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Autore: Stateira    13/01/2008    12 recensioni
Le notti di Harry sono improvvisamente agitate da strani sogni. Ma qual è il loro significato? Chi è il misterioso personaggio in cerca di aiuto?
Genere: Romantico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley | Coppie: Draco/Harry
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Cap 6: altri dettagli, si scopre il nome di Derevan, Harry vede marzio sulla riva di un fiume, che ne incide il nome su dei gi

Quella sera, Harry faticò parecchio a prendere sonno. C’era di che stupirsene, vista la giornataccia pazzesca appena trascorsa. I muscoli della sua schiena reclamavano un po’ di riposo, i muscoli delle braccia minacciavano di abbandonarlo al suo destino, ma le palpebre continuavano a scattare verso l’alto, in barba alle più elementari leggi della fisica – e al buonsenso.

 

- Dannazione. – spifferò contro il cuscino, come se schiacciarselo sulla faccia fino a soffocare potesse tornare di una qualche utilità.

- Che c’è? Non riesci a dormire? –

Lo squittio assonnato di Ron lo raggiunse senza svegliare nessuno. Neville ronfava leggermente, coprendo le loro due voci.

- Già. – soffiò. – Non capisco come mai. –

 

Un lumicino tenue fece la sua improvvisa comparsa sotto le coperte del letto di Ron. – Beh. – azzardò lui mettendosi a sedere con esasperata attenzione, per non far cigolare il materasso. – Magari è perché sei un po’ teso. –

- Teso? E per cosa? –

- Per il tizio di Roma. In fondo, addormentarsi significa doverlo incontrare, no? –

- Marzio? – Harry si strinse nelle spalle. – Ma io non ho paura di lui. -

- No, no, d’accordo. Ma magari la faccenda ti mette un po’ d’ansia. –

 

Harry poteva pure essere miope, ma Ron ci vedeva benissimo, e in quel momento sapeva di avere gli occhi di Harry puntati addosso.

 

- Io ti capirei, eh! – si affrettò ad aggiungere. – Figurati come mi sentirei io a trovarmi davanti uno come me, che viene da mille anni fa… -

- Un po’ di più. –

- Eh? –

Harry roteò gli occhi. – Se è un Romano, Ron, sono un po’ più di mille anni. Hermione ti ucciderebbe, se ti sentisse. –

- Ah. Oh. – Ron non parve per nulla rassicurato dalla prospettiva. – Beh, insomma, quello che voglio dirti è che non ti devi fare scrupoli a parlarne con me, sai? Nemmeno io mi sentirei troppo a mio agio, a parlare con uno pieno di lentiggini, vestito come una statua, e tutte quelle cose. –

Harry sorrise. – Grazie, Ron. –

Un fruscio leggero annunciò che Ron si stava maldestramente infilando nelle sue coperte. – Di nulla. – bofonchiò imbarazzato. – E se quello comincia a comportarsi in modo strano, tu dimmelo, che io vado a chiedere in prestito una mazza da uno dei nostri battitori, e poi gli faccio vedere io chi comanda, qui. –

- Sei un genio, Ron. – sghignazzò Harry. – Non so davvero come farei senza di me. –

 

Ron tacque. Probabilmente si stava gonfiando come un pesce palla. La lucina si spense e la stanza piombò di nuovo nel suo pacifico buio. Harry si rese conto di avere le palpebre un po’ più pesanti di prima, e lo doveva solo a Ron.

 

*          *          *

 

- Finalmente sei riuscito ad addormentarti. Avevo paura che non sarei riuscito ad incontrarti, questa notte. –

 

Harry si strinse nelle spalle a mò di scusa, e buttò lì un: - E’ stata una giornata dura. – che non era nemmeno una menzogna.

 

Marzio non si preoccupò molto delle scuse. Sembrava particolarmente teso, come se fosse in attesa di qualcosa di molto importante. Nemmeno il tempo di mettersi a suo agio nel sogno, che cominciò a camminare spedito, costringendo Harry a caracollargli dietro lungo la strada accidentata che discendeva nemmeno troppo gradualmente verso l’orizzonte, mosso dall’ondeggiare scintillante del mare.

 

- Dobbiamo sbrigarci, Harry. –

- Sbrigarci per che cosa? –

- Se siamo fortunati, riuscirò a farti vedere una cosa. –

 

Un rumore secco si levò all’improvviso, sembrava il battere insistente su qualcosa di secco. Era piuttosto flebile, si distingueva soltanto perché tutto ciò che li circondava era silenzioso, e persino il vento si limitava a sussurrare appena, fra le foglioline dei giunchi che crescevano vicino alla riva.

