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Autore: BlueSkied    29/06/2013    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
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9.

 
Settembre-Dicembre 1543


Benchè ci fossero cinque stanze tra la camera privata della duchessa e l'anticamera, le grida si udivano chiaramente fin là.
Sua Eccellenza era in travaglio dalla sera prima, e le prime luci dell'alba cominciavano a filtrare dalle alte e strette finestre, senza che ci fossero grandi progressi.
Il duca lanciò uno sguardo attorno, sveglissimo, nonostante la notte insonne. Da una parte, un gruppetto di cortigiani pregava sommessamente, poco più in là stavano alcuni dignitari spagnoli, tra cui suo cognato don Garcia, a Firenze in quei giorni per alcune questioni di Stato. Proprio lui gli si avvicinò con deferenza, ma senza nascondere la sua ansia:
- Vostra Eccellenza, nessuna notizia?- chiese, in tono fermo ma desideroso di una risposta positiva. Cosimo dovette deluderlo: scosse la testa e replicò:
- Nulla da qui a due ore fa. Non dovete temere per vostra sorella, mio buon amico, ella è forte- lo rassicurò, tranquillizzando al contempo anche sé stesso. Garcia annuì, più fiducioso, e tornò a unirsi ai suoi compagni. Il duca tornò a rivolgere lo sguardo verso le altre stanze, aspettando di sentire dei passi, ma non udì nulla. S'incupì, riflettendo.
Le ultime due gravidanze per Eleonora erano state alquanto sofferte, aveva patito nausee e malesseri per entrambe, e il suo terzo parto era stato difficoltoso e lungo. Questo si stava rivelando ancora più ostico. Lui, ai tempi, c'aveva scherzato su, dichiarando che quei turbamenti dovevano essere manifesti della fierezza della figlia, e gli avvenimenti non gli stavano dando torto. Le nutrici raccontavano che, a dispetto del suo anno di età, la principessa Isabella si dimostrava più inquieta e orgogliosa di qualsiasi fanciulla avessero visto prima. Il bimbo che stava per nascere pareva esserle affine.
Cosimo de'Medici si soffermò su questi pensieri, con la speranza di allentare la preoccupazione. Quelle che aveva detto a Garcia non erano mere parole di circostanza, lui credeva nella ferrea costituzione fisica e spirituale della moglie.
Eleonora non mancava mai, anche se incinta, di seguirlo nelle numerose visite che lui faceva regolarmente a tutte le città del ducato, né si sottraeva a battute di caccia e pesca, banchetti e occasioni ufficiali. Il duca riteneva che sua moglie non dovesse avere solo il semplice ruolo di madre, ma la voleva accanto come sua compagna nella condivisione del potere. Un parto non poteva abbatterla, giovane e in salute com'era.
Forte di questa convinzione, attese ancora, con animo più sereno, fin quando il suo segretario e incaricato della gestione dei principi, Riccio, finalmente chiese la sua presenza alla camera della duchessa.
- Vostra Eccellenza- esordì, in tono calmo - Il principe è nato, un maschio sano e robusto- annunciò. Cosimo annuì, in segno di approvazione, e lo invitò ad andare avanti: - La Signora Duchessa sta bene?-
Riccio parve ponderare molto bene ogni parola, prima di replicare, abbassando la voce:
- Sua Eccellenza si riprenderà presto, ma non vi negherò che questa è stata una prova assai dura per lei. Le levatrici mi dicono ch'ella abbia molto sanguinato, e che ci vorranno diversi giorni per una sua completa ripresa. Se posso ardire, consiglierei alle Vostre Eccellenze di passare del tempo lontano dal Palazzo, in campagna, dov'ella potrà riposare- disse.
Cosimo si fermò davanti alla soglia e si voltò verso di lui:
- La vostra lealtà sarà ben ricompensata, e i vostri consigli non rimarranno parole sterili- lo ringraziò, posandogli una mano sulla spalla e congedandolo con cortesia.

