina all’università, era molto luminosa e su ogni tavolo c’erano un sacco di scritte fatte dai vari clienti. Le frasi si sovrapponevano e ne veniva fuori un meraviglioso disegno fatto di lettere che era veramente suggestivo. Era tutto rigorosamente bianco e nero e le tazze in cui portavano il caffè erano enormi stile quelle che serviva Luke in ‘Gilmore Girls’. Risi per aver fatto quel pensiero;
Magari la mia vita fosse stata simile ad un telefilm, probabilmente ciò che era avvenuto con Hayama si sarebbe risolto con lui che correva da me chiedendomi scusa. Io lo avrebbe accolto a braccia aperte e la storia avrebbe avuto un lieto fine come quella di Lorelai e Cristopher, anche se io detestavo quella coppia.
Si, insomma, viva Luke.
Dopo quel breve riassuntino mentale di Gilmore Girls decisi di concentrarmi solamente sul bel ragazzo che avevo accanto che di punti in più di qualsiasi telefilm ne aveva eccome.
Notai solamente in quel momento quanto fosse vestito incredibilmente bene, curato in ogni piccolo dettaglio. Era elegante, sofisticato ma non baggiano ed era il tipico abbigliamento che avevo sempre notato nelle riviste di moda e che mi era sempre piaciuto.
La cameriera arrivò quasi subito: era una ragazza bassa – cosa non tanto rara in Giappone – con dei capelli lunghi fuori dal normale che teneva raccolti in una coda di cavallo che comunque le arrivava fino al fondo schiena. Era molto carina, capelli troppo lunghi forse, ma carina.
«Io prendo un cappuccino zuccherato e, per favore, anche una brioche.».
Sicuramente Marco andava spesso in quel posto perché la cameriera gli aveva sorriso in modo complice tornando indietro dopo aver segnato anche il mio ordine: un classico thè con qualche goccia di menta.
Il ragazzo era in imbarazzo, si notava dal fatto che aveva cominciato ad intrecciare i suoi ricci neri tra le dita, e per questo presi io l’iniziativa e cominciai a parlare per prima.
«Quindi.. da dove vieni Marco… ?» non finii la frase attendendo che lui mi dicesse il suo cognome.
«Caramia. Mi chiamo Marco Caramia.» Sorrise portando le mani vicino al viso e intrecciandole.
«Marco Caramia, okay.. da dove vieni?» chiesi nuovamente spostandomi leggermente perché nel frattempo il mio thè era arrivato.
La cameriera dai lunghi capelli gli sorrise un’altra volta, stava cominciando anche a diventare fastidiosa.
«Sono italiano, siciliano in realtà quindi non mi sento poi così tanto italiano.» Rispose malinconico. Forse non era stata una buona domanda quella ma era la prima cosa che mi era venuta in mente.
Si vedeva che era un ragazzo del sud; poche volte mi era capitato di andare in Italia per qualche lavoro e, trovandomi al meridione, avevo visto un sacco di ragazzi con la stessa fisionomia di Marco.
«E che mi dici di te, Sana Kurata.. la tua carriera d’attrice è finita?».
«Temporaneamente sospesa direi..» mi fermai per un attimo facendo finta di pensarci su e poi continuai «.. si può anche dire che sia finita, si!».
Era da un po’ che non ricevevo offerte vantaggiose e, fino a quando non ne sarebbe arrivata una, la mia brillante carriera era sul fondo. Questo però non mi toccava particolarmente, mi mancava recitare, ovvio, ma non mi mancava ciò che la mia passione comportava.
Essere al centro dell’attenzione, i fotografi, i giornalisti che ti seguono ovunque.. era una vita d’inferno su quel punto di vista e pochi come me lo sapevano così bene.
Continuammo a parlare amabilmente fino a sera. Sembrava che il tempo non fosse passato e, anche se avevo paura ad ammetterlo, ero stata veramente bene con Marco.
Avevamo riso, giocato e parlato di un sacco di cose in quel pomeriggio come non facevo da un sacco di tempo con nessuno.
Lui mi aveva raccontato che era andato via dall’Italia per trovare lavoro, che lì scarseggiava, e che era laureando in medicina. Voleva fare l’oncologo per una motivazione particolare che però non aveva voluto spiegarmi perché si trattava solo del primo appuntamento.