 

Marzio strinse i punti, e prese a correre all’improvviso. Il povero Harry rimase indietro di una decina di metri buoni, e nonostante gli sforzi non riusciva a risicare che pochi passi, su quella scheggia di romano che correva come se avesse avuto le ali ai piedi, indifferente allo svolazzare del suo mantello rosso.

 

Si fermarono entrambi, Harry con il fiato corto e Marzio con il cuore in gola, sul ciglio di un piccolo promontorio che si avvallava bruscamente verso il mare. Sotto di loro, la strisciolina di sabbia distava pochi passi, ma scendere già sarebbe stata un’impresa, scoscesa com’era la roccia.

 

- Laggiù. – indicò Marzio, tendendo tutto il braccio verso destra. C’era un piccolo cespuglio di giuncaglie e qualche altra pianta che si lasciava scuotere dall’arietta del mare, e accovacciato in mezzo ad esso stava una figura, tutta rannicchiata, intenta a lavorare qualcosa. –

- Ma… ma quello. –

 

Harry non poteva crederci. La figura non sembrava essersi accorta di loro, e questo non aiutava per niente. Proprio quando Harry pensava di aver trovato il bandolo della matassa, per orientarsi un po’ in quella pazzesca avventura, un altro pezzo di puzzle arrivava a scombinare ogni cosa.

 

- Quello sono io. –

- No, Harry. – mormorò Marzio. – Quello sono io. –

 

Harry risollevò a fatica lo sguardo su Marzio. – Ma che cosa signif… -

- Vieni. –

 

Senza nemmeno lasciarlo finito, e con gli occhi che brillavano di un verde intensissimo e pieno di decisione, Marzio lo afferrò per un polso e lo trascinò verso la spiaggia, balzando giù dalla roccia come un gatto.

 

Se Harry non si ruppe qualche osso, fu solo per puro miracolo, perché non ebbe il tempo di recuperare un po’ di stabilità sulle gambe, che fu di nuovo sballottato a passo di corsa. C’erano due ragazzi perfettamente identici, che si stavano scapicollando verso di lui; come diavolo faceva quella figura a non accorgersene?

 

Il secondo Marzio sembrava cieco, sordo e muto. Non si mosse in un millimetro nemmeno quando gli altri due gli furono dietro le spalle.

 

- Non può sentirci, né vederci. – spiegò Marzio, prevenendo le domande di Harry. – Questo sono io, esattamente com’ero mille e più anni fa. E’ il mio ricordo, finalmente. –

 

Harry sbattè le palpebre, sforzandosi di elaborare le parole di Marzio il più in fretta possibile. – Quindi. – concluse. – Questo sei tu che fai qualcosa che stavi facendo allora? –

- Esatto. È la mia memoria che si materializza davanti ai tuoi occhi. È per questo che non ci sente, né ci vede. –

- Ma che cosa stai facendo? –

 

Marzio indicò debolmente il tronchetto di legno che il suo ricordo si rigirava fra le mani.

 

- Guarda tu stesso. -

 

Harry obbedì. Un po’ riluttante, si sporse oltre le spalle del Marzio seduto a terra, e gli vide un coltellino tozzo e piuttosto rudimentale in mano, con cui aveva grattato la corteccia del legno e inciso alcune lettere spigolose. –

 

- Non riesco a leggere. – disse, contrariato. – De… Dep… -

 

Marzio soffiò via i trucioli e la polvere di legno dalla sua opera, e passò un dito sulla scritta. –

 

- Derevan. C’è scritto Derevan, mi pare. -

 

Harry si voltò bruscamente, appoggiandosi con le mani alle spalle del Marzio che non poteva vederlo.

 

- Hey, senti. – sbuffò. - Sono stufo di leggere parole su pezzi di le… -

 

Harry si voltò, ma Marzio non c’era più. Con il cuore in gola abbassò lo sguardo, e se lo trovò davanti in ginocchio, con le dita tutte intrecciate sul ventre. Distingueva soltanto la massa dei suoi capelli neri, da quella posizione, ma ci volle un attimo per intuire, e venire travolti e scaraventati a terra.