I sussurri nella stanza s'interruppero di colpo al suo ingresso. Levatrici e servette lo omaggiarono timidamente, prima di sfilare fuori dalla camera. Alcune delle sue parenti s'intrattenero ancora pochi attimi, congratulandosi e raccomandandogli di non far stancare la puerpera.
Quando Cosimo si sedette accanto al letto e studiò la sua giovane moglie bene in viso, capì quello che il fedele segretario voleva dirgli.
Eleonora era mortalmente pallida, le labbra esangui stese in un debole sorriso, mentre il bimbo poppava. Era l'unica volta in cui poteva allattare e non vi aveva mai rinunciato. Si voltò verso il marito, come a volergli dire qualcosa, ma pareva far fatica a parlare. Cosimo scosse la testa:
- Riposate, mia signora. Sarò io a parlarvi - disse. Lei annuì, gli occhi scuri che parevano enormi in quel pallore, fissi sul suo volto.
- Riccio mi ha raccomandato di farvi riguardare, quindi, appena potrete alzarvi dal letto, andrete a Castello. Con i bambini e la compagnia di mia madre vi sentirete subito meglio - le assicurò. Eleonora annuì ancora, ma sapeva che non aveva finito.
- Poi, stavo pensando che per qualche tempo...- il duca esitò - Sarebbe meglio non facessi visita alle vostre stanze. Un'altra gravidanza potrebbe nuocervi- spiegò. Quella decisione, in verità, dispiaceva a entrambi per diversi motivi. A lui, perché la sua natura sensuale gli avrebbe reso assai difficile rinunciare ai doveri coniugali, a lei perché la sapeva incredibilmente gelosa, e avrebbe cominciato a temere qualsiasi donna gli ronzasse intorno, e ce n'erano a frotte, quasi tutte arriviste che ambivano ad essere l'amante del duca, carica, per quanto difficile a credersi, mai ancora ricoperta da nessuna.
Come Cosimo si aspettava, Eleonora si accigliò. Probabilmente era ancora troppo debole per arrabbiarsi a dovere, quindi si limitò a stringere più forte il bambino e a mordicchiarsi nervosamente un labbro.
Lui sapeva che qualsiasi cosa avesse detto, in quel momento, sarebbe stata inascoltata, dunque pazientò. La sua duchessa non era facile di carattere, anche se lui conosceva tutte le chiavi per accedere ai suoi recessi, il che era decisamente reciproco. Forse era per questo che i loro figli avevano quei caratteri fumantini e indomabili. La cosa lo fece ridere fra sé, senza potersi trattenere. Eleonora mantenne il broncio ancora per un po', ma vedendolo allegro, innalzò bandiera bianca e abbandonò il risentimento. Tossì e parlò, anche se flebilmente:
- Io mi fido di voi, mio signore. Qualche tempo lontani l'uno dall'altro, anche se solo intimamente, unirà i nostri intelletti ancora di più. Voi sapete che non ho occhi che per voi, e anche se la mia è una vanagloriosa speranza, vorrei fosse lo stesso nei miei confronti- disse.
Il duca fece mille promesse, ma sapeva di poterle mantenere. Placata quella tempesta passeggera, i genitori si dedicarono alla scelta del nome della creatura, che venne chiamato Giovanni, come suo nonno paterno.

