Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Phedre no Delanuay    13/01/2008    0 recensioni
Avete mai avuto veramente tra le mani la felicità? E' una senzazione magnifica e unica, purtroppo però è anche breve. Bisogna saper trattenerla ma spesso lei si libera e fugge via, facendoti cadere nell'oblio. Questa è la storia della mia vita, una storia risalente a 3000 anni fa. Piccola shot. Leggete e fatemi sapere ^^
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
la felicità perduta

Tutto nacque così velocemente che mi sembra di non aver mai tenuto veramente tra le mani questo sentimento.
Ma andiamo con ordine.
Io sono una sacerdotessa del sommo Osiride, dio giudice dei morti.
Sono entrata a far parte del suo tempio quando ancora ero in fasce, infatti mia madre, che non ho mai incontrato, mi abbandonò li per, a quanto pare, una strana voglia sulla mia schiena, all’altezza della scapola, rappresentante il simbolo della divinità.
Le sacerdotesse non mi vedevano di buon occhio. Credo fossero gelose delle attenzioni della matrice nei miei confronti. Già Foluke era l’unica che mi trattasse con gentilezza all’interno di quelle mura. Per le altre ero solo una sguattera.
Ma a quanto pare il dio non aveva quest’idea su di me.
Foluke si ammalò gravemente quando io avevo solo 7 anni.
Lo sapevo che prima o poi sarebbe successo, era vecchia, ma non pensavo avvenisse così presto.
Fatto sta che mi mise al comando delle altre sacerdotesse. Vi rendete conto? Elesse come suo successore una bambina.
Quando lo venni a sapere corsi da lei agitata.
Avevo paura delle altre sacerdotesse.
La sacerdotessa madre mi guardò serena e al mio “Perché?” rispose con un semplice “Non sono io che decido ma il nostro dio, Osiride”.
Rimasi interdetta.
Osiride mi aveva scelta?
Ricordo che i giorni a venire feci fatica a dormire e non mi facevo molto rispettare dalle altre che erano tutte più grandi di me e gelose della mia nuova posizione.
Poi una notte sognai il mio dio che mi indicava severo, come per ribadire che ero io quella che aveva scelto.
Mi sveglia di soprassalto.
La voglia sulla mia schiena bruciava terribilmente.
Interpretai il sogno come un invito di Osiride a farmi rispettare perché così doveva essere, e lo feci, in un modo nell’altro.
Foluke morì.
Divenni ufficialmente la sacerdotessa madre del tempio di Osiride.
La cerimonia funebre la eseguii io stessa, davanti all’intera famiglia reale e al popolo.
Il faraone Ramsess II era rimasto sbigottito nel vedere la nuova matrona.
Venne a parlarmi e d’allora, non so come, entrai nelle sue grazie.
Gli piacevo e per me questo era un grande onore.
Essendo poi entrata nelle grazie del faraone le sacerdotesse non furono più un problema anzi, divennero agnellini docili da comandare.
Gli anni passavano e io crescevo velocemente, fisicamente certo, ma sopratutto mentalmente. Riuscivo a discorrere e a mettere in imbarazzo per i miei ragionamenti sopraffini uomini considerati saggi.
Non ero più la bambina insicura che aveva paura di fare un passo da sola, ora amavo questa mia solitudine perché nessuno mi controllava e decidevo della mia vita con tranquillità.
Al compimento del mio dodicesimo anno di vita conobbi una persona che mi avrebbe stravolto la vita oltre che il cuore.
Quel giorno mi trovavo nel giardino di orchidee nell’ala ovest del tempio. Ne stavo raccogliendo un mazzetto come tutti i giorni da portare al dio, quando notai che non ero sola.
Un ragazzo poco più grande di me stava ammirando le orchidee bianche. Ad un certo punto ne strappò una e se la rigirò fra le mani.
Mi infervorai subito perché solo io potevo raccogliere quei fiori. Nessun altro.
Mantenendo una calma apparente mi avvicinai a lui e gli chiesi cosa stava facendo.
Era un ragazzo alto con capelli neri sbarazzini e occhi di un verde smeraldo che mi fecero perdere per un attimo.
Mi sembrava di averlo già visto da qualche parte.