 

- No! – sentì di dover gridare. – Che… Che cosa succede!?! –

 

Marzio produsse solo un flebile: - Scusami. – ma non si riprese indietro il suo dolore. Non cambiò niente, l’aria nei polmoni continuava a bruciare.

 

I tre giovani perfettamente identici si ritrovarono ad essere tutti e tre a terra, a un passo di distanza l’uno dall’altro: uno impegnato a ritoccare il suo pezzo di legno, tutto orgoglioso; l’altro spezzato da un dolore zitto e velenoso, e l’ultimo schiacciato dalla confusione e dalle emozioni incontrollabili che gli si riversavano addosso da chissà dove.

 

All’improvviso, la terra prese a scuotersi con tale violenza, che sembrava dovesse collassate su sé stessa. L’unico dei tre che non si accorse di nulla fu il secondo Marzio, quello che rifletteva i suoi ricordi.

 

- Stiamo per andarcene. – si riscosse Marzio.

- Vuoi dire che mi sto svegliando? -

- No. Voglio dire che il ricordo sta svanendo, e che ora torneremo al punto di partenza. -

 

*          *          *

 

Per “punto di partenza”, Marzio intendeva il boschetto nel quale si erano incontrati per la prima volta. Le foglie erano sempre dello stesso arancione brillante, e nonostante il terreno ne fosse coperto per uno spessore notevole, le chiome non erano affatto spoglie, come se quell’isola di alberi fosse la commistione di due fotografie scattate in due momenti diversi.

Si sentiva molto meglio, tanto che non riusciva a credere di essere stato nel baratro della disperazione solo fino a pochi secondi prima. Tutte le sensazioni orrende erano svanite in una bolla di sapone.

 

- Marzio, ma che cos’è successo? – domandò, stordito.

 

Marzio gli stava dando le spalle, ed era intento a rassettarsi il mantello.

 

- Beh, vedi. – cominciò con leggerezza. – Esiste una regola a cui io sono costretto a sottostare. Non mi è permesso di rivelarti alcune cose, a meno che tu non le veda con i tuoi occhi. È per questo che appena mi sono reso conto di dove ci trovavamo, ti ho trascinato sulla spiaggia. -

- Ma scusa, tu come fai a sapere che c’è la possibilità di vedere una cosa del genere? -

Marzio fece spallucce. – Beh, non ne ho la certezza. Ma vedi, questo luogo in cui ci troviamo ora, è come uno spazio fuori dal mondo. Quando invece mi accorgo di trovarmi in un posto che conosco, significa che ci sono speranze di riuscire a farti vedere. -

Harry rifletté un momento su una domanda che gli nacque praticamente spontanea.

 

- Ma quindi. – chiese con una certa vergogna. – Senza di me, tu non puoi vedere i tuoi ricordi? -

 

Marzio formò un sorrisino sommesso. – No. Sospirò. – Senza di te, io posso solo ricordare, come tutti.

- Capisco. Senti, c’è una cosa che vorrei sapere di te. Ecco, ci penso da qualche giorno, ormai. – fece Harry, omettendo di specificare l’imbarazzante circostanza in cui si era ritrovato a rimuginare sulla questione. – Mi sono chiesto se tu sia un mago. Insomma, con tutte queste faccende dell’anima, del riuscire a parlarmi, significa che tu…? -

- Che sono un mago anch’io, sì. – rispose mitemente Marzio.

- Quindi tu facevi il mago, ai tuoi tempi? Ma di che cosa ti occupavi, scusa? -

 

Di incantare indumenti riscaldanti per i suoi compaesani, Harry lo dubitava fortemente. Dio, ma da dove gli era venuta fuori una domanda del genere?

 

Marzio strofinò un piede sul terreno, calpestando qualche foglia secche. – Non è una cosa semplice da spiegare. Io sono un militare al servizio della Repubblica di Roma. – cominciò con tono solenne. – Sono a capo della VIIII Legione, e comando personalmente il reparto di cavalleria magica del… -

- Hey frena, aspetta un momento. – lo interruppe Harry, allucinato. – Voi avevate dei reparti militari composti da maghi? A quei tempi? –

Marzio lo guardò un po’ in tralice. – Ovviamente sì. – rispose cercando di mantenersi naturale. – Come ti aspetti che potessimo combattere una popolazione celtica? -

- Non lo so, ma credevo… -

- E come credi che abbiamo preso la Grecia, o l’Egitto? – ridacchiò Marzio. – Da quelle parti ci sono fior di maghi che nemmeno immagini. I miei successori hanno fatto una fatica dannata per riuscire a tenerli a freno. –

 

Un mondo nuovo si spalancava agli occhi di Harry. Certo che, se cose del genere si fossero sapute, un sacco di bambini avrebbero studiato la storia con molto più entusiasmo.