E proprio Giovanni dalle Bande Nere, sopra ogni altra, aveva amato la villa di Castello, dove da sei anni la sua vedova si occupava dei principini.
Donna Salviati aveva ormai quarantaquattro anni, e da tempo la sua salute era in declino, ma questo non le aveva impedito di assolvere con zelo e preoccupazione i suoi impegni di nonna. La notizia dell'arrivo di un nuovo nipote la rallegrò e la mise in ansia nella stessa misura. Non era certa di avere più le forze per badare ai bimbi come avrebbe voluto.
Ma non era sola. Una schiera di nutrici e servitori provvedevano in ogni istante al benessere dei fanciulli, sempre sotto le attente direttive della signora e i precisi ordini della duchessa, che, circa due settimane dopo il parto, diede atto agli ordini del duca e si trasferì in villa con il neonato.
L'autunno non sviliva la bellezza del parco: i cipressi svettavano cupi e torniti contro il cielo grigio, le siepi di bosso erano ben potate e le molteplici fontane gorgogliavano lievi sotto al frusciare di abiti e lo scricchiolio di foglie calpestate.
Eleonora omaggiò con deferenza e rispetto la suocera, dandole il bimbo da tenere in braccio, ma il pallore della matrona non le sfuggì. S'informò con tatto riguardo la sua salute, e finse di credere alle sue rassicurazioni, mentre Cosimo le raggiungeva. Alla duchessa bastò un'occhiata per capire che neppure il marito era cieco alle condizioni della madre. Per delicatezza, li lasciò soli, andando a trovare i figli.
Donna Salviati la guardò uscire dalla stanza, poi ebbe un sorriso incerto:
- Dopo quattro anni, ancora ho difficoltà a capire cosa dice- confidò al duca, che rise:
- Alle volte mescola fiorentino e spagnolo senza rendersene conto. Per le sue fantesche è un incubo, ma agli ambasciatori stranieri piace: una volta uno mi disse che pareva un canto- raccontò.
Sua madre lo osservò, con occhi pieni d'affetto:
- è una buona moglie, e voi mi sembrate un buon marito- constatò. Lui annuì:
- Il mio cuore non avrebbe motivo di sgomentarsi, se non vi vedessi così abbattuta e triste, madre- replicò, sommessamente. La guardò, con serietà:
- Non mentitemi, vi prego. Le vostre condizioni di salute sono peggiorate dall'ultima vota che vi feci visita- dichiarò.
Maria non volle negare né confermare:
- Dovete pensare al vostro ducato e alla vostra famiglia, Vostra Eccellenza, non stare in pensiero per me- tentò di tagliare corto, ma il figlio non desistette:
- Non siete voi la mia famiglia, madre? L'unica famiglia che conobbi nei miei anni d'infanzia, quando, orfano di padre, non avevo che la vostra saggia guida, ed è grazie ad essa che oggi sono quel che sono- ribatté, accoratamente.
- Deve essere come dite, ma questo è passato. Ora siete un duca, il capo di un grande e nobile Stato- Donna Salviati si torse le dita, come a voler cercare l'intensità giusta delle parole che doveva pronunciare:
- Adesso, sarà vostra moglie a sostenervi, i vostri figli coloro su cui riversare affetto e speranza. Siete l'unica cosa che amo al mondo, perché sono vostra madre. Ma il volere di Dio mi chiamerà presto a sé, ed è giusto così. Nessun genitore dovrebbe sopravvivere ai suoi figli- disse, in tono amaro, ma convinto. La ferita era fresca e anche se si odiava per avervi fatto leva, capì dallo sguardo di Cosimo di aver avuto ragione su di lui.
Entrambi stavano ovviamente pensando al grande dolore che li aveva colpiti il passato inverno: la piccola Bianca, di soli cinque anni, era morta per uno dei tanti malanni che affliggono l'infanzia, nobile o miserabile che sia. L'intera corte l'aveva pianta, e la salute della nonna ne aveva ricevuto un danno irreparabile. La disperazione del giovane duca era stata immensa.
Egli levò lo sguardo su di lei, afflitto ma vinto:
- Una moglie non è una madre- replicò - Ma avete ragione, come sempre. Però non vi lascerò arrendervi così, avrete i miei dottori ed Eleonora sarà qui per alcune settimane. La sua compagnia vi gioverà- le assicurò. Non c'erano stati mai veri screzi tra suocera e nuora, ed era certo che il carattere energico della duchessa avrebbe aiutato la sua dimessa e timida madre a svagarsi un po'. Maria annuì, più per compiacerlo che per vera convinzione. Chi è vicino alla morte può avvertirla distintamente, anche se lo nasconde agli altri.