Disse che portava un messaggio per la sacerdotessa madre da parte del faraone.
Ancora infastidita gli presi il fiore che aveva in mano e lo rimproverai, poi gli dissi che ero io la matrona del tempio e che quindi se aveva un messaggio poteva pure dirmelo.
Ricorderò per sempre la sua faccia sbigottita.
Lui sapeva che la sacerdotessa madre era molto giovane, mi aveva visto al funerale di Foluke, insieme a tutta la sua famiglia, quella reale.
Eh già Luxor era il figlio minore di Ramsess e Nefertari, ecco perché l’avevo già visto.
Ed anche se era preparato a vedersi una bambina rimase basito.
Mi arrabbiai ancora di più.
Una cosa che mi ha sempre dato fastidio è che la gente mi guardi con sorpresa ogni volta che affermo di essere la sacerdotessa madre.
Comunque dopo quel primo momento di smarrimento si riprese e mi diede il messaggio del faraone.
In quel periodo gli altri sacerdoti erano in combutta per rivalità fra divinità, infatti tutti affermavano che il loro dio era più importante e che quindi bisognava allargare il tempio e dare molti più tributi ad esso per onorarlo.
Io in tutto questo non c’entravo niente.
Onoravo Osiride e la gente lo onorava, non mi importava diventare più ricca, perché in verità era questo che volevano gli altri sacerdoti, arricchirsi con le offerte.
Per queste continue lotte Ramsess mi aveva incaricato di cercare di mettere un po’ di pace fra i sacerdoti. Disse, che scelse me perché ero l’unica di cui potesse fidarsi.
Accettai l’incarico un po’ controvoglia, perché non sopportavo quei boriosi che fingevano di adorare il proprio dio, e partii alla volta di Tebe con Luxor e altri attendenti che mi avrebbero protetta.
Erano tutti sicuri che qualcuno avrebbe cercato di uccidermi perché ero troppo importante, e così fu.
Ben due attentati.
Falliti entrambi.
Nel primo però rimari ferita ad un braccio, niente di che, ma Luxor divenne ossessivo, era come la mia ombra.
Non lo sopportavo.
Alla fine si risolse tutto e portai un po’ di buon senso nelle zucche vuote dei sacerdoti.
Al mio ritorno trovai una sorpresa: tutte le mie cose erano state trasferite a palazzo reale.
La scusa era che in seguito agli attentati alla mia vita non potevano lasciarmi sola al tempio in balia di pazzi assassini, per questo sarei andata a vivere sotto stretta sorveglianza del faraone.
La verità era ben diversa: la regina Nefertari si era affezionata a tal punto a me da ritenermi come una figlia e non voleva più vedermi solo una volta alla settimana ma avermi sempre attorno.
Le piaceva parlare con me e anch’io amavo quei momenti in sua compagnia.
Era una donna dal grande quoziente intellettivo, e il faraone senza lei non sarebbe stato tale.
Divenni la sua ancella personale continuando però a mantenere il mio ruolo di sacerdotessa madre del tempio di Osiride. Il mio dio mi aveva lasciato andare ma non voleva perdermi.
Lì cominciò la mia vita a palazzo.
Non so come, ma con il tempo oltre a mutare io mutò anche il mio rapporto con il giovane principe.
Eravamo partiti decisamente con il piede sbagliato.
Io non lo sopportavo, ma poi pian piano conoscendolo meglio cominciai ad ammirarlo per il suo carattere solare al punto giusto e fermo sulle proprie decisioni come un vero re deve essere. Sapeva prendere in mano le situazioni con una calma esasperante, mentre io molto spesso mi agitavo per niente.
Lui aveva sempre per me delle piccole attenzioni che mi fecero provare strani capovolgimenti in zona addominale.
Poi quando compii 14 anni lui partì. La guerra contro gli ittiti incombeva e lui doveva aiutare il fratello maggiore con le milizie.
Per un anno non lo vidi nemmeno una volta.
Tornò.
Il ragazzo si era fatto uomo.
Il mio cuore esplose di gioia. Non lo facevo vedere naturalmente. Sono sempre stata alquanto fredda con gli altri forse dovuto al fatto della mia crescita precoce, ma qualcosa cambiò radicalmente e non solo da parte mia.