«Chi ti dice che ce ne saranno degli altri?» scherzai facendogli una linguaccia.
«Lo so che ti sei già innamorata di me stella del cinema!». Rispose lui schiacciandomi l’occhio.
Era adorabile, era veramente il ragazzo dei miei sogni e mi meravigliai di questo perché, sfigata com’ero, mi aspettavo di piangere la perdita di Hayama per chissà quanto tempo.
Comunque volevo andarci coi piedi di piombo, la prudenza non era mai troppa sebbene quel ragazzo fosse praticamente perfetto.
Nonostante fossimo con due macchine diverse Marco insistette per accompagnarmi sino a casa e, quando eravamo arrivati davanti alla mia porta avevo notato in lui un leggero cedimento. Voleva baciarmi, si vedeva.  
In realtà voleva baciarmi da tutto il giorno, lo avevo notato dal modo in cui mi parlava e mi guardava le labbra mentre ero io a parlare.
Il bacio comunque era fuori discussione e io, quindi, mi spostai stringendo quel ragazzo in un abbraccio che forse era stato meglio di un qualsiasi altro contatto fisico. In quella stretta c’era stata verità, amicizia, sincerità, c’era stata attrazione.
Gli schioccai un bacio sulla guancia e corsi verso dentro casa lasciando lui ad ammirare la mia magnifica villa.
Si, casa mia faceva quell’effetto a molti; solo Akito, quando l’aveva vista per la prima volta, l’aveva definita carina. Carina e basta. Non meravigliosa, non sensazionale, non bellissima. Solamente carina.
Chiudendomi la porta alle spalle inevitabilmente un sorriso mi si formò sulle labbra.
Non è vero che ‘il buongiorno si vede dal mattino’, se io avessi dovuto giudicare la mia giornata nel momento esatto in cui quell’idiota di un professore mi aveva urlato contro forse avrei detto che era pessima.
In realtà era stata perfetta.
Sempre col sorriso in bocca mi tolsi i vestiti e mi misi comoda preparando la borsa per tornare, il giorno dopo, all’università. Preparai gli abiti puliti, misi un po’ in ordine visto che la mattina Fuka non si era degnata di farlo e, infine, mi buttai sul divano distrutta psicologicamente e fisicamente.
Si, era stata una giornata perfetta ma il pensiero di quel deficiente non mi aveva lasciata per un secondo dal momento stesso che avevo varcato la soglia di casa.
Marco, in un modo o nell’altro, era stato capace di non farmi pensare a nulla e Akito non era stato per niente presente per tutta la giornata nella mia testa.
Fra tutti quei pensieri non sentii neppure subito la porta che veniva scossa violentemente da qualcuno.
Andando ad aprire, ovviamente, un momento di paura mi aveva percorsa ma nel momento in cui l’avevo fatto la paura era passata e l’unica cosa che rimaneva era solo un gran vuoto al centro del petto.
“.. Akito.”. riuscii a dire.
Poi il delirio.


 
*Musichettadellosqualo*.  *^*
Eccomiiiii, finalmente ho aggiornato! Non sapete che paura m’è presa: ad un certo punto non sapevo più come fare continuare la storia, giuro! Ho avuto un vuoto totale e mi sono sentita persa t.t
Per fortuna l’ispirazione è tornata ed eccomi qui ad offrirvi il secondo capitolo della mia ff che spero vi piaccia. Ovviamente il primo amore (Holiday) rimane il primo amore ma.. spero che questa sia altrettanto bella come quella. :’)
Ah, piccolo inteso: Marco è un tipico ragazzo siciliano: scuro, riccio, alto.
Immaginatevelo un po’ come Antonio Cupo (non so se lo conoscete ma cercatelo su google perché MERITA!!!) per quanto riguarda il viso e immaginate un normale fisico da bel ragazzo! ;)
Chissà cosa succederà adesso tra questi due psicopatici che non fanno altro che crearci problemi!! Ai ai ai, ma come dobbiamo fare con loro?! Vi posso anticipare che la discussione sarà moooolto accesa!
Bene, che ne dite di questo nuovo personaggio? Io dico che mi piace, non so a voi! Chissà se Sana si innamorerà di lui o se resterà solo un buon amico. Boooooh, chi può saperlo? IO!! *-*
Basta, scherzo. Vi lascio in pace e spero che recensiate in tanti!
Bacini, la vostra Akura :*
   
 
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