Una pioggia gelida picchettava insistentemente da ore sulle alte finestre. Quel Dicembre era stato umido e fastidioso fin dall'inizio. I cipressi e i bossi parevano ombre nere e incombenti nella nebbia che invadeva l'ampio parco.
La duchessa provava nostalgia per gli inverni molto più miti di Napoli: il mare color acciaio era bello a vedersi, e il vento non era mai così spietato e freddo. Con un sospiro impercettibile, distolse lo sguardo dalla finestra e lo lasciò vagare in giro per la stanza. Un gruppo di dame cuciva quieto in un angolo vicino al grande camino, a un passo da lei, le nutrici badavano ai principi, che ruzzavano allegramente, giocando, costretti a star dentro dal cattivo tempo e beatamente ignari della tristezza e della malattia. Erano lontani dall'ala della villa in cui avrebbero potuto infastidire l'inferma, così la madre aveva ordinato di lasciarli fare. D'altra parte, costringerli a star buoni sarebbe stato un inutile spreco di energia. Meglio che facessero i bambini, finché potevano.
Eleonora osservò per un po' Maria e Francesco che giocavano a moscacieca, mentre Isabella, che a malapena si reggeva sulle piccole gambe, cercava d'insinuarsi nel gioco, con l'unico risultato di cadere ripetutamente sul sedere, avvolto in strati di fasce. A un certo punto, stanca di fallire e doversi rialzare, quasi per dispetto, afferrò il fratello per un lembo dell'abito e lo tirò a terra con sé. Francesco scoppiò in un piagnucolio acuto, che fece scattare in piedi tutte le nutrici: una lo prese e cominciò a consolarlo, mentre un'altra costringeva Isabella nel girello, ma apparve subito chiaro che i bambini non avevano sùbito alcun danno.
La duchessa non si mosse da dov'era, ma aggrottò la fronte e sospirò ancora, un po' più forte di prima:
- Che duca sarà mai, uno che si fa sottomettere dalla sorella più piccola? - osservò, rivolta a donna Rainosa, la sua prima dama di compagnia e responsabile delle nutrici, seduta alla sua destra.
- Non è che un bambino, Vostra Eccellenza - replicò questa, ragionevolmente, ma l'altra scosse la testa:
- Dovrà dimenticarsi di esserlo fin troppo presto - concluse, con amarezza.
Uno dei dottori entrò con discrezione, passando quasi non visto nel consesso di donne, ma Eleonora rivolse immediatamente tutta la sua attenzione a lui. Quello s'inchinò brevemente e cominciò a parlare, in tono ansioso:
- Temo che la nostra arte non possa fare più nulla per la signora. Ella chiede di voi, Eccellenza - snocciolò, con evidente fretta di terminare l'ingrato compito e sarebbe letteralmente scappato, se la duchessa, per un attimo dimentica dell'etichetta, non l'avesse agguantato per un braccio:
- Volete fuggire così la mia presenza? - sibilò, ben più glaciale del temporale.
Con gesto imperioso comandò a tutti di lasciare la stanza, e non mollò la presa finché l'ordine non ebbe completa esecuzione.
Solo allora si alzò e affrontò il dottore, con volto di pietra:
- " La vostra arte ", così chiamate l'infernale sequela di mignatte e pozioni con cui pretendete di riparare i nostri corpi imperfetti. V'arrogate poteri che spettano a Dio solo e c'ingannate con parole distorte - disse, in un sussurro irato e pieno di disprezzo. Il dottore provò a giustificarsi:
- Vostra Eccellenza, noi facciamo quel che possiamo... - ma Eleonora lo interruppe, lanciandogli un'altra occhiata tagliente:
- Fate quel che potete! - esclamò - Solo tre giorni fa assicuraste al mio signore e a me ch'era solo una febbre quartana e che donna Maria ne sarebbe uscita completamente risanata. Mentiste, sapendolo? -
Il dottore alzò le mani, quasi a difendersi:
- Vostra Eccellenza, mai per la mia vita! - balbettò.
- E allora, adesso cosa vi suggerisce la vostra arte? - domandò la duchessa, con sarcasmo disperato. Quello scosse la testa, non sapendo cosa dire. Lei lo afferrò di nuovo per un braccio, guardandolo dritto negli occhi:
- Ve lo dico io: mandate a chiamare Sua Eccellenza, foss'anche nelle Indie, e pregate che il cavallo del messaggero non fallisca come voi e la vostra banda di assassini - concluse, lasciandolo con uno strattone e uscendo dalla stanza con fredda dignità.