 

- Ehm, ti ho interrotto. – si scusò. – Mi stavi dicendo del tuo ruolo. -

 

- Sì, certo. Dunque, per ordine del grande Gaio Giulio Cesare, che è dovuto rientrare a Roma per… Ehm… -

 

Marzio si zittì bruscamente. Sembrava piuttosto imbarazzato. Harry non potè fare altro che aggrottare la fronte, e aspettare che riprendesse il discorso. Certo che quel tipo era davvero molto strano.

 

- Per importanti motivi politici. – ne uscì il Romano, riprendendo colore, come se fosse appena sfuggito ad una tremenda insidia. – Io sono stato insignito del titolo di Legato di questa regione, e mi trovo di stanzia qui fino a nuovo ordine. -

- Oh, Legato. – fece Harry, impressionato. – Ti offendi se ti dico che non ho la minima idea di che cosa significhi? -

 

Marzio fece spallucce, poverino. – No, figurati. – sbottò. – il Legato è una sorta di comandante generale, il responsabile di un’intera legione. È un incarico di prestigio, sai. –

- Però. – Commentò Harry, stavolta impressionato davvero. – Allora eri un bel pezzo grosso, eh? –

- Beh. – gongolò Marzio. – Diciamo che me la cavavo bene. –

 

Che tipo. Harry non potè nascondere di provare un certo orgoglio, all’idea che qualcuno di così spaventosamente identico a lui fosse stato un’importante condottiero. Chissà se lo avrebbero smistato a Grifondoro, per il suo valore.

 

- Senti, posso fartela io una domanda, adesso? –

Harry scrollò le spalle, risvegliandosi all’istante dalle sue considerazioni. – Certo, fai pure. –

- Ecco, riguarda quelli. – disse Marzio additando i suoi occhiali. – Ho notato che da qualche tempo la gente li porta. Servono per vedere meglio, o mi sbaglio? –

 

Harry aggrottò le sopracciglia, piuttosto colpito dal brusco cambio di argomento. Che diamine, un secondo sei lì a discutere di cariche militari, e il secondo dopo di occhiali. – No, è giusto. – confermò.

- Uhm. –

Harry cominciava a capire dove volesse andare a parare. Ma con una puntina di crudeltà, si disse che non aveva nessuna intenzione andargli incontro.

- Ehm, senti… E’ che mi incuriosiscono. Insomma, sai, vedo un sacco di cose, ma non posso toccare niente. Non è che… -

- Che? –

- … Che. Me li faresti provare? –

 

Harry sbuffò una risatina. – Guarda che non vanno bene per tutti. – spiegò. – Se tu ci vedi già bene, con questi vedrai tutto deformato. –

- Beh, ma a me piacerebbe provarli. – si intestardì Marzio. – Non puoi proprio prestarmeli? –

- Come vuoi. – Concesse Harry. – Ma stai attento a non romperli, sono di vetro. -

 

Marzio agguantò gli occhiali di Harry con un sorriso idiota piantato sulla faccia, e il povero Grifondoro si ritrovò immerso in un mondo tutto sfocato. Si infilò gli occhiali reggendoli saldamente per le due asticelle, e appena li ebbe appoggiati sul naso diede un balzo all’indietro.

- Per le frecce di Diana! – esclamò, scuotendo la testa a tutta forza.

- Ti avevo avvisato. – sospirò Harry, sghignazzando impunemente sotto i baffi.

 

Era bella, l’atmosfera ilare che era venuta a crearsi. Le lacrime e il vuoto di qualche minuto prima sembravano degli incubi lontani, esorcizzati dal sole abbacinante e caldo che dava fuoco a tutta la prateria sconfinata che circondava la loro oasi alberata. Harry sperava con tutto il cuore di non spezzarla, ma tacere, per uno come lui, sarebbe stata solo un’ipocrisia.

 

- C’è un’ultima cosa che ti vorrei chiedere. Un’altra. – borbottò. Anche se dubito chi mi risponderai. –

- Tu provaci. –

Harry arricciò il naso. – Beh, è facile. Vorrei sapere chi è Derevan. –

 

Marzio si adombrò, ma meno di quanto Harry si sarebbe aspettato.