Ci scoprimmo con lentezza e delicatezza assaporando con gusto questi sentimenti così forti che si erano impossessati di noi.
Ci amavamo.
Eravamo il nostro Lui e la nostra Lei.
Eravamo uno parte dell’altra.
La felicità di quel tempo come l’amore che ogni giorno lui mi dimostrava lo porterò sempre con me.
E’ il mio tesoro.
Una notte mentre ero sdraiata accanto a lui mi mise con gentilezza attorno al mio collo qualcosa.
Lo guardai.
Era un monile stupendo, d’oro e ambra.
“Come i tuoi occhi” mi disse.
Ci baciammo intensamente poi mi chiese una cosa che io non mi aspettavo assolutamente
“Mi faresti l’onore di diventare mia moglie?”
Quelle parole le ricorderò in eterno.
Accettai senza esitazione.
Sapevo che era lui la persona destinata a me, nessun altra, Lui.
Ma la felicità da quel momento si trasformò in oscurità.
Prima che ci sposassimo la mia cara regina Nefertari spirò tra le braccia del faraone lasciando un grosso vuoto.
Posticipammo il matrimonio.
Ma le disgrazie, come si dice, non vengono mai sole.
La guerra con gli Ittiti si era fatta più accesa e sembrava che la battaglia finale sarebbe arrivata a breve.
Io presi il posto della regina nel consigliare il faraone.
Intanto scoprii una cosa che mi rese felice in quel dolore.
Ero incinta.
Lo dissi a Luxor temendo che lui la prendesse male perché in un tempo così difficile un bambino sarebbe stato solo di impiccio. Invece lui rimase a guardarmi per qualche minuto poi con uno scatto di felicità mi prese in braccio e mi fece volare. Mi strinse forte e io per la prima volta scoppiai a piangere davanti a lui contenta che l’avesse accettato con così tanta gioia.
Da allora divenne ossessivo, ma non potè esserlo per molto.
Doveva partire per Quadesh e lasciarmi sola nell’enorme palazzo.
Mi opposi vivamente e il faraone accettò di portarmi sul campo di battaglia.
Aveva bisogno di me.
Inutile dire che Luxor era furente per la decisone del padre, ma non si discute un ordine del faraone.
Mai.
La felicità durò poco.
La vidi volar via non appena l’avevo sfiorata.
La persona che amavo morì sotto i miei occhi in quella battaglia.
Non piansi, nemmeno una lacrima.
Non serviva a nulla.
Il dolore era dentro di me.
Non mangiavo.
Ero diventata una bambola senz’anima perché questa era volata via con lui.
Addosso avevo solo il suo sangue.
In seguito al forte trauma persi nostro figlio e caddi ancora più in depressione.
Mi davo la colpa della morte sia di Luxor che del bambino.
Mi lasciai morire così, lentamente accoltellandomi con il mio dolore immerso nel sangue che avevo sulle mie mani e che usciva dal mio corpo.
A nulla servì l’aiuto del faraone.
Morii all’età di 17 anni con il dolore che mi perforava.
Il mio unico desiderio era ricongiungermi a Lui. Ma questo non è ancora avvenuto.
La mia anima vaga sola tra i secoli alla sua ricerca, e finchè non rivedrò e afferrerò quella sfera di luce che da serenità, continuerò a vagare. 

Ecco qui... questa one-shot l'ho scritta stanotte... stavo leggendo quando mi è venuta una voglia improvvisa di scrivere così fino alle 4 e mezza sono rimasta incollata al computer... voi mi darete della pazza e in effetti è vero, ma sentivo che dovevo esprimermi ed eccomi qui. 
Questa shot è praticamente un riassunto di una long-fic che stavo scrivendo, ma poi non riuscendo ad esprimere veramente quello che volevo, l'ho lasciata incompiuta. Forse un giorno la completerò. Mah. 
Comunque per adesso ho sfornato questa. 
Che ne dite? è carina o fa pena? Fatemi sapere mi raccomando... naturalmente si accettano critiche... 
baci... 

Antil

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Phedre no Delanuay