Ogni camera di moribondo, alla fine, finisce per somigliare a tutte le altre. L'attesa stagnante e il dolore sospeso non cambiano mai.
Eleonora di Toledo sedette al capezzale di Maria Salviati non solo come nuora, ma anche come figlia acquisita. L'ammalata aprì gli occhi, avvertendo la nuova presenza, e il viso le si contrasse per l'impazienza:
- Eccellenza, il duca verrà? - chiese, debolmente, ma con la stessa ansia degli ultimi tre giorni.
- L'abbiamo fatto chiamare, signora madre. Vi prego, non vi agitate. Egli verrà - le assicurò, sperando fosse la verità. Quando Cosimo era in viaggio, sia solo, sia con la corte, non indicava mai il percorso che avrebbe fatto, per timore di spie nemiche. Poteva essere, in effetti, dovunque.
Maria le prese una mano e la strinse con la poca forza che aveva:
- Vi prego, portategli il mio amore, e ditegli che accetto la volontà di Dio, e anch'egli lo farà, diteglielo - supplicò.
Eleonora annuì, con convinzione:
- Faremo ogni cosa ci ordiniate - promise. Si fece dare da una delle fantesche presenti la bacinella con l'acqua e una pezza di lino:
- Lasciate che vi dia un poco di sollievo, signora madre - la pregò, bagnando la pezza, strizzandola e posandola sulla fronte rovente. La donna parve rilassarsi e allentò la presa sulla mano della nuora.
- Starò con voi fino all'arrivo di Sua Eccellenza - assicurò - Pregate - disse a tutti i presenti e anche lei iniziò a pregare, per uno strano desiderio, in spagnolo, come quando era bambina:

- Padre nuestro que estás en los Cielos, santificado sea tu nombre, venga tu reino, hágase tu voluntad, como en el Cielo, así también en la tierra. Danos hoy nuestro pan de cada día y perdona nuestras deudas así como nosotros perdonamos a nuestros deudores y no nos dejes caer en tentación, mas líbranos del mal, Amén
-    
 -   
Non si accorse della lingua che si seccava, né della gola che bruciava, continuò fino a che non sentì fredda la mano che la stringeva.

Cosimo de' Medici aveva battuto il cavallo fino a farlo schiumare. Mai come in quel momento aveva temuto di vedere la sagoma della villa amata dai suoi genitori.
Non chiese nulla al garzone che, sollecito, lo aiutò a smontare, non parlò con nessuno, benché il Riccio avesse provato a rivolgergli parola. Era arrivato troppo tardi, stavolta.  Attraversò la camera con gambe di piombo, appena conscio della presenza di sua moglie, una statua accanto alla salma.
Sembrava ancora così giovane, nonostante tutto, e sana. Non aveva l'aspetto sofferto dei morti di malattia, ed era strano. Non era diversa dalla donna che vent'anni prima sedeva da sola, in attesa di uno sposo che non sarebbe mai tornato. Il tempo l'aveva fissata per sempre in quell'epoca della sua vita: era vissuta aspettando, e così era morta.
Suo figlio sedette accanto alla sua, di sposa, che si voltò appena verso di lui, irrigidita dalle ore di veglia, ma non osò toccarlo, ben sapendo che adesso lui era in un luogo dove lei era superflua.
La sorprese, la sua voce ferma:
- Soffrì?- fu la domanda, netta.
- No, mio signore -
- E morì conformata in Dio?-
- Ricevette ogni sacramento, e mi disse che accettava la volontà di Nostro Signore, e mi pregò che voi faceste lo stesso -
- Dunque, non disperiamoci. Adesso ella è contenta e dobbiamo provare ad esserlo noi -
Non disse più altro, ed Eleonora capì di dover andare. Forse quella notte avrebbe voluto dormire con lei, e forse allora si sarebbe sciolto in lacrime. Adesso, voleva solo essere per l'ultima volta un figlio.





Note: i bambini, nel sedicesimo secolo, avevano una specie di gabbia di legno in cui le nutrici li infilavano, qualcosa veramente assimilabile a un girello, ma non ne so il nome preciso.

Ho tradotto in spagnolo con Google Translator, non avendo altri mezzi a disposizione immediata. Se ci fossero errori mi scuso e prego di segnalarli

Mi scuso per la lentezza e il ritardo, ma davvero ho avuto un sacco di questioni da risolvere

Grazie a chi leggerà

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