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Autore: HermioneGinny    13/01/2008    0 recensioni
Una ragazza capisce che avere una malattia non significa smettere di vivere.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RITORNO ALLA VITA

“E guardo il mondo da un oblò…” una radio, da qualche parte, urla questa vecchia canzone.
È così che mi sento. Vivo guardando il mondo da una finestra. Vivo…che parola grossa.
Un giorno di alcuni anni fa una malattia si è presa la mia vita, e da allora combatto contro di lei. Ma ogni giorno che passa diventa sempre più difficile.
Tutto cominciò in luglio. Un dolore insistente al ginocchio, e il medico sosteneva che non ci fosse niente che non andava, che era tutto nella mia testa, che avevo qualche difficoltà che somatizzavo. Come no…la difficoltà di ascoltare le sue stupidaggini!
Passati alcuni mesi, si convinse a farmi fare delle analisi. La situazione precipitò: farmaci, visite specialistiche, radiografie…ed infine il verdetto. Era un giorno d’autunno, mi ricordo che le foglie cadevano, come lacrime rosse che il mio cuore straziato piangeva.
Ero malata, di una malattia cronica. Per tutto il resto della vita avrei dovuto confrontarmi con lei, avrei dovuto soppesare ogni decisione tenendo conto della sua presenza. Dubbi, paure, incertezze da allora affollano i miei pensieri. E lo sgabello rosso su cui mi sedevo ogni sera aspettando il tramonto rimane vuoto, giù al porto. Ho smesso di andarci. Non voglio che la gente mi veda e pensi: “Ecco la piccola Mughain, sai è malata”. Non voglio che mi guardino pensando che per fortuna non è capitato a loro. Ci sono già passata.
Caomhán mi ha lasciato “Perché sono un pescatore, non voglio che tu ti preoccupi per me”. Storie. Se solo avesse avuto il coraggio di dirmi che non voleva stare con me perché avrò dei periodi cattivi e non riuscirò a badare alla casa, e i medici non sanno se potrò affrontare una gravidanza. Siamo cresciuti in un paesino di pescatori, casa e figli sono il traguardo di ogni uomo. Doverci rinunciare è considerata una disgrazia.
I miei genitori, però, non hanno questa mentalità. Hanno fatto sacrifici per permettere a tutti i figli di studiare. Ma solo io mi sono laureata. Storia dell’arte. E poi sono tornata qui, perché in ogni mia cellula ci sono il cielo e il mare della mia terra, di un azzurro così dolce che separarsene è doloroso. I miei fratelli sono stanchi di vedermi così, rassegnata. Urlano, cercano di convincermi. Inutilmente, perché quello che vorrei fare è addormentarmi e non svegliarmi più. Perché non voglio continuare a vivere più nell’incertezza di come mi sentirò il mattino seguente, non poter programmare viaggi nel lungo periodo, non sapere se starò mai abbastanza bene da poter non prendere farmaci e iniziare una gravidanza, dover vedere medici. E mi monta dentro una rabbia, quando mi dicono di pensare che c’è chi sta peggio di me. Lo so, come so che c’è anche chi sta meglio di me. Non è giusto che sia capitato a me. Sono sempre stata una brava ragazza, seria, studiosa. Queste cose non dovrebbero succedere alle persone come me. O forse non dovrebbero succedere e basta. Ma ho imparato che al mondo niente è giusto.

Due settimane fa a pranzo c’era un ospite, si chiama Finn e conosce mio fratello Séamus dai tempi della scuola. Ha voluto che lo accompagnassi al porto ad aspettare la barca della mia famiglia. All’inizio ho cercato di evitarlo, ma lui e mamma hanno insistito tanto che ho ceduto. Ha parlato molto, mi ha raccontato che è uno scrittore e sta cercando casa in un paesino tranquillo per finire il suo libro. Un thriller, pare. Quando ho visto il mio sgabello rosso mi sono fermata. Non riuscivo più a proseguire. Finn se n’è accorto, ma non mi ha chiesto niente. Evidentemente Séamus l’aveva avvertito. Mi ha preso per mano, mi ha sussurrato dolcemente che ce l’avrei potuta fare e mi ha accompagnato allo sgabello. Un passo dopo l’altro, con la consapevolezza di quel tepore che mi sosteneva, che mi avrebbe aiutato ad andare avanti, ma ci sarebbe stato anche se avessi deciso di tornare a casa. La sicurezza di una presenza amica, un’anima eletta che in quel momento riteneva che io fossi la persona più importante sulla terra, completamente concentrata su di me e sulla mia paura. E quando mi sono seduta, ho capito che solo lì sarei potuta tornare ad essere felice. Quanto mi era mancata la vista dal porto, l’odore pungente di salsedine e pesce fresco, le chiacchiere in sordina di vecchi pescatori con la nostalgia per la navigazione, la profonda sensazione di libertà che il mare mi ha sempre dato…tutto questo è parte di me e io l’avevo dimenticato, reciso per la paura di aprirmi agli altri. In questi anni ho imparato che io sono la peggior nemica di me stessa, mi pongo dei limiti, costruisco steccati e mi lascio abbattere. Come se, in questo modo, volessi prevenire le delusioni. Ho sempre amato troppo la vita per vivere nell’amarezza, ma sono ormai consapevole che è inutile preoccuparsi del futuro, perché può cambiare in un instante.
Quando papà mi ha visto al porto, i suoi occhi sono diventati lucidi, i miei fratelli così stupiti che riuscivano solo ad abbracciarmi. Solo Séamus, ho notato, continuava a fissare me e Finn con un’aria divertita, ho sentito che gli diceva: “Ce l’hai fatta, amico!” con una complicità un po’ sospettosa. Ma ero così felice ed orgogliosa di me stessa, che non ci badai molto. Organizzammo una festicciola che durò fino a notte tarda. Ad un certo punto Finn mi ha chiesto il permesso di leggere i miei racconti. Affermò che era stato Séamus a raccontargli che mi piaceva scrivere di mondi sconosciuti e fantastici. Il giorno successivo Finn è partito per la città per sbrigare le ultime faccende, portandosi via i miei racconti, rassicurandomi che sarebbe tornato presto e che forse mi avrebbe portato buone notizie.

È arrivato ieri, ha annunciato che i miei lavori sono piaciuti molto al suo editore e che vorrebbe pubblicarli.
Ma soprattutto ha detto che non ha fatto altro che pensare a me e al mio sgabello rosso. Ha affittato il villino accanto al nostro e stasera andremo a cena insieme, noi due. E mentre sto scrivendo non posso non pensare allo sgabello sul quale sono seduta. Un oggetto insignificante, che è il simbolo del mondo da cui provengo e a cui sono tornata. Il mio ritorno alla vita è partito da qui…ora tocca a me navigare verso la felicità.



  
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