 

- Di questo non posso dirti molto. – mormorò. – Te l’ho detto, è la regola. Derevan è… beh… -

 

Le sue ultime parole furono sovrastate da un potente nitrito metallico. Marzio alzò gli occhi, mentre Harry si precipitò verso il brusco confine della macchia di alberi, dimentico della sua domanda. Dall’immensità della pianura, comparvero l’unicorno e lo stallone color nocciola che aveva visto già altre volte.

Galoppavano veloci come il vento, inseguendosi verso l’orizzonte, come se non si fossero dovuti fermare mai.

 

- Quei due animali, sono gli stessi di… -

- Ecco. – sussurrò Marzio. – Quello è Derevan. –

 

*          *          *

 

- Dobbiamo chiedere il parere di Silente. - 

 

Hermione sapeva tirare fuori la grinta, quando ce n’era bisogno. Di contro, però, il suo tono di voce tendeva a diventare terrificantemente stentoreo.

 

- Ma Hermione. – pigolò Harry. – Forse ti stai allarmando per nulla. -

- Non mi sto affatto allarmando. – lo fulminò lei. – Sto solo considerando la possibilità che ci siano dei rischi. E ad ogni modo, se c’è qualcuno che può darci una mano a vederci un po’ più chiaro, è solo Silente. -

 

- Non ha tutti i torti. – fece Ron, restando sul chi va là. – Se nemmeno Hermione è riuscita a trovare qualche libro utile, allora significa che quel libro non esiste. Non ci resta che provare a chiedere aiuto a Silente. È sempre meglio che affidarsi alla Cooman, no? -

- Puoi dirlo. – si arrese Harry, e anche Hermione annuì solennemente.

- Il massimo che ne caverebbe fuori è che si tratta di un presagio di sventura. -

- Dimentichi il fatto che morirò a breve. -

- Ma certo, e fra atroci sofferenze. -

 

I ragazzi sghignazzarono, guadagnandosi le occhiate perplesse dei loro compagni che occupavano la Sala Comune. Loro erano seduti sulla solita poltrona vicino al camino, immersi nel loro mondo. Ormai nessuno ci faceva più caso, eppure era rassicurante che alcune cose non cambiassero mai.

 

*          *          *

 

Harry era stato ricevuto assieme ai due amici. In verità Piton, che guarda caso faceva da mediatore per i ricevimenti straordinari degli studenti, aveva fatto il diavolo a quattro per far entrare solo Potter, ma Hermione aveva insistito così tanto che, alla fine, persino lui aveva dovuto capitolare.

 

- Non ti ha mentito, Harry. – disse quietamente Silente.

 

Ci era voluto un po’ per riassumere la situazione. Harry tendeva a fare una confusione della malora, e fu una vera fortuna che ci fossero stati lì Hermione a raddrizzare il tiro, o Ron, a tirare fuori certi dettagli che lui nemmeno si ricordava di aver raccontato. Il preside era stato ad ascoltarli, dapprima annuendo ad ogni frase; poi, con il proseguire del racconto, i suoi cenni si erano fatti sempre più radi, fino a scomparire del tutto.

 

– La sua situazione è molto particolare. –

- Potrebbe spiegarsi meglio, Preside? – lo pregò Hermione.

L’anziano uomo si richiuse leggermente nelle spalle ossute. Non c’era niente che potesse scalfire la sua maestosità, soprattutto quando si configurava come la sola possibile fonte di risposte; e di  risposte, ne aveva sempre una.

 

- Vedete, quando un’anima muore, se ne va per sempre, e non c’è nulla che si possa fare per riportarla indietro. – esordì con la sua consueta voce grave. – L’alternativa è che non sia pronta al trapasso, e in questo caso rimane qui, sottoforma di fantasma. E questo direi che lo sapete già. Lo sanno più o meno tutti, invero. Ciò che invece pochi sanno è che esiste un’ulteriore possibilità. –

- E’ quella in cui si trova Marzio, vero? –

Silente accennò con il capo. – E’ una cosa molto rara. Accade quando la persona che muore non riesce ad andarsene completamente. Resta prigioniera di questo mondo, non per paura, ma perché c’è qualcosa di molto importante la lega ad esso. Qualcosa che reputa più importante della sua stessa esistenza. –

Harry si grattò il mento con la punta dell’indice. - Dev’essere per forza la persona di cui mi ha parlato, Derevan. –

Silente non annuì né negò. – Le anime fanno un patto terribile, per poter restare in quella condizione di mezzo, Harry. –

- Sarebbe a dire? –

- Beh, vedi, esse accettano di sottostare alle leggi del caso. Rimangono in attesa per secoli, condannate a non poter essere viste né sentite, se non da una sorta di anima gemella che chissà quando e dove verrà al mondo. –

- E’ proprio quello che è successo ad Harry, no? – si animò Ron.

- E’ esatto. Ma vedete, ragazzi, le cose sono più complesse di quanto ci possa sembrare. Non ci sono certezze, quando si rimane nella condizione di mezzo. Derevan, ad esempio, potrebbe essere trapassato serenamente, e non trovarsi più qui. Ed anche ammettendo che non sia così, se egli non ha trovato la sua anima gemella, o se essa è troppo lontana per poterla incontrare, allora sarà tutto inutile. –

 

- Ma signore. – rifletté Harry. – Se per un’anima esiste questa scelta, allora significa che gli deve per forza essere concessa la possibilità di ritrovare ciò che cerca. Altrimenti tutto questo non avrebbe senso. –

 

Hermione annuì alle parole dell’amico, e si voltò di scatto verso il preside, gli occhi animati da quella luce attenta di chi cerca una conferma all’ovvio.

Silente se ne rimase immobile, avvolto nei suoi vestiti eccentrici. Per un attimo, parve una statua oracolare.

– Harry. – sospirò. I suoi occhialetti a mezzaluna specchiavano la luce pacata dei suoi occhi, pieni di un languore strano. – Purtroppo le cose non sono sempre così semplici. A queste anime non è dovuto nulla; rimanere qui è una loro scelta, e loro si fanno carico di tutti i rischi. –

- Ma allora perché Marzio avrebbe scelto una strada così assurda? –

- Ti mentirei, se ti dicessi che so cosa ci aspetta, dopo che abbiamo lasciato questa vita. – disse allora il preside, con un sorriso che da solo esprimeva un conforto e una saggezza indicibili. – Ma so per certo che ciò che c’è di là è pace. Se l’anima di un uomo la rifiuta, e decide di rimanere nel nostro mondo a soffrire una solitudine che dura per secoli, significa che essa è piena di una forza molto, molto più forte di qualunque altra cosa. Più forte della pace, della solitudine, della morte stessa. Marzio non potrà mai ritrovare la sua pace, perché questa pace non è racchiusa nella morte, ma in qualcosa che si trova ancora qui, e che lui ti sta chiedendo di aiutarlo a cercare. –

 

Harry annuì, con la testa china. Solo le ultime parole costituivano materiale da far scoppiare la testa per giorni, eppure lui sentiva, benché non fosse stato detto né fatto nulla di particolare, che era ora di andare.

 

- Signore, io… - aggiunse alla fine, a voce un po’ bassa, perché un po’ si vergognava. – Forse sono stato un po’ duro con lui, all’inizio. Ma ho sempre avuto intenzione di aiutarlo. Sempre. –

 

Silente non manifestò alcuna reazione. Sorrise in modo talmente lieve che la barba non si mosse, lasciando tutto nascosto.

– Sono certo che tutto si risolverà per il meglio. –

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Ok, è un periodaccio. Nel senso che mi trovo in piena fase baka.

Scrivo cose baka.

Penso cose baka.

Dico, faccio, ascolto, leggo, mangio e bevo cose baka.

E chi è di Fire & Blade sa anche che cosa tutto ciò sta producendo.

E ho questa fic da pubblicare! Questa fic che tenta di darsi un tono, piena di cose carine e commoventi!

Manderò tutto in vacca, lo sento. Marzio e Harry si ubriacheranno di Scivolizia con a Tonio Cartonio, e assieme a tutta la loro combriccola istituiranno un mega trenino e balleranno con Deidara al ritmo della Caramelldansen (chi non sapesse cosa sia, voli all’istante su youtube e lo scopra. E assurga così ad un rango semidivino altrimenti impossibile da raggiungere).

Per la cronaca, il siparietto idiota degli occhiali di Harry è tutta colpa della vocina baka che imperversa in questo periodo nel mio cervello monolocale. Come. Volevasi. Dimostrare.

Divinità emo, ascoltate la mia supplica! Scendete su di me e deprimetemi all’inverosimile!

  
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